“Selezionando tritoni potremo alla fine ottenere rane”. Un’affermazine di questo tipo appartiene alla scienza o alle “Storie proprio così” di Rudyard Kipling?
Dopo l’errore compiuto da Richard Dawkins nel suo ultimo libro “The Magic of Rality”, ci si domanda se la teoria darwiniana non sia in realtà una “Storia proprio così”.
La differenza tra le “storie” e le teorie scientifiche è la possibilità per queste ultime di trovare un fatto in grado di smentirle.Ma esiste un criterio di falsificabilità per la teoria darwiniana?
Da quando Karl Popper ridefinì il criterio di scientificità, ogni teoria per essere considerata “scientifica” deve fornire una possibile prova che la possa invalidare:
Il criterio di falsificabilità afferma dunque che una teoria, per essere controllabile, e perciò scientifica, deve essere “falsificabile”: in termini logici, dalle sue premesse di base devono poter essere deducibili le condizioni di almeno un esperimento che la possa dimostrare integralmente falsa alla prova dei fatti, secondo il procedimento logico del modus tollens (in base a cui, se da A si deduce B, e se B è falso, allora è falso anche A). Se una teoria non possiede questa proprietà, è impossibile controllare la validità del suo contenuto informativo relativamente alla realtà che essa presume di descrivere.
Come ha sottolineato Karl Popper, se una proposta teorica o un’ipotesi non può essere sottoposta a un controllo che possa falsificarla, allora il teorico che l’ha avanzata può suggerire, a partire da essa, qualsiasi altra concezione senza possibilità di contraddittorio: l’ipotesi iniziale può portarci a qualunque conclusione senza che si possa confutarla.
Riflettendo su alcune controversie che si sono sviluppate i giorni scorsi sulla teoria darwiniana è stato possibile notare qualcosa di significativo da questo punto di vista.
-Primo caso
Nello scambio di opinioni avvenuto su Critica Scientifica, un professore di paleontologia dell’Università di Modena (che ha preferito restare anonimo) sosteneva con grande decisione il fatto che la teoria neodarwiniana fosse gradualista:
“gli equilibri punteggiati sono una teoria che si rifà esplicitamente al modello darwinista, che rifiuta il saltazionismo e la cui differenza principale rispetto al neodarwinismo sta nell’accento che mette sulla rapidità relativa dei fenomeni di speciazione. Gould e Eldredge accettano pienamente le trasformazioni graduali, anche se su tempi geologicamente brevi. Se secondo Lei 100.000 anni (tempo geologicamente breve) per un evento di speciazione sono pochi e questo non implica una trasformazione graduale, significa che non ha l’idea di cosa sia il tempo geologico.“
Solo una settimana prima, il giorno 21 settembre, sul sito Leucophaea, tenuto da un giornalista che si firma Marco F (pare che il desiderio di anonimato sia una caratteristica diffusa negli ambienti darwinisti…) parlando di un altro articolo da me pubblicato sul ritrovamento di Australopitecus sediba, ha affermato quanto segue:
“…i biologi, ricorda Pennetta, sanno che il gradualismo è un punto centrale del neo-darwinismo”. Può anche darsi che per alcuni neo-darwinisti il gradualismo fosse il punto centrale della loro posizione, ma vorrei ricordare agli ossimori che, a differenza della teologia, la biologia cambia e si evolve: i neo-darwinisti risalgono agli anni ‘30-‘50, e cosa pensasseroFisher, Dobzhansky, Haldane e Sewall Wright, sinceramente, è adesso poco importante – a parte che per gli storici della biologia. La teoria dell’evoluzione ha visto almeno altri 60 anni di cambiamento, e nessuno ritiene più il gradualismo un punto centrale e irrinunciabile. Non vorrei fare i nomi di Gould e Eldredge, o addirittura di Goldsmith, ma ci sono ben altre impostazioni della teoria dell’evoluzione rispetto a quelle di 80 anni fa.“
Ma lo stesso “Guru” del darwinismo, Richard Dawkins sul gradualismo è molto fermo:
“Il darwinismo è una teoria di processi cumulativi così lenti da richiedere, per completarsi, da migliaia a milioni di decenni“, afferma nel suo best seller L’orologiao cieco.
Affermazione che a sua volta non è in linea con nessuna delle due precedenti!
Infatti differisce con la prima sulla durata: il Prof. di Modena parla di 100.000 anni per la speciazione secondo la teoria degli equilibri punteggiati, R. Dawkins segnala invece che potrebbero essere necessari “milioni di decenni“, cioè anche 10 milioni di anni e oltre. Affermazione questa che significa che la teoria degli equilibri punteggiati può essere vera o no: in qualsiasi caso la teoria darwiniana non è invalidata.
A sua volta l’affermazione del giornalista Marco F nega l’importanza del gradualismo, giungendo ad affermare, in contraddizione col Prof. di Modena, che Goul e Eldredge hanno tolto centralità al gradualismo.
L’unica cosa che si può evincere da questi esempi è solo che la teoria può essere gradualista o no, in base a come fa comodo. Darwin su questo era stato invece molto chiaro e intransigente: il gradualismo era una caratteristica irrinunciabile della teoria:
“Come mai la natura non avrebbe fatto un salto da una struttura all’altra? Secondo la nostra dottrina d’elezine naturale possiamo capire chiaramente perchè essa nol possa fare; perchè l’elezione naturale non può agire che approfittando delle piccole variazioni successive; essa non può mai fare un salto, ma deve procedere per gradi corti e lenti.“
C. Darwin, Sull’origine delle specie – Zanichelli 1864, pag. 153
Dunque, contrariamente a quanto detto dallo stesso Darwin, adesso il gradualismo sembra non costituire più un criterio di falsificabilità.
-Secondo caso
Negli stessi giorni veniva pubblicato un articolo sul Sole 24 ore dal titolo L’errore di Darwin, in cui, a parte la solita litania di insulti nei confronti dei critici della teoria, si parla dell’epigenetica, della trasmissione ereditaria di cambiamenti indotti dall’ambiente. Nell’articolo si ricorda come la prima versione della teoria prevedesse (esattamente come in quella di Lamarck) la trasmissione dei caratteri acquisiti. Poi questa possibilità venne respinta, e allora la teoria rinacque come neo-darwinismo introducendo i cambiamenti casuali come origine dei nuovi caratteri. Adesso si scopre il fenomeno dell’epigenetica, e quindi si riscopre che Darwin l’aveva detto fin dal principio.
Anche in questo caso, dunque, la teoria comprende come ugualmente soddisfacenti tutte le possibili proposizioni sull’origine dei nuovi caratteri: le novità quando non sono determinate dall’ambiente sono casuali. Come dire che i numeri se non sono pari sono dispari.
Conseguenza: impossibile falsificarla.
-Terzo caso
Sempre negli stessi giorni, a proposito dell’Australopitecus sediba, si poneva la questione dello sviluppo del cervello, i quotidiani infatti segnalavano la scoperta dell’anello mancante, i darwinisti si guardavano però bene dal rettificare sui quei mezzi di informazione su cui spesso scrivono che non si deve parlare di anelli mancanti. Su Le Scienze si parlava comunque di: Au. sediba: un po’ australopiteco, un po’ uomo, titolo in cui non si parla di anelli mancanti ma in cui si esprime chiaramente l’idea di un passo di avvicinamento alla specie umana. All’obiezione della mancanza di gradualismo nello sviluppo del cervello da me così espressa:
-l’A. sediba è una specie di A. Africanus, e allora niente “anello” di congiunzione con Homo
-l’A. sediba è un anello di congiunzione con Homo, e allora la sua scoperta comporta molte difficoltà per l’evoluzionismo neo-darwiniano a causa del suo cervello che non mostra un’evoluzione graduale.
nel sito Pikaia, in un articolo di Stefano dalla Casa, pubblicato il 21 settembre, dopo gli immancabili insulti, veniva risposto che:
Purtroppo l’algoritmo creazionista, per quanto meraviglioso nella sua inanità, ha delle falle. Il campo visivo era qui totalmente occupato dalla parola “graduale”, e i colleghi di Le Scienze ne hanno fatto le spese. Un conto è l’organizzazione del cervello, un conto sono le sue dimensioni. Nel dubbio, sarebbe bastato leggere l’abstract per avere un’idea più precisa di quanto proposto dagli autori…
Quindi per il Della Casa il gradualismo è importante (in disaccordo con Michele F), ma è da superficiali cercarlo nelle dimensioni del cervello, quel che conta è l’organizzazione interna. Che poi sia difficile verificarla in un cranio di circa 2 milioni di anni fa non conta, per il Della Casa, con riferimento all’abstract, dal fossile è possibile stabilire una riorganizzazione neuronale.
Ma il 26 settembre sul sito neuro@ntropologia di Emiliano Bruner del Centro Nacional de Investigación sobre la Evolución Humana, massacrava letteralmente le affermazioni del Della Casa e dell’abstract di Science in un pezzo di rara e sferzante ironia:
“Ma non bisogna disperare, siamo paleontologi, non siamo tenuti necessariamente a dimostrare le nostre affermazioni, possiamo vendere le opinioni personali come ipotesi scientifiche, le sensazioni come fatti accaduti, non facciamo del male a nessuno, solo abbiamo il compito di intrattenere il nostro amato pubblico.
Ed ecco che quindi, con un numero dedicato di Science e un frullato al sincrotrone, dai poveri resti defunti di un residuo di australopiteco subadulto esce un articolo di impatto che da un pezzo di corteccia orbitale scolpito nella roccia ti tira fuori linguaggio, cognizione, rivoluzione, e tensioni neuronali.“
E poi ancora:
“Ma non fa nulla, anche se sembra un australopiteco e ha misure di australopiteco posso sempre dire che ha un qualcosa che mi ricorda l’uomo moderno, montare uno scenario su linguaggio e ristrutturazione delle aree frontali, e pubblicare su Science. Mica muore nessuno…“
Ecco che ancora una volta per difendere le proprie posizioni i sostenitori della teoria vengono scoperti a fare affermazioni indimostrabili, o peggio, a dare per dimostrate cose che non lo sono.
Il cervello di A. sediba può dunque avere avuto un’evoluzione graduale o no, può essere un perfetto Australopiteco ma posso anche dire che era “un po’ uomo”.
Anche in questo caso sembra non esserci nessuna affermazione che possa essere ritenuta in contrasto con la teoria.
Conclusioni:
Sembra proprio che nel caso della spiegazione darwiniana del fatto dell’evoluzione, si possa dire tutto e il contrario di tutto. Ma allora la teoria non sarebbe falsificabile.
E questo la porrebbe al di fuori della scienza: proprio come il creazionismo dell’Intelligent design.
11 commenti
Quindi, in poche parole, hanno sempre ragione loro!!!
Darwinismo dialettico?
Caro Enzo, sono contento che tu abbia apprezzato il mio articolo su A. sediba, trovo la definizione di “rara e sferzante ironia” molto gratificante! Però dato che lo stai utilizzando spesso fuori del suo contesto mi sento in dovere di intervenire per non lasciare le cose alle solite reinterpretazioni selvagge associate a queste tematiche, che purtroppo sono allo stesso tempo complesse nella loro struttura ma fragili nella loro esposizione a “fattori esterni”. Come sempre accade quando si ha a che fare col genere umano, ognuno tira acqua al suo mulino, e la coerenza passa spesso in secondo piano.
Il mio articolo su A. sediba non è una critica all’evoluzionismo. Non potrebbe esserlo, essendo stato scritto da un evoluzionista che scrive e insegna di evoluzione. Il mio articolo è una forte critica al sistema accademico e a quello della pubblicazione scientifica. Ovvero, non critico la disciplina, ma il sistema umano che la trasforma in merce. Non bisogna poi sorprendersi, gli accademici sono un campione aleatorio di umanità, e non bisogna pensare che se la politica, l’economia, o l’amministrazione sono intrisi del “fattore umano”, la scienza non lo sia.
Ma è un errore il tuo quello di confondere un concetto con chi dice di rappresentarlo. Soprattutto in un caso specifico come questo: la paleoantropologia non è solo questo articolaccio su A. sediba, e soprattutto la biologia evoluzionistica non è solo rappresentata dalla paleoantropologia! Forse se spesso si lascia correre sulle superficialità dell’accademia è anche per evitare strumentalizzazioni e generalizzazioni che sono più dannose del difetto originario. E il danno è proprio la mancanza di logica e coerenza che spesso, come io stesso ho commentato in Leucophaea, porta il dibattito alla “tavola bassa dell’evoluzione”.
E’ quindi per continuare a sostenere questo vaglio della coerenza, che deve rimanere il principale valore di scambio, che ti invito a riflettere su questo punto, e a non confondere le idee con chi dice di rappresentarle. Questo errore ha portato a fatali conseguenze, se uno lo applica ai processi storici.Nel caso specifico, come autore di quel testo e come evoluzionista, ti posso garantire che la critica è al sistema accademico, e non all’evoluzione. E se il suggerimento epistemologico è generico e propositivo anche e soprattutto sugli argomenti di cui discuti nel blog, con la questione specifica A. sediba non voglio invece entrare in merito ai temi dei tuoi articoli, ma solo chiarire (in quanto autore di quel post) un errore di interpretazione che non fa bene al dibattito. Doveroso nei confronti della scienza, della cultura in generale, e soprattutto dei lettori che ci leggono in rete.
Spero che queste critiche siano costruttive, e ti ringrazio comunque per aver contribuito a poter discutere di questi temi!
Un saluto,
Emiliano
“[…]la paleoantropologia non è solo questo articolaccio su A. sediba, e soprattutto la biologia evoluzionistica non è solo rappresentata dalla paleoantropologia!”
Lei dice così e sono concorde,però,mi consenta…
Si può anche concepire ed accettare che diversi accademici portino acqua al loro mulino,incorrendo in più errori..
Però se si parla di evoluzionismo,di neo-darwinismo,in qualche modo tali cose dovranno pur essere ben definite,come dire,almeno le basi dovrebbero essere chiare e manifeste,poi se da tali basi qualcuno estende sue considerazion e queste sono false allora avrà fatto considerazioni errate.
Ma se le basi sono false?
Testi,libri,pubblicazioni..sono tutte cose scritte da qualcuno,sia singola persona o gruppi di ricerca o associazioni di più accademici,scrittori etc..si studia e ci si forma con tali cose,pertanto o dell’evoluzionismo e del neodarwinismo esiste un concetto astratto che non si trova sui libri che è scienza,che allora forse ci farà il gran piacere di illustrarci,oppure si scremi quanto si voglia,ma le cose sono quelle,e i modi con cui vengono spiegate quelli…
Se poi evoluzionisti, più o meno famosi o di rilievo che siano,si espongono spiegando certi aspetti della teoria etc..allora si criticano anche quelli.
Non si critica la teoria attaccando quelli,si critica la teoria e quelli se e solo se vanno a “difendere la teoria”(ovviamente con argomentazioni fallaci..)
Pertanto non vedo nessun errore nato dalla confusione fra concetto e chi cerca di rappresentarlo.
A meno che ripeto,nessuno sia “degno” di rappresentarlo e nessuno di chi lo critica abbia chiaro questo concetto,che non sta scritto in nessun libro,in nessun dove…nemmeno fosse la ricetta della coca cola ^_^
Caro Emiliano, innanzitutto ti voglio dire che sono veramente contento per questo tuo intervento e per la possibilità di poter dialogare con te su un tema che ci appassiona così tanto.
Ma veniamo alle tue considerazioni, che comprendo e che mi offrono l’opportunità di mettere meglio in chiaro alcuni punti.
Purtroppo è vero che quando si muovono delle critiche ad un rappresentante di una qualsiasi realtà o categoria è oggettivamente difficile distinguere cosa tale rappresentante dica a titolo personale e cosa sia invece espressione della realtà rappresentata. Nel caso particolare è giusto quindi sottolineare il fatto che le tue critiche erano rivolte ai singoli studiosi che erano giunti a conclusioni quantomeno “affrettate”.
E’ quindi giusto sottolineare che le tue sono critiche di un evoluzionista al sistema accademico e non alla teoria.
Da parte mia è vero che non ho invece distinto il concetto da chi dice di rappresentarlo, ma pensandoci bene questo tipo di operazione va fatta all’interno di un sistema, è infatti interesse di chi in quel sistema o in quella teoria si pone, vigilare sulla correttezza dei suoi esponenti.
Per fare un paragone ecclesiastico, se un parroco fa delle affermazioni non corrette è compito dei suoi superiori fare le dovute rettifiche, non degli esterni.
Per chi sta fuori quelle parole sono il pensiero della Chiesa in quanto pronunciate da un suo rappresentante.
A questo punto la domanda che mi viene da fare è questa: perché non esistono altri Emiliano Bruner a rettificare o comunque a sollevare dei dibattiti su certe affermazioni?
Non sarebbe nell’interesse della teoria?
Già che ci siamo ne approfitto per ricordare che anche io sostengo l’evoluzione, la mia critica va alla spiegazione neo-darwinista per “caso e necessità”.
Va anche detto che articoli come questo sono anche caratterizzati da una certa vis polemica dovuta al fatto che oltre ad aver portato il dibattito alla “tavola bassa dell’evoluzione”, una certa tipologia di accademici ha fatto in modo che chi muove delle critiche venga messo non solo fuori dalla tavola, come diceva Eldredge, ma sbattuto proprio fuori della stanza.
Finisco questa mia lunga, e non del tutto esauriente, risposta cogliendo l’occasione per dire che su Neuro@antropologia ho letto “Pensare Neandertaliano”, una conferma del tuo piacevole stile.
Non è detto che dei Neandertaliani non se ne riparli tra qualche giorno!
Un cordiale saluto
Enzo
La differenza tra le idee e le persone che le rappresentano (o che dicono di rappresentarle) è davvero fondamentale, credo che si debba davvero prestare molta attenzione a questo punto, sorgente di grandi equivoci e di tanti problemi. Una idea (o una ipotesi) va in primo luogo dibattuta per il suo costrutto logico, e per il suo contenuto concettuale. Nel caso della ricerca entrano evidentemente in gioco anche le evidenze scientifiche, che hanno un ruolo di primo piano. Ed è chiaro che tutto questo deve essere assolutamente indipendente dai limiti di chi, per passione o per beneficio, si arroga il diritto di difendere quella idea.
Credo davvero che un punto di contatto tra questi due mondi separati sia la coerenza. Indipendentemente dalle idee, se uccido dicendo di difendere i dieci comandamenti sono incoerente. Se presento una ipotesi scientifica fondata sulla possibilità e non sulla probabilità sono incoerente.
Ahimè siamo primati emotivi, e nella foga di avere un gruppo di appartenenza spariamo a tutto quello che non ci appartiene, cercando santi e colpevoli, e soprattutto teste da mozzare o da portare in trionfo …
Ora, ho il sospetto che il grande baratro tra il dire e il fare (e questo anche per rispondere alla replica precedente sulle basi dell’evoluzionismo) lo troviamo passando dal contesto specialistico a quello divulgativo. Questo evidentemente è vero non solo per l’evoluzione, ma per qualsiasi forma di conoscenza umana. Ovvero, chi lavora in questo settore “sa”, sufficientemente bene, cosa è serio e cosa non lo è, chi vende scienza e chi vende fumo, quale informazioni sono reali, e quali di ripiego. Lo sai perché ci lavori tutti i giorni tutte le ore da tanti anni. Evidentemente, per chi si assomma lievemente al dibattito, tutto questo è indistinguibile. Ma il fatto che non sia indistinguibile a un occhio inesperto, non vuol dire che lo sia davvero. Ci dovrebbero essere i mass-media a colmare questo vuoto di comunicazione, ma ahimè non ci sono. Quel che resta al di fuori del contesto specialistico è una conoscenza superficiale che non riesce ad entrare mai davvero nel dibattito. Come ho detto mille volte, è vero che gli scienziati sono chiusi in una torre d’avorio, ma quello che non si dice mai e che spesso sono chiusi … da fuori!
Ora ripeto, questo accade in tutte le discipline, solo che mentre un non-specialista con difficoltà si cimenta in speculazioni sulla teoria quantistica, sulla microchirurgia, o sulla dinamica strutturale dei ponti, chiunque si sente in dovere e in potere di dire la sua sull’evoluzione. Come detto nei miei post, tanto non muore nessuno, e non costa nulla.
E, tornando sul tema della leggerezza accademica, sono totalmente d’accordo con Enzo sul fatto che quando qualcuno sbaglia bisogna calcare la mano proprio per difendere la teoria. Citando testualmente il mio commento su Leucophaea di settembre: “Pressati dai limiti e dalle insicurezze economiche, politiche, e culturali che soffre la ricerca attuale, siamo pronti a tutto (e ad accettare tutto) per difendere la scienza. Ma credo che la forma più corretta e risolutiva per fare questo sia proprio vigilare sulla sua integrità morale, intellettuale, e professionale. Non tanto difenderla da chi la attacca da fuori, ma da chi la indebolisce da dentro.” Nella distinzione tra le idee e chi dice di rappresentarle, se necessario si attaccano i secondi proprio per difendere le prime, tenendo ben separate le due componenti.
Tornando dove questo dibattito è cominciato, è stato proprio Karl Popper a dire che il primo nemico di una teoria scientifica dovrebbe essere proprio lo scienziato che la propone, pronto a tutto per testare la sua resistenza ai fatti. Se questo non succede, non credo si possa trovare la soluzione sacrificando tutta la teoria in nome di un suo cattivo rappresentante, tantomeno avendo un controllo solo parziale, per quanto motivato, delle informazioni, delle evidenze, e dei contesti.
E per quanto riguarda i temi generali, credo sia importante ricordare che il valore del dibattito non è quello di poter fornire le giuste risposte, ma … quello di arrivare a formulare le giuste domande!
Un saluto a tutti,
Emiliano
Come si potrebbe non essere d’accordo?
Il fine che questo blog si prefigge vuole proprio essere quello di mettere sotto la lente d’ingrandimento le purtroppo numerose contraddizioni e sbavature che nascono in un mondo scientifico sottoposto spesso a logiche che dovrebbero essere a lui estranee.
Ma è necessario affrontare anche la “scienza” a livello più di massa, quella diffusa da un’informazione affetta da sensazionalismo e superficialità che spesso quelle contraddizioni e sbavature distorce, amplifica e diffonde.
La sfida in ultima analisi è quella di parlare di tutte queste cose che, come abbiamo detto, fanno male in primis alla scienza stessa, rivolgendosi a tutti, ai non specialisti ma anche agli specialisti che volessero contribuire portando anche il punto di osservazione dall’interno della “torre”.
E’ un impegno difficile ed è possibilissimo che non sempre ci si riesca, e nei casi in cui questo dovesse accadere spero che ci sia qualcuno, magari un Emiliano Bruner o un Alessandro Giuliani, a correggere e a completare gli articoli col proprio intervento.
Quando si presenterà nuovamente l’occasione sarà messa la massima cura nel distinguere le obiezioni alle opinioni e alle affermazioni dei singoli da quelle alle teorie.
Grazie per le tue considerazioni che sono uno sprone a fare sempre meglio.
Un saluto
Enzo
Un buon discorso,che certamente offre spunti di riflessione e mette alla luce un tema importante e con cui è necessario raffrintarsi prima di ingaggiare un dibattito.
Lei scrive :
“[..]Se presento una ipotesi scientifica fondata sulla possibilità e non sulla probabilità sono incoerente.”
e concordo pienamente.
Concordo anche che chiunque sia a contatto con un ambiente scientifico sia “abbastanza” a conoscenza di chi ‘vende’ scienza e chi ‘vende’ fumo,direi abbastanza e non totalmente però ,altrimenti vuol dire che per convenienza va bene il cchinare il capo di fronte all’esposizione di qualsiasi cosa,cosa anch’essa che potrebbe essere probabile..
Lei poi dice
“Una idea (o una ipotesi) va in primo luogo dibattuta per il suo costrutto logico, e per il suo contenuto concettuale. Nel caso della ricerca entrano evidentemente in gioco anche le evidenze scientifiche, che hanno un ruolo di primo piano. Ed è chiaro che tutto questo deve essere assolutamente indipendente dai limiti di chi, per passione o per beneficio, si arroga il diritto di difendere quella idea.”
Se una pubblicazione,un libro ,un articolo,una intervista è fatto per passione o beneficio comunque ha una azione divulgativa,limitarsi a dire che non sia valido perchè l’autore ha agito non per scienza ,non per informazione ma per fattori personali non porta a nulla,perchè facilmente si potrebbe controbattere che tali accuse sono infondate.
Quindi si va a controbattere le sue affermazioni.
Se poi tali affermazioni vengono accettate(perchè o percome non è in quel momento rilevante)dalla comunità scientifica accademica,e per di più sono diventate parte della teoria stessa,diventa chiaro cosa comporti controbatterle…
Dibattere e contestare certa ‘scienza’ anche se non riguarda direttamente la teoria riguarda comunque l’informazione e la conoscenza che le masse avranno della teoria,quindi è molto importante..
e poi dice:
“[…]Tornando dove questo dibattito è cominciato, è stato proprio Karl Popper a dire che il primo nemico di una teoria scientifica dovrebbe essere proprio lo scienziato che la propone, pronto a tutto per testare la sua resistenza ai fatti. Se questo non succede, non credo si possa trovare la soluzione sacrificando tutta la teoria in nome di un suo cattivo rappresentante, tantomeno avendo un controllo solo parziale, per quanto motivato, delle informazioni, delle evidenze, e dei contesti.”
Qui non condivido,perchè in tutta sincerità,con tutto buon cuore,mi scuso,ma mi pare fazioso..
Perchè detta così,sembra che il ‘distruggere’ la teoria sia sola ed unica conseguenza di chi “in brutto modo” la abbia rappresentata
,che sia solo un attacco ad una parte del mondo accademico.
Questo non è assolutamente vero.
Altrimenti vorrei vedere questa teoria dell’evoluzione totalmente estranea da come ne parlano i vari biologi,genetisti,paleontologi etc..non attaccabile dalle varie critiche mosse e che possa in buona ragione essere considerata scienza ed incline al modello scientifico..
Altrimenti mi pare che ci si prenda in giro e ciò non lo posso accettare.
P.S.Complimenti vivissimi per http://neuroantropologia.wordpress.com/ mi è piaciuto davvero,non lo conoscevo..
Caro Enzo,
a proposito del “gradualismo”, che è sempre stato il corollario della spiegazione evoluzionistica, vorrei ricordare come esso fosse oggetto di critica già nell’Ottocento da parte di qualche più acuto antievoluzionista… Contro l’idea che la natura si evolvesse per “gradi”, cioè sulla base di un criterio meramente quantitativo, gli antimaterialisti vitalisti e spiritualisti dell’epoca opponevano invece l’idea di un salto ontologico e dunque qualitativo tra un ente e l’altro. Ad ogni passaggio per esempio dal mondo vegetale a quello animale a quello umano si colloca uno iato, un salto qualitativo dell’essere: così dalla materia informe all’armonia del mondo; così dalla incoscienza alla coscienza riflessa, all’autocoscienza; così dall’istinto alla ragione all’intelligenza superiore. Queste idee bistrattate sempre dagli evoluzionisti e tacciate di anacronismo, perchè si rifacevano alla filosofia medievale addirittura, e in particoalre a Tommaso d’Aquino, meriterebbero invece di essere rilette… se si vuole anche per la loro attualità, visto che Tommaso è stato riletto e confrontato con Heidegger… Ma poi soprattutto perchè la spiegazione delle differenze “qualitative”, laddove esse si presentano nella natura, è prorio ciò che manca ai darwinisti di ieri e di oggi. E’ questo il vero “anello mancante” al darwinismo…
Mi viene in mente la battuta di un filosofo ad un neuroscienziato durante un convegno. Il primo fece osservare allo scienziato come il cervello non esista neppure! Cioè il cervello è un’astrazione, uno strumento (come tutta la scienza) per rendere intelleggibile la realtà naturale, ma non coincide con la realtà stessa. Il cervello è il nome che si diede ad un pezzo di materia durante le vivisezioni di qualche fisiologo sette-ottocentesco, ma i problemi della mente e del pensiero se li ponevano anche gli antichi, quando ancora il cervello non era stato scoperto… o meglio inventato! Ebbene volendo concedere ai materialisti che la mente si riduce al cervello, alla quantità pure infinita di legami neurali, alle sinapsi e agli impulsi elettrochimici del cervello, il filosofo pregò lo scienziato allora di aprirgli la calotta cranica e di tirargli fuori i pezzi del suo pensiero o le parole o le idee.
…E d’altronde che dagli “urli bestiali” alle parole articolate abitate da idee e da significati ci fosse di nuovo un “salto” di qualità, un anello mancante, e non solo un passaggio di “grado”, era già riflessione ottocentesca da parte per esempio di quel Niccolò Tommaseo che tutti conosciamo…
Grazie Antonio per questo intervento, quello che dici è veramente utile per tutti, io personalmente mi sono annotato il passaggio in cui dici: la spiegazione delle differenze “qualitative”, laddove esse si presentano nella natura, è prorio ciò che manca ai darwinisti di ieri e di oggi. E’ questo il vero “anello mancante” al darwinismo…
Questo del “vero anello mancante” è uno spunto su cui riflettere.
Complimenti ancora per il tuo bellissimo libro La «patria» e la «scimmia».
Sulle prime obiezioni a ritenere il gradualismo parte fondamentale,irrinunciabile,centrale,della teoria evoluzionista neodarwinista vorrei dire inoltre che anche in modello “a salti” da quel che ho potuto apprendere si presupponga comunque una gradualità dell’accumulo di nuovo materiale,fintanto che non avvenga l’espressione di nuova informazione derivante da quell’accumulo.(spero sia chiaro il concetto non essendo biologo & co. non vorrei esprimermi troppo impropriamente).In un modo o nell’altro il gradualismo c’è sempre..altrimenti non ho compreso correttamente quiando dicono circa l’evoluzione per salti,che però in tal caso non rientrebbe che in un remoto campo ipotetico.
Non solo,questo pone l’attenzione anche sul fattore temporale,se vi fosse un ‘grande’ errore anche nel determinare il lasso di tempo intercorso durante l’ipotetica evoluzione(cosa di una certa probabilità,come riportano diversi scienziati,di alcuni dei quali ho già accennato.)tale idea cadrebbe miseramente.
Pertanto può davvero il gradualismo non essere parte fondamentale dell’ipotesi’ neodarwinista?
Io non credo proprio..