Werner Karl Heisenberg, autore del principio di indeterminazione
L’Uomo potrebbe essersi evoluto secondo il gradualismo classico o secondo la teoria degli equilibri punteggiati.
Ma nel primo caso non possiamo dire che un fossile sia un antenato di “Homo”, nel secondo l’evoluzione è incompatibile con il meccanismo darwiniano.
Sembra di essere in presenza di una sorta di “Principio di indeterminazione”, come quello di Heisenberg, che impedisce di dire contemporaneamente che l’Uomo si sia evoluto col meccanismo darwiniano e che i fossili possono testimoniarlo.
Come sanno coloro che seguono il tema dell’evoluzionismo, la gradualità dell’evoluzione è un aspetto irrinunciabile della teoria di Darwin sin dalla sua prima apparizione. Ma poiché i reperti fossili mal si conciliano con questo requisito, negli anni ’70 si affacciò la teoria degli equilibri intermittenti sostenuta da Gould ed Eldredge. Tale teoria prevede lunghi periodi di “stasi” interrotti da rapidi (ma si badi bene “graduali”) periodi di evoluzione. In questo modo si salvavano la “capra” e i “cavoli” del gradualismo e della mancanza di prove fossili a suo sostegno.
L’ultimo capitolo di questa travagliata storia è stato scritto pochi giorni fa, quando sul Journal of Human Evolution è stato pubblicato un artcolo intitolato “Did a discrete event 200,000–100,000 years ago produce modern humans?“ L’articolo è stato prontamento ripreso da Pikaia con un suo pezzo intitolato” Origine di Homo sapiens: punteggiatura o gradualismo filetico?” nel quale si evidenzia come i dati disponibili sull’evoluzione umana siano interpretabili in vario modo:
Per la nostra specie, invece, tutti i dati sembrano indicare un evento di speciazione in Africa datato tra i 200mila e i 100mila anni fa, quindi una comparsa improvvisa della specie, compatibile con il modello degli equilibri intermittenti. […]
Timothy Weaver, un ricercatore dell’Università della California, in un articolo pubblicato sul Journal of Human Evolution, mostra come i dati che abbiamo appena citato siano compatibili anche con un modello di evoluzione graduale, in cui Homo sapiens acquisisce i suoi caratteri specifici lentamente, a partire dalla divergenza con la linea neandertaliana circa 400mila anni fa, ovvero in uno scenario di gradualismo filetico.
L’evoluzione umana, citando le parole usate nell’articolo, potrebbe essere stata improvvisa (termine che da solo dovrebbe mettere un pietra tombale sul meccanismo neodarwiniano) ma, adesso, finalmente anche graduale, si tratta di vedere come si interpretano i dati e quali variabili arbitrarie si inseriscono nei calcoli:
In particolare, il fatto che la diversità del dna mitocondriale nelle popolazioni moderne risalga a 200mila anni fa può essere dovuto ad un evento demografico come un collo di bottiglia concomitante ad una speciazione (interpretazione canonica), ma può anche risultare da una popolazione effettiva (quella che si riproduce) costante. Infatti, il tempo di coalescenza dipende dalla popolazione effettiva e cambiando questo parametro il tempo di coalescenza può variare enormemente.
Già, e a noi chi ce lo dice quale era la popolazione effettiva? Eccoci dunque ad un altro caso in cui ad un modello matematico possiamo far dire quello che vogliamo in base a parametri arbitrari. I due modelli che saltano fuori sono pubblicati sul Journal of Human Evolution:
Ecco, ciascuno può scegliere quello che preferisce.
Ma la dichiarazione più significativa dell’articolo, a firma di Alessandro Riga, viene dopo:
Ma in un contesto di gradualismo filetico man mano che ci allontaniamo dal presente i tratti metrici dovrebbero cambiare sempre di più e, nel modello sviluppato dal ricercatore statunitense, raggiungono una differenza di una deviazione standard proprio 165mila anni fa. Vale a dire che in un contesto del genere il riconoscimento come Homo sapiens potrebbe essere semplicemente un costrutto statistico.
Queste parole scritte con “nonchalance” sul “Portale dell’evoluzione”, stanno a dire che se noi accogliamo il modello darwiniano classico dell’evoluzione graduale non possiamo stabilire con certezza se un determinato fossile sia o no nella linea di discendenza di una certa specie, nel caso in questione di Homo sapiens.
L’affermazione ha una portata enorme: ma allora come facciamo a stabilire quale sia l’albero dell’evoluzione di una specie se la deviazione standard ci impedisce di farlo?
Cosa ne è dunque di tutti quei begli alberelli ricchi di connessioni se possono essere “semplicemente un costrutto statistico”?
Come correttamente riporta l’autore l’unico modo per risolvere la questione sarebbe avere a disposizione un elevato numero di fossili che possano consentire di ricostruire con precisione il percorso dell’evoluzione graduale:
Come uscire da questa impasse? La soluzione ottimale sarebbe riuscire ad incrementare il record fossile africano tra 400mila e 200mila anni fa…
Ma sappiamo che sin dai tempi di Darwin il problema della mancanza di testimonianze fossili complete non è mai stato risolto e, per stessa ammissione dello stesso Darwin, difficilmente possiamo aspettarci di trovare una completa serie di fossili. Ma non è tutto, come affermavano Gould ed Eldredge, i fossili disponibili testimoniano al contrario la stasi, cioè la mancanza di evoluzione graduale.
Forse allora sarà il caso di proporre la situazione secondo una rappresentazione più fedele alla realtà:
In un’interessante analogia con la Fisica, possiamo dunque dire che se sappiamo che un fossile è di Homo sapiens, non possiamo dire che ci sia stata evoluzione graduale, se invece diciamo che si è evoluto in modo graduale non possiamo dire che sia un antenato di Homo sapiens.
E questo ovviamente vale per qualsiasi altro caso di evoluzione che si voglia affrontare.
21 commenti
Molto bello. Un’altra dimostrazione dell’infalsificabilita’ del darwinismo!
Grazie Giorgio, ci tenevo ad avere un tuo parere.
Professore a quale “Homo”fa riferimento l’articolo?
Ominidi?
Secondo lei il primo uomo, che possa definirsi tale, è necessariamente Sapiens?
Ciò però dal punto di vista teologico lascia molta confusione.
Come la pensa Lei o il prof. Masiero?
Il riferimento è ad Homo sapiens, per il resto è impossibile sapere quando si può parlare con certezza di un “Uomo”.
Riterrei importanti però le prime forme di arte rupestre e le prime forme di culto.
Homo religioso appunto.
Prof. la qualifica di tale comparsa con la parola improvviso mi ricorda tanto il Big Bang e l’inizio dell’Universo, tanto temuto dagli atei. Che ne pensa?
Se non sbaglio Einstein disse di chiamare i teologi. Vero?!
Gli eventi “improvvisi”, quindi anche il Big Bang non piacciono molto da certe parti, la teoria proposta da Lemaitre fu fortemente osteggiata dall’astronomo Fred Hoyle.
La frese di Einstein invece non la conosco.
😀
haha..homo reliligiosus si….
Allora,qui trova alcuni commenti importanti sulla ricostruzione dei fossili dei vari “ominidi”.
http://scagliediluna.files.wordpress.com/2011/12/3_erectus_rudolfensis_afarensis.jpg
fantasia pura…
Con homo si intende semplicemente ciò che ognuno dovrebbe comprendere,uomo.
Uomo era l’erectus,l’heidelbergensis,il Floresiensis,il neanderthal,il sapiens etc etc…tutte “popolazioni” umane.
Fra “i marroni” ci sarebbero però degli intrusi,infatti Habilis e Rudolfensis come è stato esposto mostrato e descritto da vari,fra cui R.Fondi,Bromage,J.E. C ronin,da molti ricercatori, questi esseri viventi sono membri della serie Australopithecus. Tutte le loro caratteristiche anatomiche rivelano la loro appartenenza alla specie di tali scimmie.
Il cranio knmer 1470 fu ricostruito erroneamente e così altre considerazioni si rivelarono fallaci tutte dettate dal paradigma che come si vede interviene spesso per adattare la realtà dei fatti a se.
Vedi anche qua:
http://www.enzopennetta.it/wordpress/2012/03/le-scienze-unidea-sbagliata-sulle-origini-delluomo/
in riferimento a qua:
http://www.unita.it/scienza/notizie/che-storia-ingarbugliata-br-quella-dei-nostri-antenati-1.318771
Ad ogni modo volevo sottolineare una cosa molto importante dell’articolo,che molti ignorano,travisano o fingon di non sapere/ricordare:
Tale teoria prevede lunghi periodi di “stasi” interrotti da rapidi (ma si badi bene “graduali”) periodi di evoluzione.
si badi bene….
E noi siamo qui per ripeterlo, finché sempre più persone lo comprenderanno.
Riporto anche quanto detto da Alessandro Giuliani il 9 luglio in “Cacofonie darwiniane”:
“Eldredge and Gould si definiscono darwinisti ma il continuismo è alla base del pensiero darwiniano e lui stesso lo dice espressamente ma chiaramente questo ha poca importanza, anche Planck era ‘Newtoniano’ anche se la sua fisica stravolge le basi della fisica classica, solo che in fisica nessuno ha bisogno di ‘-ismi’ è questa è una gran bella cosa…”
Beh pensare Gould & Eldredge neodarwinisti è qualcosa che certamente può magari far pensare,riguardo ciò mi sento di condividere il pensiero di Alessandro Giuliani.
Dennet se non erro si era chiaramente espresso facendo notare come,a suo dire,Gould &E avessero “forzato” il termine gradualismo e che tale visione di un gradualismo non costante ne lineare era già presente sin da Darwin stesso.
Grazie Professore,grazie Greylines,grazie a tutti voi.Interessantissimo post(requiem darwiniano).
Grazie a te… 🙂
Caro Enzo e cari tutti,
la cosa che lascia stupefatti è la sproporzione in queste discussioni sull’origine dell’uomo, tra i dati fattuali e la mole delle elaborazioni che vi si costruiscono sopra.
In qualsiasi altro campo della scienza una cosa del genere non sarebbe mai ammessa in quanto veramente rende impossibile ogni tipo di controllo (overfitting)..più passa il tempo più mi convinco che il tema delle origini (di qualsiasi origine non solo dell’uomo, anche dell’Universo o più semplicemnte di una singola onda del mare o l’innesco di una reazione chimica) sia decisamente fuori dall’ambito scientifico proprio perchè si tratta di ‘singolarità’ eventi avvenuti una sola volta. Tornando alle onde del mare è vero che ce ne sono tantissime e regolari, è vero che conosciamo tutte le proprietà che ne influenzano ampiezza, fronte e durata, ma se scendiamo al livello del singolo evento e vogliamo prevedere qui e ora, per quel solo singolo evento il momento della comparsa e le sue cause prime siamo nei guai….
Ciao Alessandro,
d’accordo con te, e allora, a maggior ragione, dal tuo punto di vista che ne pensi del fatto che la deviazione standard impedisca di attribuire i fossili, datati oltre una certa distanza temporale, ad una specie piuttosto che ad un’altra?
Il punto è importante perché significherebbe che qualsiasi affermazione sulla ricostruzione di un albero filetico diventa un arbitrio.
La risposta non è per nulla facile, proverò a organizzare un discorso coerente…allora partiamo dalla deviazione standard, essa in quanto tale non ci dice nulla sull’informazione che possiamo ricavare da una variabile. Infatti la devizione standard non è altro che la media delle differenza dal valore centrale delle osservazioni di un certo collettivo. Allora se come variabile prendiamo ad esempio ‘numero di occhi’ e la misuriamo su un collettivo di umani, essa avrà una deviazione standard pari a 0 (hanno tutti due occhi) ma questa variabile avrà proprio per questo un contenuto informativo praticamente nullo PROPRIO PER QUESTO MOTIVO, infatti non potrà essere correlata con niente di niente PROPRIO PERCHE’ E’ INVARIANTE.
Attenzione che su questa banalità (apparente) si gioca gran parte del senso delle scienze e si capisce la posizione di Henri Poincarè quando afferma che le scienze si OCCUPANO SOLO DELLE RELAZIONI FRA LE COSE E NON DELLE COSE IN SE’. Allora se due misure X ed Y variano su un largo spettro (hanno alta deviazione standard), se esistesse una relazione fra di loro , sarebbe molto più evidente che se avessero una bassa variabilità (questo si può dimostrare matematicamente e in statistica prende il nome di range restriction effect ma è una cosa di senso comune: se X=altitudine sul livello del mare ; Y= specie vegetali presenti , se ho un campione di X a bassa deviazione standard (X che va da 0 a 300 metri) avrò molte meno possibilità di osservare correlazioni con Y (un leccio lo troverò sia a 0 che a 300m) che se X variasse da 0 a 2000 (un pino mugo o un larice alle nostre latitudini sulla spiaggia non c’è, a 2000 metri sì).
Ora, tornando a noi il punto è se io posso utilmente correlare queste deviazioni a qualche parametro esterno (età del sedimento, distribuzione geografica, clini di temperatura) oppure se è pura varianza erratica (errori di misura o comunque apparentemtne non correlata con niente), nel primo caso avrei tanta e buona informazione, nel secondo schifezza…
Ora a me sembra che di solito si parli di schifezza quando si trova una mandibola di qua, un pezzo di tibia di là e che le correlazioni vengano fatte tracciando ipotetiche linee piuttosto che avendo a disposizione serie accoppiate di dati…
Se ho ben capito, restando nel paragone, possiamo allora dire che se a 2000 metri trovo un larice non posso però stabilire che la sua presenza sia collegata al fatto che a 0 metri ci sia una spiaggia o una depressione con una prateria?
Posso solo dire come varia la flora in funzione dell’altitudine.
In poche parole, se spostandoci sul parametro X (nel caso dell’evoluzione spostandoci indietro nel tempo), è corretto dire che esiste un’elevata deviazione ma non è possibile stabilire una correlazione precisa tra determinati fossili di 200 mila anni fa e loro discendenti attuali?
Cioè, posso solo dire come variamo i fossili in funzione dell’età degli stessi.
Sì se ho solamente dati sporadici, diverso sarebbe se avessi un ‘cline continuo’ allora potrei dire che c’è una relazione tra un paramentro e il tempo che mi parla di una relazione causale o comunque di un ‘parametro d’ordine’ che lega tempo e forma.
Nel caso del larice e della spiaggia è proprio questo che ci permette di stabilire la successione degli ambienti, in spiaggia la copertura di larici è pari a zero, poi a partire dai 1000 metri se ne comincia a vedere qualcuno poi salendo salendo diventano prevalenti. Allo stesso modo (ma in senso inverso) che ne so le tamerici sono diffusissime a livello del mare (al netto della speculazione edilizia ovviamente 😀 ) poi diminuiscono e già a 200 metri di altezza non ne trovo nessuna…lo stesso vale per qualsiasi ‘legge fisica’ (immagina la variazione della pressione rispetto alla temperatura a volume costante..) in altre parole noi conosciamo perchè riusciamo a ‘rendere ragione’ della variabilità non perchè la eliminiamo.
Benissimo, viene così confermato quello che dice A. Riga nel suo articolo quando auspica una maggiore quantità di fossili del periodo interessato.
Attualmente invece riguardo ai fossili, in particolare dei nostri “progenitori”, siamo nella situazione di “dati sporadici” che tu descrivi, quindi mi sembra che non sia possibile stabilire relazioni certe.
Riguardo l’argomento,volevo dire una cosa…Da quanto si può ottenere dai dati fossili è possibile ricostruire una funzione discreta nel tempo,considerando corretta l’attuale colonna stratigrafica, in cui per ogni specie potrò avere più o meno reperti finchè in una certa “ipotetica era” non ne troverò più,così come non ne trovavo in quella antecedente.
basandosi su certe considerazioni derivanti dallo studio di popolazioni,dagfli sporadici elementi di cui si dispone e da modelli per descrivere la situazione.
Come spiega molto bene Alessandro.
Ora, di alcune specie, estinte anche di recente ,come il dodo ma anche altre, è “possibile” costruire un grafico che ne mostri l’andamento fino al giungere della selezione che l’ha portato all’estinzione.
Questo può essere fatto considerando tutte le “varietà” di una stessa “specie” o ogni singola “varietà” a sè.
Il momento dell’estinzione di una specie in un luogo o in assoluto può venire stimato e poi cambiato in caso sia confutato da nuovi ritrovamenti.
In verità Dennet trova ragione nei confronti di quanto dice su Gould & E. poichè di fatto un gradualismo più o meno regolare lo si trova si e no in alcuni scritti di Dawkins…
Poi è supposto irregolare,con cambiamenti impercettibili,inseriti all’interno del periodo di stasi e cambiamenti significativi che si verificano in quei brevi periodi di veloce mutazione.
Però questo passaggio è un “missing link”.E di fatto manca anche un meccanismo corroborato a spiegarlo.Non solo non è ossibile osservare tutto questo passaggio ma neanche una singola tappa.
Così il passaggio da alcune grandezze discrete ad altre viene ipotizzato ma il livello di indeterminazione è spropositato,tant’è che tale collegamento potrebbe non esservi nemmeno,in tal caso l’errore sarebbe massimo.
E questo articolo facendo un parallelismo col principio di ind.rende chiaramente l’idea.
O risciusciamo a percepire,a comprendere “il moto” , allora ci troviamo sicuramente in un processo microevolutivo nonchè in un momento di stasi,oppure si osservano solo ipotetici momenti iniziali e finali,in cui possiamo vedere che dal punto iniziale al finale,qualora si considerino congiunti,sia avvenuta una macroevoluzione.Ed in questo caso non è possile determinarne il moto..
Vorrei proporre anche questo brutale,semplice ma “utile” schizzetto:
http://i49.tinypic.com/213fyti.jpg
Grazie per aver riportato all’attenzione, e con grande chiarezza, quali siano le implicazioni di questo problema sull’attuale teoria dell’evoluzione.
Si tratta di un problema che secondo me è della massima importanza e quindi sarà il caso di riprendere periodicamente il discorso finché non riceverà la dovuta attenzione.
Cosa che non mancheremo di fare.
Porfessor Pennetta,
innaniztutto la ringrazio per l’interessante luogo di dibattito che ha saputo creare in questo blog.
Mi sembra che il punto maggiormente critico, in assoluto, del darwinsmo, sia proprio quello che lei ha illustrato in questo articolo. E cioè la pretesa di presentare come osservazioni sceintifiche delle pure “ipotesi”. Spesso solo ragionamenti speculativi o tentativi di interpretazione a dir poco arbitrari. In molti casi, addirittura, si pretende di fa passare come normale e logica la compresenza di interpretazioni opposte, contrastanti e in conflitto tra loro (ad esempio il gadualismo lento vs equilibri punteggiati).
Mi sono trovato spesso a definire la sintesi moderna (e il darwinismo) la “Teoria del Tutto”. proprio per cercare di evidenziare la fumosità e al contempo l’incredibile e insostenibile pluralità di interpratazioni e giustificazioni che il paradigma evolutivo darwinano contiene e ingloba.
Non crede che su questo terreno si possa davvero insistere per evidenziare ancora di più il paradosso che ci troviamo di fronte?
Francesco,
come mi piace ricordare quando se ne presenta l’occasione, sono io a ringraziare le persone che con i loro interventi ragionati e con la loro competenza, di qualunque livello essa sia, rendono queste pagine un luogo di vero confronto intellettuale.
Nel caso specifico ho seguito e apprezzato i tuoi interventi che in questi giorni hanno arricchito ulteriormente la discussione.
Condivido totalmente queste tue considerazioni, la strada che indichi è effettivamente quella che si sta percorrendo, ed è una strada che sin qui ha portato più risultati di quanto si potesse immaginare.
Ed è per questo motivo che si andrà avanti con iniziative sempre più articolate e incrementando la visibilità.
Se come altri vorrai essere presente con le tue conoscenze e riflessioni, il tuo contributo sarà gradito.