Il 3 maggio 2017 a Modena convegno sul ruolo centrale della scuola come presidio contro i nuovi dogmi del “mercato”.
Cultura e ragionamento critico contro l’imbarbarimento e il pensiero unico.
La scuola va delineandosi sempre più come il terreno di scontro sul quale si giocherà la partita decisiva su quello che sarà il tipo antropologico del futuro, in questo senso il sistema italiano con la sua formazione culturale, ancora ampiamente di impostazione classica, è rappresentativo di una posizione di resistenza alla visione mercatistica, una situazione che viene però erosa continuamente da riforme e disposizioni che la spingono verso modelli indicati come ‘migliori’ secondo un’ottica comtiana di inevitabile progresso nel cambiamento.
Caratteristica comune di questi modelli proposti è l’adozione della visione di una scuola finalizzata alla formazione di individui uniformati al pensiero politicamente corretto che non solo tramandino una narrazione confermativa del paradigma vigente ma che siano preferibilmente sempre meno in grado di elaborare giudizi critici, eccezion fatta per quelli che confinati all’interno di una serie di possibilità prestabilite e ritenute accettabili. Il cittadino prodotto da questo tipo di scuola sempre più difficilmente dissentirà, e quando lo farà produrrà al massimo una dialettica circoscritta all’interno di uno stesso paradigma che non verrà quindi messo in discussione e ne uscirà comunque rafforzato, per usare una felice espressione ‘dissentirà come si deve dissentire’.
Il paradigma di riferimento per tale omologazione è quello liberal capitalista che viene presentato come inevitabile e senza alternative, un modello opinabile ma elevato a indimostrabile dogma che viene formulato però sotto la specie pseudoscientifica di una ineluttabile legge di natura. Compito della scuola intesa come azione sia dei singoli insegnanti che delle loro associazioni è in tale contesto quello di respingere quest’affermazione dogmatica e indicare alle nuove generazioni l’esistenza di differenti possibilità di scelta. Il dogma mercatistico si afferma previa accettazione dell’idea di una ‘fine della storia’, un’ipotesi conseguente alla caduta delle grandi ideologie novecentesche e presentata come il risultato di una selezione naturale che, avendo eliminato fascismo e comunismo, offre come unica possibilità il liberal capitalismo. Il sistema dichiarato vincitore della competizione per selezione naturale operata dalla storia novecentesca, altro non è che un capitalismo senza regole e senza contrappesi che ha preso gli Stati in ostaggio ponendoli sotto il ricatto dei “mercati” finanziari che minacciano di togliere i propri investimenti al primo sentore di misure che proteggano i lavoratori a discapito dei profitti.
Lo sciopero come diritto ma ancor peggio la sua stessa pensabilità è stato messo fuori causa dalla delocalizzazione delle attività produttive, il capitale svincolato dal territorio, grazie alla mancanza di limiti imposti dagli Stati, di fronte all’eventualità di uno sciopero o di un contenzioso con le categorie sociali minaccia infatti di spostarsi all’estero lasciando i lavoratori senza un interlocutore e peggio ancora senza un lavoro. Unica eccezione in questo senso è la scuola che gode di una posizione distinta in quanto nel suo caso non è possibile trasferire le strutture produttive altrove, essa è per sua natura territoriale e non è possibile spostare la “produzione” o assumere personale non qualificato e sottopagato. Questa posizione privilegiata, unitamente al suo ruolo cardinale nel consentire o meno l’imporsi della narrazione mercatistica e nel formare coscienze libere e critiche, ne fanno il luogo in cui è oggi possibile innescare un processo di resistenza in grado di invertire la trasformazione antropologica in atto.
Docenti, studenti e famiglie hanno in questo momento in mano la possibilità di iniziare a dire i loro no senza rischiare di perdere nulla, se non, ovviamente, “le loro catene”.
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12 commenti
Io purtroppo penso che finché la scuola sarà “statale” le cose non potranno che peggiorare, perché lo stato vorrà sempre ingerirsi nei programmi.
Purtroppo il mio ragionamento è simile: quando la scuola sarà totalmente “privata” le cose non potranno che peggiorare, perché il proprietario privato avrà sempre la tentazione di interferire nei programmi per difendere/promuovere gli affari suoi (un po’ come accade sui giornali con le notizie, dove ad esempio il giornale della FIAT non parla male della FIAT).
Lo stato non dovrà più ingerirsi in niente: né nell’economia, né nella giustizia e né nella cultura. Saranno tre sfere separate, ma comunicanti. Libertà nella cultura, uguaglianza nella giustizia e fraternità nell’economia. E l’essere umano dovrà arrivare al punto di non avere più bisogno della “guida” statale. Certo oggi come oggi è ancora un’utopia, ma non c’è altra via d’uscita da questa situazione disastrosa che abbiamo al momento.
Il sistema perfetto ovviamente non esiste, per questo penso che un’integrazione di gestione statale e privata (che sono entrambi parte della scuola pubblica) sia la soluzione migliore.
Un decente equilibrio non può esistere se una sorgente di istruzione è di fatto monopolista e l’altra è di nicchia.
Si parla tanto di libertà ma solo le famiglie ricche sono libere di scegliere.
Si parla tanto di libertà di insegnamento, ma si vuole un valore legale del titolo di studio e si manifesta contro una prova di Fisica alla ex maturità del Liceo Scientifico, che poi occorre credere sia esame di abilitazione.
Abilitazione a che? A presentarsi ad esami di ammissione alle Università!
Tante belle parole, condanna del bieco mercato, ma poi si difende un monopolio. Tra l’altro con paternalismo. Dateci i figli da educare come ci pare e piace e continuate a credere che lo facciamo gratis, mica con soldi ex vostri. La libertà economica non la avete e non la avrete. Non vogliamo perdere il nostro monopolio. Per il vostro bene, si intende.
Il popolo applaude e ringrazia commosso.
Mi scusi, non ho capito chi è il destinatario di questo commento: i sostenitori della scuola statale, della privata, dell’esame di Stato privo della prova di Fisica o di chi difende il valore legale del titolo di studio? Lo chiedo perché le trovo quattro categorie che si escludono a vicenda e in particolare non coincidenti con quello che credo sia il pensiero di Pennetta.
Mi scusi professore ma quale sarebbe questa “visione mercatistica” da condannare é che ci verrebbe imposta dai governi? Cosa si dovrebbe resistere, la determinazione dei prezzi liberamente nel mercato dal risultato dell´offerta e la domanda? La propietá privata dei mezzi della produzione? il principio di sussidiarietá?
Non è certamente quella indicata la visione mercatistica.
Con questo termine si intende la mercificazione di ogni cosa, la riduzione a forma merce di tutti gli aspetti della vita umana: tutto ha un prezzo e tutto è subordinato al mercato.
Non esiste nulla di intangibile se il mercato lo richiede (o i mercati), non lo è la vita privata, il tempo libero, la cura degli anziani, la compravendita di bambini ecc…
Questa è la visione mercatistica.
L’EU va famosa nel mondo per l’intervento statale di tipo socialdemocratico in tutti i campi, non è certo un esempio di liberismo, se va infatti a ramengo, come molti incoscientemente auspicano, è per gli eccessi di debito pubblico e quindi di intervento massiccio dello Stato nell’economia. Non ci sono più alternative al libero mercato perché chi ci ha provato a statalizzare il tutto, in sostanza il comunismo, (il fascismo non era certo un’alternativa) ha fallito miseramente nell’arco di pochi decenni di sottosviluppo. L’unico statalismo che funzioni è quello cinese che infatti ha abbracciato il liberismo e la concorrenza più sfrenati, ma non penso possa diventare un modello per l’occidente. Bisognerebbe ripassare le lezioni di Luigi Einaudi, perché sono ancora molto attuali e perché sono state alla base del nostro ormai lontano sviluppo che si è bloccato proprio per eccesso di statalismo e assistenzialismo e di cui ora stiamo pagando il conto che però sarà ancora più salato per i nostri “successori” (i nostri figli e nipoti per quei pochi che hanno continuato a farli).
Non mi sembra proprio che con la demolizione dello stato sociale in atto l’Europa possa vantare ancora a lungo uno status socialdemocratico (io lo chiamo bene comune).
Che il debito pubblico sia dovuto all’intervento dello stato non è vero, esso è dovuto alla separazione tra Tesoro e Banca d’Italia, la storia delle spese la raccontano per convincerci a farci espropriare del residuo welfare e per depredarci delle residue industrie di interesse nazionale.
Il Welfare europeo è i 3/4 di quello mondiale (ma l’EU non è i 3/4 del PIL globale). Le spese sono più che “certificate” e attestate (e studiate e controllate) non c’è nessuna storia o controstoria che tenga.
Non è il welfare, che comunque viene falcidiato (parlerai ancora così quando, non sia mai proverai sulla tua pelle i tagli alla sanità?), l’origine del problema.
Non c’è da fare controstorie ma solo non bersi le argomentazioni fatte apposta per farci mandare giù la sottrazione di diritti, quelli veri, e di ricchezza che ci spetta e viene invece divorata dalle oligarchie finanziarie.