Davvero il caso della Biston betularia dimostra la teoria neodarwiniana?
Nonostante i toni trionfali la risposta è ancora un chiaro e secco NO.
Nello scorso mese di Agosto nella rubrica di MicroMega “La mela di Newton”, è stato pubblicato un articolo dal titolo “La falena delle betulle sbaraglia i creazionisti.”, la firma quella di Telmo Pievani.
La questione sulla Biston betularia verte sul fatto che sin dall’800, passando per altri studi novecenteschi, la variazione della popolazione di falene da una predominanza della colorazione chiara alla predominanza di quella scura, nel corso della Rivoluzione industriale, è stato riportato come un caso di evoluzione darwiniana osservata, un caso entrato nella cultura scientifica diffusa, esempio ne è l’intervento di Dario Fo a Che tempo che fa del 2011 e di cui ci siamo occupati qui.
Chi contesta questa posizione sostiene invece che si tratta solamente di un caso di selezione naturale osservata, non di evoluzione: sono state eliminate quasi tutte le farfalle chiare, non è nata una nuova specie. E infatti Biston betularia avevamo all’inizio e Biston betularia abbiamo alla fine, quel che è successo è che il numero degli esemplari scuri è diventato percentualmente maggiore di quello degli esemplari chiari. La variazione casuale di un carattere all’interno di una specie rientra nel caso della microevoluzione, sulla quale siamo tutti d’accordo, quello che si contesta è che questa variazione percentuale del colore delle farfalle possa essere riportata come un caso di macroevoluzione, cioè un caso in cui si ha comparsa di nuove specie e grandi innovazioni evolutive.
Ma come sappiamo da tempo la definizione stessa di “evoluzione” è stata formulata per renderla adatta alla situazione osservata, infatti per evoluzione si intende oggi anche una sola variazine nelle frequenze alleliche, della comparsa di nuovi caratteri non c’è più bisogno. Si tratta evidentemente di un mero esercizio linguistico nel quale l’unica cosa che è è evoluta è la terminologia. Ma qui accade qualcosa di veramente interessante, anche la definizione che Pievani dà di microevoluzione e macroevoluzione è diversa da quella comunemente condivisa:
Così mistificando, dimostrano di non cogliere il carattere statistico e popolazionale della spiegazione evoluzionistica e di confondere il concetto di “evoluzione” (che significa cambiamento, e anche una variazione di frequenze in una popolazione è un cambiamento) con quello di “innovazione evoluzionistica” (la comparsa di un nuovo carattere o di una qualche novità di rilievo non presente prima).
Associata a questa critica inconsistente (sic! Ndr) ve n’è un’altra non meno risibile: quella secondo cui non vi sarebbe prova empirica del passaggio da cambiamenti microevolutivi (molecolari, genetici) a cambiamenti macroevolutivi (riguardanti cioè popolazioni, specie, gruppi di specie), con i primi come causa dei secondi.
Come vediamo viene ritenuta “microevoluzione” il cambiamento genetico e non la variazione di un carattere all’interno di una stessa specie, e viene ritenuta “macroevoluzione” quella riguardante popolazioni, specie, gruppi di specie. In realtà chi critica che la microevoluzione protratta nel tempo possa dar luogo a una macroevoluzione, non critica il passaggio da “cambiamenti microevolutivi (molecolari, genetici) a cambiamenti macroevolutivi (riguardanti cioè popolazioni, specie, gruppi di specie), con i primi come causa dei secondi“, ma il fatto che piccole mutazioni sommate nel tempo portino a grandi innovazioni evolutive (macroevoluzione).
Assistiamo quindi ad un’evoluzione proclamata ma che avviene ancora una volta solo grazie ad un aggiustamento delle definizioni e, contrariamente ai toni trionfalistici dell’articolo di MicroMega, i nuovi studi sulla Biston betularia non confermano affatto la teoria dell’evoluzione di tipo neodarwiniano.
Si continuano a prendere come avversari i creazionisti (con i quali comunque non ci si intende confrontare) e si continuano ad evitare gli argomenti e gli interventi dei critici del darwinismo (categoria in cui rientriamo noi di CS).
Pazienza, tutto evolve tranne il modo di fare dei grandi esponenti del darwinismo.
Nei giorni seguenti all’uscita dell’articolo su MicroMega ne ho parlato telefonicamente con l’amico Marco Respinti che il 10 settembre ha poi pubblicato un articolo al riguardo sulla Bussola quotidiana. L’articolo coglie bene tutti gli aspetti a cui ho fatto riferimento e quindi con il suo permesso lo riporto di seguito.
ep
10-09-2016
La mela di Newton, estensione web dell’Almanacco della scienza di MicroMega, Telmo Pievani, responsabile entusiasticamente darwinista sia del blog sia dell’Almanacco, pubblica l’articolo La falena delle betulle sbaraglia i creazionisti.
Il caso è quello, citato in ogni libro di testo, della falena punteggiata delle betulle, Biston betularia, in inglese peppered moth. Nel distretto industriale della Manchester ottocentesca si sarebbe scurita imitando le betulle imbrunite dalla fuliggine e dalle piogge acide causate dall’inquinamento della Rivoluzione Industriale onde continuare a nascondersi dai predatori. Per Pievani (che per tutto l’articolo si produce in una prosa inutilmente sardonica) è uno dei «[…] tantissimi esempi probanti un’evoluzione darwiniana in atto» e un «[…] archetipo della spiegazione darwiniana» per effetto di un articolo comparso sul numero datato 2 giugno della prestigiosa rivista Nature, a cui vanno certamente aggiunti un secondo articolo e l’editoriale “benedicente” che Pievani non cita. Pievani sunteggia il primo spiegando che un’équipe formata da otto specialisti dell’Istituto di Biologia integrativa dell’Università di Liverpool e uno del Wellcome Trust Sanger Institute di Hinxton, in Inghilterra, «[…] ha scoperto che la mutazione all’origine del melanismo industriale in Inghilterra consiste nell’inserzione di un grosso elemento trasponibile nel primo introne del gene cortex (preposto alla divisione cellulare, ma coinvolto anche nel mimetismo attraverso la sua azione sullo sviluppo delle ali delle falene)», un “gene saltatore” responsabile della novità adattativa. Ovvero: un pezzo del DNA che salta da una parte all’altra del genoma è finito dentro un certo gene influenzandone il comportamento.
Questa però non è affatto «evoluzione darwiniana in atto». Il rimescolamento delle informazioni genetiche esistenti in una specie è infatti cosa completamente diversa dalla comparsa dal nulla d’informazioni genetiche nuove. I due fenomeni sono noti come microevoluzione e macroevoluzione. La prima è la variabilità interna a una specie, la seconda la nascita di una specie completamente nuova per trasformazione sostanziale di una vecchia (speciazione). Li divide l’abisso che corre tra un fatto osservato e un’ipotesi mai provata.
Del resto le falene chiare e scure coesistono: non sono una specie trasformata in un’altra. Quella scura (carbonaria) non è un’altra falena; è la stessa falena chiara (typica) che sviluppa appieno una possibilità prima attuata in modo limitato: è detta “punteggiata” proprio perché il pigmento scuro c’è benché limitato ad aree specifiche (i puntini neri sulle ali). Il fenomeno è ben noto e si chiama polimorfismo. Ne sono responsabili gli alleli, le due o più forme alternative del medesimo gene che si trovano nella stessa posizione su ciascun cromosoma omologo. Controllano lo stesso carattere, ma possono portare a risultati quantitativamente o qualitativamente diversi: la Donax variabilis, un mollusco bivalve, esiste in varie forme diversamente colorate; le pantere nere sono solo giaguari e leopardi melanici. La ricerca della succitata équipe di scienziati ha dunque scoperto il “gene saltatore” che rende scure le falene. Chapeau. Ha scoperto anche la data del suo “salto” nel genotipo di quei lepidotteri, circa il 1819, molto prima (30 generazioni, stante che il ciclo riproduttivo delle falene si ripete ogni anno) dei primi rilevamenti di fenotipi scuri, verso il 1848, cioè prima anche di una presenza massiccia di fabbriche. Chapeau. Dunque la comparsa di una nuova specie per adattamento agli effetti dell’inquinamento non c’è e la mutazione mimetica per sopravvivere nemmeno (le falene non riposano sui tronchi degli alberi, ma sui ramosi frondosi più alti e gli uccelli le predano soprattutto in volo): per quale motivo si dovrebbe allora parlare di evoluzionismo?
Negli uomini accade la stessa cosa. La melanina, che dà la pigmentazione estesa a tutto il corpo degli africani subsahariani, è presente in tutti gli uomini; è quella che, stimolata dalla radiazione solare, è responsabile dell’abbronzatura estiva dei bianchi (l’assenza totale di melanina provoca infatti negli uomini l’albinismo, che ha caratteri paragonabili a quelli di una patologia). I neri sono geneticamente uguali ai bianchi ma la loro cute è più adatta alla vita in un preciso contesto. La pelle nera protegge dai melanomi, che sono mutazioni genetiche (patologiche come tutte le mutazioni genetiche) indotte dai raggi ultravioletti; motivo per cui d’esatte i bianchi si cospargono di protettivi solari.
Ogni presunta prova fornita dai neodarwinisti è insomma sempre e solo la constatazione di un caso di variabilità interna a una specie (microevoluzione), mai di speciazione dal nulla (macroevoluzione). Nessuno infatti mette oggi in dubbio la variabilità e la selezione naturale, nemmeno i più incalliti tra i creazionisti come dicono proprio i più incalliti tra i creazionisti (anche se si può legittimamente contestare la felicità dell’espressione). La selezione è osservabile: praticata dall’allevatore, dall’agricoltore o da un “attore” ecologico diverso. Ma è una scelta limitata entro un ambito dato, non la produzione dal niente di geni nuovi. Lo scrive l’équipe scientifica nell’articolo citato da Pievani: «le nostre scoperte colmano una sostanziale vuoto di conoscenza riguardo l’esempio-simbolo del cambiamento microevolutivo, aggiungendo un ulteriore livello di comprensione del meccanismo di adattamento in risposta alla selezione naturale». Nell’introduzione all’edizione del 1972 de L’origine delle specie di Darwin, lo zoologo evoluzionista inglese Leonard Harrison Matthews (1901-1986) ha scritto che gli esperimenti sulle falene «dimostrano meravigliosamente la selezione naturale […] in atto, ma non mostrano l’evoluzione in divenire; perché, per quanto le popolazioni possano variare nel numero di esemplari chiari, intermedi o scuri, tutte le falene rimangono, dall’inizio alla fine, Biston betularia». Niente evoluzionismo, il caso è archiviato da tempo; quella pubblicata da Nature è una bella storia che parla di altro.
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81 commenti
Questo di Pievani è un tipico caso di “cattiva divulgazione” scientifica, di cui si parlava nell’articolo di Vomiero. E viene da un docente che occupa una cattedra universitaria… Come si propagherà la disinformazione giù giù per li rami dai suoi studenti futuri insegnanti ai discenti futuri?
PS. Com’è lontana la tronfia sicumera usata verso chi la pensa diversamente, dal tono dubbioso che sempre si dovrebbe accompagnare da parte di un ricercatore della verità.
Eh sì, prof, se ora anche la variazione % di popolazione diventa una forma di evoluzione biologica, anche l’eccidio degli armeni e la Shoah sono casi di evoluzione! E anche la denatalità dell’Occidente…
“…se ora anche la variazione % di popolazione diventa una forma di evoluzione biologica, anche l’eccidio degli armeni e la Shoah sono casi di evoluzione! E anche la denatalità dell’Occidente…”
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Davvero acuta questa osservazione Anna, un esempio che dimostra in un attimo tutta l’assurdità della definizione attuale di evoluzione.
@Masiero
Il tono sarcastico dell’articolo può piacere o meno (io non lo amo molto in questo ambito) ma è uno degli elementi che caratterizzano quel blog, che vuole essere provocatorio. Capisco benissimo che lei possa esserne infastidito, però la sua osservazione mi stupisce, poiché raramente ho visto qui su CS quel “tono dubbioso che sempre si dovrebbe accompagnare da parte di un ricercatore della verità”. Anzi, ho spesso letto granitiche affermazioni e visto dispensare certezze su ciò che è irrimediabilmente sbagliato nel darwinismo, senza mai concedersi l’ombra di un dubbio né tantomeno ammettere errori.
Non mi riferisco a lei, che anzi è forse l’eccezione che conferma la regola, però devo dire che non l’ho mai vista criticare certi atteggiamenti con la stessa indignazione con cui critica il sarcasmo di Pievani.
Ho criticato, Greylines, due aspetti di Pievani: la sicurezza epistemologica e il tono. Sul tono non ci sono suoi simili qui in CS e quando fanno capolino vengono accompagnati alla porta. Sulla sicurezza epistemologica nemmeno, a cominciare da Pennetta che mi ha insegnato che sull’evoluzione (macro) non sappiamo niente.
Ricordo bene i tempi in cui le incursioni e le aggressioni di Leonetto venivano allegramente tollerate, e in confronto ai suoi toni il sarcasmo di Pievani mi pare ben poca cosa.
Pennetta afferma che sull’evoluzione (macro) non sappiamo niente basandosi su definizioni vaghe e imprecise, e sostiene questa sua posizione senza mai l’ombra di un dubbio, senza mai ammetter di non sapere qualcosa o di aver commesso qualche (cosa che io e lei, per dire, invece facciamo). Mi dica lei se questa non è un’esagerata sicurezza epistemologica.
Leonetto sarà contento di essere paragonato al ruolo e alla figura di Pievani.
Che strano Pennetta, ha di nuovo frainteso una mia affermazione.
Leonetto era libero di dare dell’ignorante a chiunque e di usare toni aggressivi, dichiarando con incrollabile certezza che le cose erano come le spiegava lui, e chi diceva altrimenti sbagliava o non capiva nulla. Però se Pievani usa il sarcasmo… ahi ahi, cattivo Pievani, non si fa.
Due pesi e due misure.
Mi scuso ma non ho capito bene questo passaggio:
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“…chi critica che la microevoluzione protratta nel tempo possa dar luogo a una macroevoluzione, non critica il passaggio da “cambiamenti microevolutivi (molecolari, genetici) a cambiamenti macroevolutivi (riguardanti cioè popolazioni, specie, gruppi di specie), con i primi come causa dei secondi“, ma il fatto che piccole mutazioni sommate nel tempo portino a grandi innovazioni evolutive (macroevoluzione).”
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Cioè Pievani con macroevoluzione intende un grande cambiamento numerico dei soggetti coinvolti mentre qui su CS con macroevoluzione si intende una importante innovazione genetica?
Sì, Alèudin, detto in altri termini: Pievani usa i prefissi “micro-” e “macro-” in termini “fisici” (di scala) mentre su CS li intendiamo in termini “tassonomici” (entro una specie VS fuori di essa verso un’altra specie o meglio ancora verso ordini gerarchici superiori).
con la definizione usata da Pievani il ritrovamento di un solo reperto o di pochi reperti non potrebbe dimostrare l’evoluzione (pensiamo a Lucy o al Denisova), questo mi sembra un vero “autogol”.
“La falena delle betulle sbaraglia i creazionisti con una risposta al alcuni(demenziali)commenti”.Gentili.
Marco Respinti e il Mondo Cattolico?
Pensavo che oramai i cattolici si occupassero solo di associazioni caritatevoli e di collocare profughi più o meno “legali”all’interno dell’europa e avessero ammainato la bandiera della Scienza a totale favore di un certo mondo “laico”.
E penserei(come sempre non sono solo) ancora di più all’esigenza di una Autorità per la Scienza e la Cultura in questo paese,che ci ha donato G.Galilei.
I commenti a cui faceva riferimento il titolo sono quelli a seguire l’articolo su MicroMega, commenti che leggendoli troviamo troppo spesso in OT in quanto vanno sulla religione, va detto però che è proprio il titolo di Pievani a provocare questo spostamento rivolgendosi ai creazionisti, se avesse detto che sbaraglia i contestatori sarebbe stato più corretto.
Ciò premesso trovo molto spiacevole che un commento possa essere etichettato come “demenziale” ricorrendo addirittura a modificare il titolo del pezzo per mostrare tutta la propria (ingiustificata) irritazione.
Gli evoluzionisti si ostinano a sostenere che l’evoluzione è un dato di fatto.
Volevo segnalare questo link con il quale i miei amici evoluzionisti provano sempre a catechizzarmi:
https://elogiodelleanomalie.wordpress.com/2016/04/09/levoluzione-biologica-per-selezione-natura-e-un-dato-di-fatto/
Argomento facilmente smontabile.
La speciazione è definita correttamente nell’articolo come “un’incompatibilità riproduttiva intergenerazionale che, nel tempo, permette la netta e completa separazione non solo di specie, ma anche di genere e così via.”
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Sono quindi specie diverse anche il cavallo e l’asino in quanto il prodotto del loro incrocio è sterile, oppure il chihuahua e l’alano perché è impossibile l’accoppiamento, non si può però parlare di comparsa di nuovi caratteri, e infatti i primi due sono equini con gli stessi caratteri espressi in una varietà di misure e proporzioni e così vale per i secondi che hanno le stesse parti ma in dimensioni e proporzioni differenti.
Dire quindi che si sono registrati dei casi di speciazione non equivale a dire che si sono verificati dei casi di evoluzione, sempre di equini e cani si tratta nei rispettivi casi e così via per quelli segnalati.
Se poi si usa la definizione di comodo di cui si è parlato sopra allora si tratta anche di casi di evoluzione, ma siamo al nominalismo più assoluto.
Una curiosità: da come ne parla qui si direbbe che per lei non esistono prove che sia mai avvenuta una qualche evoluzione. Come fa quindi a definirsi evoluzionista?
Ma le prove non erano nei fossili?
Ritengo l’evoluzione la spiegazione migliore per il fenomeno della diacronicità dei fossili.
Pennetta: attenzione, confonde incompatibilità riproduttiva meccanica (per selezione artificiale) con incompatibilità riproduttiva genetica. E vorrei anche informarla che asino e cavallo sono specie diverse a tutti gli effetti. Gli animali selezionati dall’uomo sono tali proprio per giungere a determinate caratteristiche (di lavoro) che in natura non sono verificabili, perché non selettive. Prendere come esempio di speciazione animali selezionati dall’uomo non è solo molto ingenuo, ma anche insensato. La speciazione è un motore agente dimostrato dalle decine di link di piattaforme scientifiche riportate in quel mio articolo. Che invito, nel caso, a smontare una ad una informando le università a cui competono (nel caso Princeton e Cambridge). Se io dovessi scoprire che un professore di una scuola superiore cattolica ha smontato l’evoluzionismo delle università americane (e dei loro docenti e del 35 anni del loro lavoro accademico) sarò felicissimo di aderire alla chiesa cattolica. Fino ad allora ciò che non è confutato, è legge. Anzi, glielo dico, aspetto quei comunicati alle citate università. Grazie.
PS;
Asino: Equus asinus
Cavallo: Equus ferus caballus
università americane e britanniche*
Per constatare la banalità e le reali motivazioni cattofobiche di quanto scritto da GS consiglio un giro sul suo blog.
GS, lei ha l’incredibile merito di avermi fatto concordare con Telmo Pievani su almeno un punto: certi interventi sono demenziali.
Per cui mi scuso se non entro nel merito e anziché operare una cristiana misericordia relegando all’oblio quanto da lei scritto, la lascio al pubblico ludibrio pubblicando il suo intervento.
Immagino, non avendo possibilità di replicare, si limita ad accusare di cattofobia. La tipica corsa ai ripari. Più che chiaro.
Ps, la prossima volta che parla di asini e cavalli (o di tassonomia animale) si faccia un giro su wikipedia, almeno evita le figure di conseguenza.
Ho risposto qui sotto, non è che non ho argomenti per replicare, è che non ho tempo da perdere con simili interventi, il che è tutt’altra cosa.
Fantastico, io dico che asino e cavallo sono specie diverse e GS arriva pieno di prosopopea a dirmi che… asino e cavallo sono specie diverse.
Poi fa una differenza tra speciazione in natura e artificiale mandando a pallino tutto il lavoro fatto da Darwin sui piccioni.
Infine infila la religione dove non c’entra niente.
Non ho tempo da perdere, davvero…
Mi perdoni professor Pennetta. Come lei ben sa da tempo pubblico i suoi articoli sul portale di Yahoo nella speranza che gli utenti di answers partecipino al suo blog senza però ottenere risultati. Qualcuno insinua che lei non pubblichi i loro interventi (mah!) e che lei abbia rifiutato confronti accademici con gli evoluzionisti (doppio mah!).
Qualcuno finalmente ha provato a risponderle indirettamente qui:
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https://it.answers.yahoo.com/question/index?qid=20160916035048AA4fs4z
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Cito la parte che le interessa:
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”Pennetta: attenzione, confonde incompatibilità riproduttiva meccanica (per selezione artificiale) con incompatibilità riproduttiva genetica. E vorrei anche informarla che asino e cavallo sono specie diverse a tutti gli effetti. Gli animali selezionati dall’uomo sono tali proprio per giungere a determinate caratteristiche (di lavoro) che in natura non sono verificabili, perché non selettive. Prendere come esempio di speciazione animali selezionati dall’uomo non è solo molto ingenuo, ma anche insensato. La speciazione è un motore agente dimostrato dalle decine di link di piattaforme scientifiche riportate in quel mio articolo. Che invito, nel caso, a smontare una ad una informando le università a cui competono (nel caso Princeton e Cambridge).”
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Adesso mi domando: al di la del fatto che gli utenti answeriani provano sempre a buttarla in caciara gettando fumo negli occhi spostando l’attenzione dalla vera domanda … ma perchè mentire e non avere il coraggio di confrontarsi con lei?
La domanda su yahoo answers è stata cancellata 🙁
… chissà come mai …
Guarda che tu non sai neanche leggere. Nel commento a quella domanda io ho scritto che avevo riportato la risposta nell’articolo di Pennetta e che NON era stata ancora pubblicata (fino a sera tarda) e che per quel motivo l’ho riportata anche nella domanda su yahoo answer per renderla pubblica anche agli utenti che non frequentano questo sito.
Impara a leggere con calma.
Quindi la prossima volta prima di accusare e fare le figure da cattolico, leggi con calma, aspetta e poi commenta. Che miseria…
E ora, che ho smontato la vostra dottrina, posso tornarmene su yahoo answer.
Grazie Jonioblu per l’opera che svolgi.
Riguardo al fatto che io non pubblichi i commenti si tratta di un’affermazione ridicola, basta leggere qui sopra, poi legittimamente banno troll e chi fa attacchi ad personam, come fanno tutti.
Riguardo al confronto è esattamente vero il contrario, sono i rappresentanti del darwinismo che rifiutano il confronto non io.
Problemi loro.
bene,allora sono tra quelli che ti aspettano in campo neutro,e per me va benone anche una pagina di yahoo answers. vediamo un po’ cosa succede alle tue idee fuori da questo blog.
@Armino: e chi sei?
@Armino, sei un troll.
Scusami se ne faccio a meno di andare su Yahoo answers, accetto solo confronti dal vivo con esponenti riconosciuti del darwinismo e tu non lo sei.
… mi scusi professor Pennetta se l’ho trascinata in questa polemica con gli ateotroll. Purtroppo answers è un portale alla deriva privo di moderatori dove i multiaccounter hanno monopolizzato tutte le conversazioni autovovandosi e autopremiandosi.
Ho invitato gli utenti answeriani in questo blog pregandoli di mostrare un atteggiamento civile al fine di trovare un confronto e non uno scontro.
A questo punto volevo chiederle una cortesia quando ha del tempo: se poteva dedicare un suo articolo sul primo link che ho postato … quello che afferma che l’evoluzione è un dato di fatto. Giusto per sottolineare gli aspetti più demenziali del quale l’autore si fregia … così come aveva fatto con “piccoli youtuber crescono”.
Grazie ancora e spero che questa infelice polemica non le abbia fatto perdere del tempo prezioso …
Ciao Jonioblu, nessun problema, anzi grazie ancora.
Che l’evoluzione sia un “fatto” lo condividiamo, nel senso che per evoluzione si intende ma successione nel tempo di gruppi tassonomici diversi.
Che la teoria neo-darwiniana spieghi quel fatto invece è il punto che contestiamo.
Riguardo la presunta prova dell’esperimento di Lenski se cerchi sul sito troverai degli articoli molto dettagliati.
C’è un elenco completo utile a quei cattolici(e a tutti i credenti)che ancora non preferiscono la più “rilassante” e premiante(politicamente) attività sociale del “accogliere a braccia aperte l’ospite”.
Chiedo una spiegazione esauriente sul senso che viene attribuito ad oggi da CS e critici del darwinismo in genere al fenomeno microevolutivo, lo chiedo per me stesso perchè pur condividendo parte della linea critica i conti non mi tornano su questo argomento. Mi viene in mente il test di Ames per valutare la carcinogenicità dei metaboliti dei farmaci ma esistono sicuramente esempi più semplici; se prima Salmonella non era in grado di crescere in un terreno se non addizionato con istidina e poi anche in uno senza, vuol che c’è stato un gain of function. Naturalmente possono generarsi anche cloni neutri o con loss of function e qui interviene la selezione naturale che stabilizza le frequenze garantendo un vantaggio ai gain in questo caso. Cioè quella che ho espresso credo sia il nucleo della interpretazione darwinista adesso se voi accettate questa interpretazione in micro non vedo la difficoltà almeno logica, poichè lo capisco che nessuno ha mai visto crescere un organo nuovo con nuove funzioni, a passare in macro. Mi direte ad esempio che a tempi e dinamiche (paleontologiche) non ci stiamo, ed è vero, ma allora non ha senso parlare di microevoluzione. Cioè come la vedete come instabilità chimica? Non riesco a capire come descrivete il fenomeno. Grazie.
Se la popolazione di salmonella non avesse incluso già dall’inizio degli esemplari in grado di crescere senza istidina la popolazione sarebbe morta per intero e chiaramente senza sopravvissuti più che di selezione si parla di annientamento.
Se invece ci sono dei sopravvissuti resistenti la loro popolazione crescerà con le generazioni fino diventare predominante, ma allora non c’è stata la nascita di una nuova specie/varietà.
Questa variabilità genetica può essere causata da meccanismi neodarwiniani solo per piccoli cambiamenti (microevoluzione), su grandi cambiamenti si tratta di un fenomeno matematicamente estremamente improbabile e praticamente mai osservato neanche in laboratorio su popolazioni di batteri.
Come per i sopravvissuti di peste o di colera, ecc. Che Renzo si è evoluto da don Rodrigo?
O meglio che la popolazione dopo la pestilenza era un’evoluzione di quella precedente.
“I promessi sposi, ovvero la Milano 2.0 del Seicento…” 😀
… io non prenderei sotto gamba questo scenario. Se dovesse arrivare una crisi energetica\economica in Italia chi sopravviverebbe? Sicuramente i nomadi e gli extracomunitari in quanto più adatti ad uno scenario apocalittico. In questo caso ha senso parlare di micro evoluzione … più sociale che genetica. Anche se i rom li vedo più resistenti alle malattie pensando a quanti anticorpi hanno collezionato nei secoli grazie al loro spartono stile di vita.
Mi dispiace solo per gli evoluzionisti xenofobi che magari si ritengono una specie migliore ed evoluta.
I nomadi e gli exstracomunitari verissimo si salveranno assieme soltanto a qualche operaio dimenticato da tutti(e sfruttato da tutti)all’interno di qualche fabbrica abbandonata da Dio e dalla provvidenza.Questa si che dovrebbe essere la selezione naturale!
No è un attimo diverso da come ha detto prof. se vogliamo riferirci al test funziona così io l’ho descritto un pò male:
(da Wikipedia)
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Il test viene effettuato piastrando i batteri su un terreno solido di agar contenente una minima quantità di istidina, e ponendo al centro della piastra un disco contenente la sostanza in esame, che può in questo modo diffondersi nel terreno di coltura. La presenza delle tracce di amminoacido nel terreno permette di individuare mutazioni che richiedano più cicli di duplicazione cellulare per manifestarsi fenotipicamente, come nel caso di mutazioni puntiformi su una singola elica di DNA. La frequenza delle mutazioni ottenute viene valutata in base alla distanza dal disco dopo 48 ore di crescita, in rapporto ad una piastra di controllo in cui i batteri sono stati fatti crescere sullo stesso terreno, ma in assenza del sospetto mutageno; il raffronto delle due piastre consente di eliminare dal risultato del test l’effetto dovuto alla presenza di revertanti spontanei. Il test per una sostanza viene sempre condotto in parallelo su differenti ceppi di Salmonella, in cui l’auxotrofia è dovuta a differenti tipi di mutazioni (mutazioni puntiformi di diverso tipo, o mutazioni di frameshift come inserzioni o delezioni) per individuare il tipo di effetto causato al DNA
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La sua risposta l’ho capita mi ha descritto come agisce la selezione stabilizzando una frequenza che si adatta meglio all’ambiente ma già esiste.
Ma il mio interrogativo era un altro io vorrei capire come guardare alla microevoluzione. Se voi guardate come un darwinista guarda allora è facile accusarvi, perchè logicamente si possono far ricadere (ripeto SOLTANTO sul piano logico mancano PER ENTRAMBI le osservazioni quindi una dimensione spaziotemporale che è poi il fattore realmente limitante) sotto questo meccanismo non solo le piccole mutazioni osservate ma anche tutto il mondo non osservabile incluso quello non ancora accaduto. Ma allora l’errore è logico prima ancora che sperimentalmente inverificabile. Perciò chiedevo come vedete descrivete interpretate quella che viene detta microevoluzione, perchè mi pare che già a questo livello non possiate essere d’accordo con una logica che è darwinista nell’essenziale, anche se si tratta di una mutazione in una parete cellulare batterica che rende ad esempio immuni alle pennicilline, perchè a una escherichia un braccio non crescerà mai, questa deve essere spiegata in altro modo, perchè se si accetta nel poco è ovvio che poi vi tocca accettare nel molto. Il problema è ancora squisitamente descrittivo più che interpretativo.
Se la mutazione alle nuove condizioni ambientali compare in poche generazioni non si può parlare di un meccanismo per caso e necessità ma di un meccanismo quasi di adattamento programmato, le vere mutazioni casuali sono come quella studiata su E. coli da Lenski richiedono decine di migliaia di generazioni e decenni per manifestarsi.
Ma ciononostante una micro mutazione che porti ad una piccola variazione può realmente accadere, ma come nel caso dell’esperimento di Lenski l’E. coli resta tale e non evolve in una specie diversa con grandi cambiamenti.
Non compaiono organi cellulari o una membrana nucleare o non avviene la scomparsa della parete cellulare (l’esempio del braccio è divertente ma ci porta fuori strada).
Siamo quindi perfettamente in sintonia con il darwinismo sulle micro mutazioni, non troviamo invece accettabile che la loro somma conduca in tempi compatibili con l’età dell’universo alla comparsa di nuovi caratteri e alla grande varietà dei viventi che possiamo osservare dopo solo 4 MLD di anni di storia della Terra.
“Se la mutazione alle nuove condizioni ambientali compare in poche generazioni non si può parlare di un meccanismo per caso e necessità ma di un meccanismo quasi di adattamento programmato”
Mi può gentilmente fornire delle prove scientifiche di questo adattamento programmato?
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“le vere mutazioni casuali sono come quella studiata su E. coli da Lenski richiedono decine di migliaia di generazioni e decenni per manifestarsi”
Perchè solo queste sarebbero vere mutazioni casuali?
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“una micro mutazione che porti ad una piccola variazione può realmente accadere”
Cosa intende per micromutazione?
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“Non compaiono organi cellulari o una membrana nucleare o non avviene la scomparsa della parete cellulare”
Forse perché ci vuole un po’ più di tempo per un cambiamento del genere?
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“Siamo quindi perfettamente in sintonia con il darwinismo sulle micro mutazioni, non troviamo invece accettabile che la loro somma conduca in tempi compatibili con l’età dell’universo alla comparsa di nuovi caratteri e alla grande varietà dei viventi che possiamo osservare dopo solo 4 MLD di anni di storia della Terra.”
E qui salta di nuovo fuori la questione del “non c’è stato abbastanza tempo”, basata su non si sa quali calcoli e su non si capisce bene quale modello.
Scusi prof ma allora la visione che propone ad oggi è l’esistenza di sistemi informativi discreti organizzati in specie etc… che dispongono di una limitata capacità di generare variabilità (micromutazione) in risposta all’ambiente (adattamento) con un meccanismo casuale. E’ corretto?
Se sì scusi ma non vedo perchè non seguire il filo di arianna fino infondo; perchè non cercare un modo che tenga ferma questa logica e cerchi di starci con tempi e modalità a livello macro.
Che senso ha accettare il darwinismo in micro e rifiutarlo in macro?
Secondo me ha più senso descrivere in maniera totalmente nuova il fenomeno.
Non c’è alternativa all’evoluzione, anche macro, AndreaX, se aspiriamo a capire l’origine di 10 milioni di specie. Ma, dobbiamo trovare “una descrizione totalmente nuova”, come Lei dice, di come è avvenuta l’evoluzione, cioè con meccanismi diversi dai due darwiniani (contingenza e selezione naturale) perché questi da soli richiedono l’avverarsi di “dozzine di migliaia di miracoli”, come ha spiegato Schützenberger.
@Greylines
“Se la mutazione alle nuove condizioni ambientali compare in poche generazioni non si può parlare di un meccanismo per caso e necessità ma di un meccanismo quasi di adattamento programmato”
Mi può gentilmente fornire delle prove scientifiche di questo adattamento programmato?
E’ una deduzione logica, semmai si dovrebbero chiedere prove che una tale velocità sia un improbabile frutto del caso. Ma come sappiamo è impossibile provare il caso.
—
“le vere mutazioni casuali sono come quella studiata su E. coli da Lenski richiedono decine di migliaia di generazioni e decenni per manifestarsi”
Perchè solo queste sarebbero vere mutazioni casuali?
Vedi sopra, perché proprio in quanto casuali devono rispettare le caratteristiche del calcolo delle probabilità e cioè tempi molto lunghi, soprattutto quando nelle cellule esistono meccanismo di correzione degli errori.
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“una micro mutazione che porti ad una piccola variazione può realmente accadere”
Cosa intende per micromutazione?
Una sostituzione di base, una delezione, un’inversione di piccoli tratti.
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“Non compaiono organi cellulari o una membrana nucleare o non avviene la scomparsa della parete cellulare”
Forse perché ci vuole un po’ più di tempo per un cambiamento del genere?
Le decine di migliaia di generazioni di Lenski non sono bastate, fatte le dovute proporzioni, di quanto tempo avrebbe bisogno l’evoluzione di organismi più complessi?
—
“Siamo quindi perfettamente in sintonia con il darwinismo sulle micro mutazioni, non troviamo invece accettabile che la loro somma conduca in tempi compatibili con l’età dell’universo alla comparsa di nuovi caratteri e alla grande varietà dei viventi che possiamo osservare dopo solo 4 MLD di anni di storia della Terra.”
E qui salta di nuovo fuori la questione del “non c’è stato abbastanza tempo”, basata su non si sa quali calcoli e su non si capisce bene quale modello.
Bè, veramente qualcuno che di calcoli se ne intendeva l’abbiamo appena visto:
http://www.enzopennetta.it/2016/09/la-dottrina-dei-miracoli/
@Masiero:
prof masiero ma io non rifiuto l’evoluzione come fatto però non capisco come vedete alla microevoluzione cioè lei come me la descriverebbe ad esempio?
@Masiero
“come è avvenuta l’evoluzione, cioè con meccanismi diversi dai due darwiniani (contingenza e selezione naturale) perché questi da soli richiedono l’avverarsi di “dozzine di migliaia di miracoli”, come ha spiegato Schützenberger.”
Come ha spiegato Schützenberger, ignorando che non esistono quei due soli meccanismi. Cosa che già Darwin aveva detto. Che poi, non erano caso e selezione? Perché caso e contingenza non sono proprio la stessa cosa.
—
@Pennetta
“E’ una deduzione logica, semmai si dovrebbero chiedere prove che una tale velocità sia un improbabile frutto del caso. Ma come sappiamo è impossibile provare il caso.”
Non è una deduzione logica ma un’affermazione priva di fondamento, inspirata dal fatto che lei vorrebbe a tutti i costi vedere un qualche tipo di “programma” all’opera.
Lei sta dando una sua personale (e non corretta) interpretazione del concetto di mutazione casuale e in base a questa nega ogni altra evidenza. Una mutazione può benissimo dare origine a un adattamento nel giro di poche generazioni ed essere comunque casuale.
—
“perché proprio in quanto casuali devono rispettare le caratteristiche del calcolo delle probabilità e cioè tempi molto lunghi, soprattutto quando nelle cellule esistono meccanismo di correzione degli errori.”
Vede qual è il punto? Lei dice che una mutazione può essere definita casuale solo su tempi lunghi (cosa non vera), per poi dire che non c’è stato abbastanza tempo perché l’accumulo di queste mutazioni casuali possa aver portato alla speciazione. Lei sta dando una definizione (sbagliata) di mutazione casuale che supporta (guarda caso) la sua posizione. E poi accusa gli scienziati di fare confusione sui termini.
Facile fare scienza così.
—
“Bè, veramente qualcuno che di calcoli se ne intendeva l’abbiamo appena visto:
http://www.enzopennetta.it/2016/09/la-dottrina-dei-miracoli/”
Qualcuno che non ha molto chiari diversi aspetti della teoria che cerca di smontare. E che comunque non mi risulta abbia fatto (e pubblicato) degli studi approfonditi sull’argomento.
@Greylines
affermi:
“Lei dice che una mutazione può essere definita casuale solo su tempi lunghi (cosa non vera),”
Quando mai ho detto questo?
Ho invece affermato che l’EVOLUZIONE secondo caso e necessità, quindi un numero elevato di mutazioni casuali, non può che avvenire su tempi lunghi.
Il che è implicito nel calcolo delle probabilità e non è una mia opinione.
Il resto del commento cade insieme a questo punto.
@Pennetta
Lei ha scritto, parlando delle mutazioni, “proprio in quanto casuali devono rispettare le caratteristiche del calcolo delle probabilità e cioè tempi molto lunghi, soprattutto quando nelle cellule esistono meccanismo di correzione degli errori”.
Non stava parlando del meccanismo di caso e necessità. O, se lo stava facendo, si è spiegato male. Niente di male eh, giusto per capirsi.
@Greylines,
parlare di una singola mutazione e dei relativi tempi necessari (cioè anche un secondo), o di mutazioni al plurale, necessarie per avere una macro evoluzione, non è la stessa cosa.
Apprendo dal testo di Marco Respinti che la macroevoluzione sarebbe “speciazione dal nulla”. Apprendo anche che “il rimescolamento delle informazioni genetiche esistenti in una specie è infatti cosa completamente diversa dalla comparsa dal nulla d’informazioni genetiche nuove”.
Da questa e da tante altre espressioni mi par di capire che per lui, e quindi immagino anche per CS, si può parlare di nuovi tratti e nuove specie solo quando emergono da un non meglio definito nulla. Se no è sempre e soltanto microevoluzione (o rimescolamento).
È così?
Perché se è così, chiaramente abbiamo un problema.
Evidentemente la locuzione “dal nulla” rivela un’origine filosofica, ma si intende un carattere che non è un piccolo cambiamento di uno preesistente ma proprio un’importante e reale novità, e con questo veniamo alla definizione di macro evoluzione che ho dato io “un caso in cui si ha comparsa di nuove specie e grandi innovazioni evolutive”.
Certamente la modifica di qualcosa di già esistente, un rimescolamento se vogliamo, non possiamo chiamarlo macro evoluzione, e non solo noi di CS.
Qualsiasi elemento nuovo deve per forza originarsi da un qualcosa di preesistente. Le informazioni genetiche non compaiono dal nulla. Questi sono concetti basilari che un biologo dovrebbe conoscere.
Definizioni come “un’importante e reale novità” o “grandi innovazioni evolutive” sono di una vaghezza disarmante, specie da parte di una persona sempre attenta a bacchettare le presunte imprecisioni altrui.
E di nuovo, lei sta dando delle definizioni che servono solo a sostenere le sue tesi.
Finché pretenderà di vedere una novità spuntare dal nulla, potrà sempre dire “vedete, non succede, quindi il darwinismo è falso”.
Finché pretenderà di vedere ricostruita in laboratorio l’evoluzione da anfibi a rettili, potrà sempre dire “vedete, non ne sono capaci, quindi i darwinisti sbagliano”.
“Definizioni come “un’importante e reale novità” o “grandi innovazioni evolutive” sono di una vaghezza disarmante, specie da parte di una persona sempre attenta a bacchettare le presunte imprecisioni altrui.
E di nuovo, lei sta dando delle definizioni che servono solo a sostenere le sue tesi.
“
Dal manuale Pearson per i Licei nuovissima edizione:
“Tutti i cambiamenti su vasta scala che coinvolgono la nascita di nuove specie e la comparsa di grandi innovazioni evolutive sono complessivamente indicati come macroevoluzione”
.
Caro Greylines, la sua obiezione diventa un boomerang mortale.
Boomerang mortale? E perché mai? Citare un manuale per licei (che peraltro lei critica da anni) non cambia la questione. Trovo anche la definizione del Pearson molto vaga, anche se dovrei comunque leggere il testo per vedere se poi viene approfondita.
Ma qui non si sta discutendo della definizione data da un manuale, che comunque non rappresenta tutti i manuali e tutti i testi scientifici.
Si sta discutendo della definizione che LEI dà. E da uno che da anni spara a zero sul darwinismo mi aspetto una definizione più accurata, magari derivante dallo studio di diversi testi specifici sull’argomento.
Non sono d’accordo.
Perché non ammette che le vostre argomentazioni contro i nostri argomenti sono molto spesso di tipo retorico?
Avevo volutamente omesso di dire che la definizione da me usata di macro evoluzione proveniva da un manuale di scuola superiore impiegato largamente in numerosi paesi occidentali. Il fatto che lei abbia criticato come di una “vaghezza disarmante” quella definizione dimostra una volta per tutte che il darwinismo è una dottrina non coerente in sé e contraddittoria che viene affermata non su basi scientifiche ma su artifici linguistici da impiegare in base alla convenienza del momento.
Trovo poi davvero una difesa sconcertante affermare “Si sta discutendo della definizione che LEI dà”, dopo che le ho appena dimostrato che si tratta NON DI UNA MIA DEFINIZIONE ma di quella largamente condivisa in USA – GB e il resto delle scuole superiori occidentali, lei ancora prova a personalizzare contro di me?
Pennetta, si stava effettivamente discutendo della definizione che LEI e Respinti date della macroevoluzione, visto che su questa definizione avete costruito le vostre accuse. O mi sta dicendo che lei critica una teoria sulla base di una definizione data da un singolo manuale scientifico? Un singolo manuale può anche essere impreciso — cosa comunque da verificare, perché non ho letto il manuale della Pearson e non so come venga effettivamente spiegata la macroevoluzione. Una definizione non basta a valutare.
Per criticare una teoria bisogna aver studiato molto di più di un manuale per licei, bisogna aver studiato paper scientifici, testi universitari e testi specialistici. Lei lo ha fatto? Prendere una singola definizione, estrapolarla dal contesto e su quella costruire una serie di accuse significa fare cherry picking. Che è un trucco retorico per cercare di avere ragione.
La cosa divertente è che poi accusa me di fare della retorica.
Inoltre, il fatto che io abbia criticato quella definizione dimostra che non sono d’accordo con quella definizione. Lei invece ne deduce che tutto il darwinismo è una dottrina incoerente. Se non è retorica (peraltro parecchio illogica) questa…
@ Greylines:
proviamo a semplificare il dibattito, ci dia le SUE definizioni di microevoluzione e di macroevoluzione, dove per “sue” ovviamente intendo quelle che alla luce dei suoi studi ritiene le migliori.
@Htagliato
Io sarò ben lieto di darvi le mie definizioni, ma prima vorrei capire bene quali sono le vostre. Un po’ perché l’ho chiesto per primo e un po’ perché non vorrei che chiedere quali sono le mie sia un modo per evitare di parlare delle vostre, che sono in questo momento al centro della discussione.
Questo perché siete voi ad aver sollevato una critica a una teoria, quindi sta a voi argomentare per primi. Io vengo qui e commento proprio per capire le vostre argomentazioni, ma ho sempre più l’impressione che esse sian basate su alcune singole definizioni di uno o due manuali scolastici e su qualche articolo divulgativo (non senza qualche fraintendimento). E non, come dovrebbe essere, sullo studio di paper e libri specialistici.
Se così fosse, allora dovreste esplicitarlo e chiarire che state criticando il modo in cui una teoria viene spiegata da alcuni (non da tutti). Che è diverso dal criticare la teoria in sé.
D’accordo, se questo può servire per tornare al tema dell’articolo. Ecco di seguito il modo in cui almeno io intendo i due termini:
microevoluzione= variazione dei caratteri di una specie tale che la nuova forma appartenga ancora alla specie iniziale;
macroevoluzione=variazione dei caratteri di una specie tale che la nuova forma costituisce una nuova specie o ordine tassonomico superiore a causa della comparsa di nuova informazione genetica, dove per “nuova” intendo che implichi un nuovo riassetto dell’interattoma.
La definizione così posta di macroevoluzione permette di poter distinguerla dalla speciazione (variazione con irriproducibilità tra gli individui) perché una speciazione potrebbe avvenire anche tramite un impoverimento genetico senza quindi essere considerata macroevoluzione, mentre ovviamente una macroevoluzione è un caso particolare di speciazione.
————-
Detto ciò, l’accusa dell’articolo è semplice: tramite definizioni opportunamente allargate si può fare in modo di poter dire di aver osservato sperimentalmente o in natura ciò che non è veramente ciò che si intende comunemente e intuitivamente.
Pievani, nel nostro caso, definisce ” microevoluzione” una variazione “fisicamente piccola” (di nucleotidi, per esempio) mentre per macroevoluzione una variazione qualsiasi dei caratteri di una popolazione (in coerenza con la definizione di evoluzione=variazione della frequenza genica).
Grazie a tali definizioni, un carattere pre-esistente che si diffonde è già macroevoluzione.
I casi sono due:
1) la divulgazione di Pievani è stata corretta, ma allora condivido le obiezioni di Pennetta;
2) la divulgazione di Pievani è stata (per un motivo qualsiasi che ora non mi interessa), imprecisa. In questo secondo caso, allora sarebbe interessante una SUA risposta a quali siano le migliori definizioni dei due termini del dibattito.
Greylines afferma:
“Io sarò ben lieto di darvi le mie definizioni, ma prima vorrei capire bene quali sono le vostre.”
.
Bizzarra richiesta, davvero bizzarra….
@Htagliato
Cosa vuol dire che una novità genetica è tale se implica un nuovo riassetto dell’interattoma?
Cosa intende per “impoverimento genetico”?
Come funziona un processo di speciazione per impoverimento genetico?
Su che basi lei afferma che la macroevoluzione è un caso particolare di speciazione?
Cosa intende per “carattere pre-esistente”?
@Pennetta
Cosa c’è di così bizzarro nella mia richiesta? Non mi pare infatti che Htagliato l’abbia trovata bizzarra e infatti ha risposto nel dettaglio.
Lei costruisce la sua critica a una teoria scientifica basandosi su alcune definizioni e io le sto chiedendo conto di quelle definizioni. Non ci vedo niente di anomalo, il confronto scientifico funziona così. Se poi lei è interessato a un confronto di diverso tipo lo dica pure e mi adatto.
@ Greylines:
Ho risposto alla sua contro-domanda perché era il “prezzo da pagare” per avere le SUE definizioni di micro e macroevoluzione (che ancora non ho avuto). Ok, anche se è strano che sia il più esperto a farsi pregare per avere informazioni precise.
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“Cosa vuol dire che una novità genetica è tale se implica un nuovo riassetto dell’interattoma?”
Significa che non solo una data mutazione ha causato il formarsi, per es., di una proteina diversa, ma anche l’interazione tra tutte le altre proteine è cambiata. Controesempio: una mutazione cambia il colore di un tessuto, ma l’interazione tra le proteine dedite al colore e tutte le altre resta quella, non c’è una nuova funzione. Detto in modo che tutti capiscano: se ad un’auto da corsa cambio i pneumatici con altri adatti a strade bagnate, magari ho un adattamento, ma le interazioni tra le parti dell’auto sono le stesse. Diverso è invece il caso in cui incollo un paio di ali metalliche ad un auto: ha le ali, ma non vola a causa della struttura d’insieme.
“Cosa intende per “impoverimento genetico”?”
Intendo un processo che ha causato una riduzione delle funzionalità di una o più proteine oppure una riduzione della variabilità di una specie.
“Come funziona un processo di speciazione per impoverimento genetico?”
Es.: una mutazione in una popolazione di una data specie ha fatto in modo che non ci fosse più interfecondità tra gli individui di quella popolazione e tutti gli altri di quella specie. C’è speciazione perché la definizione di “specie diversa” è rispettata, ma in realtà c’è stato un impoverimento genetico.
“Su che basi lei afferma che la macroevoluzione è un caso particolare di speciazione?”
Credevo fosse ovvio: se una specie è cambiata nei suoi caratteri anche di molto ma è ancora tassonomicamente la stessa, parlare lo stesso di macroevoluzione è un abuso della definizione. Se la specie è la stessa, che macroevoluzione è?
“Cosa intende per “carattere pre-esistente”?”
Che esisteva già prima che un cambiamento esterno alla specie (es. ambientale) instaurasse un “nuovo tipo” di selezione naturale che premiasse tale carattere. Qui torniamo al tema dell’articolo: fino a prima del paper di Nature la biston betularia era già considerato es. di meccanismo evolutivo darwiniano anche se la variante scura già esisteva prima che i tronchi degli alberi diventassero più scuri. OGGI sappiamo quale fu l’origine del carattere scuro ma il modo in cui è nato rientra nella microevoluzione per entrambe le definizioni di microevoluzione (di Pievani e “mia”, giusto per semplificare) MENTRE il suo affermarsi nella popolazione è stato chiamato da Pievani “macroevoluzione”, ma su questo non siamo più d’accordo.
A meno che lei non ci fornisce la migliore definizione di macroevoluzione presente in letteratura…
Greylines scrive:
“Cosa c’è di così bizzarro nella mia richiesta? Non mi pare infatti che Htagliato l’abbia trovata bizzarra e infatti ha risposto nel dettaglio.
Lei costruisce la sua critica a una teoria scientifica basandosi su alcune definizioni e io le sto chiedendo conto di quelle definizioni.
Il fatto che Htagliato abbia accettato non comporta che la richiesta non fosse strana.
Quando uno domanda una cosa e l’altro risponde con un “dillo prima tu” siamo nelle schermaglie dialettiche.
Se lei ha una risposta la dia senza fare giochi strani.
@Pennetta e Hatagliato
Capisco che vogliate farmi passare per quello che non dà risposte (forse per insinuare che non ne ho) ma ribadisco il concetto: siete voi che sollevate una critica e quindi siete voi che dovete argomentarla in maniera efficace. Ma la vostra argomentazione si basa su definizioni che mi sembrano imprecise, quindi è perfettamente logico che io vi chieda di spiegarvi meglio. Anche perché, se non ci intendiamo sul significato di termini come novità, impoverimento genetico o speciazione, posso darvi tutte le definizioni che volete, ma tanto non andranno mai bene. Quindi prima ci accordiamo sui termini. Cosa che dovrebbe andarvi a genio, visto che sottolineate spesso la necessità di usare termini corretti e precisi. Le mie domande dovrebbero quindi esservi utili e non venir considerate “bizzarre”. Ammesso che a voi interessi davvero capire e discutere, ovviamente.
—
Passiamo ora alle risposte di Htagliato:
– Qualsiasi modifica in un singolo elemento di un sistema complesso come l’interattoma di una cellula si ripercuote sugli altri elementi. Nell’esempio della mutazione che cambia il colore del tessuto, come fa lei a escludere che ci sia stato un cambiamento fra le proteine dedite al colore? Che poi, in questo esempio lei parla di una sottocategoria ben precisa di proteine (quelle dedite al colore) mentre l’interattoma è l’insieme COMPLESSIVO delle interazioni molecolari in una particolare cellula.
Detto ciò, il riassetto dell’interattoma non è una condizione necessaria per parlare di una nuova funzione. Mi può dire da dove ha preso questa definizione di novità?
– L’impoverimento genetico in biologia è quello che si verifica, per esempio, nei casi di omozigosi in seguito a inbreeding. Non quello che dice lei. A meno che non ci siano articoli che chiamano così il fenomeno cui lei si riferisce. Se ci sono le sarei grato se potesse segnalarmeli, in modo da poter correggere il mio errore.
– Per quanto riguarda la sua personale definizione di impoverimento genetico, in un sistema complesso e ricco di interazioni fra le sue diverse componenti, la riduzione della funzionalità di una proteina potrebbe sbloccarne un’altra, che potrebbe quindi svolgere in modo diverso la sua funzione. Oppure, la perdità di funzionalità di una proteina regolatrice potrebbe far attivare un gene in un luogo in cui normalmente non è espresso. E ciò potrebbe portare a nuove funzioni. Per esempio, è stato dimostrato che lo stesso gene, in luoghi e tempi diversi dello sviluppo embrionale, svolge funzioni anche molto diverse. Funzioni che in alcuni casi possono essere causate proprio dalla perdita di funzione di un’altra proteina nel corso dell’evoluzione. Questa è la naturale conseguenza di una modifica in un sistema ricco di interazioni, che poi è quello che secondo lei è necessario perché vi sia una novità.
– La speciazione è un processo grazie al quale si formano nuove specie da quelle preesistenti. Quindi, in seguito a un evento di speciazione, si hanno due specie distinte e la nuova specie non è tassonomicamente la stessa da cui si è separata.
– Sul carattere preesistente siamo d’accordo, fermo restando che è ovvio che un carattere prima deve esistere e dopo può eventualmente diventare un adattamento. La mutazione crea la variabilità genetica, poi la selezione interviene selezionando, all’interno di quella variabilità, i fenotipi più adatti (o eliminando quelli meno adatti).
No, Greylines, è lei che sta capovolgendo l’ordine logico sin dall’inizio, perché tutto era partito dalle definizioni date da Pievani di micro e macroevoluzione, per cui bastava che lei o le difendesse o spiegasse quali fossero quelle più corrette esistenti in letteratura.
Per evitare equivoci o insinuazioni, espliciterò il mio dubbio: ho il sospetto che le sue definizioni di microevoluzione e di macroevoluzione in fondo siano le stesse di Pievani e che lei non lo voglia ammettere per fare in modo che l’attenzione si sposti sul nostro modo di vedere le cose che (sorpresa dell’anno) non va a coincidere con ciò che viene detto dalla scienza “ufficiale”. Ovviamente, no, non apprezziamo né la definizione attuale (ufficiale) di “evoluzione” né quella usata da Pievani per “macroevoluzione”. Per questo mi chiedo: se INVECE sono giuste, perché lo sono? QUESTO era il punto del dibatto, è vero che prima si fa un’explicatio terminorum MA già lo sappiamo (in questo caso) che non condividiamo i termini. Attendo con pazienza.
———–
– L’interattoma fornisce un vincolo biologico alle mutazioni che, se si vede il paragone che ho fatto con l’automobile, è un vincolo oserei dire dettato dal “buon senso”. Una “vera novità” allora la concepisco nell’ottica di http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/pro.747/full
È una definizione usata solo da me e solo dedotta da un paper? Se sì, lo ammetto, ma tra due punti spiego meglio perché la uso.
– Ok, per impoverimento genetico si intende altro; in realtà la sua non è una definizione ma pazienza.
– Ecco il nodo della questione: una funzione che si sblocca è una funzione che già esisteva ma era solo bloccata, così come un gene già esistente ma che non si esprimeva non implica vera novità.
– Ha solo ripetuto la definizione di speciazione che è l’unica che non ci causa problemi.
– Cose che già sapevo, ma gira intorno alla questione senza prenderla di petto: quali sono le sue definizioni di micro e macroevoluzione? Magari non ci piaceranno, ma se non ce le fornisce non è anche peggio?
Ok, prendo atto che Greylines non vuole dare una definizione di micro e macro evoluzione perché semplicemente non esiste.
O meglio, esistono più definizioni possibili da spendere a seconda delle necessità e quindi è impossibile darne una.
Ma questa è una conferma che il neo-darwimismo si regge su trucchi retorici.
Questo non è serio.
Mi perdoni Htagliato, però lei non accetta la versione “ufficiale” (odio questo termine perché non esiste una scienza non-ufficiale, ma è per capirsi) ma pretende da me risposte scientifiche, cioè date facendo riferimento a quello che c’è nella letteratura scientifica “ufficiale”. In pratica, io devo giocare secondo le regole, mentre lei è libero di dare definizioni che non si trovano da nessuna parte.
Su che basi uno dovrebbe considerare scientifica la vostra versione? Qual è la scienza alla base delle vostre definizioni?
Questo è il punto.
Davvero, lo chiedo per capire. Vogliamo parlare di scienza? Facciamolo, sto proprio cercando quello. Però se io devo accettare delle vostre convinzioni senza alcuna evidenza a supportarle, mentre voi pretendete prove per ogni virgola che scrivo, allora c’è qualcosa che non va nel dialogo, e non certo da parte mia.
—
MICROEVOLUZIONE: variazioni (genetiche e non) all’interno di una specie.
MACROEVOLUZIONE: evoluzione dal livello delle specie in su (famiglie, phyla, generi), che quindi richiede come minimo un evento di speciazione (e di conseguenza non è un caso specifico di speciazione).
Riconosco che ci sia una certa confusione nell’uso di questi termini, e questa non è certa una novità. In generale però, la speciazione rimane la tradizionale linea di demarcazione fra l’una e l’altra. C’è chi sostiene che la somma degli eventi microevolutivi spieghi interamente la macroevoluzione, molti altri la pensano diversamente. Il che dimostra che il dibattito è ancora aperto e che non ci sono dogmi in gioco. Semplificando molto, a me piace l’idea dei fenomeni macroevolutivi come proprietà emergenti dell’interazione fra i processi microevolutivi e quelli geologici/ambientali.
—
E ora parliamo di nuovi tratti.
Per come li definite voi, non esistono. Perché voi pretendete che vengano fuori dal nulla, e questo non è biologicamente, fisicamente e chimicamente possibile. Al massimo ci possono essere geni che originano da sequenze non-codificanti, ma è un evento raro.
Lei continua a ragionare nell’ottica della singola proteina, che cambia e fa qualcosa di diverso (il che già comunque sarebbe una novità, che le piaccia o no). Ma un nuovo tratto spesso è il risultato dell’interazione fra diversi elementi, fra più proteine. Una sorta di proprietà emergente, cosa comune in un sistema complesso che non è la semplice somma delle sue singole componenti. Per dire, mutazioni e duplicazioni in diversi geni hanno consentito all’ornitorinco di produrre veleno. E non mi dice che era già capace, perché il veleno è estremamente raro nei mammiferi. Le Drosophile hanno un solo cluster di geni omeotici, i vertebrati ne hanno quattro. Ciò è dovuto a una serie di processi di duplicazione. Lei dirà, “ma sono sempre gli stessi geni”, peccato che questo maggior numero di cluster sia stato associato alla maggior complessità del piano di sviluppo dei vertebrati rispetto agli insetti. Quindi, come vede, anche un aumento di numero di geni può produrre giusto qualche novità.
Inoltre, un gene non nasce con una funzione. Un gene codifica per una proteina, che in un determinato contesto può svolgere una funzione, ma in un altro potrebbe svolgerne un’altra diversa o magari non servire a nulla. O magari in certe quantità fa una cosa, ma se una mutazione ne amplifica parecchio l’espressione comincia a farne un’altra. Che è nuova, che le piaccia o no.
—
Un’ultima cosa sull’interattoma: io davvero non capisco cosa vuol dire che l’interattoma fornisce un vincolo biologico alle mutazioni dettato dal buon senso. Cioè, che le interazioni molecolari possano rendere alcune mutazioni più o meno probabili è cosa nota — e peraltro smonta tutti quei calcoli probabilistici secondo i quali le mutazioni casuali non hanno avuto abbastanza tempo per produrre la complessità attuale della vita — ma non capisco in che senso lo intendeva lei. Né capisco perché mi ha citato quel paper, dove si dicono cose che voi negate con forza.
Fossi in lei lascerei perdere questa storia dell’interattoma, davvero.
—
Chiudo chiarendo una cosa a proposito dell’ordine logico. Il discorso sulle novità è partito da questo mio commento (http://www.enzopennetta.it/2016/09/le-falene-non-sono-daccordo-con-i-darwinisti/#comment-52835), nel quale ho sollevato delle questioni fondamentali su cosa si intende per novità. Quindi non ho capovolto un bel niente. E ribadisco che fare chiarezza sui termini è qualcosa che continuate a chiedere anche voi, quindi non vedo cosa ci sia di male se lo chiedo anch’io.
“Ok, prendo atto che Greylines non vuole dare una definizione di micro e macro evoluzione perché semplicemente non esiste.
O meglio, esistono più definizioni possibili da spendere a seconda delle necessità e quindi è impossibile darne una.
Ma questa è una conferma che il neo-darwimismo si regge su trucchi retorici.
Questo non è serio.”
Io invece prendo atto che a lei non interessava davvero avere le mie definizioni. Con questo suo commento mi ha criticato per non averle date insinuando che in realtà non esistono. Ora che le ho date mi criticherà perché, come ha già detto mettendo le mani avanti, c’è confusione. E invece di vedere le diverse interpretazioni come prova che sull’argomento c’è un vivace dibattito scientifico, lei invece preferisce insinuare che questa confusione è strumentale a mantenere il dogma del darwinismo. E poi ha il coraggio di insinuare che io uso argomenti retorici e artifici linguistici.
Prendo quindi atto che le piace insinuare. Cosa peraltro facile da fare, basta buttar lì una frase e poi trarre conclusioni affrettate.
Io nel frattempo continuo ad aspettare le evidenze scientifiche delle sue definizioni.
Greylines, non mi faccia un processo alle intenzioni.
Adesso ha dato la definizione di micro e macro evoluzione, ci voleva tanto?
E’ il suo modo sfuggente a supportare l’idea che la confusione e l’incertezza delle stesse definizioni (non nelle conoscenze) siano organiche al darwinismo, cosa che in altre branche della scienza non mi sembra che accada.
Come non accade che tra quello che si studia a scuola e quello che si afferma tra i ricercatori ci sia conflitto. Questo è e resta un fatto che solleva molti dubbi sulla teoria stessa.
Marco Respinti sostiene inoltre che, essendo la data del salto genetico (1819) antecedente sia ai primi rilevamenti di fenotipi scuri (1848) sia alla presenza massiccia di fabbriche, allora non c’è adattamento agli effetti dell’inquinamento. Ma non c’è nulla di strano nel fatto che il salto preceda anche di un po’ di generazioni l’effetto adattativo. Il nuovo tratto potrebbe essere rimasto neutrale finché, con il cambiamento del contesto ambientale, non è diventato adattativo. Non è neanche strano che il salto preceda i primi rilevamenti, poiché questi potevano essere molto rari (e quindi nessuno li ha rilevati) prima di aumentare di numero grazie alla pressione selettiva.
Respinti sostiene anche che non c’è l’effetto adattativo della mutazione mimetica, quindi immagino che abbia studiato il lavoro di Michael Majerus sugli esperimenti di predazione che hanno invece confermato questo adattamento e abbia gli elementi scientifici per contrastarne le conclusioni.
In pratica alcune Biston già nere hanno avuto una gran botta di fortuna perchè in un dato momento e condizione ambientale tale caratteristica si è rivelata decisiva per la sopravvivenza?
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Scusi la brutalità, ho cercato di tradurre per un ignorante in materia come me.
Non è stato brutale ma sinteticamente efficace. Prima è emerso un tratto (in seguito a un certo processo molecolare) e poi, in un determinato contesto, quel tratto si è rivelato vantaggioso, favorendo la sopravvivenza della variante scura di Biston betularia. Poteva anche non andare così, il che spiega perché si parla di contingenza.
Il principio dell’evoluzione per selezione naturale funziona così (tenendo conto che, come lo stesso Darwin aveva riconosciuto, non tutta l’evoluzione è guidata da questo processo).
La selezione quindi interviene dopo la variazione genetica e non la influenza, la questione ora è: perchè avviene la variazione genetica?
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Troppo spesso quando cerco di approfondire mi trovo di fronte alla questione del caso (su cui c’è stato un bell’rticolo anche su CS), anche intesa come libertà assoluta dal determinismo. Mi sembra un dogma.
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In sintesi l’idea (ignorante) che mi faccio è che la teoria Darwiniana sia in pratica una ottima descrizione di ciò che osserviamo avvenire ma che non spiega come e perchè (forse il perchè è già filosofia) ciò che osserviamo avvenga.
La selezione influisce sulla probabilità che una mutazione benefica si fissi in una popolazione, oppure che una mutazione deleteria venga persa. La mutazione genera quindi la variabilità genetica (che è diversa dalla variazione) e anche la selezione può influire su questa variabilità, alterando la frequenza con cui certi alleli compaiono in una popolazione.
La mutazione può essere innescata da fattori esterni o da errori di trascrizione. Non si tratta quindi di un fenomeno indipendente dalle leggi naturali, però non è deterministica nel senso che una determinata mutazione non produce sempre e necessariamente un determinato effetto a livello fenotipico, perché questo effetto è influenzato da altri fattori (ambientali, fisici, di sviluppo, eccetera).
Quando si parla di caso non bisogna pensare al caso assoluto e cieco, perché tutti i processi biologici rispondono alle leggi di natura e non può accadere qualunque cosa. In determinate condizioni, certe mutazioni saranno più o meno probabili di altre. Inoltre, una mutazione può cambiare il contesto in modo tale da influenzare la formazione o la conservazione di altre mutazioni. Non è una serie di lanci di dado, nella quale ogni risultato è totalmente indipendente dai lanci precedenti. È come se a ogni lancio la probabilità di ottenere certi numeri cambiasse, anche solo di poco.
Tutto questo per dire che la teoria darwiniana in effetti non ci spiega il perché (che, come giustamente dice lei, è già filosofia), ma ci dà molte informazioni sul come. C’è ancora tanto da scoprire, questo sì. E l’esistenza di un vivace dibattito scientifico a riguardo (e sottolineo “scientifico”), dimostra che la teoria non è un dogma.
Gentile Greylines, le mutazioni di cui parla sono quelle studiate dalla epigenetica?
Grazie.
No, mi sto solo riferendo alle mutazioni che modificano la sequenza del DNA. L’epigenetica si occupa di tutti quei fenomeni che influiscono sull’attività dei geni senza cambiare la sequenza del DNA.
Si tratta di un ulteriore (e importante) livello di complessità biologica.
GREYLINES
Grazie.