Per capire cosa sta accadendo alla nostra società proponiamo una visione strategica degli avvenimenti, una lettura dei fatti eseguita ad un livello superiore.
Parla la Prof. G. Barcellona, un’analisi imperdibile.
Dalla conferenza “L’era del post-umano” organizzata dall’Intellettuale Dissidente – Circolo Proudhon e svoltasi il 14 marzo 2015 a Roma
Trascrizione dell’intervento della Prof. Giuseppina Barcellona docente di Istituzioni di Diritto pubblico presso l’Università degli studi di Enna “Kore”.
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La sovranità è definibile come una decisione sulla forma e specie dell’esistenza politica di un popolo, una decisione che pretende di essere integrale, nel senso di conformare integralmente lo stare insieme di una comunità perché definisce non solo il rapporto tra i palazzi del potere e i singoli cittadini ma anche la collocazione di ciascuno all’interno dell’ordine. Ma quel che più interessa è il legame tra l’ordine costituito e il suo artefice, il ”sovrano”.
Nelle costituzioni del secondo dopo guerra questo legame assume un carattere particolare, esse si propongono di conseguire un obiettivo nuovo dove varia il rapporto tra politica ed economia per ottenere una fondamentale neutralizzazione della guerra civile, la sua commutazione in competizione elettorale e redistribuzione della ricchezza.
I dispositivi a cui questo compito viene affidato sono sostanzialmente due, l’affiancamento del principio di uguaglianza sostanziale all’uguaglianza formale, questa è una mossa fondamentale perché il principio di uguaglianza sostanziale determina l’emersione delle differenze materiali a partire dalle quali si può dare l’apprezzabilità di un diritto diseguale, un diritto cioè che muova dalle differenze materiali per riequilibrarle. E’ soltanto a partire da questa emersione giuridica delle differenze che si dà la possibilità di sottrarre al mercato del lavoro la disciplina del contratto sanzionando in questo modo l’irriducibilità del lavoro a merce qualunque.
Il secondo dispositivo è il riconoscimento dei soggetti sociali che hanno dato vita al patto costituzionale, la rigidità delle Costituzioni nasce infatti per presidiare le basi dell’esistenza delle parti sociali, da una parte la libertà di iniziativa economica e la proprietà privata, dall’altra il diritto di sciopero e la libertà sindacale.
A questi fondamentali dispositivi se ne aggiunge un altro che ha connotato l’esperienza dello Stato sociale, il principio di solidarietà e l’intervento statale nell’economia, il primo istituisce una sfera demercificata che comprende l’erogazione di beni e servizi che vengono finanziati con il ricorso alla leva fiscale e che sono finalizzati ad operare una redistribuzione della ricchezza. L’altro dispositivo, l’intervento statale nell’economia, è finalizzato a correggere e dirigere il ciclo economico per realizzare l’obiettivo della piena occupazione e della più equa redistribuzione della ricchezza.
Tutti questi dispositivi si danno a partire da un presupposto implicito, il vincolo del sistema economico ai confini dello Stato nazione, una differenziazione regionale del sistema economico, perché soltanto a partire da questo dato si dà la possibilità stessa del ricatto dello Stato nei confronti del capitale. In questo contesto matura una dottrina della Costituzione che indica nel Patto costituente, in una decisione politica, il fondamento dell’ordine costituzionale, questa fondazione politica della costituzione rinvia alla centralità del conflitto politico e dei suoi elettori, e questo è importante perché porta all’era dei cosiddetti “corpi solidi”, delle parti sociali che si costituiscono a partire da un duplice ordine di fattori, innanzitutto dalla condivisione delle condizioni materiali di esistenza, dalla medesima collocazione nel ciclo distributivo della ricchezza che è la valenza simbolica che viene conferita a queste condizioni materiali. Infatti le ideologie, che non a caso vengono definite religioni secolari, svolgono una fondamentale funzione che è quella di consentire al singolo di sacrificare e trascendere i propri destini personali per realizzare un progetto di mondo, un’idea di avvenire in comune che si assume come superiore.
Quindi le ideologie assumono una duplice funzione, danno forma ai soggetti sociali, cioè raccontano chi sono, da dove vengono e dove sono diretti, e proprio per questa ragione fungono anche da bussola, indicano la meta, l’avvenire in comune per raggiungere il quale ha senso intraprendere lo scontro. Un’altra cosa fondamentale è l’idea di diritti che questa fondazione politica ci restituisce, i diritti infatti sono sia un traguardi intermedio della lotta che strumento di lotta.
Sono traguardi intermedi perché sono l’esito delle giuste rivendicazioni di una parte, ma sono anche strumento di lotta perché sono lo strumento del quale una parte si avvarrà per tentare di inverare un progetto di mondo per realizzare il quale ha intrapreso la lotta, pensiamo ad esempio al diritto di sciopero che incarna esattamente questi due aspetti del diritto come era concepito ai tempi di una fondazione politica della Costituzione.
Questa idea di una fondazione politica della Costituzione rimanda inevitabilmente alla centralità dello Stato non solo come necessario mediatore dei rapporti tra capitale e lavoro, ma anche come “corpo solido” per eccellenza, come colui al quale sono rivolte le attese di giustizia dei singoli e dei corpi solidi che i singoli abitano. Questa idea di fondazione politica restituisce però un’idea anche più importante, l’accessibilità dei luoghi della decisione e soprattutto l’accessibilità del futuro perché l’idea che i luoghi della decisione siano accessibili, che abbia senso intraprendere uno scontro per realizzare un progetto di mondo, non fa altro che caricare sulle parti sociali la responsabilità del mondo che verrà, quindi le spinge ad un’opera di “colonizzazione” del futuro.
Ma sul finire degli anni ’80, alla fondazione del Patto, va gradualmente sostituendosi l’idea di una Costituzione, di un ordine fondato sui diritti, una fondazione che si assume più adeguata ad un ordine che va aprendosi ad una dimensione globale che ormai scavalca i confini dello Stato nazione. Il contesto nel quale questo passaggio matura è segnato da due fattori fondamentali, la globalizzazione ma anche l’intensificarsi dei processi di integrazione europea, entrambi questi fattori determinano da una parte uno spostamento delle sedi decisionali, dall’altro una rideterminazione degli spazi della sovranità statale.
La globalizzazione si dà infatti come emancipazione del sistema economico dai confini dello Stato nazione, questa emancipazione sottrae il sistema economico e il capitale all’imperium della regola costituzionale e quindi lo sottrae anche al potere di ricatto statale ed al governo statale dell’economia sul quale l’intera politica dello Stato sociale si era costituita, si dice che il capitale diventa “liquido”, va progressivamente volatilizzandosi.
Questo determina che lo Stato, che non ponga il proprio residuo potere regolamentare al servizio della libera impresa e che quindi non determini una disciplina del lavoro più flessibile, che non intraprenda le strade delle privatizzazioni, è destinato a non avere il consenso del mercato ed è destinato a vedere il capitale lasciare i propri confini.
Per quanto riguarda la costruzione dello spazio giuridico europeo, questo determina una revisione costituzionale, cioè un mutamento della costituzione economica italiana perché con la stipula dei trattati, vengono introdotti nuovi principi chiamati adesso a regolare il rapporto tra politica ed economia. Pensiamo alle quattro libertà: circolazione delle merci; dei lavoratori; dei servizi e dei capitali, queste quattro libertà sanzionano l’emancipazione dei fattori della produzione dalle politiche regolative e fiscali dello Stato.
Il divieto dell’aiuto di Stato implica l’impossibilità per lo Stato di orientare la politica economica e quindi di garantire la piena occupazione, i vincoli di bilancio determinano una drastica diminuzione del potere di spesa dello Stato, e in ultimo l’istituzione della moneta unica che sottrae agli stati il controllo sulla manovra monetaria e su cambi.
Questo mutamento del quadro giuridico si risolve nella liquefazione di quei corpi solidi che avevano connotato tutta l’esperienza novecentesca fino a quel momento perché lo Stato che aveva esercitato funzioni di previsione, pianificazione ed organizzazione viene allontanato dalla cabina di pilotaggio e viene collocato in un posto che diviene sempre più eccentrico rispetto ai processi economici e decisionali. Alla perdita di sostanza simbolica che connota la parabola statale, si accompagna poi la liquefazione delle parti sociali, di quei soggetti che non soltanto avevano dato un’identità all’individuo e un senso di appartenenza, ma che erano stati anche i principali interlocutori dello Stato. In questo processo di liquefazione sono due i fattori che fondamentalmente incidono, da una parte la frantumazione del tessuto sociale che ormai appare irriducibile alle categorie del captale e del lavoro, pensiamo all’esperienza sindacale in Italia e all’incapacità che i sindacati hanno di rappresentare una realtà lavorativa che diventa sempre più variegata, e dall’altro lo spostamento delle sedi decisionali. Questo ha una ricaduta fortissima sul ruolo che questi corpi intermedi erano portati a svolgere nell’esperienza dello Stato nazionale perché vengono gradualmente tagliati tutti quei canali di comunicazione che avevano consentito a questi corpi intermedi di influire sulle decisioni della politica, adesso ad esempio uno sciopero generale non è assolutamente in grado di irritare le sedi decisionali e dunque di influenzarne l’agire, questo stato di cose è all’origine delle richieste di “rottamazione” dei sindacati stessi in quanto non più rappresentativi, non più in grado di svolgere un’azione incisiva.
Questa mutazione di contesto implica una diversa rappresentazione del potere, il “sovrano” visibile che era incarnato nello Stato viene gradualmente sostituito da un sovrano invisibile e impersonale che viene sempre più assumendo le sembianze del “mercato” e delle sue “leggi, e la caratteristica delle leggi del mercato è che reclamano per sé i caratteri dell’oggettività e quindi di una cogenza che non può essere messa in discussione nemmeno dalla volontà dei popoli.
Questo contesto, l’arretramento dello spazio della politica e dell’istituzione statale si riflette in una dottrina della costituzione che va assumendo sempre più i tratti di una costituzione fondata sui “diritti”. Questo è un passaggio epocale, uno snodo fondamentale nella teorizzazione dell’esaurimento del potere costituente che ha l’obiettivo di realizzare la legge naturale della libertà e dell’uguaglianza, ma una volta che abbia affidato libertà ed uguaglianza a costituzioni rigide che le custodiscono come loro nucleo essenziale, il potere costituente non ha più motivo di esistere. Questo determina la creazione di un vuoto alla base del potere giuridico, un vuoto al centro della scena pubblica, ed è un vuoto che i “diritti” reclamano per sé e che reclama soprattutto un nuovo custode con la sostituzione dei “diritti” al “patto”.
Si tratta di una sostituzione che è segnata da una loro riqualificazione perché i diritti passano da principi giuridici posti da una legge al ruolo di “valori”, nomina sunt substantia rerum, perché la natura di un valore ne determina la superiorità rispetto alla legge, e quindi la superiorità del valore rispetto alla volontà generale.
I diritti infatti sono inferibili a partire dalla dignità della persona e sono dotati perciò di un’inconfutabile evidenza, oggettività e cogenza, al pari delle leggi del mercato.
Questo passaggio dal patto ai diritti si accompagna ad un generale riassetto delle dinamiche ordinamentali, al binomio sovranità della politica – legge, quindi volontà generale, va sostituendosi il binomio diritti – corti (tribunali ndr). L’aspettativa di giustizia che ogni diritto simbolicamente condensa indica infatti come suo naturale interlocutore il giudice, un giudice che può garantirlo anche contro una legge che illeggittimamente li limiti. Ma questa fondazione dei diritti ci narra anche dell’eccentricità dello Stato perché la legge, da centrale e sovrana che era stata, nell’800 e anche nel ‘900, diviene sempre più eccentrica e contingente, addirittura sospinta verso la periferia del sistema delle fonti, diventa “parte” del diritto, non tutto il diritto.
Questa fondazione dei diritti implica un duplice ordine di selezione e che dunque incorpori in qualche misura una strategia, il primo ordine di selezione è che nella inclusione che il fatto di avere diritti sembra prospettare cela in realtà un’esclusione dei diritti sociali perché essi non appaiono strutturati secondo il diritto soggettivo il che significa che il loro naturale interlocutore non può essere il giudice ma l’interlocutore non può invece essere che lo Stato e la loro garanzia non può aversi che nel potere di spesa statale, pensiamo ad esempio alla situazione della Grecia dove il potere di spesa dello Stato è ridotto ai minimi termini con conseguente sospensione del diritto alla salute. Che diritto è dunque uno che può essere disatteso per tutta la sua esistenza?
Il secondo ordine che la strategia dei diritti sembra incorporare è la ripresa di un processo di individualizzazione della società che già la modernità aveva ripreso e rispetto alla quale l’esperienza dello stato sociale si presenta come una parentesi, come una deviazione dai processi di differenziazione sistemica. La ripresa dell’individualizzazione si manifesta ad esempio attraverso l’asse diritti-corti che determina la graduale commutazione della “guerra civile”, dello scontro politico in una miriade di conflitti giuridici, il motivo è che i diritti sono individualmente esperibili e forniscono all’individuo tutti gli strumenti per garantirsi il soddisfacimento di tutte le sue pretese di giustizia.
Il riflesso di questa strategia è la creazione dell’illusione dell’autonomia e dell’inutilità di ogni mediazione politica, infatti per garantire le mie aspettative di giustizia io non mi rivolgo più al legislatore ma al giudice.
Ma un giudice applica la legge, e in assenza di una legge la garanzia delle aspettative di giustizia resta vaga. I diritti vengono inoltre presentati in questo momento come il minimo comune denominatore del genere umano, che cioè ne custodiscono l’essenza che a sua volta deve essere astratta dalle singolarità del genere umano. Questo significa che l’uomo “dignus”, l’uomo dei diritti, è un uomo senza qualità, un uomo dal cui statuto antropologico non è possibile inferire la necessità di un diritto diseguale, si torna così all’astrazione del soggetto giuridico moderno, siamo tutti liberi ugualmente, non c’è differenza tra lavoratore e datore di lavoro, tra Marchionne e un operaio FIAT. I diritti costituiscono il corredo giuridico della nuova cittadinanza globale, quindi stabiliscono il nuovo statuto dell’appartenenza: la cittadinanza è sempre stata un’espressione riassuntiva di diritti e doveri ma sempre con una fortissima valenza simbolica, tanto che in suo nome abbiamo avuto guerre per secoli.
Qual è dunque la valenza simbolica della cittadinanza globale? A cosa appartiene il cittadino della società del mondo? Si tratta di un cittadino che appartiene ad un’astrazione perché è un luogo privo di spazialità e una comunità senza soggetti, tanto che l’uomo nuovo dei diritti viene collocato fuori del suo ambiente e ridotto a monade, ad un’astrazione che gli consente di rivestire tutti i ruoli che i sistemi sociali gli mettono a disposizione, senza che però nessuno di questi ruoli riesca a definirne l’identità, a dire qualcosa di lui.
Il rapporto tra struttura, i contesti, e semantica che i contesti producono pone la questione se questa narrazione, questa semantica, sia adeguata alla progressiva liquefazione della società, ovvero sia una strategia attraverso la quale il sistema occulta e legittima il proprio funzionamento, questa domanda non ha una risposta teorica ma una verifica pratica, a fronte di una generale inclusione che la teoria dei diritti rivendica, assistiamo ad una crescente divaricazione dei livelli della ricchezza, quindi la narrazione universalistica ed egualitaria incorporata nella strategia dei diritti in realtà sottende la crescita della diseguaglianza.
Questa narrazione e la strategia di neutralizzazione del conflitto sociale si presenta come “fine della storia”, siamo cioè arrivati all’inverarsi di una legge naturale della libertà e dell’eguaglianza che reclamano a sé cogenza, ineluttabilità ed oggettività che quindi spingono ad abdicare a quell’opera di colonizzazione del futuro che aveva caratterizzato le religioni secolari del ‘900.
L’oggettività che l’ordine contemporaneo reclama per sé esclude dunque progetti di mondo alternativi, a fronte però di questa narrazione bisogna però ricordare che l’ordine modero si costituisce essenzialmente a partire dal suo carattere contingente e reversibile dove la reversibilità si dà a partire dallo spazio della critica e delle parole di resistenza che questo spazio sia in grado di produrre. Parole che devono essere “profetiche e visionarie” come le avrebbe definite Paolo Barcellona, che uniscono alla diagnosi del presente ,’inaugurazione di nuovi orizzonti di senso, e soprattutto che pongano nuovamente al centro della scena la questione della sovranità e dell’identità che vanno però declinate tenendo presente la nuova realtà con la quale devono confrontarsi, che è quella della globalizzazione.
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14 commenti
Ottimo Articolo.
È più che ora che ci si interessi al movimento post-umano /trans-umano che invade surrettiziamente la mentalità della società occidentale ( ma quella orientale ne è già succube, penso alle culture nipponizzanti) : mentre ci si sta a battagliare per le teorie del gender, si perde di vista questo maremoto che è già in moto.
L’aspetto “Politico” messo in evidenza in questo articolo è specialmente illuminante.
È cosa buona che il vostro sito abbia questa volontà e capacità di denunzia.
Resta che bisogna anche concentrarsi non solo su una più che giustificata critica, ma anche su proposte innovative per controbattere questa corrente di pensiero: infatti essa si propaga su un humus che si appoggia su bisogni molto umani ( e non post-umani…) ai quali è dovere proporre risposta.
Ovviamente non posso che concordare sul giudizio riguardo alla lucidità e utilità dell’analisi della Prof. Barcellona, a mio parere se non si parte da un’analisi come questa non si riesce a comprendere a contrastare il movimento di trasformazione antropologica in atto.
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Sono d’accordo poi sulla fase propositiva, quale potrebbe essere allora un modo possibile per contrastare una cultura che ha dalla sua tutti i media tradizionali?
Io personalmente sto lavorando alla collaborazione con realtà che si prefiggono di aggregare gruppi crescenti di persone.
Questa conferenza ad esempio è stata organizzata dall’Intellettuale dissidente che è un gruppo molto promettente di giovani fortemente motivati con i quali sto appunto studiando una forma di sinergia.
Infatti l’esistenza stessa di questa conferenza è magnifica.
E al lotta sarà dura per convincere che l’umano è quel che c’è di meglio malgrado, anzi grazie alle sue imperfezioni.
Bravi quelli dell’Intellettuale Dissidente!
Aiutatemi per favore a capire meglio questo passaggio:
“Questa fondazione dei diritti implica un duplice ordine di selezione e che dunque incorpori in qualche misura una strategia, il primo ordine di selezione è che nella inclusione che il fatto di avere diritti sembra prospettare cela in realtà un’esclusione dei diritti sociali perché essi non appaiono strutturati secondo il diritto soggettivo il che significa che il loro naturale interlocutore non può essere il giudice ma l’interlocutore non può invece essere che lo Stato e la loro garanzia non può aversi che nel potere di spesa statale”
Se ho capito bene, oggigiorno si trova chi ti difende se rivendichi un diritto personale perché il soggetto che fa da tramite alla sua realizzazione è il singolo (e allora diventa una questione di principio), mentre se chiedi un diritto sociale sei meno fortunato perché il tramite è lo Stato (e allora diventa una questione di spesa pubblica)?
Esattamente, i diritti del singolo sono tutelati dal giudice che in osservanza al prevalere del principio di “dignità umana” sulla legge, emette sentenze anche contro la legge stessa (vedi legge 40 e adozioni gay), mentre le rivendicazioni di categoria non possono essere accolte perché lo Stato non è libero di agire in quanto vincolato a trattati sovranazionali che ne limitano l’azione economica.
Grazie prof., a quanto pare la situazione è tragica: ci concedono libertà individuali ma ci negano quelle collettive. Un’altra domanda sorge spontanea, anche se mi rendo conto che si potrebbe rispondere con un libro intero stavolta: cosa possiamo fare, in particolare noi giovani, per cambiare questa tendenza?
Credo che la cosa più rivoluzionaria che si possa fare sia studiare, studiare, studiare e rifiutare le distrazioni di massa come la legalizzazione della cannabis & co.
Buonasera,
anch’io ringrazio Loro di aver pubblicato questo articolo (potremmo considerarlo un preambolo alla problematica transumanista, che mi auguro verrà ampliata con ulteriori articoli al riguardo del Loro incontro dello scorso 14 marzo).
Condivido in linea di massima i contenuti dell’articolo, a parte alcuni passaggij (e.g. do una diversa valutazione riguardo al passato ruolo delle ideologie otto e novecentesche nella definizione “soggettiva” del tessuto sociale…); il pensiero riportato è ovviamente molto articolato (forse un po’ contorto nella forma, se posso permettermi), e ci sarebbero tante altre cose da dire.
Sarà interessante vedere contributi di altri utenti in questa discussione.
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P.S. Il commento dell’utente Simon de Cyrène mi riporta alla mente la questione, piuttosto controversa, dei fondamenti transumanisti della contemporanea cultura nipponica di massa. Sarebbe interessante tracciare un’analisi attenta della genesi del transumanismo in Giappone (ciò non prescinderebbe da tutta la sua storia, costellata di molti traumi collettivi antichi e recenti).
Non so molto della situazione giapponese, se qualcuno volesse fornire qualche spunto sarebbe di interesse anche per molti altri credo.
Ho terminato una prima, superficiale lettura dell’articolo. Interessante e condivisibile, merita una lettura più calma e approfondita (per la quale rimando al fine settimana). C’è però un piccolo errore di fondo, quando si dice che:
” l’erogazione di beni e servizi che vengono finanziati con il ricorso alla leva fiscale ”
Ho scoperto di recente che anche la Costituzione Italiana, con l’articolo 53, stabilisce un dovere di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva. Ora, sinceramente, devo controllare bene quale fosse l’assetto della Banca Centrale ai tempi della costituente, ma in linea generale, nella moneta moderna l’idea secondo cui lo stato finanzi la spesa pubblica con la leva fiscale è ASSOLUTAMENTE FALSA — mentre invece è tristemente vera per i paesi dell’eurozona, ma questo è un altro discorso.
Lo stato emette la moneta e quindi spende per primo. Il ruolo delle tasse è quello di rendere “necessaria” la moneta (dotando quindi lo Stato di possibilità di spesa), controllare il potere d’acquisto del settore privato per regolare l’inflazione, ecc ed evitare l’accumulo di enormi capitali.
Questa mia osservazione non tocca minimamente il tema principale dell’articolo, ma questo fraintendimento è alla base dell’accettazione di ecomostri come euro, austerità, ecc (dove “eco” è preso da “economia” con una triste licenza poetica 🙂 ).
Sono d’accordo con le considerazioni finali del tuo intervento Petrux, comunque il fatto che quello della leva fiscale sia il meccanismo dell’eurozona rende il caso vero per la nostra realtà.
Per altre realtà, come quella USA, invece i corpi solidi delle classi lavoratrici sono stati dissolti per altre vie, mediante l’accettazione di un sistema che rifiuta il welfare per principio, quindi i cittadini non possono rivolgersi allo Stato per rivendicare diritti di beni e servizi.
Trovo inoltre anch’io che l’intevento della prof. Barcellona vada studiato più che letto, è per questo motivo infatti che l’ho trascritto.
Riporto un articolo di Paul Craig Roberts, economista e giornalista, scritto il 1 guigno scorso sul trattato TTIP che ha importanti collegamenti con le situazioni descritte nella relazione della Prof. Barcellona.
NB La traduzione è stata eseguita dal sito “Comedonchisciotte” che si ringrazia per il servizio svolto.
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TTIP: IL TRATTATO CHE RAFFORZA IL POTERE DELLE MULTINAZIONALI
DI PAUL CRAIG ROBERTS
informationclearinghouse.info
I trattati su commercio e investimenti, rispettivamente detti, transatlantico e transpacifico non hanno niente a che vedere con il libero mercato. ‘’Libero mercato’’ e’,come spesso accade, una formuletta per cercare di nascondere la questione reale: il potere che tramite questi accordi di fatto verra’ceduto dagli Stati direttamente alle grandi multinazionali. Il potere di poter citare in giudizio gli Stati fino a rovesciare leggi sovrane che regolamentano questioni di primaria importanza, tra queste: inquinamento, sicurezza alimentare organismi geneticamente modificati, salario minimo.
La prima cosa che innanzitutto occorre capire è che tali, cosidette ‘’partnerships’’ non sono leggi scritte da membri del Congresso (USA). La Costituzione degli Stati Uniti conferisce al Congresso l’autorita’ legislativa, ma queste legge si stanno di fatto scrivendo senza la partecipazione del Congresso. Queste leggi le stanno scrivendo le multinazionali stesse nell’esclusivo interesse ad ampliare il proprio potere e a stimolare I propri profitto. L’ufficio US trade representative (Ufficio di rappresentanza per le questioni commerciali) fu creato proprio come escamotage per consentire alle multinazionali di scriversi da sole leggi che servono I loro esclusivi interessi. La frode contro la Costituzione e la gente tutta e’coperta dal fatto che invece di chiamarsi leggi in questo caso le leggi si chiamano ‘’Trattati’’.
Il Congresso infatti, non e’nemmeno autorizzato a conoscere il contenuto di tali leggi e il suo ruolo si limita solo a poter accettare o respingere il testo finale, gia’bell’e fatto, che gli verra’sottoposto una volta pronto. Generalmente il Congresso accetta questo perche’ ‘’Tanto lavoro e’stato fatto’’ e ‘’Il libero commercio portera’vantaggi per tutti quanti’’.
I giornalisti asserviti hanno distolto l’attenzione dal contenuto dei decreti verso la procedura ‘’fast track’’ (iter velocizzato). Quando il Congresso vota con la procedura fast track, altro non significa che sta accettando il fatto che le corporazioni si scrivano le leggi che credono senza nemmeno consultare il Congresso. Persino le critiche rivolte a questi trattati di ‘’partnership’’ sono solo una cortina di fumo. Paesi accusati di avere condizioni lavorative schiavistiche potrebbero essere escluse dagli accordi ma non lo saranno. I superpatrioti si lamentano che la sovranita’ USA e’violata da ‘’interessi esteri’’, ma la verita’ e’ che la sovranita’ Americana e’violata dalle corporazioni Americane. Altri lamentano che ancora piu’posti di lavoro finiranno per essere delocalizzati, ma come dato di fatto, non c’e’bisogno di ‘’trattati’’ del genere per continuare nella perdita di posti di lavoro in USA perche’ non c’e’ assolutamente nulla che impedisca o disincentivi la delocalizzazione del lavoro nella legislazione vigente gia’adesso.
Quello a cui mirano queste cosiddette ‘’partnerships’’ e’ rendere le multinazionali privati immuni alle legislazioni nazionali sovrane, avanzando l’argomento che le leggi degli Stati hanno un impatto negative sui profitti e rappresentano ‘’restrizioni al commercio’’.
Ad esempio, secondo il Trattato Transatlantico la legislazione Francese contro gli OGM e’destinata ad essere rovesciata in quanto ‘’limitazione al commercio’’ non appena arrivera’ una pioggia di cause legali dalla Monsanto.
Le compagnie che producono sigarette potranno fare causa contro gli avvertimenti stampati sui pacchetti, dal momento che gli avvertimenti scoraggiano il fumo e quindi sono una ipotetica ‘’limitazione al commercio’’.
Anche gli sforzi per controllare le emissioni nocive all’ambiente saranno bersaglio delle cause indette dalle compagnie che si sentono ‘’danneggiate’’. Sotto il TTIP le multinazionali saranno compensate con regulatory takings (concessioni regolate, la definizione corporativistica per protezione ambientale). Altro non significa, guarda un po’, che saranno i contribuenti a dover pagare i danni provocati dalle corporazioni lasciate libere di inquinare a piacimento.
Gli Stati che prevedono controlli qualita’sul cibo importato, ad esempio sulla carne suina che puo’essere affetta da trichinellosi o trattata con agenti chimici sarebbero ugualmente bersagliati da cause, perche’ tali regolazioni aumentano i costi delle importazioni.
Gli Stati che non prevedono protezioni monopolistiche per i farmaci commerciali o i prodotti chimici, e consentono la vendita di farmaci generici, potranno pure essere denunciati dalle corporazioni per danni.
Inoltre, sotto il TTIP solntanto le multinazionali potranno denunciare. I sindacati invece non saranno autorizzati a denunciare ogni volta che i loro membri sono danneggiati dalla delocalizzazione del lavoro, e I cittadini non potranno denunciare quando la loro salute o le loro riserve idriche saranno messe a rischio dalle emissioni delle multinazionali.
Lo stesso Obama non ha parte nelle procedure. Ecco cosa sta succedendo: il rappresentante per il commercio USA e’ un complice delle multinazionali che serve le corporazioni private in cambio di un lauto salario di un milione di dollari l’anno. Le multinazionali hanno corrotto i leader politici di ogni paese per cedere la propria sovranita’ e il benessere generale dei loro popoli alle multinazionali estere. Le corporazioni hanno pagato ingenti somme ai senatori Americani per trasferire il potere legislativo che legittimamente appartiene al Congresso sempre nelle mani delle solite multinazionali.
Quando questi accordi di ‘’partnership’’ passeranno, nessuno stato che ha firmato avra’piu’ nessuna autorita’ legislativa di emanare leggi o far rispettare leggi esistenti che le multinazionali considerano avverse ai loro bilanci.
Il presidente che si e’ fatto eleggere con lo slogan ‘’change’’, promettendo cambiamento, sta portando per davvero il cambiamento: sta consegnando l’USA L’Europa e l’Asia alla legge delle multinazionali. Il primo presidente nero degli Stati Uniti sis ta dimostrando lo zio Tom delle corporazioni multinazionali: tutti e tutto ai proprietari delle piantagioni di cotone e niente di niente per gli schiavi.
Soltanto gente che si e’venduta la sua integrita’ per denaro potrebbe firmare accordi simili. A quanto pare la Merkel, vassallo di Washington, e’tra questi.
Stando alle notizie riportate, entrambi I maggiori partiti politici Francesi si sono venduti alle multinazionali, ma non il Fronte Nazionale di Marine Le Pen. Alle scorse elezioni Europee i partiti dissidenti, quali il partito della Le Pen o quello di Nigel Farage, hanno prevalso sui partiti tradizionali, ma I dissidenti non riescono ancora a prevalere nell’ambito dei propri paesi.
Con amara ironia, l’unico leader Europeo che ha parlato del problema e’ il segretario del Fronte Nazionale Francese (estrema destra) Marine Le Pen, che si oppone alla segretezza degli accordi per imporre la legge delle multinazionali:
“E’ di vitale importanza che la popolazione Francese sia al corrente dei contenuti del TTIP e le sue motivazioni, in modo da possedere gli strumenti per opporsi. I nostril concittadini hanno diritto a scegliere per il loro futuro, ad avere la possibilita’di scegliere un modello di societa’ che risponda alle loro necessita’ e non uno imposto dalle multinazionali in considerazione solo della loro avidita’ di profitto. I tecnocrati di Bruxelles sono venduti alle lobbies, e I politici dell’UMP (partito dell’ex presidente Sarkozy) sono subordinati a questi tecnocrati’’
E’ugualmente vitale sapere anche per la cittadinanza Americana, peccato che neanche lo stesso Congresso e’autorizzato a sapere.
Dunque, Com’e che funziona questa solfa di ‘’Liberta’e Democrazia’’ che noi Americani sosteniamo di avere, mentre nel frattempo ne’ la gente ne’ I suoi rappresentanti eletti hanno il partecipare alla stesura di leggi che consentono alle multinazionali di negare le funzioni legislative dei Governi e innalzare il motivo del profitto delle compagnie multinazionali piu’ in alto del benessere generale sulla scala dei valori?
Paul Craig Roberts
Fonte: http://www.informationclearinghouse.info
Link: http://www.informationclearinghouse.info/article42017.htm
1.06.2015
Traduzione per http://www.comedonchisciotte.org a cura di CONZI
Grazie, grazie davvero, anche se sembra che siamo già ben oltre qualunque possibilità di reazione, la speranza è l’ultima a morire. Teniamo accesa la fiaccola della fede in Dio e muoviamoci ognuno nei nostri ambiti con maggior consapevolezza.
Maria, a volte mi domando anch’io se esiste una sufficiente potenzialità di reazione, m ala risposta che mi do è la stessa che ha detto tu, agire nei propri ambiti con consapevolezza e preparazione senza stare a pensare quanto servirà e a che risultati porterà, questo non è possibile saperlo e non dipende da noi.