Tecnica, Ideologia e Società nel XXI secolo
La visione antropologica è alla base delle scelte di una società, e alla base di una determinata visione antropologica ci sono sempre più le affermazioni che la “scienza” fa sull’essere umano. Ma ogni discorso sull’Uomo non può prescindere da un approccio filosofico, ed è proprio questo tipo di analisi che si svolgerà sabato prossimo, 14 Marzo, a Roma in un convegno al quale saremo presenti come osservatori.
Ad organizzare l’evento sono il Circolo Proudhon e l’Intellettuale dissidente, due realtà sorte ad opera di un gruppo di giovani molto attivo nell’analisi dei fenomeni sociali contemporanei. Interessante anche la presenza di esponenti politici di aree contrapposte che porteranno il confronto sul piano concreto delle possibili scelte legislative. Si riporta di seguito il comunicato stampa diffuso dagli organizzatori.
Il XXI secolo segna il passaggio al “Muro del Tempo”, dell’epoca in cui un modello antropologico della società basato sulla famiglia e la filiazione naturale, affronta la sfida di quanti, dietro lo slogan dei “diritti civili”, ne propugnano il superamento se non addirittura l’abbattimento.
La visione fondata su un legame sociale che crea una nuova vita come atto d’amore, rischia dunque di cedere il passo a un processo di produzione del vivente, articolato sulla manipolazione genetica, che impone la Tecnica come sostituto della Natura, alimentandosi dalla superbia e dal potere economico di alcuni gruppi di pressione, veicolati come diritti.
L’uomo e la donna vengono dunque spersonalizzati e ridotti al rango di strumenti per la produzione di una merce: il bambino. Sul piano semantico invece, vengono stravolti i significati di parole come “padre” e “madre”, per trasformarle in termini burocratici, indicanti una funzione avulsa dal ruolo, propria delle nuove forme di famiglie fondate sulla produzione artificiale di un “figlio” a tutti i costi.
Le obiezioni che, da più parti, si levano verso questa deriva post-umana e i suoi relativi pericoli, vengono stroncate con l’arma di ricatto del “reato d’opinione”, e attraverso l’indottrinamento, a partire dalle scuole materne, della teoria del superamento degli “stereotipi di genere”.
La linea di resistenza è segnata, starà a ciascuno di noi decidere da che parte stare; certo non si potrà restare indifferenti in un confronto in cui è in gioco l’idea di uomo e, in estrema sintesi, il suo destino di poter essere libero e consapevole. Se ne parlerà al nostro convegno.
(Su Facebook: https://www.facebook.com/events/1606462489583455/ )
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8 commenti
Buongiorno,
credo che si tratterà di un convegno piuttosto interessante, e sarò curioso di apprendere i pareri e i resoconti degli osservatori di CS.
Vorrei solo permettermi di fare una piccola osservazione; partendo dall’ipotesi che la visione transumanista sia una degenerazione della percezione che l’Uomo ha di sé e della realtà, per la quale questi è svuotato di qualunque valore etico e spirituale (questo almeno secondo me), a mio dire è possibile affermare come tale medesima degenerazione sia l’effetto del fallimento di tutti i modelli antropologici precedenti, fra i quali includo, ovviamente senza voler fare qualsivoglia polemica di sorta, quello cristiano.
Detto questo, mi viene da pensare che il fallimento non sia insito tanto nel modello antropologico in sé, quanto soprattutto nel mero essere umano. Di qui, ne traggo il mio pessimismo verso l’Uomo, per la qual cosa è vano instaurare qualsiasi dialogo, e quasi l’atto stesso di comunicare (nel senso più grave del termine).
A tal proposito, chiedo dei pareri, e se i miei ragionamenti possano essere fallaci o ingiustificati (mirabilmente, riuscendo anche a farmi cambiare idea).
Caro Aljio nessun fallimento in quanto non c’è nessun modello ma solo la constatazione banale che tutti siamo nati da un padre e da una madre e questo con il cristianesimo non c’entra niente. Il fatto che non tutte le famiglie siano dei nidi accpglienti di amore e che la vita sia difficile neanche c’entra nulla anzi il cristianesimo ci ha sempre fatto notare quanto imperfetto sia l’uomo. I nuovi modelli di famiglia sono una minoranza irrisoria di pochi punti millesimali. Qui si tratta solo di contrastare il progetto di una elite di sradicare le persone facendole diventare massa amorfa e manipolabile di consumatori è la malattia terminale del capitalismo che non sopporta spazi liberi dallo scambio di denaro
Salve prof. Giuliani,
credo di essermi spiegato male: il mio discorso riguardava più generalmente il transumanesimo (a cui più o meno si riferisce l’articolo), e concordo con Lei nella constatazione di questa “malattia terminale del capitalismo”. Nel carattere generale del mio commento, ho assunto come la degenerazione dell’umanità nel transumanesimo non possa prescindere da un fallimento universale di tutte le manifestazioni di civiltà umana, che si esplica a mio dire (in parole povere) in un Male intrinseco alla natura umana.
Caro Alio, ma il guaio sono appunto diventate le elite. Io per ‘civiltà umana’ intendo l’insieme di pratiche, pensieri condivisi, credenze, arte, usi e costumi degli esseri umani ordinati in un certo intervallo di spazio e di tempo.
Se una percentuale risibile di autodefiniti ‘maestri di pensiero’ se ne esce con una idea bislacca ciò non implica che questo sia il ‘comune sentire’ di una popolazione in un certo periodo di tempo.
Insomma in tutte le epoche c’è stato qualche mago, alchimista, scrittore che ha immaginato Golem, robot, esseri intermedi e via discorrendo, senza che questo abbia influenzato più di tanto il resto della società. La ‘civiltà umana’ ha sempre incluso gli esseri umani in carne ed ossa e questi sono un miscuglio inestricabile di bene e di male, per cui non esiste nè fallimento universale nè successo universale.
Semplicemente ci sono degli invarianti (amore, odio, amicizia, gioia, dolore..) che vengono declinati in maniera più o meno ‘bella’ o ‘brutta’ in idee (e.g. sistemi filosofici), opere (e.g. musica, architettura, arte), azioni collettive (e.g. guerre, costruzione di opere benefiche come ospedali, enti di mutuo soccorso, educazione..).
Il problema nasce con la società di massa dove un piccolissimo gruppo di persone può o meno ‘fare tendenza’ grazie all’enfasi che si da ai loro prodotti, enfasi che trascende la loro iniziale rilevanza ma che ahimè potrebbe tendere a diventare ‘senso comune’ non tanto nei termini che tutti smettono di fare figli con il buon vecchio metodo ma solo che inizino a pensare che un figlio sia qualcosa che si possa comprare se solo se ne abbia il desiderio, questa notizia della madere che presta l’utero al figlio gay che ha il capriccio di diventare padre è inquietante:
http://www.scienzaevita.org/rassegne/de01d569c0ef1306812d581ac55486ff.PDF
non tanto perchè possiamo pensare che ora questa pratica soppianterà il solito vecchio metodo ma perchè insinua l’idea che si possa fare di tutto se ci si mette d’accordo tra ‘adulti consenzienti’ senza alcun pensiero sulla parte debole (il figlio).
Grazie della risposta.
Anzitutto, concordiamo sulla definizione di “civiltà umana” (concordare sulle definizioni è elementare).
Non sono d’accordo sul fatto che il comune sentire di una popolazione non coincida con quello degli individui dominanti, anzi reputo che l’influenza di questi ultimi sul suddetto sia un’accertata costante nella Storia. Ho mio malgrado appreso che la gente sappia pensare molto meno di quanto creda; di fronte alla comune difficoltà di formulare idee indipendenti, appare molto più economico lasciarsi trasportare (poiché si tratta solo di questo, lasciarsi volgarmente trasportare) dai fervori degli individui del gruppo sociale che appaiono più forti e potenti (si tratta ovviamente di un meccanismo inconscio, per cui tale scelta non è razionale, bensí istintiva).
Del fatto dei fallimenti universali e delle declinazioni degli “invarianti” nei varj tempi e luoghi, si tratta di punti di vista; Lei mi pare una persona realista, al contrario io vedo le cose in una prospettiva più fosca e rovinosa.
Concordiamo, infine, sulle problematiche che si presentano nella società di massa e del mercato (in effetti il contenuto del collegamento da Lei proposto turba anche me un poco), nonostante dal mio punto di vista, in linea generale, la “questione gay” sia talmente complessa da risultare (almeno a mio dire) indecidibile.
Martin Buber sosteneva che è possibile condurre profonde riflessioni antropologiche solo in quelle che lui chiamava “epoche senza dimora”, ovvero le epoche in cui l’uomo vive in una condizione di smarrimento dovuta alla perdita di punti di riferimento. Direi che questo convegno casca a pennello. Attendo anch’io eventuali considerazioni e/o spunti a margine da parte di qualche osservatore di CS.
Mi piace l’espressione “epoche senza dimora”, e semmai un’epoca è stata adatta a tale definizione è certamente questa in cui la perdita di punti di riferimento non è neanche percepita come tale. Sono molto curioso di sapere quale visione emergerà dall’incontro, ho in programma di andarci personalmente e ti farò sapere.
Grazie mille