Lavorando (mio malgrado) nel settore della tecnologia, ho l’opportunità di vedere ogni giorno come questo mondo, questo “modo di produzione”, per dirla con Marx, non stia creando solo una nuova società, bensì un nuovo ecosistema. La tecnologia è ormai diventata lo scheletro del moderno Capitalismo, la colonna portante di quello che oggi viene comunemente definito “business”, ovvero quella struttura teologica di fronte al quale tutti noi, volenti o nolenti, ci ritroviamo asserviti. Questa nuova “regola di vita” non ha solo modificato il modo di vivere delle persone, ma ha inciso profondamente anche sulle coscienze delle stesse; il business tecnologico ha forgiato un nuovo tipo di essere umano, un ente orientato al cliente anziché al prossimo, orientato alla cassa anziché alla vita. La realtà non è più manifestazione dello Spirito, come direbbe Hegel, ma è diventata manifestazione della Tecnica, in questa sede provocatoriamente menzionata con l’iniziale maiuscola.
Questa nuova struttura della realtà, ha creato, come si diceva all’inizio, un nuovo tipo di ecosistema, in cui tale ente assoluto si pone come principio regolatore di tutto ciò che esiste. La Tecnica, declinata nella sua manifestazione di “Tecno-Capitalismo”, ha sostituito l’Io Penso kantiano all’interno del soggetto; tutta la realtà oggi viene valutata ed ordinata in base a nuove categorie che l’Ente tecnico assoluto pone all’interno del nuovo essere umano. Termini come business, produttività, rapidità nella consegna, project planning, tempistiche, funzionalità, customer satisfaction, ecc… sono ormai diventati gli strumenti tramite cui giudichiamo, ordiniamo e conosciamo il mondo. Noi uomini tecnologici viviamo in un eterno, quanto drammatico, paradosso; l’ente Tecnica, ordinatore e regolatore incontrastato della realtà contemporanea, è una nostra creatura, di cui abbiamo completamente perso il controllo, concedendole così’ l’autorità sulle nostre vite e le nostre coscienze. A tal proposito, risulta quanto mai vera ed attuale un’affermazione contenuta nel “Manifesto del Partito Comunista” di Marx ed Engels:
“I rapporti borghesi di scambio e di produzione, i rapporti borghesi di proprietà, la società borghese moderna, che ha creato magicamente mezzi di produzione e di scambio così potenti, fanno pensare a quello stregone che non è più capace di dominare le potenze oscure che egli stesso ha evocato.” [1]
In questo ecosistema fuori controllo, tutto ciò che non è Tecnica è vittima di una sistematica opera di “epurazione”. Prendiamo, ad esempio, la cultura umanistica: sempre più insistenti sono le voci che vogliono soppiantarla ed eliminarla perché “non produttiva”. La Filosofia, l’Arte, la Poesia, la Teologia e tutte quelle forme che nel corso dei millenni hanno costituito l’impronta caratteristica della civiltà umana, ora sono viste come un ostacolo al business, perché distolgono l’uomo dal suo compito principale: la produzione.
Quello che i benpensanti asserviti al dominio del dio Tecnica non riescono a comprendere, è che, eliminando la cultura umanistica, si corre il serio rischio di far regredire la nostra società ad uno stadio primordiale. Questo perché, come spiega il Prof. Fiorenzo Facchini nel suo libro “Evoluzione. Cinque questioni nel dibattito attuale”:
“L’uomo è soggetto alla selezione naturale, ma è anche in grado di contrastarla mediante la cultura. Egli rappresenta una eccezione alle regole del mondo dei viventi, un paradosso dal punto di vista naturalistico, se viene inteso unicamente come il prodotto della selezione naturale.” [2]
E’ chiaro, quindi, perché l’abolizione della cultura umanistica, ovvero l’espressione della ragione, dell’immaginazione e dell’intelligenza spirituale dell’uomo, comporti una regressione della società; cancellando dalla mente e dalla coscienza dell’uomo tutto ciò che non è Tecnica, si aprono le porte al darwinismo sociale, ad un ecosistema in cui la selezione naturale non solo non è più contrastata, ma torna ad essere uno dei “fari” dello sviluppo sociale dell’umanità, che quindi esce da quella condizione di “eccezione” e “paradosso naturalistico” enunciata dal Prof. Facchini. Il dominio della Tecnica, infatti, ha tra i suoi valori fondanti l’accelerazione: occorre produrre sempre di più, sempre più velocemente, i prodotti devono evolvere sempre più rapidamente. Chi non è in grado di seguire questo incessante e frenetico divenire, è tagliato fuori, in primo luogo dal lavoro. Coloro che non riescono ad adattarsi ai vertiginosi cambiamenti della società tecnocratica, rischiano di soccombere; cos’è questa se non selezione naturale? Eliminare la cultura umanistica, significa in primo luogo rimuovere, soprattutto per ciò che riguarda la Filosofia, l’educazione all’esercizio della “ratio”, dello spirito critico, dell’autonomia di pensiero. Quando l’uomo smette di utilizzare la Ragione, cede il controllo della sua esistenza alla selezione naturale; questa diventa legge della società, che come detto si è trasformata nel frattempo in ecosistema, e il darwinismo sociale prende il sopravvento sull’etica (prodotto, evidentemente, della cultura umanistica): coloro che non riescono o non vogliono adattarsi al nuovo modo di produzione imposto dalla Tecnica vengono lasciati al loro destino.
L’uomo contemporaneo sta abbandonando sempre di più la sua natura di essere razionale per abbracciare quella di essere tecnico. Il ritmo imposto dalla società della Tecnica sembra non lasciare spazio a tutte quelle forme di esercizio della Ragione che hanno contraddistinto la nostra specie nel corso dei millenni ed hanno formato le basi della convivenza civile. Coloro che credono nell’importanza della cultura umanistica, devono quindi costantemente far sentire la loro voce, continuare nell’esercizio razionale della critica; torniamo ad essere uomini, nel significato più profondo che tale termine indica.
Bibliografia
[1] K. Marx, F. Engels – “Manifesto del Partito Comunista”, Ed. Giunti-Demetra, Cap. I, pag. 24
[2]F. Facchini – “Evoluzione. Cinque questioni nel dibattito attuale”, Ed. Jaca Book, Cap. II, pag. 48
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46 commenti
Su Avvenire di ieri c’era un bell’articolo di Sequeri su questo tema. L’ho cercato in rete per parlarne qui prima che uscisse questo post, ma non l’ho trovato. Forse qualcuno lo può rintracciare.
Sono fondamentalmente d’accordo su quanto ha scritto Nicola, però penso pure che la cultura è diventata un’industria e non so se rischia davvero di scomparire, piuttosto è stata ingabbiata nelle categorie e nelle prospettive dell’economia, ma è sempre in cerca di materia prima, ossia di autori e talenti per soddisfare una domanda che è cospicua anche se magari al momento forse non è più crescente (anche a causa della crisi).
Ovviamente il rischio dell’industria culturale è quello di produrre tante mediocrità che rispondono al mercato e poche eccellenze rispetto al passato.
La ringrazio, Muggeridge, per il suo commento e le sue considerazioni. Ha perfettamente ragione quando parla di “cultura industrializzata”; questa crisi della Ragione che soccombe alla tecnica, e quindi all’industria, che ho cercato di illustrare nel mio articolo, ha senz’altro investito, a suo modo, anche la cultura umanistica, proiettandola verso prospettive puramente economiche. Questo è un tema oltremodo ampio e complesso, che sicuramente andrebbe affrontato; la ringrazio per il prezioso spunto che ha fornito.
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Molto bello Nicola, complimenti ! Una vera frustata e aggiungo che l’enfasi sulla tecnica non solo spazzerà via le materie umanistiche (cosa che è già avvenuta, basta farsi un giro nelle nostre facoltà di Lettere e Filosofia dove molti insegnamenti sono diventati poco più che un vago indottrinamento politically correct) ma anche la scienza di base (cosa farne se tutto sommato abbiamo solo bisogno di un restyling a minor prezzo dell’esistente o addirittura solo di un’operazione finanziaria ?). Già l’arte come via alla conoscenza era stata ‘messa a posto’ più di un secolo fa con l’insulso motto dell’ ‘Arte per l’Arte’ (che corrisponde alla sua totale inutilità).
C’è però una speranza, insomma verrebbe da dire, ‘il diavolo fa le pentole ma non i coperchi’, che una tecnica ‘cieca’ dopo un pò smetta di funzionare e ci richieda un supplemento di fantasia e di innovazione creativa : la ‘tecnica economica’ già ha smesso e altre tecnologie girano sostanzialmente a vuoto (si veda la sostanziale mancanza di nuovi farmaci)) e l’esplorazione di nuove e inusitate tecnologie apre orizzonti di scienza ‘nuova’ (es. le nanotecnologie ci stanno costringendo a rivedere molte delle nostre idee fondamentali sul mondo). D’altro canto gli esseri umani non riescono a sopportare per molto il carico di tristezza imposto da un orizzonte di senso chiuso..si tratta di vedere come questa domanda prenderà forma, già ora si prospettano forme impressionanti (aumento delle malattie mentali, diffusione di droga e alcool, disturbi di comportamento..) ma anche incredibilmente luminose (seria ricerca spirituale, impegno nel volontariato, nuove consapevolezze sociali e politiche..). Tutto si muove molto in fretta e l’idea generale che mi sono fatto è che le carte sono ancora tutte da giocare…
La ringrazio davvero molto per l’apprezzamento, Prof. Giuliani, e per le sue interessantissime considerazioni. L’idea che mi sono fatto personalmente è quella di una forbice che separa quella che io definisco la “sfera esteriore” della società dalla “sfera interiore”. Mi spiego meglio; credo che una larghissima parte della società, formata da studenti, ricercatori, lavoratori, insegnanti, insomma tutto quello che riguarda “l’ossatura” della nostra comunità, ovvero la “sfera interiore”, stia andando nella direzione di quella speranza di cui lei ha parlato nel suo intervento; c’è sempre più voglia di combattere questa tecnica soffocante e di tenere viva la critica razionale di cui ho parlato nel mio articolo. Dall’altra parte, invece, la “sfera esteriore”, ovvero quella composta dai media, da una certa politica, da un certo tipo di imprenditoria e da una parte consistente del mondo accademico, sta correndo nella direzione opposta, ovvero quella che io contestato nel mio articolo e che rischia di condurre la società ad un livello primordiale. Credo che sia in atto un conflitto di questo tipo. Cosa ne pensa?
Penso che sia proprio come dici e che tutti i tentativi per richiudere la forbice siano da perseguire con grande impegno sia per il bene della società che per la nostra salvezza.
A volte basta poco torno da un corso di statistica intensivo che tengo da vari anni a studenti e dottorati che si basa proprio su questo.
Buonasera,
mi complimento anzitutto con Nicola Terramagra, il quale, mi pare di capire, ha per la prima volta contribuito al dibattito su CS (proprio di recente si è fatto avanti il giovane utente htagliato con un articolo altrettanto interessante).
Vorrei chiedere proprio un parere del sig. Nicola a questo proposito: si parla di “civiltà di vergogna” per riferirsi al prospetto antropologico della Grecia presocratica, fondato sull’onore e sulla definizione dell’individuo che parte dal gruppo; analogamente, dicesi “civiltà di colpa” di quel prospetto che, anticipato da Socrate e sviluppato per tutto l’ellenismo, trova il suo apice nella cultura cristiana, ed in cui l’individuo è definito anzitutto da sé stesso e dalle sue azioni (meritevoli o meno).
Nel definire dunque la società Occidentale contemporanea, così fondata più o meno su questa forma di darwinismo sociale, in cui l’individuo è definito in base alla sua utilità economica e materiale alla stregua di una bestia o di un oggetto, potremmo parlare, a Suo dire, di “civiltà di inadeguatezza”?
Spero di non essere semplicistico.
Buonasera Alio Alij, la ringrazio innanzitutto per i complimenti e per il suo intervento. Seguo il blog del Prof. Pennetta già da tempo, ma in effetti questa è la prima volta che intervengo così direttamente nel dibattito. Provo a rispondere al suo quesito, lasciando comunque aperta la questione anche agli altri utenti i quali potranno sicuramente integrare il mio intervento con contributi più esaustivi. Il concetto che lei ha espresso, di “civiltà dell’inadeguatezza”, mi pare che renda molto bene la condizione in cui versa la nostra società occidentale. Il parametro che determina l’adeguatezza o l’inadeguatezza di un individuo nei confronti della comunità è, come giustamente lei ha sottolineato, il suo “valore economico”; in tal senso, ancora una volta la critica al Capitalismo di Marx ci può aiutare a comprendere ottimamente ciò che sta accadendo nella nostra civiltà. L’individuo, oggi, è prima di tutto forza lavoro, merce di scambio professionale, strumento di arricchimento; assistiamo ad un totale svuotamento antropologico dell’uomo, sia come individuo che come persona. Forse, ecco, il concetto che accosterei a quello da lei enunciato è quello di “civiltà della maschera”, riprendendo il concetto di “prosopon” di derivazione greca. Tale concetto, nella civiltà antica, indicava la maschera teatrale, l’attore che impersona un determinato ruolo. Utilizzando tale concetto, il filosofo Epitteto paragonava la vita degli uomini ad una rappresentazione teatrale; noi, cioè, non siamo altro che attori che recitano un ruolo assegnatoci da qualcun altro. Questo credo che renda bene l’idea di cosa sia il nostro tempo; la nostra società ci assegna un ruolo, una maschera, e noi, per essere riconosciuti dalla società stessa, dobbiamo interpretarlo. Siamo quindi valutati in base al ruolo che ci è stato assegnato, nel caso specifico del “valore economico” che ci identifica nel processo produttivo. Ovviamente, il nostro compito è quello di sottrarci a questa “assegnazione” e di diventare titolari del nostro ruolo all’interno della società. Mi scuso per la lunghezza dell’intervento, spero di essere stato chiaro. Lascio naturalmente aperta la discussione in merito al tema da lei proposto.
La ringrazio della risposta. Apprezzo il Suo concetto di “civiltà della maschera”, il quale, credo, per il suo carattere generale, può adattarsi a varie situazioni, oltre all’odierna citata. Concordo anche nel valore dell’autodeterminazione individuale dello spirito, nonostante si nota come una larga parte della popolazione occidentale si trovi complessivamente ben inserita in questo meccanismo (in tal senso, sono molto più pessimista del professor Giuliani).
Un articolo molto stimolante. Benvenuto, Terramagra, in CS, tra gli articolisti critici, radicali e tosti, come solo i giovani possono essere. Spero di leggere ancora tanti Suoi articoli.
Le vorrei porre una domanda. Dal mio punto di vista la tecnica è uno strumento, buono o cattivo secondo l’uso che ciascuno di noi ne fa. Non sarebbe più “ragionevole” allora individuare nel sistema economico-finanziario globale, che ha asservito anche la cultura e i media, piuttosto che nella tecnica, la vera fonte delle ingiustizie sociali e delle guerre?
Buonasera Prof. Masiero, la ringrazio moltissimo per il benvenuto e per l’intervento. Per quanto riguarda la sua domanda, ritengo che la questione da lei posta sia quantomai centrale e decisiva; credo anch’io che il sistema economico-finanziario sia la fonte primaria di guerre ed ingiustizie sociali, ma ritengo altresì che la tecnica, declinata nella sua accezione più specifica di “tecnologia”, abbia contribuito e contribuisca tutt’ora in maniera determinante all’inarrestabile scia di ingiustizia che il sopra citato sistema continua a perpetrare. A tal proposito, le riporto un’esperienza personale. Per qualche tempo, ho lavorato in un centro elaborazione dati attivo proprio nel settore finanziario; questa azienda, si occupa di progettare, sviluppare e mantenere parte del sistema informativo bancario. Ebbene; in quegli anni di lavoro, mi sono reso conto che, in fin dei conti, è proprio grazie alla tecnica che il sistema economico-finanziario, di cui le banche costituiscono l’attore protagonista, può espandere il proprio dominio. Ed è stata proprio questa presa di coscienza che mi ha portato alla decisione di cambiare lavoro. Certamente, come giustamente lei dice, è l’uso che ciascuno di noi fa della tecnica a determinarne i suoi effetti; credo però che senza la tecnica, il sistema economico-finanziario avrebbe quanto meno qualche problema in più da affrontare e qualche agio in meno di cui poter usufruire. Cosa ne dice?
Prima di tutto, intendiamoci sui termini. Non esiste la tecnologia, esistono tecnologie specifiche (nucleare, informatica, tlc, chimica, ecc.), e la tecnica è l’insieme di tutte le tecnologie.
Detto ciò, io penso che non esista una “tecnica senza ragione”, perché è sempre la ragione che produce (attraverso la scienza naturale) e usa (attraverso il denaro) la tecnica. Solo che la tecnica può servire la ragione di un uomo per asservire un altro uomo, o servire la ragione di un uomo per liberarsi dalla schiavitù di un altro. Una volta i potenti usavano archi e coltelli, adesso usano informatica e droni. Ma anche chi gli si oppone usa gli stessi strumenti!
Insomma, dal mio punto di vista, il problema non è la tecnica, ma l’etica, che vuol dire la responsabilità personale di trattare l’altro come se stessi, usando a fin di bene tutte le tecnologie, nessuna esclusa.
Grazie ancora di questo bellissimo articolo.
Grazie a lei per aver preso parte al dibattito sull’articolo. Prendo il suo ultimo commento come un prezioso spunto di riflessione e di arricchimento personale per il futuro, magari per ulteriori articoli in merito.
Mi unisco al benvenuto a Nicola che conosco da tempo, anche se non di persona.
Riguardo al discorso sulla tecnica mi sento anch’io di porre l’accento sull’etica che utilizza la tecnologia più che su quest’ultima, prendendo ad esempio come spunto l’esperienza nei software per le banche, è la volontà di impiegarli per estendere il dominio delle banche ad essere negativo, non la possibilità in sé di usare dei software.
Volendo semplificare siamo al vecchio discorso sul coltello buono o cattivo in base al fatto che ci sbucciamo una mela o lo piantiamo nella schiena al prossimo, una versione più moderna è la Dinamite di Nobel o la fissione atomica che possono servire per fare il canale di Suez o far saltare in aria un avversario politico, e per fare una centrale elettrica o uccidere i 180.000 di Hiroschima.
Siamo sempre e solo noi in ballo quando si tratta di “bene” e “male”, il resto sono solo strumenti.
Ciao Enzo, innanzitutto grazie per avermi concesso questo spazio su CS e per essere intervenuto nel dibattito. Sono chiaramente d’accordo nel porre l’accento sull’etica e nel non demonizzare tout court la Tecnica (ambito di cui, come ricordavo all’inizio dell’articolo, in fin dei conti io stesso faccio parte). Colgo l’occasione del tuo intervento per fare luce su un punto su cui probabilmente non sono stato sufficientemente chiaro. Quando nell’articolo parlo di Ragione, intendo anche la ragion pratica, ovvero il dominio dell’etica e della morale. In fin dei conti, la Filosofia (e la cultura in generale) non è solo esercizio della ragion pura; si vedano, a tal proposito, tutte le tematiche e le domande relative alla Filosofia Morale. Quando dico che l’uomo cede il passo alla selezione naturale nel momento in cui smette di utilizzare la Ragione, intendo proprio questo; la deriva di una società dominata dalla Tecnica, può essere arginata proprio se l’uomo trova la forza di tornare a porsi quelle domande che lo hanno contraddistinto nel corso dei millenni. E in quelle domande, ovviamente, rientrano prepotentemente anche le questioni etiche. Rimango convinto del potenziale “oscuro” della Tecnica, ma sono altrettanto convinto dell’importanza del ruolo dell’uomo nel dominarla. Come ho scritto nell’articolo, la Tecnica è una nostra creatura su cui abbiamo perso il controllo. Solo tornando a porre l’accento su quelle domande etiche a cui tu facevi riferimento, e quindi tornando ad essere realmente uomini, potremo far rientrare “nei ranghi” questo strumento ed utilizzarlo per il bene della società. Chiedo scusa se sono risultato poco chiaro in questo passaggio e ti ringrazio per le preziose riflessioni che hai fornito.
Chiedo scusa se insisto, Terramagra, ma io non penso affatto che “abbiamo perso il controllo sulla tecnica”. Secondo me, è la maggioranza delle persone che ha perso il controllo su una minoranza che usa (anche) la tecnica per sopraffare la maggioranza.
Un po’ la storia da Caino ad oggi, con la tecnica a fare da strumento (techné = strumento) della volontà di potenza (e di liberazione).
La tecnica è limitata e controllabile. Non dimentichiamolo mai, altrimenti rischia di diventare un alibi alla rassegnazione.
Avendo una laurea in economia non posso astenermi dal chiedere di non demonizzare l’economia tout court, al limite lo si può fare con la finanza che non è esattamente un sinonimo di economia. L’economia è da intendersi come neutrale, ossia se analizza la realtà della produzione, degli scambi e dell’utilizzo delle risorse per descriverla o anche per ottimizzarla non può che far del bene all’uomo. Il rischio nasce quando teorizza sistemi economici da conseguire con la cooperazione e/o la costrizione di molti. Rischio non vuol dire che inevitabilmente diventi ideologia, ma che rischi di diventarlo e storicamente lo è anche diventata. Il padre della moderna economia politica liberista, Adam Smith, ha convertito involontariamente all’agnosticismo e all’ateismo molta più gente di quanta ne abbia potuto convertire il darwinismo; questo perché ha mostrato come l’egoismo dei singoli porti al bene comune e arricchisca le nazioni. Credo che da lì parta il “gene egoista” di Dawkins. Anche in economia la domanda che bisogna farsi è simile a quella che sta alla base dell’inizio dell’evoluzione, ossia perché dedicare la vita a perseguire dei fini economici al di là della necessità di sopravvivere ? Diciamo che si vive in questo paradigma sin dai tempi di Smith: facendo i nostri interessi facciamo gli interessi del Paese, della collettività a cui apparteniamo (e forse del mondo intero se le nazioni non fossero in concorrenza tra loro). E’ uno scopo finale stimabile, anche se forse un po’ ipocrita e non molto cristiano (cattolico ancora meno). Fatto sta che uno scopo c’è e a questo sacrifichiamo sostanzialmente le nostre vite non essendoci davanti obiettivi ultraterreni che possano giustificare questo lungo impegno totalizzante. Si finisce così per concepire l’uomo al servizio del sistema economico, mentre dovrebbe essere esattamente il contrario. Personalmente ritengo che un’altra economia sia possibile e che questa crisi potrebbe forse essere utile per andare nella direzione in cui l’uomo sia centrale e l’economia sia al suo servizio. L’economia andrebbe costruita intorno ai bisogni dell’uomo partendo da quelli essenziali per arrivare, se si è capaci, alle cose meno essenziali. Lo stato può regolare l’economia assegnando delle priorità senza che si cada nel solito fallimentare statalismo, questo significa anche ridare alla politica il potere di utilizzare l’economia e non di esserne utilizzata. E’ innegabile che i sistemi misti come quelli (nord) europei si siano rivelati i più efficaci nel migliorare il benessere e la cultura globali della popolazione, il problema nasce semmai quando si raggiunge il benessere, un buon livello culturale e la sicurezza e si iniziano a innescare meccanismi autodistruttivi dello stesso sistema che ha portato a questi conseguimenti. Si diventa sazi e spesso disperati o assuefatti come animali che si siano autoallevati senza avere grandi ideali e obbiettivi, ma giusto per prolungare lo stato di benessere indefinitamente. A questo punto non si lavora più per un futuro migliore per se stessi e per i propri figli, perché i figli diventano un ostacolo al proprio benessere immediato e si evita di farli, piuttosto si lavora per poter assaporare un coppa in più di champagne prima che il Titanic si inabissi.
“Si finisce così per concepire l’uomo al servizio del sistema economico, mentre dovrebbe essere esattamente il contrario” – Ha centrato esattamente il punto, Muggeridge; questa è proprio la “malattia economica” che infesta il nostro tempo e per cui, a mio avviso, non siamo ancora riusciti a trovare una cura efficace. Grazie mille per le sue osservazioni.
Grazie a lei Nicola, per aver dato modo di dibattere su questi temi importanti con il suo articolo.
Mi spiace che in rete non si trovi l’analogo intervento di Sequeri. Per questo ho ritagliato il pezzo da Avvenire prima che andasse perduto del tutto e ho visto che si tratta proprio dell’introduzione a un convegno di studio dal titolo: “La tecnica e il senso. Oltre l’uomo ?” in preparazione del convegno CEI di Firenze 2015 sul “nuovo umanesimo”. Questo convegno si terrà oggi, 24 Febbraio, nella sala della Facoltà di Teologia dell’Italia settentrionale di via Cavalieri del Santo Sepolcro 3 a Milano.
Scusate l’OT, ma, Enzo: se lei mi rivolge una domanda (per altro con un paio di imprecisioni piuttosto gravi), non pensa sarebbe il caso di concedermi una risposta, prima di chiudere i commenti?
La censura (ancor piu’ se preventiva) e’ incompatibile con una discussione scientifica o filosofica. Per me, se la censura imposta da Enzo perdura, non ha senso intervenire ulteriormente. Sara’ per i lettori abituali piu’ confortevole avere una voce dissonante in meno.
Venerdi ti ospito nel mio post se nn trovi asilo prima. Cs non fa gare a chi ha l’ultima parola ma arricchimenti reciproci. A presto, Max
Non richiedo asilo, Max, grazie comunque. Intervenire qui si inserisce in una economia di tempo gia’ molto oberata dalla ricerca, dall’attivita’ di comunicazione scientifica, dall’insegnamento e dalla vita privata. Se il “padrone di casa” mi rivolge una serie di domande critiche, e poi chiude velocemente i commenti prima che io possa rispondere, deduco che non vi sia interessa al mio contributo, ma solo mal celato fastidio. E tolgo il disturbo.
GVDR, aspetta la campana di Pennetta… Ho notato che ultimamente interviene assai poco, lascia fare. Immagina come non sia facile gestire bene e a livello dignitoso il tutto, la fatica esiste per tutti… Vedrai che ti risponderà, e chiarirà l’arcano… come ha sempre fatto del resto, anche solo per dire un semplice e scontato grazie, o per un salutino… Dev’essere un fatto contingente che ha fatto sorgere questa questione minima… Sentiamo cos’ha da dire il prof.
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E a te dico che ritirarsi può essere legittimo, ma intervenire in CS è diventato parte della nostra vita, tra qualche giorno ti pentirai di aver detto che te ne vai…
Credo ci sia un lock automatico ai commenti, non credo fosse voluto… cmq era diventato impossibile da seguire.
Sì, ragazzi, effettivamente il prof. Pennetta sta cambiando stile… Sempre attento, per carità, ma sicuramente anche un po’ “distante”…
I commenti si chiudono con un’impostazione automatica, al momento WordPress è settato su 7 giorni.
Dovrebbe conoscere certi meccanismi GVDR, mi sorprende quest’ultima frase un po’ vittimistica.
Giuseppe, ormai hai una lunga esperienza delle dinamiche che si svolgono qui e non mi sorprende che tu abbia compreso perfettamente la situazione. Magari la vita fosse solo quella di un platonico Simposio dove un gruppo di amici filosofeggia, la realtà molto più prosaicamente ci mette davanti montagne da scalare e quindi la chiacchierata sui massimi sistemi anziché in un salotto (o seduti all’osteria se preferiamo) te la devi fare di corsa, col fiato corto mentre ti arrampichi su una mulattiera pure scivolosa.
Aggiungo che mi sembra anche abbastanza evidente che sono diminuiti non solo gli interventi ma i miei articoli, infatti c’è qualche “buco” nella pubblicazione giornaliera nonostante i contributi di autori sempre più numerosi.
Come giustamente osservato, anche perché il livello del confronto è spesso impegnativo e comporta un investimento di tempo e fatica, quindi replicare a tutti gli interventi può significare la differenza tra il mettere un articolo il giorno dopo o saltarlo, e ovviamente spesso scelgo la prima opzione, specialmente sapendo che ci sono altre persone che possono egregiamente sostenere le posizioni che anch’io condivido.
Così vanno le cose al momento.
Devo le mie scuse a Enzo. Avendo visto chiudere i commenti subito dopo la sua domanda, me la sono presa. Sbagliando. E, dato che la domanda di Enzo prefigurava il post di Max, risponderò ad entrambi in quello. Di nuovo, spero che Enzo accetti le mie scuse.
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Che sia stato il caso o la predeterminazione a far cadere i due eventi (la chiusura dei commenti e le sue domande) in tale scomoda sequenza?
Il lavoro che stai svolgendo su Cs è veramente ottimo GVDR come anche lo sono le repliche di Enzo e di tutti gli altri amici(senza dimenticare Greylines).
Mi meraviglia(sono stato assente negli ultimissimi giorni)che tu scriva che qualcuno di censura.
Se ti riferisci a Darwinismo,evoluzione,epigenetica ad oggi con 192 commenti,ti posso dire per (modestissima)esperienza che a un certo punto Enzo interrompe i commenti(senza tappare la bocca a nessuno) e comunque dopo varii giorni di colloquio.
Il dibattito che porti in casa Cs è anche un buon pro-memoria per gli interessati alla tematica dell’evoluzione,tu in fondo rappresenti(chiaramente assieme a tanti altri)la Voce del Darwinismo,diciamo pure ufficiale.
E il principio fondamentale per noi Alla Ricerca(della possibile)Verità è affrontare e valutare tutte le opinioni possibili,dunque grazie ad entrambi per l’encomiabile lavoro.
Diamoci appuntamento al primo di marzo ed ai giorni seguenti per seguire l’articolo di Enzo o di chi vorrà delucidarci sul contenzioso Creazionismo,Id e Club di Cs e sul loro posizionamento nell’ambito scientifico e filosofico.
La ringrazio, Prof. Masiero, per il suo intervento, sono contento di aver stimolato il dibattito anche su opinioni contrastanti. Ho colto la sua riflessione e concordo parzialmente. Certamente la tecnica è limitata e controllabile; credo però che l’uomo moderno, ogni tanto, se ne dimentichi. L’articolo voleva proprio essere uno stimolo a recuperare questo dominio (e qui il punto su cui non siamo d’accordo), cancellando ogni alibi sulla tecnica incontrollabile che lei giustamente citava. Non nego di avere una visione più pessimista della Sua, che deriva probabilmente da quello che vivo ogni giorno (seppur, ovviamente, la mia esperienza sia assolutamente limitata, quasi insignificante se vista in una prospettiva più ampia). Ho colto comunque la sua linea e ne farò sicuramente tesoro per recuperare un po’ di ottimismo in merito, ed anche, eventualmente, per riflettere maggiormente sulla possibilità di rivedere la radicalità della mia opinione. Grazie mille.
Concordo con gli effetti, concordo sul fatto che la tecnologia possa essere usata per ghettizzare gli ignoranti (mi si perdoni questa frase). Pero’ io vedo anche la solita tecnica tipo “se diamo piu’ soldi alle universita’, finiscono ai baroni, se togliamo soldi all’universita’ li togliamo agli studenti”, cioe’ una situazione in cui si perde sempre. Tradotto: se la tecnica o tecnologia fosse un vero discriminante, allora i grandi tecnici-tecnologi dovrebbero essere avvantaggiati. Ma questo non e’ vero. Quindi, si’, la tecnica e’ usata come randello, pero’ non vedo nulla di rapportabile ad una “selezione naturale”. Vedo piu’ adatto un parallelo col peccato originale (altra tecnica dove si perde sempre).
Non che l’articolo voglia sottintendere il contrario, ma ci tenevo alla precisazione, non c’e selezione del piu’ adatto, e’ solo una “tassa”, e’ solo un nuovo idolo (mica tanto nuovo) dinnanzi al quale dobbiamo essere tutti sottomessi, indipendentemente da quanto padroneggiamo tale idolo. Non c’e’ selezione del piu’ forte, di chi si adatta meglio all’ambiente “tecnico”. C’e’ invece la decisione di un gruppo di “forti a priori” che usano lo strumento della tecnica, a mio avviso perche’ e’ facile nasconderlo alle critiche della “massa ignorante”.
Questo infatti e’ uno dei motivi che mi ha spinto a prendere una laurea nelle discipline informatiche: evitare di farmi fregare dal “nuovo che avanza”. Ma ho scoperto che il “nuovo” non discrimina in base ai piu’ adatti bensi’ in base ai piu’ potenti. Insomma al solito abbiamo una ingegnerizzazione sociale operata dal potente, che viene spacciata come selezione del piu’ adatto.
Per fare un parallelo stiracchiato, penso ai vari indici economici: non c’e’ speranza, c’e’ sempre un indice che autorizza qualche “genio dell’economia” a buttare “letame e pessimismo” sulla societa’, il che rivela che questo e’ lo scopo, non la conseguenza.
Caro Fabio hai del tutto ragione, credo che il guaio sia stato quando a qualcuno è venuto in testa di pensare che il ‘dominio dei più acculturati (informati, specializzati, scienziati..a piacere)’ fosse da preferire al puro e semplice dominio del figlio del re (conte, marchese, duca..)’. Sulle prime sembrò una buona cosa (diamine anche il figlio del contadino se studia..e poi magari ci sono organizzazioni di sapienti ‘buoni’ che possono prendersi a cuore la causa dei poveretti)..alla lunga si è rivelato una catastrofe.
Il potere dinastico era legato alla pura casualità (che tipo veniva fuori dai lombi della regina) e comunque aveva dei contrappesi (anche il re, magari obtorto collo doveva andare in chiesa e beccarsi qualche reprimenda dal potere ecclesiastico che a sua volta dipendeva per la parte hardware del potere, cioè le armi, dal re.., non è un caso che poi alcuni sovrani si siano dichiarati protestanti e fatti una Chiesa a loro prona..), anche il sistema del ‘potere degli esperti’ aveva un tempo dei contrappesi ma più fragili, sono durati pochi decenni (partiti politici, sindacati..) e ora che non ci sono più sono guai amari…..
Questa invereconda ‘storia del mondo in dieci righe’ per dire che le varie tecnologie sono di questi tempi il principale instrumentum regni da associare all’esposizione dei divi e delle dive dello spettacolo come modello di vita (essi si occupano del lato ‘morale’ del potere).
Mi piace pensare che una speranza di libertà possa venire solo minando all’interno questi due aspetti (ugualmente importanti) del potere: tecnica e spettacolo, da parte di istanze differenti…
Veramente interessante il discorso dei contrappesi. Mi viene in mente il discorso fatto sugli schiavi afroamericani liberati: sono passati da una vita da schiavo alle dipendenze del padrone (per sussistenza e lavoro) ad una vita da schiavo alle dipendenze del padrone per il solo lavoro (alla sussistenza dovevano invece pensarci da soli).
O al discorso sul passaggio da regno a democrazia: passare dall’essere schiavizzati da altri ad essere schiavizzati da se’ stessi.
Se dette cosi’ queste sono infatti un po’ delle esagerazioni, e’ pero’ vero che ci sono dei pattern comuni: i contrappesi!
E col sistema dei partiti politici e sindacati degli ultimi decenni, io trovo che la vera grande differenza e’ che chi comanda non deve manco piu’ fare lo sforzo dell’apparenza. Una volta, almeno, se una notizia “pericolosa” arrivava a galla erano guai seri. Ora non piu’, ora non c’e’ neanche piu’ bisogno della facciata (il contrappeso).
Appunto, “la scienza ci dice che abbiamo ragione quindi non dobbiamo stare a spiegare nulla”.
Che e’ il tipico atteggiamento tenuto dai troppi (anche qui ne siamo pieni) che appunto trasformano tutto in scienza. Perche’ vogliono trasformare tutti i loro pensieri in oggettivi e coercitivi.
Molto illuminante, grazie!
Grazie a te Fabio comunque non è mia ma di Pascal che prevedeva qualcosa che sarebbe successo secoli dopo..io ho solo registrato la storia secondo il suo schema.
Di fatto lui diceva che l’unico potere oggettivo è la forza delle armi per cui i soldati non si mascherano da qualcos’ altro per affermare la loro potenza mentre i magistrati ad esempio si mascherano da sacerdoti (ancora lo fanno mutuando termini come rito dalla liturgia e alzarsi in piedi all’arrivo della corte ecc..
Dai tempi di Pascal però molte cose sono cambiate lui non si sarebbe immaginato il potere degli uomini e donne di spettacolo e la necessità per i politici di mascherarsi da attori e sarebbe trasecolato da guerre mascherate da azioni di pace.
Grazie mille Fabio e Prof. Giuliani per i vostri ultimi interventi, davvero molto stimolanti.
Grazie a te Nicola per avere messo il dito nella piaga un unico rammarico se mi posso permettere ( e mentre lo scrivo mi domando se è lecito giudicare le passioni altrui ) è che un tema come questo che è di una urgenza unica mobiliti molto meno di una disputa accademica sulla casualità delle mutazioni.
Beh perche’ quando non si dicono castronerie evidenti e inequivocabili non c’e’ molto da mobilitarsi ;).
(Oddio quella del Prof. Facchini castronata lo e’, ma pazienza… Non ho letto il libro non mi pare il caso di montare crociata su una frase decontestualizzata e la contestualizzazione nel presente articolo mi soddisfa…)
L’impeccabilita’ di un articolo di slancio giovanile con tanto Marx desta sorrisi e ammirazione, ma di certo non urgenza e mobilitazione 🙂
Ovviamente per me la frase del prof. Facchini è tutt’altro che una castroneria. Penso che Andrea sappia chi sia Facchini e penso che non debba leggersi tutto il suo libro per capire il significato di quella frase.
La questione che sta alla base dell’intervento di Facchini è appunto il salto ontologico dell’evoluzione con la comparsa dell’uomo ed è poi quella più importante, ossia, va bene che esista qualcosa al posto del nulla, passi quindi l’abiogenesi, passi l’evoluzione della vita, passi pure la macroevoluzione, ma non passi che l’uomo rappresenti qualcosa di speciale in tutta questa storia. Con l’uomo compare l’essere che riassume la storia stessa (sta nei fatti e sta nel fatto che siamo qui a parlarne, gli altri primati non pare lo facciano…) e in pratica la supera.
Quella frase sembra presuppore una visione statica della selezione naturale, come se fosse una legge granitica contro cui l’uomo si slanci oltre unico che e’ sbagliata.
Anche gli uccelli, per dire, non e’ che seguono rigidamente la selezione naturale, i loro piumaggi colorati non sono vantaggiosi dal punto di vista della selezione naturale.
Idem per altre situazioni nel mondo animale, che gli animali non abbiano entita’ storica e’ una tua assunzione alquanto primitiva. Senza tirare in ballo i primati, il cui sviluppo tribale e’ piuttosto sofisticato (al punto da utilizzare innovazioni tecnologiche e magari rigettarle in base a meccanismi sociali, ad esempio se sono inventate e proposte da individui femminili), perfino le formiche evolvono e il formicaio ha un’evoluzione “culturale”. Alcuni formicai iniziano ad allevare, altri no. Alcuni sono molto guerriglieri, altri no. Ognuno ha attitudini diverse nei confronti del foraggiamento di cibo che dipende dalla sua storia passata.
Che l’uomo sia particolarmente accentuato questo processo e’ ovvio, che sia ontologicamente unico e’ sbagliato invece.
Di nuovo non conosco il contesto del libro, ma e’ un discorso delicato che in quella frase sembra fatto a fette molto grosse, cosi’ come nel tuo commento muggeridge, a differenza dell’articolo in questione quindi non vedo perche’ farne polemica.
Che [l’uomo] sia ontologicamente unico è sbagliato: che sicurezza, Idini! da quando l’ontologia appartiene alla fisica, o alla biologia?
La vera questione è: che cosa è l’uomo? Solo quando Lei e Facchini aveste concordato sulla risposta, potreste chiedervi se è “sbagliato” o no parlare di salto nell’evoluzione.
“da quando l’ontologia appartiene alla fisica, o alla biologia?”
Da sempre, basta saperne abbastanza di filosofia, e/o di fisica.
http://www.phme.it/blog/2014/12/07/minimo-pratico-la-necessita-della-pratica/
Beh, facciamo polemica se non altro per onorare l’articolo in questione dal momento che è stato fatto notare che non ha suscitato molti commenti appassionati.
Le posizioni di Facchini le dovresti conoscere, quindi il pensiero primitivo che attribuisci a me è anche il suo, ossia quello di un paleoantropologo di spicco. Peraltro a me pare primitivo piuttosto pensare che gli animali possano ricostruire una storia come facciamo noi. Quanto alla “cultura”, mi è noto da decenni che questa viene attribuita anche ad alcune specie animali, ma si tratta comunque di un base elementare che appunto evidenzia proprio il salto ontologico che avviene con la nostra specie. O vogliamo arrivare a credere che con quella loro “cultura” gli animali classifichino anche la nostra…? Qualcosa del genere lo credono i bambini e appunto qualche primitivo… 🙂
Riporto un altro estratto dal libro del Prof. Facchini, capitolo “L’Identità dell’uomo”, che secondo me esemplifica bene uno degli aspetti del suo concetto di “salto ontologico”:
“Il divario ontologico non comporta separazione, ma distinzione sul piano dell’essere, con interazione o interfaccia tra sfera biologica e sfera mentale. […] Resta difficile rappresentarci il rapporto tra sfera animale e sfera spirituale per ragioni intrinseche, essendo una delle sue sfere inesplorabile con i metodi empirici. Ma concettualmente ne cogliamo la distinzione.” (F. Facchini, “Evoluzione. Cinque questioni nel dibattito attuale”, Cap. 5, pag. 111)
Credo che queste parole siano quasi, per utilizzare un termine caro ai filosofi, “autoevidenti”.
Non le conosco, sarò ignorante e non sarà sufficientemente di spicco rispetto alla mia ignoranza. Quindi se la cultura viene attribuita agli animali qual’è il “salto ontologico” di cui si parla?
C’è un salto ontologico quando qualcosa che non c’è, inizia ad esserci, al massimo quando cambia di qualità, non quando cambia di quantità.
La dignità dell’uomo su cui tutti dovremmo essere d’accordo proprio perché siamo esseri umani è proprio ciò che Nicola ci mostra essere messa in pericolo dalla cultura dominante. L’attuale sistema economico sembra lavorare per un mondo formato fa una ristretta elite che custodisca un sapere cristallizzato e giudicato solo in base alla sua efficacia tecnica e una massa informe di persone sradicate (via fede tradizioni famiglia saperi artigianali identità) da intontire con il culto dell’erotismo indifferenziato del narcisismo piu droga e alcool per i più giovani.ora io sono convinto che tutti noi ci dovremmo interrogare sul nostro ruolo per il sabotaggio o per l’instaurarsi di questo progetto o anche semplicemente per dire no questo punto di vista è folle in realtà la nostra società non sta andando in questa direzione e le preoccupazioni di Nicola sono fuori luogo