Troppe aspettative sono state risposte in una ricerca centrata sulla genetica trascurando altri approcci.
Una medicina che ha “puntato alla Luna” ci lascerà a terra, così titola il New York Times.
Alessandro Giuliani
Il fallimento della ‘medicina personalizzata’ basata sul sequenziamento del genoma in modo da riconoscere a livello individuale rischi per la salute e/o sensibilità differenziale a trattamenti terapeutici è da qualche anno un fatto stabilmente assodato nella comunità scientifica.Stabilmente assodato ma raramente sottolineato nelle riviste scientifiche. Le notizie però trapelano se addirittura sul New York Times (giornale certo culturalmente non proprio affine a questo sito) compare un articolo come questo: “‘Moonshot’ Medicine Will Let Us Down“
Io vi consiglio di leggerlo con attenzione (è breve e molto chiaro), ma qui riporto il succo:
PRESIDENT OBAMA’S new budget is expected to include hundreds of millions of dollars for so-called precision medicine. The initiative, which he introduced last week in his State of the Union address, has bipartisan support and is a bright spot in the otherwise tight funding environment for medical research. Unfortunately, precision medicine is unlikely to make most of us healthier.
The basic idea behind it is that we each have genetic variants that put us at increased or decreased risk of getting various diseases, or that make us more or less responsive to specific treatments. If we can read someone’s genetic code, then we should be able to provide him or her with more effective therapeutic and preventive strategies.
But for most common diseases, hundreds of genetic risk variants with small effects have been identified, and it is hard to develop a clear picture of who is really at risk for what. This was actually one of the major and unexpected findings of the Human Genome Project.
Insomma gli scienziati hanno scoperto da più di dieci anni che la conoscenza del genoma è del tutto inutile per la diagnosi e la cura delle malattie eppure, di fronte alla generale diminuzione dei fondi per la ricerca, questo binario morto è quello sui cui si decide di investire.
L’articolo continua dicendo che i soldi sarebbero molto meglio spesi se si puntasse ‘a quello che già si conosce e quindi a intensificare opere di prevenzione basate su no stile di vita più sano’. Questo è certamente saggio ma non ha a che vedere con la ricerca. Se di investimenti per la ricerca stiamo parlando allora si riparta dalla ricerca di base, ad esempio dall’esplorazione delle basi fisiche della regolazione biologica. E’ chiaro che la cellula non è un ‘sacchetto di enzimi’ dove ogni singolo gene agisce in splendida solitudine e il genotipo ha una corrispondenza uno-a-uno con il fenotipo. Piuttosto la cellula è un oggetto complesso dove i sistemi multi-enzimatici lavorano in fase condensata a causa dell’enorme affollamento molecolare e le interfacce liquido-liquido compartimentalizzano la cellula in settori altamente specializzati. Insomma si dovrebbe ripartire dalla chimica-fisica dei colloidi (si veda ad esempio questo articolo meraviglioso di Nature Chemical Biology : A postreductionist framework for protein biochemistry.
Chiaro, si dovrebbe dire francamente che non ci aspettiamo la cura del cancro DOMANI ma almeno ci incammineremmo su una strada aperta e non continueremmo a stare fermi contro un muro agitandoci vanamente come certi giocattoli a molla con cui ci divertivamo da bambini.
Quale è il problema ? Perché ‘A postreductionist framework for protein biochemistry’ (L’articolo del link sopracitato) ha avuto solo undici citazioni che per Nature in tre anni è nulla mentre si spendono miliardi di dollari (e l’Unione Europea non è da meno) in progetti sicuramente fallimentari?
A mio parere il punto è nella perversa unione tra interessi commerciali e ricattabilità degli scienziati: l’industria biotecnologia non ha interesse a ripartire da zero ristrutturandosi dalle fondamenta (troppi denari investiti, ora è tempo di ‘rientrare’ con inutili test diagnostici basati sulla sequenza personalizzata del genoma) e gli scienziati devono andare nella direzione dove trovano i denari per pagare i propri stipendi. Insomma più che investimenti volti allo sviluppo della conoscenza ormai siamo in regime di assistenza pubblica per i ricercatori. (welfare-for-scientists come dicono negli USA)
Molti dibattiti sul ‘gene-per-questo’ o il ‘gene-per-quello’ ci sarebbero risparmiati se i governanti fossero meno asserviti alle lobby, se poi addirittura come corollario di questo asservimento si costruiscono delle mitologie scientifiche sulla ‘vita artificiale’ e altre stupidaggini allora la cosa diviene doppiamente rischiosa (c’è infatti anche il rischio che qualcuno ci creda e ci basi una filosofia ).
Io spero che l’articolo del New York Times sia ripreso dai giornali sedicenti progressisti di casa nostra, sarebbe una bella cosa… di solito ciò che arriva da quelle parti è molto rispettato. Staremo a vedere, intanto ci abbiamo pensato noi.
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29 commenti
Ritorno col botto di Alessandro! Grazie! Qualche domandina: puoi dire qualcosa in più sull’interfaccia liquido-liquido? sugli interessi economici che non portano beneficio reale nella società, rimesti il coltello nella piaga, mi ricordano le bolle finanziarie di qualche anno fa. potrebbero esserci benefici a medio termine invece che a lungo termine con la via di ricerca che tu proponi? se sì, in che direzione?
Caro Max, nei corsi di chimica generale viene insegnato agli studenti che in soluzione la probabilità di tre urti ordinati (uno di seguito all’altro in una specifica successione) tra specie molecolari è altamente improbabile in regime diffusivo (stato liquido, le molecole si muovono di moto Browniano). Poi all’esame di chimica biologica vengono presentati allo stesso studente dei pathway molecolari coinvolgeni dozzine di urti ordinati in successione come nel ciclo di Krebs o nella biosintesi dei lipidi, la soluzione del paradosso è che ‘ci pensano gli enzimi’. Ora questo, a ben vedere, è tutto meno che una soluzione, come fanno (sempre in soluzione, sempre in diffusione) gl enzimi coinvolti in una certa via metabolica a coordinarsi per far s che un reagente ‘entri da una parte’ (all’inizio della via metabolica) e ordinatamente incontri esattamente uno dopo l’altra tutte le proteine enzimatiche che occorrono per portare a termine correttamente il compito ? E’ puro pensiero magico, infatti gli autori del bell’articolo linkato nel mio post e apparso su Nature Chemical Biology, fanno notare che per spiegare tutto ciò i biologi usano un linguaggio antropomorfo di proteine che ‘richiamano’ (recruit) altre proteine e amenità del genere che presuppongono che gli enzimi siano agenti intelligenti.
Ora, non è che i biochimici siano dei completi deficienti, già negli anni 50 Szent-Gyorgy (e altri biochimici) si erano posti il problema di ‘come fosse fisicamente possibile che in uno spazio limitato come quello di una cellula potessero avvenire contemporaneamente senza interferire l’una con l’altra migliaia di vie sintetiche e degradative (anaboliche e cataboliche nella terminologia biochimica). Bene, la risposta era molto semplice: la cellula non va considerata esistere allo stato liquido ma allo stato condensato, le molecole non diffondono quindi ma si muovono lungo binari prestabiliti (ora questi binari si chiamano citoscheletro) che dividono la cellula in compartimenti separati, le barriere tra questi compartimenti si formano attraverso quele che si chiamano interfaccia liquido-liquido, cioè linee di separazione stabili che evitano il mescolarsi (e quindi il decadere in un pastrocchio dove non è più possibile alcun metabolismo ordinato). Queste interfaccia implicano una forte strutturazione dell’acqua che , legandosi alle strutture proteiche (a loro volta aggregate in macchine molecolari, per cui gli enzimi di Krebs non è che stanno uno qua e uno là ma sono aggregati a formare dei piccoli nanodispositivi, macchine appunto), crea una fase condensata (i chimici hanno catalogato differenti ‘stati intermedi’ di aggregazione dell’acqua sulla superficie dei polimeri tra lo stato liquido e lo stato solido) che è il vero ‘continuo’ che organizza il metabolismo. Pensa alla germinazione dei semi che ‘si aprono alla vita’ (cioè iniziano un metabolismo attivo) dopo tempi lunghissimi di ‘vita quiescente’ (sono stati fatti germinare anche semi trovati nelle tombe egizie), l’innesco del metabolsmo si ha quando essi vengono idratati e l’acqua raggiunge quella che si chiama ‘soglia di percolazione’ cioè appunto una rete continua (e ordinata) che attraversa tutta la cellula. Anche alcuni organismi animali come l’Artemia Salina possono rimanere in vita quiescente per anni e poi fatti ripartire da questo processo di idratazione.
Insomma la cellula è un posto affollatissimo (molecular crowding) e ordinato…ora tutta questa linea di ricerca vivissima fino agli anni cinquanta fu improvvisamente abbandonata perchè la genetica molecolare aveva illuso gli scienziati che potessero fare a meno di interessarsi di ‘come potevano avvenire le cose in maniera fisicamente plausibile’ e basarsi esclusivamente su un mondo immateriale di ‘agenti intelligenti’ di geni che producevano magicamente la schizofrenia o il diabete, conta poi che gli studi sugli stati di aggregazione dell’acqua erano una specialità sovietica e si era in piena guerra fredda…
Ora ci si ritorna, la scoperta del ruolo delle integrine (proteine del citoscheletro) nello svilupp dei tumori, l’effetto della microgravità sul metabolismo, lo sviluppo dell’ultra microscopia che ‘fa vedere’ il citoscheletro hanno aperto gli occhi a tanti scienziati. Ma ancora pochi rispetto alla massa che si è abituata a ragionare sol intermini di ‘geni-per’ e a risolvere ogni cosa con il sequenziamento…senza poi trascurare l’effetto pernicioso del pensiero neo-darwiniano che di chimica-fisica mastica poco e come dicevo nel post, della pressione dell’industria.
La voglio ringraziare perchè mi ha appena donato una risposta a una domanda che mi sono sempre posto ma che all’università non ha mai trovato risposta nè nel corso di biologia nè nel corso di biochimica. Mi sono sempre chiesto infatti come diamine sia possibile che per semplice diffusione, un enzima incontri il suo substrato con la giusta angolazione, velocità etc….
Vedo che si tratta il lato economico della faccenda in termini di lobby private, ma in realtà una argomentazione così è un pò riduttiva. Questo fenomeno, questo modo di fare e pensare la ricerca in termini di “un gene per-“, io ritengo, ha influenzato ed è rinforzato di rimando dal sistema di sovvenzionamenti pubblici che lo sostiene. Naturalmente siccome la metodologia di ricerca è basata sull’assunto aprioristico e tautologico che tutto stia nel gene, quando la ricerca non dà i frutti sperati, anche la spesa pubblica che tale ricerca ha sovvenzionato, sposandone l’approssimativo errore, si risolve in una bolla, che altro non è che il risultato di una cattiva allocazione di capitale. Pensare quindi queste lobby come giganteschi soggetti privati è fuorviante, essi forse sono sì formalmente privati, ma esistono solo in funzione di uno stato che lungi dall’essere garanzia di trasparenza per il contribuente, ne facilita la comparsa e li sostiene partecipando alla spartizione della torta; fanno un pò come il gatto e la volpe alle spalle di Pinocchio.
In un regime di libero mercato invece le cose andrebbero diversamente, poichè è ripagato solo chi effettivamente produce qualcosa di utile, la spinta sarebbe all’innovazione. Il sistema naturalmente, solo perchè privato, non diventa magicamente perfetto, si possono sempre produrre delle “me-too-drug”, cloni di farmaci già esistenti e venderli, con una sapiente opera di marketing, come l’ultima ritrovata panacea; ma quanti ne puoi fregare così in un contesto in cui gli altri ti fanno concorrenza? 100, 200, 1.000, 1.000.000 eh però primo poi il cliente mangia la foglia, se solo si guarda intorno, e non c’è marketing che tenga.
Quindi il vile denaro in questo contesto, lungi dall’essere un handicap (come nella ricerca pubblica dove sono burocrati a rastrellare, a mezzo tasse, capitali e a reinvestirli in programmi dai nomi tanto altisonanti quanto vuoti nei presupposti), diviene, dicevo, uno sprone a fare Vera ricerca e qualora sia necessario ed evidente anche ad operare quel kuhniano “cambio di paradigma”, rimettendo quindi al centro l’uomo di scienza quale vero pioniere al frontiera del sapere.
Onestamente, AndreaX,
1) conoscendo il mercato privato dei capitali e la sua visione di breve termine (quasi sempre ancorata al triennio della durata del contratto di un investment manager), mi chiedo come possa esso promuovere la ricerca fondamentale e di lungo termine, quale si richiede in ricerca medica per debellare i grandi mali del nostro tempo;
2) come si possa avere un mercato privato efficiente, cioè competitivo, in un settore come quello della Sanità, dove il cliente principale, e in molti Paesi esclusivo, è il Governo;
3) e, last but not least, come si possa sperare in un cambio di paradigma kuhniano (che in questo caso dovrebbe essere “post-riduzionistico”) puntando su una comunità scientifica che per larga parte in biochimica. oltrecché dipendente per il suo impiego e per la sua carriera dal fatturato delle proprie aziende, è ancorata al riduzionismo.
1) Quando dico mercato intendo una libera allocazione e circolazione dei capitali. La rimando alla articolata argomentazione sulla natura del capitale così come trattata dalla scuola austriaca da Menger a Von Bawerek e Mises, nonchè Hayek e Rothbard. In breve l’informazione è distribuita tra i soggetti del mercato, e l’organizzazione di beni capitali con finalità di impresa è guidata dalla possibilità di “speculazione” (qui intesa nell’etimologia latina del termine cioè di colui che vede prima degli altri) volta alla produzione di un bene o servizio. La scala temporale per la realizzazione dello stesso è relativa. Certo siccome lo sviluppo di un nuovo farmaco ha un iter di mediamente 10 anni è chiaro che questo genere di impresa richiede un costo iniziale elevato e protratto nel tempo prima di dare ritorno economico, ma non è il costo a determinare l’impresa; questo modo di ragionare sottende l’idea che siano i costi a guidare i prezzi ma ciò è errato. Se infatti fosse così non esisterebbe problema imprenditoriale, basterebbe sempre applicare un rialzo ai costi sostenuti et voilà il gioco è fatto. E questo mi porta ad un esempio storico a me molto caro giacchè sono un appassionato del mondo della rasatura. Gilette quello del rasoio, ha inventato un rasoio a lama sostituibile preaffilata che ha determinato una autentica rivoluzione nel settore. Inizialmente la sua idea stentò a decollare, poichè dal lato della produzione mancava una tecnologia in grado di produrre lamette sufficientemente sottili; dal lato del consumatore (quando Gilette trovò un ingegnere che mise appunto la produzione di suddette lamette) il prodotto si scontrava con una consolidata prassi fatta di rasoi a mano libera pietre da affilatura e strisce di cuoio. Eppure Gilette ci vide giusto la possibilità di risparmiare tempo e la sicurezza nell’utilizzo del prodotto ha letteralmente distrutto il mercato dei rasoi a mano libera e creato un mercato che è quello dei rasoi di sicurezza; ancor oggi nelle classi di economia viene insegnato come “modello del rasoio e la lametta”.
Ora l’esempio calza perchè Gilette si ritrovò nella situazione di scontrarsi con una realtà che più invisa non poteva essergli eppure ricorrendo alle sue capacità e a quelle dei suoi collaboratori riuscì nell’intento; per lei Dott. Masiero che lascia la porta aperta alla metafisica nei suoi intendimenti non dovrebbe essere difficile cogliere l’afflato che si muove anche dietro tali misere imprese umane, oltre che dietro i più grandi misteri dell’universo.
Quindi è la volontà e la possibilità di verificare se la propria idea è solo un vagheggiamento destinato a infrangersi contro la realtà, o se invece da quel mondo delle idee se ne può trarre un che di reale, che guida qualunque impresa a prescindere dal settore.
2) il destinatario non è il Goverso o l’ente governativo preposto ma l’individuo; è chiaro questo presuppone una totale gestione privata della sanità
3) non sono per il riduzionismo ad ogni costo quindi temo debba rivolgere tale interrogativo a chi invece lo è.
1) Per mercato dei capitali, io mi sono riferito a quello reale, che opera tutti i giorni, non a quello immaginato nei libri.
2) Idem per il mercato mondiale della Sanità. Quello reale in tutto il mondo è quasi-pubblico, e così sempre sarà a meno di non eliminare il welfare.
3) Sull’appiattimento al riduzionismo non mi riferivo a Lei (che non conosco), ma alla maggioranza dei biochimici che scrivono sulle riviste scientifiche, che tutti conoscono.
Prof. mi chiedo il perchè di tanta sfiducia verso il capitalismo privato? Sinceramente, senza voler passare per un invasato o similia, che sia pubblico o privato dietro il camice si ritrova sempre un uomo, con la sua etica più o meno fallace; io sono per un sistema che consenta la crescita delle buone qualità e disincentivi i comportamenti sbagliati; tutto ciò l’ho ritrovato in un sistema privato che anche attraverso il guadagno così come attraverso l’esperienza della perdita responsabilizza. Ciò nel pubblico non accade MAI! Poichè appiattisce l’uomo su un orizzonte dove il guadagno è depredato (tra trattenute varie per una pensione che non vedrò mai….) e la perdita è socializzata (se sei un imprenditore ammanicato). E per me queste sono LOGICHE conseguenze.
Io ho molta stima, AndreaX, dei meriti del settore privato, come non ho il lardo sugli occhi per non vedere le distorsioni del pubblico. Ma qui si parla d’altro, forse.
Io ho osservato, con riguardo al tema qui trattato, che
1) la finanza privata non investe nella ricerca fondamentale e di lungo termine (o Lei dispone di dati diversi dai miei?),
2) che la Sanità è necessariamente un mercato misto in tutti i Paesi (a partire dai capitalistici Usa, Uk, D, Ch, ecc.), perché l’industria fornitrice è privata e costituita in grandi agglomerati, mentre il cliente predominante è lo Stato che intermedia (giustamente, se vogliamo assistere tutti con uguali diritti) il welfare e
3) che l’educazione della maggioranza dei biochimici è riduzionistica (quanti di essi conoscono la TQC o mettono in discussione il Dogma centrale della biologia molecolare?).
Caro Max, mi accorgo che, preso dalle interfaccie liquido-liquido, non ti ho risposto sui ‘benefici economici a medio termine’ bè, credo che questi si possano avere soprattutto nelle nanotecnologie. le nanostrutture (cioè oggetti dell’ordine dei nanometri) stanno entrando nella nostra vita quotidiana in maniera discreta ma pervasiva (dagli schermi pieghevoli a certi materiali di costruzione fino a sensori sottopelle e metodi di illuminazione a basso impatto energetico, celle solari..). Le proteine sono le nanostrutture più efficienti che ci siano da molti punti di vista di interesse tecnologico che vanno dalla minimizzazione della dissipazione di energia alla sensibilità sensoristica, credo che molto prima di vedere delle terapie basate su questi concetti che ancora sono di super frontiera in biologia, questa ricerca possa ripagare in ambito tecnologico. Chiaramente perchè questo avvenga c’è bisogno di ‘singole teste multidisciplinari’ più che di ‘team multidisciplinari’ come piace raccontare adesso, queste teste sono poche ma esistono e in Italia siamo ben messi in questa direzione (..si pensi al meraviglioso distretto tecnlogico di Catania da dove vengono molti brevetti ‘nano’).
Solo una domanda da ignorante, spero centrata…
Quante volte ho sentito dire che le posologie sono mediate, nel senso che si calcola “a spanne” una quantità di principio attivo medicinale che per una tal patologia possa andare bene in media per tutte le persone, ben sapendo, si dice, che una posologia mirata sarebbe l’ideale. Vi chiedo: la ricerca non va avanti in questo senso? Non si mira ad arrivare davvero a personalizzare i farmaci per singola persona? Questo è il tema del contendere o sono fuori strada?
E scusate se magari faccio solo perdere tempo.
Caro Giuseppe,
la tua domanda è centratissima, le posologie si calcolano ‘a spanne’ a partire dal peso corporeo immaginando quindi un metabolismo identico per tutti e una diffusione uniforme.
Di fatto non è cosi e i mdici sanno da molto tempo che alcuni pazienti (per casusa di difetti nel metabolismo o di particolari sensibilità di tipo immunitario) non solo sono refrattari a certi farmaci ma possono avere degli effetti collaterali molto percolosi.
Questo si sa e funziona, ma è conoscenza empirica (e verificabile volta per volta) che no ha bisogno della conoscenza della sequenza del DNA del paziente.
Invece l’idea della ‘medicina personalizzata’ è che nel DNA ci SIA TUTTO MA PROPRIO TUTTO quel che occorre di sapere per curare una persona e addirittura prevedee i suoi rischi sanitari. Non è cosi’.
Grazie per la chiarezza, Alessandro.
Ottimo articolo, che da molto speravo di vedere
Insomma la medicina genetica personalizzata che potremmo inglobare nell’ ingegneria genetica, NON è tutto quel che occorre per curare l’essere umano
Rilancio quindi, pur non essendo del settore come già esposto
E per quanto riguarda la Nanomedicina? si arriverà ad avere dei “nanoagenti” in grado di combattere e debellare le malattie?
Spero molto di vedere nanoagenti o comunque lo sviluppo di metodi che ci mettano in grado di lavorare sull’ordinamento sopramolecolare come farmaci di rete o effettori allosterici . Per arrivarci però c’è bisogno di un lungo cammino di abbattimento delle barriere disciplinari e di voglia di vera innovazione che ancora latita.
Alessandro Giuliani, partendo dalla pars destruens del NYT sul genecentrismo, sviluppa in questo articolo con una semplicità ed un’evidenza disarmanti 2 passi ulteriori: uno per spiegare la persistenza dell’approccio riduzionistico in medicina (nonostante tutti i riscontri empirici opposti) con l’intreccio degli interessi economici e finanziari, che si rivelano in contrasto, in questo caso, con quello precipuo della cura delle malattie, cioè con la medicina stessa. E’ questo un tipico esempio di dialettica della ragione naturalistica (utilitaristica), dove il relativismo porta ogni organizzazione umana al capovolgimento degli scopi sotto l’azione dell’unico agente assoluto residuo: il denaro.
L’altro passo di Giuliani è di proporre le vie alternative nella strada della ricerca medica, rispetto alle nostalgie arcadiche verso un impossibile passato, che pure appartengono ad una concezione priva di valori assoluti e che si rifugia nell’irrazionalità del mito. Piacerebbe anche a me capirne di più sull’ultimo punto, come richiesto da Max.
Caro Giorgio, grazie della tua gentilezza e dei bei commenti, ho provato a rispondere a Max sulle interfaccia liquido/liquido, se hai letto la risposta avrai notato che ho citato un grande classico della chimica-fisica: la soglia di percolazione, cioè il minimo numero di legami tra i nodi di una rete perchè si crei una struttura connessa (e.g. in una rete elettrica perchè nessun nodo rimanga isolato e la corrente possa fluire liberamente attraverso la rete). L’importanza per lo stabilirsi del metabolismo di una tale rete che collega le proteine nella cellula è un fatto di natura eclatante. Se pensiamo all’Artemia Salina, un piccolo gamberetto (è il componente principale della cosiddetta ‘farina per pesci’ nota a chiunque abbia in casa un acquario) rimaniamo affascinati. Questo animaletto vive nelle pozze temporanee che si formano nelle zone aride dopo la caduta delle pioggie, fino a che queste pozze rimangono, fa la sua vita normale da gamberetto, quando la pozza evapora, entra in uno stato di ‘quasi cristallo’ rimanendo vivo (tanto è vero che quando l’acqua ritorna il metabolismo riparte e il gamberetto torna a muoversi, nutrirsi ecc.) ma in assenza di metabolismo. In questo periodo di sospensione il gamberetto può rimanere per decine di anni (quando la sua vita attiva è di qualche settimana) poi, messo nell’acqua riparte, gli scienziati si sono divertiti in laboratorio a togliere e rimettere l’acqua e a misurare la durata di vita dell’animale: essa sommava a tutti i periodi di ‘vita metabolicamente attiva’ e durava appunto poche settimane non importa se queste poche settimane fossero continue o intersperse in anni di quiescenza. E’ qualcosa di eccezionale che avrebbe dovuto a mio avviso scatenare l’interesse di masse di biologi: la vita che si ferma e riparte a comando !
Invece se ne sono occupati in pochissimi e quasi solo fisici (io ho conosciuto questo fenomeno da Giorgio Careri tanti anni fa , un professore di Fisica alla Sapienza) che hanno appunto osservato come la soglia di idratazione per ‘far partire la vita’ corrispodeva alla soglia di percolazione delle proteine, cioè all’acqua necessaria per ‘decorare’ l’inerno e l’esterno di quelle piccolissime spugne che sono le molecole proteiche.
Ora questa storia dell’acqua legata ai polimeri che costituisce una fase strutturata separat dall’acqua ‘bulk’ cioè propriamente in fase liquida (una ovvietà per i chimici e i fisici e alla base di normali tecniche di indagine come l’NMR) si accetta fino a che rimane separata ‘nel mondo tecnico’ della chimica strutturale e delle misure, quando entra in gioco nel ‘core’ della biologia diventa anatema. Il povero Benveniste ne ha fatto le spese (anche se effettivamente lui aveva condito il tutto con troppa approssimazione e forse un pò di magia), è comunque ‘terreno minato’ dove si entra nella pseudoscienza e le carriere vengono distrutte.
E’ tutto molto triste (anche se ora le cose stanno lentamente cambiando), come al solito, il principale nemico della scienza (e qui mi collego ai tuoi pensieri sul Multiverso) è quando si perde il contatto con la materia e si va troppo in là in un mondo immateriale fatto di ‘equazioni che funzionano’, di ‘modelli coerenti’, di ‘ipotesi suggestive’ che ci separano dal mondo materiale.
@Andreax
Intanto ti dico che sono felice di sapere che anche tu ti eri posto quel problema di urti ordinati, anche io tanti anni fa (quando ancora ero studente) me lo ero posto senza avere risposte soddisfacenti fino a che non ho incontrato un vero chimico delle proteine….
Però è notevole che nessuno mai ci pensi, si da tutto per scontato, o comunque per irrilevante…
Quanto al commento su pubblico e privato hai perfettamente ragione, sono come il gatto e la volpe e non esiste una vera separazione il che crea macelli. Aggiungo però un appunto alla tua immagine del sistema di ‘mercato perfetto’ che va sostanzialmente bene ma manca a mio parere di un elemento fondamentale che è il fattore tempo.
Se ci si vuole imbarcare in una rifondazione della farmacologia del tipo di quella necessaria dopo un cambio di paradigma del tipo di quello che prefiguravo bisogna metter in conto decenni prima che si guadagni qualcosa, ora il mondo economico ragiona a mesi, massimo anni, nessuno investe per raccogliere (forse) tra quaranta anni, a questo dovrebbe servire lo stato ma, come dicevi tu, a questo ruolo sembra aver abdicato…
Grazie Alessandro,
Molto conta la formazione, purtroppo super settoriale di provenienza.
Da “organellara” per me vedere il mondo cellulare compartimentalizzato da membrane e ferrovie interne, raft lipidici (veri centri di smistamento dei lavori) e densità del citoplasma come mezzo per modulare gli scambi di matrice è tutto quasi normale e molto più avvincente dei giochini metto-tolgo il gene per.
Il guaio è che per quanto esista una rete di informazioni pubblicate, ancora non è radicata veramente una rete interna ai gruppi di ricerca. Eccerto virtuosismi isolati, il gruppo si omogeneizza nelle esperienze e nel pensiero critico (del capo). E questo non aiuta nè l’innovazione nè lo spirito critico. I capi hanno non solo paura a fare un altro tipo di ricerca, ma anche ad assumere persone con un background diverso, perché alla fine andare contro il main stream, con i pochi soldi che ci sono, è vissuto come troppo rischioso.
Se ne uscirà?
Cara Virginia sapevo di toccare le tue corde di ‘organellara’ e capisco esattamente a cosa e a chi ti riferisci nel tuo commento. Ebbene sì se ne uscirà con tempo e fatica ma se ne uscirà e l’aiuto potrebbe venire da dove non ce lo aspettiamo penso a tutti quei fisici chimici e ingegneri che lavorano nel campo delle nanotecnologie dove si esplora il comportamento strabiliante delle scale a metà tra il microscopico e il macroscopico quello di cui abbiamo bisogno è di un lavoro di costruzione di ponti culturali con cui iniziare a comunicare attraverso le specializzazioni disciplinari.
Assolutamente d’accordo.
Salutone
Penso che la forte delusione causata da questo fallimento sia la conseguenza più del “trionfalismo scientista” piuttosto che un progetto senza speranza. E parte del problema è sicuramente anche la malsana ideologia riduzionista.
Questo trionfalismo è un po’ come l’idea negli anni ’50 che nel 2000 avremmo viaggiato con auto volanti e avremmo la casa delle vacanze sulla luna (vi ricordate i Jetson?). Ora venuto il 2000 siamo ancora per strada… e niente vacanze sulla luna! Il problema che il trionfalismo scientista, atto a cercare di ridurre ogni cosa al minimo denominatore, perde d’occhio le complessità che esistono nel mondo… e quindi incapace di mettere obiettivi realistici.
Purtroppo i media (vedi i giornali come La Repubblica o Il Corriere della Sera, ma anche riviste come Focus) presentano risultati, spesso prematuri (o addirittura mere congetture) con questo trionfalismo malsano.
Una piccola scoperta verso una possibile cura del cancro, viene esaltata come una cura miracolosa tipo “Star Trek”, dove con una iniezione curano qualsiasi cosa (a meno che non hai l’uniforme rossa hehe…)
Non affermerei che “la conoscenza del genoma è del tutto inutile” ma sicuramente direi che da sola non è sufficiente. Conoscere il genoma è come imparare la lingua inglese ed i suoi vocaboli e sintassi, ma questo NON basta per comprendere adeguatamente Shakespeare o fare una critica su Dickens, dato che la critica letteraria comprende ben più che la mera conoscenza della lingua.
Così la conoscenza del corpo umano e del suo funzionamento va oltre la conoscenza dei meri geni e anche dei meri organi.
Secondo me c’è speranza nella Precision Medicine o, perlomeno, il conoscere il genoma umano può essere il primo passo verso una migliore comprensione del funzionamento biologico del nostro corpo.
Penso che dobbiamo ignorare il trionfalismo e non lasciarci deprimere dagli ostacoli… e fare un passo alla volta con obiettivi realistici e fattibili.
Non che “dobbiamo smettere di sognare”, ma non dobbiamo perderci solo nel realizzare i sogni come Acab che distrugge se stesso per uccidere Moby Dick.
Quindi mentre conoscere i geni (e quindi le proteine coinvolte) è sicuramente molto utile, ma è ovvio non basta.
Appunto poi ricerche meravigliose come “ A postreductionist framework for protein biochemistry.” che è stata citata, è un lavoro fondamentale perchè:
1- rappresentano idee nuove e stimolanti, alternative e nuove maniere di pensare
2- non sacrificano la vera scienza (e quindi pure la ricerca medica applicata) per l’idealismo riduzionista
Un ALTRO problema è il “Trend-setting” della scienza. I trend, dettati spesso da chi ha soldi ma, solitamente non sa niente di scienza e si preoccupa solo del possibile guadagno, mettono i fondi sempre dove è davvero necessario.
Purtroppo questi finanziatori, “scientificamente incompetenti”, sono spesso manipolati da persone, spesso scienziati stessi, che promettono la luna ed il cielo come se fossero a portata di mano, mentre sono molto più difficili da cogliere di quanto viene asserito.
Un esempio è da come da 70 anni quasi si promette che “tra 10-15 anni” avremo la Fusione Calda come fonte di energia. Anche ad una conferenza ca. 10 anni fa lo sentii… ma penso che manchino ben più di 5-6 anni finchè la otterremo (magari altri 10-15 XDD). Con questo non voglio dire che non bisogna proseguire quella ricerca… voglio dire che bisogna fare promesse realistiche ed oneste.
[[Nota il termine “scientificamente incompetenti” ha un tono molto più negativo di quello che io davvero voglio dire. Non voglio affermare che questa gente non sa niente o che tutto quello che dicono gli scienziati sia arabo per loro, ma che di solito queste persone NON sono specializzate nel campo e quindi difficilmente possono fare giudizi davvero competenti a riguardo.]]
Naturalmente non è una cosa strana ogni scienziato ha le sue idee e vuole finanziare la propria ricerca.
Il problema è che si formano dei veri e propri trend, come nella moda, dove una idea viene finanziata a dismisura e molte altre, magari egualmente valide o anche migliori, praticamente ignorate.
Poi se ci si mettono anche certe Lobby (o certe compagnie multimiliardarie…) con i loro fini ben POCO scientifici, la cosa solo peggiora…
Un’ultima domanda sorge, che contiene una vena ironica:
Che sia proprio la medicina ad essere la cura iniziale contro il riduzionimo?
Caro Francesco hai proprio ragione senza il sequenziamento del genoma umano non avremmo mai compreso tantissime cose. Come dici tu il problema è nel trionfalismo ma è proprio questo che non sicapisce. Non è che è colpa solo dei giornalisti o di finanziatori ignoranti se avessero voluto gli scienziati avrebbero avuto tutti i mezzi per non farlo nascere ma è convenuto così è convenuto mettere su una ideologia basata sulla esagerazione e il consenso acritico.
Non so se la medicina sarà il luogo del recupero di un pensiero sereno e attento al reale dovrebbe visto che lo scopo della medicina è curare i malati qualcosa di molto pratico ma è anche il luogo dove ideologia e interessi economici sono più forti. .Una bella lotta insomma. .io vedo meglio la scontrosa puzzolente e drammaticamente fuori moda chimica.
“una ideologia basata sulla esagerazione e il consenso acritico.”
Sì purtroppo il dogmatismo e la dittatura dello status-quo sono problemi anche scientifici. Spesso metto come esempio Pauling che tormentò per anni Shechtman perchè si rifiutava a priori che l’idea dei “quasi-cristalli” fosse possibile. E Pauling aveva vinto 2 premi Nobel… ironicamente uno per la pace… mentre ha cercato di distruggere la carriera di Shechtman perchè non gli andava bene quello che questo diceva (e alla fine Shechtman aveva anche ragione e vinse il Nobel qualche anno fa).
Questo è un caso estremo ma ci sono molti casi, più leggeri, nel mondo della scienza.
Un altro esempio: una mia collega, fece una review di un paper di un tipo piuttosto famoso nel campo (non faccio nomi). La review non era negativa, ma su alcuni punti chiedeva chiarezza. Orail tipo famoso scrisse come risposta alla review qualcosa nella linea di “come osi dirmi quello che devo fare, io sono X e lavaoro da oltre 20 anni nel campo”. Ora chiaramente, ci si chiede perchè fare la peer-review se seniorità e fama nel campo sono più importanti?!
Allo stesso tempo è facile che un paper venga rifiutato dai revier e spesso anche dagli editor stessi solo perchè va contro le ideologie scientifiche vigenti….
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A proposito, circa un anno fa un interessante articolo critica vari problemi nella teoria gene-centrica dell’Evoluzione, come espressa da Dawkins & Co.:
http://aeon.co/magazine/science/why-its-time-to-lay-the-selfish-gene-to-rest/
E pure:
http://sandwalk.blogspot.it/2013/12/die-selfish-gene-die.html
Un interessante libro che contiene una raccolta di saggi da parte di vari biologi, mostra pure che oramai la teoria gene-centrica non è più sufficiente:
Evolution, the Extended Synthesis (http://www.amazon.com/Evolution-Extended-Synthesis-Massimo-Pigliucci/dp/0262513676)
Insomma dopo il torpore causato dalle fallaci idee di Dawkins (che tra l’altro non sono esattamente del tutto sue) la biologia pare risvegliarsi e comprendere che l’evoluzione è un processo molto più complesso che il semplice favorire la replicazione di geni (metaforicamente egoisti).
Purtroppo, seppure i concetti genecentrici siano stati utili per capire alcuni fondamenti della biologia dell’evoluzione, il suo riduzionismo ha ingannato per decenni la biologia, penso. Ora qui non si tratta nemmeno di riduzionismo in senso filosofico, ma in senso scientifico (anche se ovviamente formentato dalle ideologie di Dawkins & co.), dato che si cerca di semplificare troppo un fenomeno che è enormemente complicato.
Ottimo, anche perché sin qui non capivo dove entrasse in gioco la “memoria dell’acqua” (Benveniste) nelle critiche che riceve Giuliani dagli utenti “contro”. Ne approfitto per chiedere a Giuliani stesso cosa si possa salvare di quella “sfortunata” ricerca dell’immunologo francese. Io non sono un fautore dell’omeopatia, ma spero sempre che almeno alcuni visionari alla fine ci azzecchino e trovino qualcosa di ancora non scoperto e magari di semplice e alla portata di tutti per curarsi e stare meglio. Una curiosità poi, che non so quanto possa interessare: collaboro con una ditta che in un suo cosmetico mette un estratto di Artemia (acquistato da una ditta francese che lo produce). Ne vantano le proprietà antiossidanti e lo chiamano con una sigla, comunque l’impressione è che sia proprio un’operazione riduzionista, ossia si cerca di isolare la “quidditas” che rende l’Artemia resistente e apparentemente immortale, come si distillava un tempo l'”elisir di giovinezza”. Invece la questione è sicuramente più complessa. Comunque ho pensato che magari la via sin qui seguita dell’ibernazione per ritornare a vivere nel futuro non sia quella giusta, forse andava seguita quella della liofillizzazione 🙂
– (doppio invio scusate)
Nostra sorella acqua come la chiamava san Francesco è al centro di quella che forse è la più evidente prova della schizofrenia di tanta scienza moderna.
Partiamo da quello CHE TUTTA MA PROPRIO TUTTA la comunità scientifica non ha problemi ad ammettere e cioè che l’acqua esista in natura in diversi stati di aggregazione a livelli di ordine crescente dal liquido (acqua bulk nella terminologia chimica-fisica) al solido (ghiaccio), si veda a proposito il bellissimo articolo del 1988 (non proprio ieri) del Journal of Physical Chemistry (non proprio Focus o Voyager):
http://pubs.acs.org/doi/abs/10.1021/j100326a038
Bene, ecco come inizia il lavoro suddetto:
Il comportamento dell’acqua nelle vicinanze di ioni, interfacce, membrane biologiche e biopolimeri è nettamente diverso da quello dell’acqua ‘bulk’. Lo studio delle proprietà dell’acqua in questi sistemi permette di capire la natura delle interazioni responsabili di fenomeni importanti come le curvature delle interfacce, la solvatazione ionica, il folding (ripiegamento nello spazio per assumere la configurazione nativa, N.d.T) delle proteine, e la formazione di micelle.
Insomma tutto quello che di importante c’è da sapere sull’esistenza e la stabilità di una cellula che è appunto mantenuta dal ripiegamento di una membrana micellare (il doppio strato lipidico), dalla presenza di ioni in soluzione, e dal fatto che le proteine assumano una specifica forma tridimensionale ha a che vedere con la strutturazione dell’acqua. Se a ciò aggiungiamo il fatto che l’acqua è il donatore universale di elettroni per le reazioni chimiche del metabolismo ci accorgiamo come nostra sorella acqua è situata al centro esatto della vita.
Bene, quindi nulla quaestio sul fatto che una struttura dell’acqua esista e che questa struttura si modelli attorno a macromolecole e strutture biologiche e che ne permetta il funzionamento.
Il punto di frizione nasce quando proviamo a trarre delle conclusioni da tutto ciò, la prima conclusione è che tale ricchezza di strutture possibili dei reticoli di molecole d’acqua possa compartimentalizzare la cellula e quindi rendere possibile un metabolismo ordinato, è quella cosa che ho indicato come ‘interfaccia liquido/liquido’, anche qui siamo nella scienza assodata (vedi:
http://www.sciencemag.org/content/299/5604/226.short
http://www.pnas.org/content/99/8/4769.short
Sono Science e PNAS non pizza e fichi e ci sono centinaia di articoli simili in rete ma allora ?
Ma allora, molto semplicemente, il mainstream biologico ci dice ‘sarà anche così, ma a noi scusate, con tutto il rispetto, che ce ne importa ? Se ci basta dire ‘se il gene A non funziona e produce una proteina difettosa, il signor Mario si ammala’, poi il perchè e il percome saranno probelmi di chimica-fisica che a noi non interessano..noi facciamo un farmaco che interviene sulla proteina A, sostituiamo il gene, diamo la proteina giusta da fuori, qualcosa ci inventiamo e voilà Mario è guarito’.
Così non è stato e obtorto collo (anche se con molte difficoltà e ripensamenti come detto nel post) la comunità inizia faticosamente a comprendere che, se vogliamo andare avanti, prima ritorniamo al reale e allo studio di come cavolo si organizzano cellule e tessuti per mandare avanti la baracca meglio è. Quindi lo studio dell’acqua e del suo mirabile comportamento non è più una curiosità esoterica ma il vero centro della biologia cellulare . Ora passiamo a Benveniste…
L’acqua si struttura attorno ai polimeri, e questo l’abbiamo capito, se poi questa strutturazione dell’acqua (come voleva dimostrare Benveniste) permane anche quando il polimero (o la piccola molecola organica) non c’è più è TUTTO UN ALTRO PAIO DI MANICHE e Benveniste ha fatto una sparata grossa: se diluisco un anticorpo fino praticamente farlo scomparire ‘il ricordo della sua presenza’ è tanto bene mantenuto dall’acqua che il suo stampo (le molecole d’acqua attorno alla molecola) è sufficiente a provocare una risposta immunitaria del tipo di quella che ci saremmo aspettati con la molecola vera e propria.
Attenzione, lo fanno pubblicare su Nature (e questa è grossa, una scoperta così enorme avrebbe necessitato per essere pubblicata su cotanta rivista di un sacco di repliche indipendenti da parte di altri laboratori, richieste di chiarimenti, invii di campioni..) niente di tutto questo, Benveniste pubblica, poi però gli mandano una commissione di inchiesta, tra i membri di questa commissione, in incognito c’è un prestigiatore che zac, dice di aver visto Benveniste mentre sostituisce di soppiatto i campioni con le diluizioni alla million-miliardesima parte con quelli contenenti la molecola a dosi ragionevoli. Ecco qui, un capolavoro mediatico: in un solo colpo parlare di una cosa assodata scientificamente e di importanza cruciale per la biologia cellulare (la strutturazione dell’acqua attorno alle strutture macromolecolari) equivale alla morte civile appena si lasci l’ultra sicuro recinto della chimica fisica e si entri nella biologia vera e propria.
La mia opinione è che Benveniste sia stato un facilone e che abbia fatto un danno enorme a una ricerca serissima (reiterato dalla storia della fusione fredda che di nuovo ha molto a che vedere con la strutturazione dell’acqua e che ha distrutto carriere di scienziati serissimi), ora ce ne stiamo faticosamente rialzando (anche grazie al fatto che la chimica-fisica delle macromolecole va avanti al sicuro dai riflettori e di interessi troppo pervasivi è cioè scienza umile e artigiana)..Insomma caro Muggeridge, per l’omeopatia c’è tempo e questo tempo è vieppiù allungato dalla protervia di molti omeopati che rifiutano di sottoporre le loro cure al vaglio del doppio cieco, ma non voglio entrare in un campo minato e dichiaro fin da ora che non risponderò a nessun quesito su omeopatia, cure alternative et similia.
Finisco con l’Artemia, ma che forza quello che mi dici, non sapevo di un suo uso per la cosmesi, certo il richiamo è puramente simbolico e non ha alcuna base scientifica però da da pensare questo uso ‘magico-evocativo’ ancora ai nostri tempi…. comunque l’idea di liofilizzarsi non è così attraente….
La ringrazio davvero Giuliani per essersi dilungato su questi interessantissimi temi. Non sapevo che fosse coinvolta anche la “fusione fredda” in questo approccio, questa è diventata tabù per la scienza ufficiale e ancora sino a poco tempo fa in TV non mancava la puntuale classificazione di “bufala antiscientifica” da parte del cicappiano Angela-padre. Eppure ricordo un programma in tarda serata che mostrava un appartamento completamente alimentato da corrente elettrica da “fusione fredda” e dietro a questo esperimento non c’erano due esaltati, ma due ricercatori del CNR…(che dire ? Forse qualcosa come “eppur si accende” 🙂 ).
Quanto all’Artemia, non è una cosa così terra-terra, dietro alcune sostanze usate in prodotti cosmetici ci sono studi che almeno provano ad avere una certa dignità scientifica:
http://journal.scconline.org//pdf/cc2011/cc062n05/p00469-p00482.pdf
Quanto alla liofillizzazione, mi chiedo se qualche matto abbia mai provato a idratare una mummia 🙂
Caro Muggeridge .non avevo dubbi che la ricerca cosmetica fosse di buon livello e l’articolo che mi hai segnalato me lo conferma io ho lavorato dodici anni nell’industria farmaceutica e so bene che la spocchia accademica verso i ricercatori industriali è del tutto ingiustificata.
Quanto all’ambiguo statuto della fusione fredda è qualcosa su cui ahimè ho rinunciato a capirci qualcosa a volte leggo dei lavori convincenti o parlo con degli scienziati che stimo che mi mostrano dati ragionevoli altre volte (magari anche le stesse persone) si lanciano in deliri new age che mi sconcertano . Anche io sapevo dell’esperienza di Rossi e Focara e mi sembrava seria poi però non se ne è saputo più nulla. ..mah è tutto molto complicato. .