John Christy, professore di “atmospheric science” presso la University of Alabama, Huntsville
La scienza è nata dall’osservazione della realtà, sembra quindi superfluo dire che si basi sui dati.
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Eppure qualcosa è successo, tanto che ora emerge una nuova classe di scienziati, i “data-driven”.
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Mi è bastato leggere l’intervista “Though Scorned by Colleagues, a Climate-Change Skeptic Is Unbowed” rilasciata al New York Times dal climatologo John Christy, per aver chiara una situazione che si presentava da tempo in modo insistente ma non perfettamente delineato, la scienza oggi si divide in due grandi e trasversali categorie, i teorici hegeliani e i teorici galileiani, dove i primi sono caratterizzati dalla famosa frase di Hegel “desto schlimmer für die Tatsachen” cioè “tanto peggio per i fatti (se non si accordano alla teoria)”, i secondi si rifanno invece al tomistico “adaequatio rei et intellectus” cioè “corrispondenza tra realtà e intelletto“.
Molto spesso le dispute scientifiche si protraggono oltre il dovuto perché non ci si attiene ai fatti, e proprio un esempio evidente sono le dispute sul clima, come avvenuto ad esempio nei giorni scorsi quando dibattendo su un articolo pubblicato qui su CS, dove alla pubblicazione di un grafico che mostra l’evidente fallimento delle previsioni dell’IPCC sul Global Warming, ai fatti si continuavano ad opporre considerazioni teoriche:
La teoria ovviamente non è una cosa negativa, anzi è uno sbocco necessario della scienza, ma cosa è una teoria? Facciamo prima una sana explicatio terminorum:
Formulazione logicamente coerente (in termini di concetti ed enti più o meno astratti) di un insieme di definizioni, principî e leggi generali che consente di descrivere, interpretare, classificare, spiegare, a varî livelli di generalità, aspetti della realtà naturale e sociale, e delle varie forme di attività umana. Dizionario Treccani
Insomma la teoria è subordinata alla sua capacità di descrivere la realtà, quando invece accade che i fatti non si accordano con la teoria, quella teoria deve essere considerata errata e abbandonata. Ma perché allora si discute ancora sulla correttezza del modello climatico che vede una correlazione tra emissioni di CO2 e aumento delle temperature? La risposta l’ha data in maniera illuminate John Christy: perché esistono scienziati che non sono “data driven”. La cosa buffa di tutta la questione è che proprio quegli scienziati che non si fanno guidare dai dati hanno elaborato una neolingua che attribuisce ad altri lo stesso difetto, si è coniato così il termine “negazionisti” per coloro che non si adeguano alla loro teoria. Abbiamo così di fronte le due tipologie, quelli che vedono se la teoria consente previsioni (cioè se spiega i fatti nel loro prossimo svolgersi) e quelli che quando le previsioni non si sono avverate le ignorano e ne rifanno di nuove proiettandole in un lontano futuro (a prova di contestazione immediata). I primi sono “data-driven”, i secondi sono “theory-driven”.
Le cose sarebbero quindi semplici se un consistente impiego di termini neolinguistici non avesse sistematicamente screditato con l’accusa di incompetenza e, in genere, di malafede chi si poneva su posizioni opposte, ed è proprio questo che riassume con grande efficacia Christy in un passaggio dell’intervista:
“Non sopporto parole come ‘contrario’ e ‘negazionista’… Io sono uno scienziato del clima che si attiene ai dati.”
Grazie, John Christy.
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23 commenti
Bellissimo, Enzo. Anche nella ricerca scientifica, ci sono i data-driven e ci sono i theory-driven. Mi chiedo perché?.
Perché ciò che fa vivere l’uomo è la sua concezione di vita, la sua Weltanschauung, non il suo mestiere. Ed anche nel suo mestiere ogni uomo vive e si muove secondo la sua Weltanschauung. La stessa logica interna dell’attività scientifica non è qualcosa di vitale; quella della cultura, invece, sì. La scienza non muove l’anima, la filosofia (in tutte le sue parti: metafisica, etica, estetica, …) e la fede, sì. In ciò tutti gli uomini sono uguali, noi e “loro”.
Che cosa allora ci distingue? Che noi non appoggiamo la nostra concezione di vita e la nostra fede sulla scienza – e così salviamo per tutti il metodo scientifico galileiano (“Non tentar le essenze!”) –. Loro, invece, che credono solo nella verità scientifica, o meglio credono di credere solo in quella, devono appoggiare sulla scienza la loro concezione di vita – e così inquinano il metodo galileiano –.
Proprio così, come ho accennato nell’articolo questo episodio apre gli occhi sulla necessità di far comprendere cosa sia la filosofia della scienza ancor prima di affrontare i singoli argomenti.
Se infatti ci confrontiamo con un thery-driven che non si rende neanche conto di esserlo, ci troviamo in un inutile dialogo tra persone che parlano lingue diverse.
E che quest’opera di chiarimento sull’epistemologia sia necessaria l’hai capito prima di tutti, e hai già iniziato a compierla.
Gentile Pennetta,
se non ho frainteso, la frase “ai fatti si continuavano ad opporre considerazioni teoriche” è riferita a un commento che ho scritto a un suo precedente post.
La ringrazio per l’attenzione e, nella speranza di non protrarre la discussione oltre il dovuto, mi permetto di riformulare la domanda a cui, se non ho perso qualcosa, non ha dato risposta: qual è la fonte del grafico che “smentirebbe certamente la teoria dell’AGW” e che lei incolla di nuovo in questo post?
Perché è vero che teorie e fatti dovrebbero andare assieme (e non vorrei inoltrarmi qui in una discussione su epistemolgia, deduzioni, induzioni, abduzioni, esperimenti, osservazioni, dati, misure, predizioni, retroazioni ecc.), però la sua affermazione mi pare un filo troppo perentoria, anche considerando che ci sono fior di dataset che attestano che le temperature medie globali stanno salendo (e, tanto per rimanere sull’attualità, che il contenuto di calore degli oceani sta aumentando). Come sa, affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie. E, limite mio di certo, ma incollare in un post un grafico di provenienza incerta (e scaricare l’onore della prova sull’interlocutore chiedendogli retoricamente se sta giocando) non mi pare una prova straordinaria.
E mi consenta anche un’altra osservazione: mi piacerebbe conoscere qual è la sua opinione in merito al tema della variabilità naturale e dell’interferenza antropica. Se le sembra di averla già sentita, sì, è una domanda che le ho già fatto ma a cui, se non ho perso qualcosa, non ho visto risposta.
Buongiorno Diego,
facciamo così, le allego il grafico basato sui dati IPCC dal quale è derivato quello qui sopra:
Riguardo la variabilità naturale e dell’interferenza antropica, c’è invece un paper rtecentissimo (che devo ancora visionare)che le risponde fissando la percentuale delle emissioni di CO2 da combustibili fossili al 3,75% del totale:
http://www.atmos-chem-phys.net/14/7273/2014/acp-14-7273-2014.html
Caro Enzo sono molto interessato a questi argomenti e mi perdonera’ l’insistenza (che, spero, sia comunque educata).
Io parlerei, piu’ che di driven, di bound (legato).
C’e’ la scienza data-bound (ovvero la produzione di dati scientifici, che come ho gia’ detto per me e’ l’unica cosa che si possa chiamare scientifica cioe’ replicabile).
Poi c’e’ il resto della scienza, interpretazioni, distorsioni, accomodamenti. Chiariamo: si puo’ giungere anche in questo caso a buone approssimazioni. In fondo anche il sistema geocentrico non era mica malaccio!
E sicuramente non e’ un male farsi guidare dalle proprie fisse e credenze. Tanto va sempre cosi’. Il punto e’ che prima o poi bisogna legarsi ai dati, altrimenti si raccontano speranze. Che non e’ male neanche questo. Il male e’ quando le si chiama “scienza”.
Caro Fabio, insista pure, anzi a dire il vero il primo ad insistere sugli argomenti sono io! Come ha ben detto quello che conta è il modo in cui ci si confronta.
A mio parere la produzione di dati data-bound, per usare questo suo interessante termine, è solo una parte del lavoro scientifico, poi deve necessariamente seguire un’ipotesi che deve essere data-driven, sia nel senso che nasce da un’interpretazione dei dati, sia nel senso che deve fare previsioni che andranno poi confrontate con i dati.
E se i dati non si accordano alle previsioni bisogna ammettere che l’ipotesi era errata. Tutto qui, ed è quello che in questo momento i sostenitori dell’AGW non vogliono fare diventando così theory-driven.
D’accordo sul resto, anche sul fatto che il sistema tolemaico aveva una sua funzionalità, infatti permetteva delle previsioni come la posizione dei pianeti ma falliva su altre previsioni e quindi cedette il passo ad un sistema che invece spiegava più fatti, oltretutto con meno principi.
Prof. Pennetta, lei sarà consapevole però che tale distinzione tra teorici hegeliani e galileiani è pressoché inapplicabile ad un campo di studi come quello della fisica teorica. Quando Eistein cercava di introdurre la general covarianza nella fisica, non credo che si facesse problemi riguardo alla sua appartenenza ad una categoria piuttosto che all’altra…
Tra l’altro vedo che insiste ancora con la storia del declino della Nasa. Mah…
Caro Giusppe, se lei ha argomenti a sostegno di uno sviluppo della Nasa negli ultimi 10 anni parliamone, non li riduca ad un inconcludente “Mah…”.
Caro professore, si faccia un giro al Goddard a Baltimora, o al JPL a Pasadena, e mi dica lei poi se la Nasa è in declino. La maggior parte dei dati che ci provengano nel campo dell’astronomia spaziale sono dovuti a missioni europee e soprattutto americane. Attualmente i più importanti osservatori spaziali che osservano lo spettro elettromagnetico, ovvero Chandra, Glast e Spitzer, sono della Nasa, per non parlare delle missioni con sonde interplanetarie. I suoi amati russi, a parte fornire i taxi per la stazione spaziale, non combinano niente di interessante sul piano scientifico, ed è un vero peccato, visto la qualità della scuola di astrofisica russa. Il programma spaziale, fortunatamente, non si riduce all’invio di astronauti nell’orbita bassa, e la Nasa, prima ancora che un’agenzia turistica, è un ente scientifico, che continua a fare ricerca di notevole qualità sia in ambito fondamentale che applicativo. E sempre per quanto riguarda il i voli abitati, non si preoccupi, il programma della capsula Orion è vivo e vegeto…
“National Aeronautics and Space Agency”, un ente nato per estendere il volo nello spazio, come la voce “Aeronautics” fa intendere, ed è proprio nella capacità di portare carichi utili nello spazio che stava la forza della NASA.
La tecnologia per fare satelliti scientifici è alla portata di diversi paesi, non ultima l’Italia, ma la differenza la fa la capacità dei vettori.
E su questo al momento l’arretramento rispetto alle posizioni degli anni ’70-’90 è avvenuto.
Per i programmi in cantiere staremo a vedere, potremo commentare insieme quello che succederà.
Caro Giuseppe, alla fine anche la fisica teorica deve confrontarsi con i “dati” dell’esperimento, altrimenti resta una speculazione matematica, una “metafisica matematizzata” (Vilenkin).
Feynman: “All’inizio tiriamo a indovinare. […] Poi calcoliamo le conseguenze di tale ipotesi, per vedere quale sarebbe la conseguenza e cosa comporterebbe, se la legge fosse vera. Poi compariamo tali calcoli alla natura, o come diciamo noi, ad un esperimento o all’esperienza, compariamo direttamente alle osservabili sperimentali per vedere se funziona. Se non è in accordo con l’esperimento è sbagliata. In questo semplice assunto è la chiave della scienza. Non importa quanto sia elegante la tua teoria, non importa quanto tu sia intelligente o quale sia il tuo nome. Se non e’ conforme con gli esperimenti è sbagliata. E questo è tutto.”
E più recentemente Hawking ha dichiarato lo stesso o Brian Green: “Non chiedetemi se credo alla teoria delle stringhe. La mia risposta sarebbe quella di 10 anni fa: no. E questo perché io credo solo a teorie che possono fare predizioni controllabili”.
E siamo d’accordo. Il punto è che questa distinzione non può fornire un criterio metodologico con cui muoversi in fisica teorica, almeno non all’inizio. La citazione di Feynman, che guarda caso io stesso stavo per postare, dice tutto. Quello che voglio dire è semplicemente che questa distinzione è valida solo a posteriori, quando, e se, effettivamente si possono fare esperimenti. D’altra parte molte teorie fisiche sono partite senza basarsi su alcun dato, e senza tra l’altro sperare di poter ricevere delle conferme. Il caso della relatività generale, per come la vedo io, è emblematico…
E chi ha mai detto il contrario, Giuseppe? Pennetta non di certo nel suo articolo! È ovvio che la prima fase della teorizzazione è libera e solo affidata all’intuizione. Pero’ poi la scienza empirica controlla le predizioni con i d-a-t-i sperimentali (e non trucca questi ultimi, come è successo all’Onu con i dati del clima, per far funzionare le teorie!).
E, se mi permette, questo vale In fisica teorica non dai tempi di Einstein o di Bohr, ma già da quelli di Galileo e Newton.
Siamo d’accordo su come dovrebbero funzionare le cose nella scienza. Trovo solo pretestuosa e poco utile la distinzione di cui sopra. Per quanto riguarda il discorso sul clima, più che altro a me sembra una questione di malafede e di lobby, piuttosto che di epistemologia. La stessa cosa avviene in taluni campi della ricerca biomedica, dove interessi e genuina ricerca scientifica si mescolano creando commistioni pericolose. Sulla ricerca climatica ho trovato illuminante il libro di Kary Mullis (che il professor Pennetta conoscerà sicuramente avendo vinto questo il nobel per la chimica grazie alla scoperta della PCR) che si intitola “Ballando nudi nel campo della mente”. Una lettura che consiglio a tutti, non fosse altro per il tono irriverente…
Giuseppe, sul campo della fisica teorica non nulla da aggiungere a quanto detto da Masiero.
Aggiungo, caro Enzo, un’altra domanda, se puo’ rispondermi: cosa impedisce ad uno scienziato “model-driven” (per dirla come lo dice lei) di andare in giro dicendo che invece e’ “data-driven”? Cosa impedisce che la comunicazione prenda il sopravvento sui fatti? Senza risposte speranzose, le buone intenzioni lo si sa dove portano. Nei fatti, c’e’ qualche GARANZIA? Vorrei proporle di pensarci su…
Pennetta Le risponderà come crede, Fabio.
Per quanto mi riguarda, non ci sono “garanzie” se non quelle della vasta comunità scientifica (es., i neutrini superliminari) e della stessa stampa che osserva il potere (es., i dati climatici truccati all’Onu), e anche di insiding interno (v. Assange).
Comunque, nel momento stesso in cui Lei s’interroga sulle garanzie, vuol dire che una differenza c’è tra l’ideale della scienza senza interferenze e all’opposto la manipolazione completa della scienza da parte di gruppi di potere, con tutti i gradi intermedi di maggiore/minore perfezione tipici delle cose umane.
Sono d’accordo con lei Fabio sul punto che la comunicazione possa prendere il sopravvento sui fatti, e sono talmente d’accordo che per questo ho pensato di fare un sito che sottoponesse ad un’analisi critica le affermazioni scientifiche e non solo.
Se ci si pensa bene ciò che viene posto sotto analisi continuamente su CS è proprio la comunicazione, e come detto da Giorgio, nella comunità scientifica e in altri ambiti si riesce in genere a trovare qualcuno che fornisca dei dati necessari per un confronto incrociato.
Carissimo Enzo, ha proprio ragione. Infatti trovo questo sito una vera rarita’.
Specifico meglio il problema che vedo, che in fondo e’ racchiuso nel sul “si riesce IN GENERE a trovare quacuno che fornisca dei dati”.
In genere.
Chiaro che per il gran lavoro… quotidiano… non ci sono problemi e la normale dialettica basta. Ma io mi domando cosa puo’ fare la “scienza” di fronte alla decisione di manipolazione dei dati o di fronte alla convoluzione delle tesi di partenza che, come un noto politico, si riempiono di postille ad-hoc senza mai esplicitare quale possa essere una falsificazione.
Precico che, come ho detto nel mio (credo) primo post qui, io la penso come Feyerabend che ha mostrato come anche il criterio di falsificazione non e’ affidabile in senso assoluto.
Pero’ per diversi casi vige addirittura il criterio di validazione: se si trovano un paio di conferme si puo’ lodare una teoria come ESATTA e poi provvede la comunicazione a nascondere cio’ che non va.
Quindi uno dei problemi maggiori che vedo, quando si valuta la…bonta’ della nostra scienza, e’ che si fa un calderone delle attivita’ routinarie ma si focalizza poco su specifiche eccezioni che godono di una strana immunita’.
In breve: come si puo’ costruire una “legge Severino” per le teorie raccomandate, senza che ci sia un Parlamento o un Maurizio Costanzo Show dove la discussione dialettica viene bloccata a tutto vantaggio dello status quo?
Per ultimo, a proposito dello status quo culturale, vorrei sottoporre alla sua attenzione un parallelo: ha presente che fino ad un paio di secoli fa c’erano ancora terre di nessuno, sulla Terra? Ora non ve ne sono piu’, TUTTO e’ colonizzato. Bene, io credo che con la cultura scientifica si e’ tentata questa stessa strada, perche’ la prima teoria che arriva, meglio alloggia. Questo in particolare si rivela un clamoroso atto di imperialismo culturale quando in gioco ci sono teorie neanche verificabili.
Quanto e’ difficile parlare di tutto cio’ senza sprofondare nell’osanna verso la scienza.
Ah, sara’ ora che le faccio i complimenti per il sito 🙂
Fabio, anche a me sembrano molto interessanti le cose che dice Feyerabend, sulla falsificazione avvenuta o meno di una teoria spesso ci possono essere delle divergenze di opinioni per cui qualcuno può ritenere che ci sia stata e altri pensano invece di essere di fronte ad un ‘rmpicapo’ che verrò sistemato.
In tutto questo il peso del condizionamento mediatico è forte, trovo efficace oltre che divertente il parallelismo col Costanzo Show, credo che si sia trattao di un fenomeno di comunicazione che un giorno verrà studiato come ‘pardigmatico’, un fenomeno che ha segnato la svolta tra la razionalità nell’informazione/divulgazione e l’emotività, nonché la nascita del conduttore come orientatore di opinioni.
E infine, grazie per i complimenti! 🙂
Caro Pennetta
vedo solo ora l’interessante scambio sul rapporto tra teoria e osservazioni empiriche nella scienza e vorrei aggiungere qualcosa dal mio punto di vista di scienziato sociale (economista). In verità io mi sono sempre considerato uno scienziato theory driven, benchè ami sporcarmi le mani con i dati empirici. Nel senso che ho sempre pensato che non si possa osservare (e quindi misurare) alcunchè di empirico se non si è guidati, anche solo implicitamente, da una qualche teoria.
Faccio un esempio relativo al mio campo di attività. Molto spesso si usano le tecniche multivariate per individuare gruppi omogenei di osservazioni all’interno di determinate popolazioni (aziende, famiglie, a volte economie). Una tendenza che ho sempre considerato ingenuamente “induttivista” è quella di “agitare bene” in modo multivariato i dataset a portata di mano (e oggi ce ne sono tanti!) per vedere cosa viene fuori: classico esempio è l’uso dell’analisi delle componenti principali, o l’analisi delle corrispondenze multiple. Questo atteggiamento produce classificazioni difficili da interpretare e di scarsa utilità analitica. Il corretto percorso di analisi sarebbe: a) fare ipotesi sulla natura del fenomeno studiato (es. le imprese si differenziano nel loro comportamento per natura delle incentivi economici e della propensione al rischio); b) osservare il fenomeno in base a tali ipotesi (creare un dataset con variabili che si ritengono in grado di rappresentare il fenomeno); c) creare una tassonomia theory driven e classificare le osservazioni in base ad essa; d) eseguire un test delle ipotesi per confermare o smentire le ipotesi di partenza. Mi sembra un approccio corretto che definirei guidato dalla teoria e condizionato ai dati.
Ovviamente io sono d’accordo con il prof Christy. Ma nel caso dei modelli climatici l’errore mi sembra piuttosto stia in un approccio che definirei simulation-driven: gli output dei modelli vengono considerati a loro volta come osservazioni empiriche “prodotte” dalla teoria attraverso i modelli (che sono semi-teorie). Per cui se tutti i modelli vanno in una direzione, le osservazioni della realtà che eventualmente smentissero tali simulazioni non avrebbero uno “status” empirico privilegiato: di fatto il modello viene spesso usato per “falsificare” l’osservazione e infatti un enorme lavoro statistico per “filtrare” i dati climatici perchè si accordino ai modelli è stato sviluppato in questi anni. Come è noto qualsiasi dato, se “torturato statisticamente” a dovere, alla fine confessa.
Questo tipo di malattia metodologica affligge anche tante simulazioni di lungo periodo con modelli macroeconomici multisettoriali. Per non parlare delle simulazioni con modelli integrati economico- ambientali.
Benedetto Rocchi
Gentilissimo Dr. Rocchi,
nel darle il benvenuto ci tengo a dire che interventi come il suo sono un vero arricchimento per chi segue la discussione sull’argomento.
Non posso che concordare con le sue affermazioni, la considerazione che mi viene in mente dopo averle lette è che effettivamente il termine theory-driven non è abbastanza chiaro, infatti è giusto dire che le analisi dei dati devono essere fatte “theory-driven” nel senso che sono svolte alla luce di un’ipotesi da verificare, ma questo era quanto intendevo indicare con “data-driven”.
Il mio impiego invece del termine “theory-driven” intendeva dire che in quel caso è la teoria a prevalere sui dati che si devono obbligatoriamente accordare alla stessa o sono respinti.
Il termine da lei proposto “simulation-driven” mi sembra comunque molto interessante in quanto, come da lei chiarito, consente di indicare quei casi, come avviene spesso riguardo al clima, in cui le simulazioni vengono ad assumere il valore di dati.
Da tenere assolutamente a mente la sua considerazione finale in cui dice: “Come è noto qualsiasi dato, se “torturato statisticamente” a dovere, alla fine confessa.”,.
Davvero molto chiaro.
Grazie
ep