Immagine da “la Repubblica”
Un esperimento mostra che nei topi può avvenire la riproduzione anche senza cromosoma Y, è la fine del ruolo maschile?
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Ma non è vero, al momento è solo tanto polverone. Inaspettatamente però si intravede qualcosa di interessante riguardo l’evoluzione.
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La notizia è stata pubblicata su Science nell’articolo intitolato “Two Y Genes Can Replace the Entire Y Chromosome for Assisted Reproduction in the Mouse” in cui si illustra un esperimento nel quale sono stati lasciati solo due geni del cromosoma Y a dei topi che sono poi stati sottoposti a tecniche di procreazione assistita per potersi riprodurre. Ma andando a fondo su quanto è stato realizzato nei laboratori il clamore suscitato da questo studio è largamente ingiustificato e risulta essere in larga parte frutto di una sapiente operazione mediatica che purtroppo sempre più spesso accompagna la pubblicazione di studi come premessa per ottenere attenzione e finanziamenti. Il fatto che il cromosoma Y, che contiene 78 geni, abbia potuto produrre degli spermatidi (spermatozoi immaturi) che poi solo con sofisticate tecniche di fecondazione assistita hanno permesso la riproduzione, è più che altro una non-notizia:
Mettiamola così, è stato danneggiato il cromosoma Y lasciandogli solo 2 dei 78 geni, e a questo punto per poter fecondare una cellula uovo si è dovuti ricorrere a tecniche spinte di fecondazione assistita. Interessante, certamente utile per capire il ruolo dei geni, ma come si è giunti a tanta evidenza mediatica?
Dagli articoli pubblicati in tutto il mondo si può constatare che esiste un messaggio di base, che è stato diffuso e ripreso in modo acritico, un messaggio che colpisce l’immaginario collettivo ponendo la notizia all’attenzione anche dei non specialisti, si tratta di una frase riportata sul sito della BBC e ripresa ovunque:
“The Y chromosome is a symbol of maleness,” lead researcher Professor Monika Ward told the BBC.
“Il cromosoma Y è un simbolo della mascolinità”, ha detto la professoressa Monika Ward, autrice della rocerca, alla BBC, ma è possibile che in tutta la BBC non ci sia stato nessuno che le domandasse cosa c’entrano i simboli con la genetica? Ma i simboli sebbene estranei alla ricerca genetica hanno una loro potente forza evocativa per cui una volta trasformata la ricerca in qualcosa di più conferendole valore simbolico, ecco che il gioco è fatto e si cattura l’immaginario collettivo. Quando poi la curiosità è stata accesa il colpo finale di quest’operazione di marketing viene con una battuta buttata lì un po’ per scherzo ma anche un po’ sul serio:
However, Prof Ward argues it “may be possible to eliminate the Y chromosome” if the role of these genes could be reproduced in a different way, but added a world without men would be “crazy” and “science fiction”.
“Sarebbe possibile eliminare il cromosoma Y”, ma un mondo senza uomini sarebbe “pazzo” e “fantascientifico”, dice la prof. Ward, e la suggestione è lanciata su uno sfondo dove si intravede un’apertura verso nuove frontiere della riproduzione assistita che grazie a questi studi verrebbe proiettata verso la possibilità di procreare anche tra due femmine rendendo facoltativa la figura del maschio.
Ma come abbiamo detto la riduzione del cromosoma Y a soli due geni non porta alla produzione di spermatozoi e quindi il suo ruolo resta determinante. Inoltre esiste già la possibilità che degli individui nascano con una composizione cromosomica XO, si tratta della malattia definita sindrome di Turner, e non sembra che sia poi così conveniente liberarsi del cromosoma Y:
I principali sintomi della sindrome di Turner sono:
ipogonadismo con fenotipo femminile;
bassa statura;
coartazione preduttale aortica e stenosi aortica con fibroelastosi endocardica;
igroma cistico;
linfedema nelle mani e piedi;
torace a scudo (piatto) e capezzoli iperdistanziati;
attaccatura dei capelli bassa;
orecchie a basso impianto;
il viso può avere un aspetto da persona anziana
sterilità dovuta a malformazioni dell’ovaia detta “a stria”;
ipergonadotropismo;
amenorrea primaria, cioè, l’assenza della mestruazione (in Turner la menopausa avviene prima del menarca all’età di 2 anni);
pterigio del collo.
Altri sintomi sono: mandibola piccola (micrognazia), cubito valgo, unghie sottili e ipoplasiche, blefaroptosi e piega scimmiesca nella mano. Meno comuni sono: palato alto e arcuato, perdita uditiva e nei pigmentati per esempio. Comunque ci sono differenze dei sintomi fra ogni femmina che ha la sindrome. Non influisce sul QI anche se potrebbe causare un certo grado di immaturità e comportamento infantile.
Ed ecco visivamente cosa comporta la perdita del cromosoma y:
Sembra quindi che quei 76 geni eliminati non siano poi così irrilevanti, possibile che la prof. Ward non sia a conoscenza della sindrome di Turner? E fra tutti quei giornalisti che hanno ripreso la notizia, possibile che nessuno abbia accennato ad un’analisi critica di quanto veniva diffuso in versione fotocopia in tutto il mondo?
Eccoci quindi davanti ad un gran polverone assicurato dall’effetto mediatico che accompagna tutto quanto sa di teoria del “Gender” e di superamento della sessualità tradizionale, ma dietro il polverone qualcosa di veramente interessante c’è, e non riguarda la riproduzione. Per vedere di cosa si tratta leggiamo la stessa notizia riportata su Repubblica in “La solitudine del cromosoma Ysempre più inutile per fare figli“:
Guardando il bicchiere mezzo pieno, però, gli studi della Ward hanno dato l’ennesimo colpo di piccone a una teoria che da un decennio terrorizzava gli uomini, e non solo: quella secondo cui il cromosoma Y è solo un relitto dell’evoluzione, una brutta copia del cromosoma X destinata a perdere geni al ritmo di 4 o 5 ogni milione di anni e – avendone in tutto 78 per quanto ne sappiamo – condannata al deperimento e all’estinzione.
La paura che i maschi della specie umana potessero estinguersi era nata da un’osservazione. Circa 300 milioni di anni fa (quando il cromosoma X e quello Y si sono differenziati nel corso dell’evoluzione dei mammiferi), l’Y aveva un migliaio di geni. Oggi questi frammenti di Dna si sono ridotti a 78, almeno per quanto ci è possibile contare.
Candidamente si fa notare che i meccanismi che secondo la teoria neodarwiniana dovrebbero essere alla base dell’evoluzione sono invece responsabili del deterioramento del cromosoma Y che sarebbe passato dai circa 1000 geni di 300 milioni di anni fa ai 78 attuali, dimostrando la correttezza della teoria di John Sanford sull’aumento di entropia nel genoma che sarebbe il vero risultato dell’accumulo di mutazioni casuali.
I geni indispensabili alla riproduzione sarebbero sopravvissuti solo grazie ad un meccanismo di ridondanza in grado di fornire copie sane dei geni che si deteriorano:
Oggi in realtà si è capito che il cromosoma solitario è in grado di ovviare al suo solipsismo duplicando dentro di sé molte versioni di uno stesso gene, fabbricando copie corrette da usare in caso di mutazione.
Ecco cosa dice la biologia sperimentale, le mutazioni portano ad impoverimento genetico e solo grazie ad un meccanismo di ridondanza il cromosoma Y può supplire alla perdita di funzionalità.
Dove sono i nuovi geni frutto del caso e della necessità?
Il cromosoma Y potrebbe con una mutazione ulteriore perdere la capacità di produrre copie multiple dei geni fondamentali, e allora si andrebbe verso l’infertilità e l’estinzione della specie.
Ancora una volta la sintesi moderna si propone come la teoria che spiega l’estinzione delle specie, non l’origine.
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24 commenti
Sono i filosofi della biologia, Enzo, che non hanno mai visto un business plan in vita loro né eseguito una due diligence a immaginare “geni egoisti” (Dawkins) ed “autoreferenziali” (Pievani)! Ma la ridondanza OTTIMIZZATA del codice genetico è da molto tempo utilizzata in industria per risolvere problemi non computabili, che nulla hanno a che fare con la biologia.
Normalmente la compressione che si applica in cibernetica è riduttiva d’informazione, come sa chi zippa il file di un filmato per es. Esiste però una compressione datalossless, che non riduce l’informazione. Anche questo tipo di zippaggio purtroppo, è ottenuto in industria con tecniche approssimative, solo parzialmente soddisfacenti, perché la scelta di un codice che azzeri le ridondanze è forse un problema di complessità non computabile. Ebbene, oggi la compressione datalossless che troviamo realizzata a livello ottimale nel DNA viene utilizzata per simulare la soluzione di problemi che ci risulterebbero altrimenti insolvibili. Così, si è scoperto che l’organizzazione assemblativa delle componenti del DNA è matematicamente ottimizzata non solo in termini di spazio, ma anche di compressione logica! L’osservazione del DNA è risultata più vantaggiosa del calcolo tradizionale approssimativo via computer, sia dal punto di vista dell’energia consumata che dello spazio utilizzato.
Chi volesse approfondire la “provvidenzialità” della ridondanza ottimizzata del codice genetico potrebbe leggere il mio articolo “Il programma sublime” su Tavola Alta (http://www.enzopennetta.it/2013/04/il-programma-sublime/ ), in particolare il paragrafo “La ridondanza ottimale del programma genetico”.
Qui veramente né caso né selezione naturale c’entrano un tubo, perché con trials & errors non si risolve un Bayes inverso neanche in un tempo infinito…
Ecco un caso di ridondanza legata alla longevità di una specie:
http://www.enzopennetta.it/2013/07/perche-un-batterio-non-e-un-abero-di-natale/
Giorgio, sembra proprio che quello che viene definito evoluzione per caso e necessità sia davvero un evento da cui difendersi.
In un certo senso è vero che siamo dei frattali: la maggior parte delle proteine del nostro corpo sono imparentate in modo evidente con altre che svolgono funzioni diverse. E’ possibile ricostruire un albero che mostra come due geni diversi discendano da un antico evento di duplicazione genica. Viene detto studio della filogenesi proteica.
Mi consta però che la filogenetica molecolare assuma la monofilia per tutti i taxa; dunque, è stata ampiamente messa in crisi di recente dalla scoperta dell’HGT (Horizontal Gene Transfer) tra organismi. Inoltre, appare essere un approccio eccessivamente sensibile ai modelli pre-assunti: in altre parole, tende a dare – a partire dagli stessi dati oggettivi – risultati radicalmente diversi a seconda del modello usato
(http://www.plosbiology.org/article/fetchObject.action?uri=info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pbio.1000602&representation=PDF). Sbaglio?
Come dire, Aldo, che il mosaici di Pomposa sono un’evoluzione di quelli Piazza Armerina, perché una casella in alto a sinistra della coda dell’agnello di Pomposa ha una sfumatura di giallo la cui frequenza d’onda è una piccola variazione (casuale?) di quella del giallo del calzare di Ercole di Piazza Armerina.
Il ragionamento a monte della filogenesi proteica è sempre troppo riduzionistico e a-sistemico, quindi datato, perché la concezione gene-centrica (che ci ha fatto perdere 40 anni nella ricerca contro il cancro, per es.), è ormai abbandonata dalle ricerche moderne di biologia, che si concentrano sulle proprietà “sistemiche” senza cui auto-organizzazione, complessità ed emergenza risulterebbero del tutto incomprensibili.
Già al livello dello stesso genere, utilizzando i dati di deep sequencing del genoma del genere topo provenienti dal Sanger Institute, i ricercatori con una analisi PCA hanno calcolato le distanze genetiche tra 16 ceppi di una specie di topo (Mus musculus) e di un’altra specie sempre dello stesso genere (Mus spretus) usata da riferimento ed hanno trovato che la “macroevoluzione” (la differenza tra le due specie) è diffusa su tutto il genoma (effetto sistemico), mentre la microevoluzione (le differenze tra 3 sottospecie di Mus musculus: m.m. domesticus, m.m. castaneus e m.m. musculus) sono gene-specifiche.
Non colgo la pertinenza dell’esempio sui mosaici. E’ chiaro che i fenomeni di evoluzione culturale sono diversi da quelli di evoluzione biologica, perché i primi sono frutto di creazioni umane.
Ma se troviamo opere simili, allora si può dire che sono “imparentate” tra loro nel grande albero filologico della storia dell’arte.
Allo stesso modo si può dire che l’automobile è un’evoluzione della carrozza, perché ne riprende lo stile e le funzioni di base variando l’agente motore.
Quindi il dibattito è sul fatto che sia intervenuto o no un artefice intelligente nel processo di evoluzione biologica? Non credevo che il discorso fosse in questi termini, se è così c’è ugualmente molto da dire.
No, Aldo, si vuole solo dire che l’approccio riduzionistico della biologia molecolare – cui Lei fa riferimento – non risolve nessuno dei problemi di cui qui si discute.
Né da parte nostra si pensa certo di risolvere il problema “scientifico” con il ricorso ad un artefice intelligente: dia un’occhiata, se ne ha voglia, al dibattito filosofico in corso in altri 2 articoli, la teleologia e l’ID.
Semmai siamo noi a trovare piuttosto sorprendente questa Sua sortita di separare l’uomo (ed i prodotti della sua creatività) dall’evoluzione biologica…
La creatività, capacità neurologica non esclusivamente umana ma in cui deteniamo il primato, è quel processo che permette di realizzare innovazione combinando a piacimento vari elementi presi dalle fonti più disparate.
Nell’evoluzione culturale (letteraria, artistica, musicale, tecnologica…) questo fattore abbatte moltissime restrizioni che invece caratterizzano l’evoluzione biologica. La selezione è sempre la guida (se qualcosa non funziona, non piace, non è adatto viene scartato), ma i fenomeni di eredità e variazione sono molto più liberi rispetto alle impersonali creazioni della natura che può solo procedere alla cieca per prova ed errore, realizzando l’innovazione in miliardi di anni anziché decenni.
Un’altra differenza importante è l’approccio bottom-up anziché top-down: processi che dal punto di vista umano sono difficili da studiare e impensabili da ideare possono essere invece quelli più spontanei per la natura. Ad esempio un sistema che si autoassembla, che macroscopicamente richiede alta tecnologia, su scala cellulare è molto più semplice di un banale sistema di leve e carrucole, soluzione a cui la natura non sarebbe mai arrivata per costruire le sue macchine (almeno senza passare per la biologia come la conosciamo).
Se la creativita’ riguarda il simbolo, Aldo, cioe’ le attivita’ da Lei citate (arte, letteratura, scienza, musica, ecc.,), allora e’ esclusiva dell’uomo (Monod, Tattersall, ecc.). Inoltre se la creativita’ si esercita, come dice ancora Lei, “a piacimento”, cioe’ con intenzionalita’ e liberta’, e’ ancora esclusivamente umana ed e’ irriducibile alla fisica, come e’ stato dimostrato qui: http://www.enzopennetta.it/2012/11/fenomenologia-della-coscienza-dallapprensione-al-giudizio/
Io mi accontenterei piu’ modestamente di risolvere con la fisica l’abiogenesi di un batterio, e non escludo che cio’ si possa ottenere con la fisica, cioe’ con la QFT, ma sono certo che non faremo un passo con la biologia molecolare (Woese, Kauffman). E se lo dice Kauffman, che e’ il massimo esperto sul campo e vi ha dedicato 40 anni…
In base alla definizione da me fornita di creatività, anche l’uccello giardiniere ne fa uso nella costruzione dei complessi pergolati con cui sedurre la femmina. Tale attività “artistica”, pur corrispondendo ad una predisposizione innata risultato di un lungo retaggio evolutivo, deve essere appresa. In altre parole, i maschi più anziani diventano sempre più esperti mentre un maschio allevato isolato, in cattività, dà forma a pergolati molto miseri e semplici (Rothenberg, 2012). Inoltre la variabilità degli stili, dei colori e degli ornamenti dettata dalla diversa distribuzione geografica delle specie di volatili sembra suggerire l’esistenza di una tendenza “culturale”.
Aldo, anche lo sviluppo muscolare, la capacità di lottare e l’abilità al volo sono geneticamente determinati ma migliorano con la pratica negli esemplari in natura rispetto agli animali in cattività, ma questa non la chiamerei certo creatività.
Aggiungo che prima di usare l’aggettivo “culturale” ci andrei con i piedi di piombo, magari sarebbe meglio prima definire cosa si intende per cultura.
Lei, Aldo, usa le virgolette per gli aggettivi artistico e culturale applicati ai Suoi uccelli giardinieri. Perche’? perche’ la creativita’ artistica e culturale senza virgolette postula il simbolo, come ogni attivita’ intellettiva della matematica, della logica o della musica o del linguaggio o della storia, ecc. E il simbolo appartiene solo alla specie umana. Questo e’ un fatto, non un’interpretazione, altrimenti Lei mi deve dire una specie non umana dotata di simbolo.
Inoltre, un’altra discontinuita’ tra l’uomo e le altre specie riguarda il giudizio, che avviene per un’operazione Bayer inversa possibile solo ai cervelli umani, come dimostrato nell’articolo sopracitato di Arecchi. Se non d’accordo, Lei mi deve dire dove Arecchi sbaglia.
Buona notte.
Innanzitutto bisogna chiarire cosa si intende per simbolo. A me non viene in mente alcuna facoltà mentale che sia presente nell’uomo e del tutto assente nelle altre specie. Ad esempio, sono molti gli animali in grado di svolgere conti, e gli scimpanzé possono imparare il linguaggio dei segni. Dunque la mia domanda è: cosa si intende per simbolo?
Gli uccellini cantano? sì.
Gli uccellini usano il pentagramma? no.
Un pallino nero su una riga è una cosa A che sta ad indicare un suono B. Questo è un simbolo: una cosa per un’altra costruita convenzionalmente e senza nessun rapporto fisico tra le due.
La scienza dei simboli si chiama semiotica.
E il linguaggio dei segni non è fatto di simboli?
A condizione, Aldo, che sia “convenzionale”, come Le ho scritto sopra, ovvero ci siano piu’ linguaggi diversi [nella stessa specie], con simboli e sintassi diversi, per rappresentare gli stessi significati. Con formule di trasformazione (“traduzione”) da un linguaggio all’altro. E quindi figure d’interpreti… Mi dica Lei se questo e’ il caso per qualche specie animale, dato che io non sono uno zoologo.
Vede, Aldo, quando Lei usa le virgolette, Lei sta facendo analogie ed usando metafore, ma queste forme appartengono alla poesia, non alla scienza. E quando Lei scrive che ci sono animali che sanno “svolgere conti” (qui le virgolette le ho messe io, perche’ Lei le ha omesse), ancora usa una metafora. Gli animali certamente distinguono il meno numeroso dal piu’ numeroso, il piu’ grosso dal meno grosso, il piu’ distante o il piu’ veloce dalle disuguaglianze opposte, e quindi certamente gli animali superiori hanno nozioni elementari di aritmetica, geometria e persino dinamica, pero’ queste facolta’ sono state selezionate naturalmente per catturare piu’ cibo o difendersi da predatori piu’ numerosi o piu’ veloci o meno distanti, ma gli animali non sanno affatto “contare”, se con la parola intendiamo – come s’intende in matematica – dire o solo pensare la successione dei simboli (arabi o romani o maya, in codice decimale, dodecimale o binario), ma comunque obbedienti agli assiomi di Peano.
Ad uno scimpanzé è possibile insegnare a posizionare le dita in modo simbolico (esempio: un cerchio con medio e pollice vuol dire “frutto” e un indice in orizzontale vuol dire “bere”), a quel punto è anche in grado di combinare i simboli per indicare oggetti che non sono nel dizionario insegnato (“frutto” + “bere” per riferirsi al cocco).
Questi gesti sono simboli a tutti gli effetti, almeno secondo questa definizione da Wikipedia:
“Il simbolo è un elemento della comunicazione, che esprime contenuti di significato ideale dei quali esso diventa il significante”
I contenuti, Aldo, del linguaggio di comunicazione delle scimmie non esprimono significati “ideali” (secondo la definizione di simbolo da Lei portatami), ma oggetti (frutta) ed operazioni concrete (bere), necessari alla sopravvivenza. Qui sta la differenza tra “segno” (che appartiene anche agli animali) e “simbolo” (che appartiene solo all’uomo), qui sta “l’abisso cognitivo tra noi e le scimmie” (Ian Tattersall).
Non è nella “presenza” di linguaggi di comunicazione la differenza tra specie animali e la specie umana, perché moltissime specie animali hanno segni di comunicazione (dalle danze delle api agli ululati dei lupi agli incroci di dita delle scimmie alle marcature di territorio dei felini), ma nelle “qualità” della comunicazione, che nel caso umano comprende concettualizzazione astratte (le “idee” da cui il simbolo). Queste idee astratte, prima di essere comunicate simbolicamente (come facciamo nel nostro dialogo da alcuni giorni), devono essere “meditate” con un processo cerebrale (consistente al livello neuronico nell’applicazione di formule di Bayes inverse, create ogni volta ex novo e perdurante non meno di 3 secondi) che si chiama “giudizio”.
La invito di nuovo a leggere l’articolo, che è pura fisica, quindi scienza quantitativa galileiana senza metafore né voli poetici: http://www.enzopennetta.it/2012/11/fenomenologia-della-coscienza-dallapprensione-al-giudizio/ e poi ne riparliamo, se vuole.
Beh,se ne era parlato anche quì:
http://www.enzopennetta.it/2012/11/radio-globe-one-recensione-1011-conferenza-sul-malthusianesimo-e-santificazione-di-darwin/
dove ,nel discorso,si faceva riferimento che questa “previsione” fosse contenuta addirittura in un testo di genetica per medici specialisti…
Questo articolo completa perfettamente quel “vecchio” discorso e riaggancia,ancora una volta,al nuovo sull’evolvibilità.
Infatti, la norma è la degenerazione?Allorché si presentano le condizioni supposte come adatte ad un’evoluzione si osservano solo estinzioni,decimazioni,degenerazioni?
Presto fatto:
http://www.flickr.com/photos/90303254@N02/10480992915/
L’immagine a cui ti riferisci, è davvero eloquente.
Siamo davanti ad una contraddizione logica, si parte da un evento negativo “degenerazione”, cioè rottura e comunque perdita di funzione, e se ne fa derivare ogni sorta di funzionamento.
@Aldo
“In base alla definizione da me fornita di creatività, anche l’uccello giardiniere ne fa uso nella costruzione dei complessi pergolati con cui sedurre la femmina”
Lo stesso si può dire, lo so per esperienza personale, riguardo ai canarini da canto Malinois. Il loro particolarissimo canto, con almeno 10 strofe diverse, viene acquisito dai giovani attraverso la scuola dei vecchi… Un novello abbandonato a se stesso prima dell’acquisizione diventa un ben misero cantore, poco pregiato, mancante di molte strofe che non riesce ad elaborare autonomamente.
La scuola è molto dura: isolamento in gabbiette molto piccole, per non aver distrazioni, semibuio e “maestri cantori” che dalla mattina alla sera mettono in mostra il loro repertorio… E’ quasi commovente vedere i tentativi di imitazione dapprima maldestri dei giovani diventare giorno dopo giorno sempre più pregnanti del canto più bello.
@Aldo
“E il linguaggio dei segni non è fatto di simboli?”
In effetti, penso alle api e alla loro danza… Un ape bottinatrice, quando rientra all’alveare, compie una danza percorrendo sul favo una sorta di 8 l’ampiezza del quale, assieme al movimento dell’addome, indica alle compagne il luogo dove ha raccolto il suo bottino… Le compagne sanno riconoscere da quel simbolo figurato distanza e luogo, anche in riferimento alla posizione del sole, dove trovare i fiori ricchi di polline.
Gli insetti pronubi non hanno bisogno dell’uomo, l’uomo ha bisogno degli insetti pronubi. Che senso ha?
Mi rispondo da solo: nessun senso; sarebbe come chiedersi che senso hanno avuto le specie che si sono estinte… Nessuno, appunto.
Per chi volesse approfondire un po’ la danza delle api come linguaggio simbolico…
http://www.moebiusonline.eu/Guardiamo/Danza_api.shtml