Alessandro Giuliani
La biologia post-genomica ha costretto gli scienziati a prendere di nuovo in considerazione un concetto molto importante della scienza e della cultura occidentale: il concetto di forma (vedi Denton M., Marshall C. (2001) Nature, 410: 417). La conoscenza contemporanea di decine di migliaia di variabili definite sullo stesso soggetto o unità sperimentale ha insomma posto di nuovo in primo piano le relazioni reciproche tra le differenti misure piuttosto che la conoscenza approfondita del singolo elemento di informazione.
Ciò corrisponde ad assumere come oggetto privilegiato di analisi la forma, credo quindi sia di qualche interesse fornire delle indicazioni introduttive sui fondamenti epistemologici (antichissimi) di questo nuovo approccio che corrisponde né più né meno a prendere sul serio la geometria.
Nella sua formulazione più sintetica una forma non è nient’altro che un insieme di vincoli (cioè di correlazioni) tra le parti di un oggetto, quindi un triangolo sarà quella particolare configurazione che obbedisce al vincolo che gli angoli interni abbiano una somma pari a 180°, una circonferenza sarà quella forma che obbedisce al vincolo che tutti i suoi punti si dispongano a una distanza fissa r detta raggio della circonferenza da un punto chiamato centro. Se questi vincoli sono rispettati le dimensioni dell’oggetto possono cambiare ma la sua forma rimane identica, nella figura seguente vediamo ad esempio una serie di triangoli simili di differenti dimensioni.
Fig. 1.
La figura riporta le dimensioni dei lati: il triangolo più piccolo ha lati di lunghezza (3,4,5), poi si passa a un triangolo di lati (6,8,10), poi ad uno di lati (9,12,15). E’ semplice capire come i triangoli più grandi siano derivati dal primo moltiplicando i suoi lati rispettivamente per 2 e per 3. Questa operazione ha fatto sì che le relazioni reciproche fra i lati all’interno dei triangoli siano rimaste identiche nonostante la figura si ingrandisca progressivamente. Infatti le relazioni reciproche fra i lati sono: 3/4 = 6/8 = 9/12 e anche 4/5 = 8/10 = 12/15, in questo caso diciamo che ‘le proporzioni sono rispettate’, è quello che in biologia si chiama ‘accrescimento isometrico’ cioè senza cambiamento di forma.
Generalizzando appena un poco, potremmo definire una forma come un insieme ‘stabile di correlazioni’ tra gli elementi di un sistema, in questa accezione è immediato fornire una quantificazione universalmente valida di forma (shape) separandola dal concetto dimensione (size) senza imporre alcuna regola a priori , ma lasciando che la ‘forma’ emerga spontaneamente dai dati sperimentali.
E’ questo un classico problema della statistica multidimensionale (Jolicoeur and Mosimann, (1960) Growth (24): 339-354): immaginiamo di voler analizzare la variabilità fenotipica e quindi eventuali influenze ambientali e genetiche sul fenotipo di un organismo biologico, per farlo dovremmo immaginare delle misure quantitative da eseguire sugli individui della specie in esame. Nello studio di Jolicoeur a Mosimann gli autori si concentrano su una particolare specie di tartaruga il cui nome scientifico è Chrysemis picta marginata , essi sanno bene che mentre le dimensioni degli animali sono influenzate dall’età, dal sesso e dallo stato di nutrizione, la forma dovrebbe essere più conservata e le sue eventuali (piccole) variazioni essere legate a qualcosa di molto più intimamente legato al patrimonio genetico degli animali o comunque a regolazioni più fini. Essi allora raccolgono quarantotto soggetti equamente divisi fra maschi e femmine e, sul carapace di ciascun individuo, operano tre misure: lunghezza, altezza e spessore riportate (in parte) nella tabella seguente espresse in millimetri:
Tavola 1.
tartaruga | sesso | lunghezza | larghezza | Spessore |
T25 | F |
98 |
81 |
38 |
T26 | F |
103 |
84 |
38 |
T27 | F |
103 |
86 |
42 |
T28 | F |
105 |
86 |
40 |
T29 | F |
109 |
88 |
44 |
T30 | F |
123 |
92 |
50 |
T7 | M |
104 |
83 |
39 |
T8 | M |
106 |
83 |
39 |
T9 | M |
107 |
82 |
38 |
T10 | M |
112 |
89 |
40 |
T11 | M |
113 |
88 |
40 |
T12 | M |
114 |
86 |
40 |
T13 | M |
116 |
90 |
43 |
Una semplice occhiata dimostra come la ‘dimensione generica’ sembri coprire ogni altra sorgente di variabilità tra individui , infatti all’aumentare della lunghezza aumenta anche la larghezza e lo spessore dei soggetti, nel grafico seguente (Fig.2) questa impressione è in effetti suffragata dai dati:
La figura riporta la relazione esistente tra Lunghezza e Larghezza dei singoli animali che corrispondono ai punti nel piano, la retta attorno a cui si dispongono i punti corrisponde alla legge empirica che, nel nostro insieme di dati lega Lunghezza e Larghezza dei soggetti (leggi analoghe valgono per i rapporti tra tutte le dimensioni analizzate) e può essere espressa come:
Larghezza = 19,94 + 0,605*Lunghezza
Questa legge è molto efficiente come misurato dal valore r = 0.98, dove r (coefficiente di correlazione) è una misura dell’adattamento dei dati alla retta che ha un massimo di 1 (-1 per correlazioni negative), mentre l’indipendenza delle due misure corrisponde ad un valore r=0. L’esistenza di questa legge empirica (derivata cioè direttamente dai dati con l’unico vincolo di trovare la retta che passasse più vicino a tutti i punti) è diretta conseguenza dell’esistenza di una ‘forma tipica’ del carapace delle tartarughe, per cui non è possibile (se non per piccolissime deviazioni, ma su questo torneremo in seguito) variare indipendentemente Lunghezza e Larghezza ma ad una variazione di una dimensione corrisponde necessariamente una variazione PROPORZIONALE dell’altra. La costante di proporzionalità vale 0,605 nello spazio a due dimensioni Lunghezza/Larghezza riportato in figura ed ha esattamente lo stesso significato del rapporto costante tra i lati dei triangoli simili con cui avevamo iniziato il nostro discorso sulla forma, il valore del termine noto (19,94) è un semplice fattore di scala.
L’esistenza di queste relazioni empiriche fra le dimensioni è la prova dell’esistenza di una ‘forma comune’ del carapace delle tartarughe, una tartaruga ‘piccola’ si situerà a sinistra e in basso nel grafico, una tartaruga ‘grande’ in alto a destra ma non osserveremo mai coppie di valori che si allontanano molto dalla ‘forma ideale’ corrispondente alla retta. I fisici chiamano questo comportamento una ‘rottura di simmetria’ intendendo che lo spazio bidimensionale non è completamente a disposizione della variabilità del sistema che si riduce invece ad un movimento monodimensionale lungo la retta che è l’immagine quantitativa della particolare forma del carapace riportata in Figura 3.
Abbiamo quindi dimostrato che mentre le dimensioni relative degli animali variano molto tra diversi esemplari, la forma rimane praticamente costante. Ciònonostante queste piccole variazioni di forma potrebbero essere di interesse per il biologo, per cui Jolicoeur a Mosimann si pongono il problema di trovare un modo di quantificare le variazioni di forma, cioè di cercare una regolarità in quelle piccole deviazioni dalla completa aderenza alla retta di Fig.2. Per fare ciò essi applicano alla base iniziale di dati riportante le tre misure effettuate sul carapace dei 48 animali un’analisi statistica molto nota detta analisi in componenti principali (PCA). Senza entrare in dettagli matematici possiamo immaginare intuitivamente questa analisi come la ricerca di un riferimento cartesiano (e quindi dotato di assi tra loro indipendenti) su cui proiettare il sistema di punti in esame. Questo riferimento cartesiano dovrà rispondere a dei criteri di economicità rappresentativa: la prima componente (Asse 1, PC1) dovrà essere quella che spiega la massima parte delle differenze fra i punti, la seconda componente (Asse 2, PC2), la seconda direzione più ‘importante’ in termini di variabilità spiegata indipendente dalla prima, e così di seguito fino a che il sistema non è quasi (il quasi dipende dal fatto che tutte le misure sono afflitte da incertezza) totalmente spiegato. Il sistema è espresso non più attraverso le variabili originali (lunghezza, Largezza, Spessore) ma con nuove variabili derivate dette componenti principali che mantengono traccia delle relazioni reciproche tra le misure originali. In questo modo il sistema sarà più facilmente interpretabile in quanto i nuovi assi (componenti principali) saranno per costruzione (PCA è una procedura puramente matematica che non implica alcuna scelta da parte dello scienziato) indipendenti fra loro e, derivando direttamente dalla struttura di relazione tra gli elementi del collettivo studiato, saranno l’immagine dei ‘parametri ordinatori’ del sistema stesso. I coefficienti di correlazione tra le variabili originali e le componenti estratte consentono di dare un’interpretazione a quanto osservato.
Nel nostro caso PCA genera due componenti che spiegano rispettivamente il 98% (PC1) e l’1.4% (PC2) della variabilità tra individui, mentre il restante 0.6% è ascrivibile a incertezza nella misura. Nella tabella seguente sono riportati i coefficienti di correlazione tra le misure originali (Lunghezza, Larghezza e Spessore) e le misure derivate (componenti principali).
Tavola 1
PC1 | PC2 | |
Lunghezza | 0,992 | -0,067 |
Larghezza | 0,990 | -0,100 |
Spessore | 0,986 | 0,168 |
La tabella ci permette di vedere come PC1 (la sorgente di variazione che spiega il 98% delle differenze tra individui) sia la dimensione (size) a forma invariante, tutte e tre le misure originali sono correlate con valori vicini all’unità con questa componente, esse cioè variano di concerto lungo PC1 che infatti ha formula: PC1= 33.78*Lunghezza + 33.73*Larghezza + 33.57*Spessore
I punteggi di PC1 assegnati secondo la formula precedente (ricordiamo ancora che si tratta di una procedura che ha come input solo i valori effettivamente osservati senza alcuna ‘guida esterna’) consentono di condensare in un solo valore la ‘grandezza’ di ogni individuo.
La seconda componente (PC2) ha delle correlazioni molto più basse con le variabili originali, coerentemente con il fatto che spiega solo una piccola (1,4%) percentuale delle differenze fra individui, ma queste correlazioni hanno segni differenti, negativi per Lunghezza e Larghezza, positivi per la variabile Spessore, questo significa che muoversi lungo la seconda componente implica un cambiamento di forma degli individui in quanto ad una diminuzione di Lunghezza e Larghezza corrisponde necessariamente un aumento di Spessore e quindi una variazione di forma, la formula di PC2 è infatti: PC2 = -1,57*Lunghezza – 2,33*Larghezza + 3,93*Spessore, indicante che, a differenza della prima componente dove i diversi valori mantengono invariati i rapporti reciproci tra lunghezza, larghezza e spessore, i movimenti lungo PC2 implicano necessariamente una modifica dei rapporti reciproci fra dimensioni, PC2 è insomma una componente ‘shape’ tenente traccia delle piccole modifiche della forma del carapace a parità di dimensioni. Dalla formula della componente shape evinciamo dunque che alti valori di PC2 corrispondono a carapaci più spessi ma meno lunghi e larghi e viceversa per valori bassi, tutto questo a parità di dimensioni generali (le due componenti sono indipendenti).
La variazione di forma, le piccole deviazioni attorno alla ‘forma ideale’, sono state quindi separate dalle variazioni puramente dimensionali e quantificate da un indice sintetico (PC2, shape) che assegna un valore numerico ad un concetto apparentemente sfuggente come quello della forma.
La Figura 4 riporta la disposizione degli animali lungo gli assi ‘size’ (modifica di dimensioni a forma invariante, PC1) e ‘shape’ (modifica di forma a dimensione invariante, PC2), i due assi sono stati riportati artificialmente su una scala comune altrimenti le differenze in termini di PC2 sarebbero state impercettibili.
Il grafico è a questo punto completamente ‘a disposizione’ della variabilità naturale degli individui, la forma varia indipendentemente dalla dimensione, la struttura di correlazione fra le variabili originali ha permesso di separare i due concetti indipendenti di forma e dimensione. Questa ‘alchimia statistica’, oltre a mostrarci la presenza di una forma ideale molto ben marcata (fortissima correlazione tra misure empiriche, componente size di gran lunga la più rilevante per spiegare le differenze tra individui) ci ha permesso di mettere in luce le piccole deviazioni da questa forma ideale (1,4% dell’informazione totale) consentendo di quantificarle in una componente ‘shape’ tenente traccia delle modifiche di ‘pura forma’ tra soggetti. Il fatto che i maschi siano più piccoli (bassi valori di PC1) e con un carapace più meno spesso (bassi valori di PC2) delle femmine è una delle proprietà emergenti dal semplice constatare un eccesso di maschi (cerchi vuoti) in basso a destra dello spazio delle componenti.
Arrivati a questo punto possiamo riassumere i punti salienti sul concetto di forma:
1) Una forma è un insieme di relazioni che legano fra loro gli elementi di un sistema e quindi le misure che si possono eseguire sul sistema stesso.
2) Le relazioni che individuano una forma non sono necessariamente degli ‘a priori’ come nel caso delle figure geometriche ma possono derivare empiricamente da un insieme di misure sperimentali (carapace delle tartarughe).
3) Le variazioni di grandezza e di forma sono separabili, quindi due oggetti possono avere la stessa forma e grandezza differenti e viceversa.
4) L’emergere di una ‘forma ideale’ corrisponde ad una rottura di simmetria: il sistema non ha più a disposizione tutto lo spazio corrispondente alle variazioni indipendenti delle sue caratteristiche ma è ‘costretto’ in una regione molto ridotta di questo spazio corrispondente al mantenimento della sua ‘forma caratteristica’.
Nel gergo fisico, la presenza di una forma è denominata ‘rottura di simmetria’, questo nome deriva dal fatto che la situazione di ‘default’ è quella della completa indipendenza degli atomismi del sistema , qualsiasi ‘vincolo’ che riduce l’indipendenza delle parti genera quindi una rottura di simmetria dello spazio delle fasi del sistema che è ‘obbligato’ a occupare solo degli stati ‘ammessi’.
La chimica dà un’importanza particolare al concetto di forma, anzi possiamo dire che più di tutte le altre scienze, il pensiero chimico è fondato stabilmente su una particolare concezione della forma.
La peculiarità del pensiero chimico è quella di occuparsi di forme o configurazioni stabili (le molecole) corrispondenti al soddisfacimento di vincoli costruttivi (e.g. le regole di valenza) che permettono l’esplorazione di uno spazio virtualmente infinito di combinazioni che però mantengono una coerenza interna molto forte, una correlazione fra le parti.
Insomma, qui non abbiamo uno stato di ‘default’ corrispondente alla simmetria, la presenza di regole deterministiche che vincolano la forma delle molecole sono date, le forme non si possono modificare a piacere (almeno al livello più elementare delle regole di valenza, quanti legami una particolare specie atomica può intrattenere con un’altra) ma, attraverso reazioni chimiche una forma si può trasformare in un’altra forma discreta ammessa corrispondente ad un’altra configurazione che soddisfa i vincoli di valenza.
Questa situazione rende possibile lo sviluppo di un modello particolarmente affascinante di ‘linguaggio universale’ che è quello costituito dai grafi (o reti) in cui gli elementi costituenti il sistema vengono rappresentati da nodi e le relazioni tra loro intercorrenti da legami che li uniscono (archi o spigoli). Questo linguaggio consente un tipo molto particolare ed efficiente di pensiero sistemico. La Fig.5 riporta due semplici ‘grafi chimici’, corrispondenti rispettivamente alle formule di struttura del metano e dell’acqua.
Fig. 5
Ogni studente degli ultimi anni di Liceo dovrebbe sapere che lo stesso atomo di idrogeno (quindi una identica entità) ha delle proprietà diverse quando si trova nella molecola del metano e quando si trova nella molecola dell’acqua. La più evidente di queste proprietà è la sua carica elettrica parziale, che è molto più elevata nell’acqua in quanto la maggiore elettronegatività dell’ossigeno (O) rispetto al carbonio ( C ) fa sì che gli elettroni condivisi nel legame covalente siano molto più ‘spostati’ verso l’ossigeno che verso il carbonio. Questo è un esempio di ciò che filosofi e i metodologi chiamano causazione ‘top-down’, dal livello più generale a quello più particolare, in questo caso sono le proprietà generali della molecola che influenzano l’entità di livello più basso che è l’atomo. Allo stesso modo però ciò da cui il metano e l’acqua derivano le loro caratteristiche generali (punto di fusione, di ebollizione, reattività chimica..) sono gli atomi costituenti e le loro relazioni reciproche , questa è quella che si chiama causazione ‘bottom-up’ dal basso verso l’alto, le proprietà del sistema più grande derivano dalle caratteristiche dei loro elementi costituenti. Questa compresenza dei due modelli di causazione (che viene chiamata ‘middle-out’ per rimarcare il fatto che la rappresentazione mette al centro la struttura di relazione) costituisce l’essenza del pensiero ‘sistemico’ . Le formule chimiche permettono di derivare un numero enorme di caratteristiche fisico-chimiche delle molecole (peso molecolare, rifrazione molare, energia degli orbitali molecolari..) e addirittura di proprietà collettive delle sostanze (punto di fusione, solubilità, punto di ebollizione..). Il linguaggio dei grafi chimici (formule di struttura) è insomma un linguaggio altamente generativo.
In che senso un grafo chimico come una formula di struttura può essere considerata una ‘forma’ ?
La prima definizione che avevamo dato nel paragrafo precedente si adatta perfettamente alla rappresentazione attraverso i grafi ‘Una forma è un insieme di relazioni che legano fra loro gli elementi di un sistema’, in una molecola gli elementi sono proprio gli elementi chimici, gli atomi, e le relazioni fra di loro corrispondono ai legami covalenti tra le specie atomiche. Capiamo allora perché nel pensiero chimico le forme, descritte dalle formule di struttura, siano una primitiva: non è possibile (se non nel caso di forme transienti molto instabili che hanno una vita di pochi nanosecondi) attraversare uno spazio continuo di forme (come nel caso del carapace delle tartarughe) ma solo ‘saltare’ da una forma discreta ammessa (che soddisfa cioè i vincoli di valenza) ad un’altra. La ‘forma chimica’ è dunque un’ entità discreta, una molecola può essere trasformata in un’altra ma sempre attraverso un cammino che passa attraverso ‘forme ammesse’. Lo stesso avviene per quelle che si denominano come ‘forme di risonanza’ di una stessa molecola come descritto nella figura seguente:
Fig.6
L’enorme molteplicità delle molecole organiche possibili è quindi una ‘molteplicità numerabile’ scaturente in maniera combinatoria da un numero discreto (e relativamente piccolo) di regole di composizione.
Da un punto di vista filosofico, la ‘peculiarità’ chimica comincia a farci intravedere degli spunti interessanti, soprattutto per quanto riguarda la natura profonda della sua rappresentazione della ‘forma’ attraverso la formula di struttura. Nel linguaggio delle formule chimiche intuiamo un legame profondo tra significato (la molecola come entità reale dotata di specifiche proprietà chimico/fisiche) e significante (la formula di struttura). Dobbiamo però necessariamente approfondire i principi primi della chimica per non fermarci ad un’impostazione puramente suggestiva e metaforica.La chimica è scienza intermedia e quindi inusitatamente profonda, questa profondità è legata a doppio filo ad uno sguardo particolarmente centrato sulle relazioni più che sugli aspetti contingenti (biologia) o sulle leggi generali (fisica) e l’ha preservata dai deliri di onnipotenza di cui a volte soffrono le sue sorelle ‘estreme’. La chimica condivide con la biologia l’interesse per la varietà, per la classificazione di entità autonome (specie, tessuti, tipi cellulari in biologia, molecole in chimica) ma, mentre nella biologia la classificazione avviene attraverso l’osservazione di casi contingenti e manca di un principio ordinatore unico, in chimica, le entità sono tutte derivabili (e nominabili) a partire da principi non solo ordinatori ma addirittura costruttivi unici, la chimica, unica in tutte le scienze, consente all’uomo di allargare il patrimonio delle entità osservabili con molecole da lui sintetizzate che, a differenza degli artefatti tecnologici, vengono ‘inglobati’ (riconosciuti, assimilati, fatti propri) dalla natura .
D’altra parte la chimica condivide con la fisica la tendenza alla rappresentazione modellistica ‘esatta’ degli oggetti che studia, l’attenzione per la teoria della misura e per un quadro coerente di spiegazione dei fenomeni. A differenza della fisica, come abbiamo già accennato, la chimica ha una predilezione per le relazioni (topologia), rispetto ai rapporti numerici e, soprattutto riesce a costruire ‘teorie autonome’ per i diversi livelli di spiegazione del reale senza costringere i fenomeni ad una gerarchia di ‘livelli di spiegazione’ in cui il più ‘fondamentale’ necessariamente deve reggere tutto. La chimica insomma è una fisica che ‘sa dove fermarsi’, vedremo come questo dipenda da come la chimica tratta gli aspetti quantitativi del suo corpo di conoscenze.
Le scienze biologiche si stanno (almeno nei loro settori più accorti) avvicinando a questo tipo di pensiero generativo attraverso l’enorme importanza che si da alle reti di relazione di vario genere (reti metaboliche, reti di interazione proteina-proteina, reti di regolazione genica, reti ecologiche). La rete ( o grafo) ha alla base, come abbiamo visto, il concetto di forma, la nostra speranza è che le implicazioni epistemologiche profonde che abbiamo visto essere spontaneamente presenti nella chimica, contaminino anche la biologia facendole rinverdire le sue origini sistemiche.
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7 commenti
E’ stupendo che uno scienziato esca, di tanto in tanto, dalla sua “caverna” fenomenica per spostarsi in un punto di osservazione più elevato da cui osservare anche i fenomeni simili osservati dai suoi colleghi, per cercare di portarli ad un comun denominatore. Questa è una “sintesi disciplinare”, e costituisce un avanzamento in una scienza naturale.
Se poi, come fa Giuliani in questo articolo, il punto di osservazione è ancora più elevato, così da abbracciare in una nuova sintesi discipline diverse, questo può costituire un cambio di paradigma e, in caso di successo, una “rivoluzione scientifica”. In questo caso, la principale interessata sarebbe la biologia!
Anche se i Greci hanno inventato la geometria e fatto su di essa grandi scoperte, solo 2.500 anni dopo qualcuno si chiese “Ma che cos’è la geometria?”. Fu una domanda apparentemente banale, palesemente ingenua, ma con essa Felix Klein provocò una rivoluzione che dalla geometria si sarebbe estesa a tutta la matematica e poi anche alla fisica. Klein trovò che la geometria – che tutti pensavano di sapere in che cosa consistesse, ma non era vero – è l’insieme delle proprietà invarianti in seguito ad un gruppo di trasformazioni. Senza Klein, non capiremmo oggi le geometrie cosiddette non euclidee, e non avremmo né la relatività generale, né la meccanica quantistica.
Con questo articolo, Giuliani si chiede, altrettanto “banalmente e ingenuamente” di Klein: “Ma che cos’è la forma?”. E si risponde, con una generalizzazione audace applicabile ad ogni scienza naturale, compresa la delicatissima biologia, che essa consiste nell’insieme delle relazioni che si conservano, al netto delle dimensioni. Detto così sembra politicume, ma poi – se come fa lui – ti aggiunge anche un metodo operativo, quello della PCA (ma quanti miracoli fa questa tecnica, Alessandro!) per estrarre a posteriori dalle misure delle affezioni la “forma”, il gioco è fatto!
Tanti auguri e buono spasso ai biologi del XXI secolo!
Grazie Giorgio,
sono commosso ! Klein è uno dei miei grandissimi favoriti, e le componenti principali tecnica semplice e stupefacente…
Questo articolo si occupa di chimica ma in molti passaggi i termini si potrebbero sostituire con altri propri della biologia, riporto solo un paio di casi:
“Insomma, qui non abbiamo uno stato di ‘default’ corrispondente alla simmetria, la presenza di regole deterministiche che vincolano la forma delle molecole sono date, le forme non si possono modificare a piacere”
“non è possibile (se non nel caso di forme transienti molto instabili che hanno una vita di pochi nanosecondi) attraversare uno spazio continuo di forme (come nel caso del carapace delle tartarughe) ma solo ‘saltare’ da una forma discreta ammessa (che soddisfa cioè i vincoli di valenza) ad un’altra.”
Principi assolutamente scientifici e patrimonio consolidato della chimica, perché, ripeto, non seguire una possibilità analoga nella biologia?
Forse perché, Enzo, la biologia è ancora prigioniera del principio “continuista”, venuto in testa a Darwin nel suo “lungo ragionamento” dopo il viaggio intorno al mondo, e questo principio continuista Darwin l’aveva appreso a Cambridge studiando la fisica (classica) dei suoi tempi.
Certo la selezione naturale appare adeguata a raffinare caratteri già esistenti, come i becchi dei fringuelli o i colori delle falene. Ma la macroevoluzione immaginata da Darwin e dai suoi emuli si arresta di fronte alla “discontinuità” tra ostriche e cavallette, tra pesci e uccelli. Il gradualismo adattazionista è un pio desiderio, pieno di buchi.
Darwin è stato uno scienziato scrupoloso, ha fatto il meglio che poteva nel XIX secolo. Ma come Aristotele non aveva gli strumenti di Galileo, e Galileo senza timori reverenziali è andato oltre Aristotele, senza farsi condizionare dai peripatetici in adorazione; così i biologi del XXI secolo devono usare la scienza del XXI secolo (in particolare la matematica, la chimica e la fisica, come ci insegna Giuliani) ed andare oltre Darwin, senza farsi condizionare dalle formule fisse dei suoi seguaci adoranti.
La fisica di Darwin era quella di Newton, cioè di corpi materiali che cambiano corsa solo sotto l’azione proporzionata di forze esterne agenti su di essi. La fisica classica non prevedeva cambiamenti improvvisi di riorganizzazione come il congelamento, la fusione, le separazioni di fase, ecc., che sono osservabili in materiali chimici complessi e meccanicamente attivi. Ora si scopre che i tessuti di un embrione in via di sviluppo sono non newtoniani, non aristotelici. Solo dopo la morte di Darwin sarebbero sorte nuove teorie fisiche che oggi spiegano i cambiamenti improvvisi e su larga scala dei materiali e che potrebbero essere usate per spiegare la macroevoluzione di organismi e organi.
Analisi assolutamente corretta, il grande sbaglio della biologia del XX secolo è stato proprio quello di non aver avuto il coraggio (o non aver voluto?) di osare quello che ha osato la fisica.
Se i fisici si fossero comportati come i biologi staremmo ancora cercando di perfezionare la fisica newtoniana facendo finta che i problemi sollevati dagli orbitali atomici e della velocità della luce siano solo dettagli che prima o poi verranno chiariti.
E così non ci sarebbe stata la fisica quantistica né la relatività.
Oggi spiegavo ai miei studenti liceali un esperimento consistente nella separazione delle cellule di due spugne di specie differenti e nella loro ricomposizione spontanea.
Come si giustifica la capacità di queste cellule di riconoscersi e soprattutto di riedificare una struttura simile a quella preesistente?
Dove risiede il ricordo della loro forma, così ben definita da quest’articolo?
Naturalmente nel testo in adozione ci si guarda bene dall’affrontare una tale tematica che obbligherebbe ad alzare lo sguardo e a farsi domande molto impegnative. Invece, fin dai primi gradi di istruzione obbligatoria, le tenere menti si assuefanno al continuismo darwiniano, sono indotte a credere a prove inesistenti e a considerare l’origine della vita come una questione risolta.
Grazie per le preziose informazioni che mettete a disposizione. Speriamo che sempre più persone si sottraggano a quell’incantesimo che dura da oltre un secolo e mezzo.
Cordiali saluti e complimenti.
Caro Sergio,
il tuo commento mi ha commosso nel profondo, grazie mi hai dato una grande gioia, mi hai confermato il motivo per cui vale la pena di impegnarsi in questa impresa. Tu fai un lavoro fondamentale facendo sì che i tuoi studenti abbiano una mente aperta e libera, il mio lavoro di ricercatore è affascinante e pieno di stimoli ma , se non ci fosse questo riscontro, sarebbe troppo spesso fine a sè stesso, grazie ancora allora , dal profondo del cuore e tanti auguri di Buona Pasqua !
Alessandro