Persino gli economisti del Fondo Monetario lo riconoscono: neoliberismo e austerità aumentano la disuguaglianza, rendendoci tutti più poveri. Tranne l’élite.
Di Ilaria Bifarini
Ogni tanto, tra le varie notizie di propaganda che dipingono un paese irreale, in cui un aumento quasi impercettibile del Pil -peraltro stimato- e una diminuzione lievissima del tasso di disoccupazione attualmente alle stelle -perlopiù legata a fattori stagionali- vengono spacciati per crescita, trapela qualche dato reale sullo stato di salute del Paese. Uno di questi è quello divulgato ieri dall’Istat -e precedentemente anche dall’OCSE- sul livello di disuguaglianza interno alla popolazione: mentre una fascia ristretta della popolazione diventa sempre più ricca la schiacciante maggioranza si impoverisce. In un solo anno, dal 2015 al 2016, la percentuale di italiani a rischio povertà o esclusione sociale è passata dal 28,7% al 30%.
Il trend non è solo a livello nazionale, ma rispecchia una tendenza globale in atto già da decenni ed è strettamente collegato alla modello “di sviluppo” neoliberista e alla finanziarizzazione dell’economia ad esso connessa.
Se osserviamo i valori relativi al reddito medio del 99% della popolazione più povera e dell’1% più ricco, osserviamo come i primi siano cresciuti fortemente a partire dal dopo guerra fino agli anni 70, contro un ritmo più moderato del secondo gruppo. Improvvisamente il trend si inverte, inizia il rallentamento della ricchezza del 99% più povero (cioè la stragrande maggioranza della popolazione del mondo, cioè noi) a fronte di un’impennata del reddito dell’1% più ricco.
Cosa accade in questi anni? Di certo non è casuale che proprio il 1973, anno della crisi petrolifera e della conseguente stagnazione, segni la data di morte del keynesismo e il trionfo indiscusso della dottrina neoliberista.
L’economia reale lascia il passo alla finanza, che diventa sempre più predatoria e totalizzante, l’apertura al commercio mondiale diventa sempre più completa e priva di protezioni statali, l’inflazione e il debito pubblico diventano i nemici giurati mentre l’austerity il nuovo culto. L’indice di Gini, che misura il livello di disuguaglianza all’interno di una popolazione, cresce su scala globale, come riflesso di un modello economico fallimentare e infondato applicato a livello universale. In uno studio effettuato sul caso degli Stati Uniti è stato stimato che una crescita del 2% del Pil comporta una decrescita del reddito del 90% della popolazione.
Siamo dunque di fronte a un modello economico di crescita antisociale in cui all’aumento del reddito globale corrisponde un impoverimento della quasi totalità della popolazione, ad eccezione di una ristretta fascia di élite che si fa sempre più esclusiva.
Basti pensare che nel 2012 metà della ricchezza mondiale era concentrata in soli 64 individui. Oggi la stessa ricchezza è detenuta da un manipolo limitatissimo di otto persone. D’altronde le proiezioni dell’OCSE sul lungo periodo parlano chiaro: saremo sempre più poveri e più diseguali, tanto che da qui a una quarantina d’anni il tasso di disuguaglianza aumenterà del 40%.
La correlazione con il modello economico neoliberista, e in particolare con il mantra dell’austerity, è talmente evidente che persino il Fondo Monetario Internazionale, l’istituzione icona delle politiche neoliberiste, in un suo studio (Neoliberalism Oversold, IMF, 2016) ha dovuto riconoscere la fallacia di questa politica. È stato calcolato che in media un consolidamento del debito pari all’1% del Pil aumenta dello 0,6% il livello di disoccupazione di lungo termine e fa crescere dell’1,5% in cinque anni il tasso di disuguaglianza!
Secondo gli economisti del Fondo monetario, le politiche di austerity non solo, infatti, comportano costi per il welfare, ma danneggiano anche la domanda, aggravando così il problema della disoccupazione, in un circolo vizioso che aumenta la disuguaglianza, nonché la corruzione a essa correlata. Non è infatti difficile comprendere come l’élite di privilegiati eserciti un potere sempre maggiori su una fascia sempre più alta della popolazione a rischio povertà, disposta ad accettare le logiche clientelari per sopravvivere…
Nonostante l’evidenza dimostrata sia dagli studi economici sia dai dati inconfutabili della realtà, gli organismi economici sovranazionali che governano il mondo continuano ad applicare le stesse rovinose politiche economiche, che risultano altamente efficaci e redditizie per quell’1% della popolazione, che pure va sempre più restringendosi e divenendo sempre più élitarista al suo interno.
Il paradosso economico è divenuto realtà.
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5 commenti
Ottimo articolo di cui apprezzo la chiarezza e la solidità della dimostrazione.
Mi si perdoni di rimandare ad una mia riflessione che ha molti punti di contatto con questo articolo anche se sun pinao più filosofico;
https://pellegrininellaverita.com/2017/11/18/m-c-d-e-m-c-m-democrazia-e-impresa-il-denaro-e-lo-spirito/
Un articolo un poco confusionario. Bisognerebbe mettere un pó di ordine nei termini. Cosa intende per keynesianesimo. Perche se é morto nel 73 cosa sono le politiche americane in deficit da quell’epoca tranne un breve periodo di clinton? O cosa il stampare moneta come se non ci fosse un domani della Fed e la BCE? Cosa intende per liberismo, che lo associa a “austerity” cuando l’austeritá é la soluzione proposta da Laudato si per i problemi sociali del mondo?
Mi risulta poi interessante gridare contro la disuguaglianza mentre si legge e commenta questo articolo tramite PC, iphone, ipad, google chrome é usando internet, tutte cose che aiutano i piú ricchi da questo mondo.
Mi vengono in mente questi grafici: https://ourworldindata.org/extreme-poverty/ possiamo scartare una causalitá fra riduzione della poverta ed aumento della disuguaglianza? Se l’aumento della disuguaglianza fosse una conseguenza della riduzione della poverta, quale ci teniamo? In fondo é un male la disuguaglianza? L’uguaglianza non é un utopia?
Forse ho una mentalitá troppo medioevale, ma preferisco la cristanizazione del mito della dea Fortuna di Dante per spiegare la disuguaglianza.
Non credo che Ilaria nel suo articolo faccia un’affermazione che si opponga al fatto che la riduzione della povertà abbia come conseguenza la crescita della disuguaglianza: anzi è proprio nel concetto stesso di denaro che sia così.
Non può esistere nel contesto di un’economia basata sul denaro nessun scenario dove la diseguaglianza possa non esistere: le grandi utopie socialiste sono tutte morte della loro bella morte.
In questo articolo ne abbiamo una descrizione fenomenologica longitudinale: tutto qui.
Come si deve capire allora “Siamo dunque di fronte ad un modello economico di crescita antisociale in cui l’aumento del reddito globale corrisponde un impoverimento di quasi la totalitá della popolazione”
Per quello che dice, in quanto è vero.
Non è che ci propone un modello (riuscito o no) di arricchimento senza crescita di diseguaglianza…