Articolo con intervista di Fabiana Stornaiuolo ad Achille Damasco riguardo alla TRE pubblicato il 7 novembre 2017 su “Mar dei sargassi“
Achille Damasco è un giovane fisico della materia, ha 26 anni e si è da poco avvicinato alla biologia, formulando una sua teoria evoluzionisticache ha chiamato Teoria delle Risonanze Evolutive (TRE). È riuscito ad affacciarsi al mondo scientifico ancor prima di discutere la tesi magistrale, con una pubblicazione lo scorso gennaio sulla rivista scientifica Physica A. L’interesse per un campo diverso dal suo è nato per caso, grazie a un regalo: L’origine della specie di Charles Darwin e Il cammino dell’uomo di Ian Tatterall. La svolta, però, è arrivata dopo l’incontro con Alessandro Giuliani, biologo e primo ricercatore presso l’Istituto Superiore di Sanità. Di lui Achille dice: Mi ha completato. Io sono un fisico della materia appassionato alla biologia evolutiva; Alessandro è un biologo che per formazione si intende di meccanica statistica pur non essendo un fisico. Conoscerlo è stata una fortuna.
La TRE, o Teoria delle Risonanze Evolutive, è una nuova teoria che si contrappone al darwinismo. Puoi spiegarci perché?
«Secondo Darwin l’evoluzione si basa su piccole mutazioni casuali che avvengono nei singoli organismi viventi. Gli organismi meglio adattati sopravvivono e possono così trasmettere il gene modificato alla prole. Questo processo, a lungo andare, è ciò che secondo il darwinismo porta a un vero e proprio cambiamento nella specie. La TRE parte da un assunto diverso. La mia teoria sostiene che le variazioni realmente capaci di indurre evoluzione non siano casuali, ma rappresentino una risposta della specie a cambiamenti che si verificano nell’ambiente. Per capire meglio cosa intendo dobbiamo fare una differenza tra quelle che ho chiamato frequenza propria e frequenza esterna. La frequenza propria indica la cadenza con cui si ripetono le variazioni all’interno della stessa specie. Possiamo infatti notare che tra più individui esistono piccole differenze genetiche, come il colore degli occhi, la forma del volto, ecc. Anche se consideriamo le mutazioni casuali e la selezione naturale, queste differenze si mantengono più o meno costanti nel tempo con un movimento oscillante: non sono dunque sufficienti a provocare un passaggio da una specie a un’altra. La frequenza esterna, invece, riguarda qualsiasi fattore che compone l’ambiente: temperatura, grado di umidità, e così via. Finché questa resta costante, si verifica una situazione di equilibrio in cui non vi è cambiamento. Il passaggio da una vecchia specie a una nuova avviene nel momento in cui si verifica una coincidenza tra una frequenza esterna e la frequenza propria di una specie. L’evoluzione non è dunque lenta e lineare, ma abbiamo lunghi periodi di equilibrio che si alternano a “rapidi” periodi di mutazioni.»
Proviamo ad approfondire il concetto di risonanza.
«La risonanza è una tipologia di fenomeni che avviene quando un sistema che oscilla (e/o è capace di oscillare intorno a una configurazione di equilibrio) riceve una forza esterna. Questa forza non deve essere necessariamente grande, ma oscillante a sua volta. Se le due frequenze sono inizialmente diverse, il sistema tenderà ad assumere la stessa frequenza della forzante esterna; se sin dall’inizio sono uguali, l’ampiezza di oscillazione del sistema muterà, diventando molto più grande.»
Cosa ti ha portato a formulare questa teoria?
«Se osserviamo i fossili notiamo che l’evoluzione è tutt’altro che graduale: si osservano infatti periodi di stasi e periodi di “salti”. Ciò vuol dire che non appare un passaggio continuo da una specie all’altra, ma si notano fasi in cui questo sembra essere molto più rapido che in altri.»
Sembra quasi di sentire la teoria saltazionista.
«Sì e no. Il saltazionismo è solo il punto di partenza. Anche questa teoria parte dall’osservazione dei fossili. Tuttavia, per essa la rottura dell’equilibrio, quindi il “salto” da una specie all’altra, è ancora legato alla selezione naturale: improvvisamente l’ambiente cambia favorendo determinati componenti della specie piuttosto che altri. Nella TRE, ciò che conta è il fenomeno di risonanza. Se la frequenza esterna fa risonanza con quella della specie, quest’ultima si trasforma.»
Ci sono dunque importanti prove che smentiscono l’ipotesi di un’evoluzione lineare. Ciononostante la teoria darwiniana resta la più accreditata. Secondo te come mai?
«Darwin sapeva che le testimonianze fossili non mostravano una trasformazione graduale. Però, convinto della ragionevolezza del suo pensiero, pensò che il problema fosse di ordine pratico, legato al modo in cui i fossili si formano: la fossilizzazione non è un processo continuo, e questo può dare l’idea dei “salti”. Il biologo credeva che in un futuro non troppo lontano proprio quello studio avrebbe dato credito alle sue teorie. Il tempo è passato, ma l’analisi dei fossili continua a dimostrare ciò che già sapevamo. Se si insegna ancora il darwinismo è perché al momento si tentano compromessi tra l’approccio classico e spiegazioni più moderne, legate alla non linearità dei sistemi biologici, anche se la TRE offre una nuova spiegazione basata su una reimpostazione di tutto il discorso evolutivo.»
Parliamo di selezione naturale: se per il darwinismo è alla base del processo evolutivo, che ruolo ha per la TRE?
«Ha solo funzione stabilizzante e conservativa. Essa fa in modo che i cambiamenti siano contenuti, tollera le trasformazioni che contano poco, ma elimina in natura i malati e i malformati. Io la paragono alla forza elastica di una molla, che può essere allungata o compressa fino a un certo punto, ma una volta libera tende sempre a tornare al centro.»
Possiamo anche riconoscere un’importanza sociale della tua ricerca: secondo la tua teoria chi sopravvive non è il migliore, ma il termine medio.
«Sì, se vogliamo usare gli stessi termini, nel darwinismo inteso anche dal punto di vista filosofico prevale il più adatto che è l’individuo migliore per il suo tempo, il più competitivo; mentre il disadattato perisce. Con la TRE la selezione continua a premiare il più adatto, ma egli non è la minoranza: siamo infatti tutti adatti; e le differenze che sembrano grosse sono in realtà minime (è per questo che il termine “razza” sta per essere abolito, perché non ci sono variazioni tali da stabilire una reale diversità tra gli esseri umani). Ciò che viene portato avanti non è il migliore, ma la maggioranza, poiché, come ho detto, si tende sempre alla stabilità.»
La tua teoria è in piedi da poco tempo, ma sta già riscuotendo un discreto successo. Ti ritieni soddisfatto di com’è stata accolta dal pubblico?
«Sì, chi mi ascolta accoglie in genere con curiosità la TRE. Noto con piacere che al termine di una conferenza molti appaiono sinceramente interessati, e non perché considerano quello che dico come assolute verità, ma perché pronti ad accogliere un modo diverso di vedere le cose che prima non avevano considerato. Quello che più di tutto mi ha stupito è stato il fenomeno del campanilismo: tantissime persone mi hanno sostenuto perché napoletano e in particolare perché di Scampia. Ho ricevuto tanto affetto dai concittadini.»
È sicuramente un riscatto anche per loro: Napoli non smette di generare talenti. Continuerai a perseguire il tuo progetto?
«Certo, ci sto già lavorando. Mi tengo informato e cerco di informare. La divulgazione in questo ambiente è fondamentale, soprattutto perché il mio resta un lavoro teorico. Chiunque volesse abbracciare il progetto e continuare a portarlo avanti anche sul piano pratico è benaccetto.»
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24 commenti
Ricordo tempo fa di aver letto in un libro di Rupert Sheldrake il concetto di “risonanza morfica” in relazione all’evoluzione delle specie… Ci sono delle analogie con la TRE?
Direi di no Sheldrake fa metafisica e psicologia. La Tre vuole essere una ipotesi applicabile al campo delle scienze fisiche naturali quindi al reale.
Non sono sicuro di riportare bene il pensiero di Sheldrake perché la mia lettura è di qualche anno fa (il libro in questione sarebbe “Le illusioni della scienza”), ma l’autore prevedeva anche sul piano delle scienze fisiche e naturali questo processo di risonanza che ripeto può avere delle analogie con la TRE. E’ vero che poi arrivava a estendere questo meccanismo anche in psicologia e addirittura a livello metafisico, ma a quanto ricordo Sheldrake prende le prime mosse proprio da una teoria biologico-fisica legata all’evoluzione.
“Esattamente così, non esistono paesi sovrappopolati altrimenti i primi a porsi il problema dovrebbero essere i giapponesi e gli europei stessi (densità per Kmq molto più alta dell’Africa), ma agli europei viene detto che il loro problema è la denatalità e abbiamo bisogno di immigrati, quindi dove sta la sovrappopolazione?
Per il futuro poi tutti i grafici danno la popolazione in declino.”
I casi sono due: o i grafici a cui si riferisce lei sono esclusivamente sull’Europa o sono immaginari. Però effettivamente non ho riflettuto sul fatto che i dati Onu del World Population Prospects saranno stati certamente manipolati da qualche oscuro potere mondiale gaionichilistrelativistadarwinista.
Scusate l’ignoranza ma lo studio sui fossili è sufficiente per poter stabilire la verità scientifica sull’evoluzione qualunque essa sia? Io sono rimasto a Galilei quando per poter stabilire una legge ci voleva l’osservanza diretta dei fenomeni e la prova sperimentale.
Mi piacerebbe capire, più nel dettaglio, in che modo la “risonanza” è in grado di creare nuovi sistemi biologici.
A mio avviso, il nodo fondamentale e anche più interessante dell’evoluzione non è di tipo storico ( tipo la derivazione di una specie dall’altra) ma la ricerca di un meccanismo naturale, ossia non guidato, in grado di produrre informazione complessa e specificata. Allo stato attuale. anche se ciò è disturbing per i darwinisti, tutti i principi scientifici acclarati, nonchè l’esperienza ripetuta, ci mostrano che un sistema dotato di informazione, una “macchina” – che può essere vivente o no – sottoposta a modifiche non guidate(random, ma anche deterministiche) va incontro alla degradazione informativa, e, col tempo, all’inevitabile crash. L’unica causa che conosciamo ( forse ce ne sono altre, beninteso ) attualmente in grado di creare e far evolvere sistemi dotata di informazione, è l’intelligenza. Ossia, per costruire un Sukhoi 35 non conosciamo altra causa che il progetto dei relativi ingegneri. In estrema sintesi, osserviamo sempre che una “macchina” lasciata a sè stessa, è destinata ad essere confinata nel suo sistema, e, quando le modifiche non guidate superano una certa soglia, si arriva al crash ingegneristico. Di fronte a questa evidenza insormontabile, di solito l’evoluzionsimo ricorre alla rimozione freudiana del problema: dà per scontata l’evoluzione, osserva un certo di numero di fenomeni reali ( selezione, mutazioni , deriva genetica etc.) e poi , a ritroso, immagina che tutto questo sia stato capace di produrre e far evolvere macchine biologiche.
Mai una volta che dicesse: scoperto l’arcano, ecco il meccanismo, ecco l’esperimento, ecco la simulazione al computer.E dato che oggi abbiamo questo fenomenale strumento che è il computer, che simula persino i processi subatomici non newtoniani, dovrebbe essere possibile simulare, se esiste, un meccanismo non guidato che, ad esempio, produca un uccello o un elicottero: ma tutto ciò non arriva… La mia domanda è allora :se la risonanza risolve questo grande enigma della vita, la potremo vedere all’opera? la potremo simulare al computer ed assistere finalmente a processi che creano informazione complessa?
Fino ad oggi ho l’impressione che siano state messe a punto solo tante teorie che fanno rima con ideologie.
L’errore concettutale è credere che un sistema complesso sia portatore di più informazione di un sistema semplice mentre è vero invece il contrario: un sistema complesso ha accesso ad uno spazio di fase molto più ristretto.
Un sistema complesso, per avvenire, ha bisogno di distruggere moltissima informazione.
Non solo, ma più cresce la complessità di un sistema più rapido è il proprio mutamento e quindi l’occorrere della propria distruzione.
Il meccanismo non guidato esiste ed è l’applicazione del secondo principio della termodinamica, di cui la TRE potrebbe esserne un buon modello, nel sneso in cui, quando c’è una risonanza tutte le altre frequenze ( informazioni) sono perse per sempre…
Io non ho parlato di sistemi complessi paragonati a sistemi semplici, ma di macchine dotate di informazione al contempo complessa e specificata; inoltre quando lei dice che un”sistema complesso, per avvenire, ha bisogno di distruggere moltissima informazione” e che quindi il secondo principio della termodinamica incrementi l’informazione, mi sembra che confonda la quantità di informazione di un sistema con la riduzione delle possibilità: minore il numero delle possibilità ammesse in un sistema, maggiore l’informazione dello stesso, e quindi minore probabilità che un meccansimo non guidato lo generi.
Senti , paolo magris, sarà un limite mio personale, ma la tua risposta mi pare confusa e confusionaria: sarà certamente un limite mio, ma proprio non capisco quel che mi vuoi dire.
Tanto per cominciare quando tu affermi che quel che quel che ho scritto implichi “che il secondo principio di termodinamica incrementi l’informazione” , secondo me hai le traveggole visto che questa tua affermazione è l’opposto stesso del concetto di crescita di entropia espresso nella mia frase da te citata.
La qualità del resto delle tue affermazioni mi sembra essere della farina dello stesso sacco…
Ho cercato di spiegarle il suo errore, evidentemente senza riuscirci: Quando dice che “Un sistema complesso, per avvenire, ha bisogno di distruggere moltissima informazione” confonde informazione con le possibilità ammesse: se dico “domani piove” la mia affermazione ha un certo grado di informazione, se dico “Domani piove alle 16 e 15 ” la mia affermazione ammette meno possibilità, ma ha più informazione. Comunque si legga un buon libro di teoria dell’informazione, che le farà solo bebe.
Grazie paolo magris, adesso ho capito dove proprio non capisci.
Vedi, dato un sistema fisico, non c’è altra informazione accessibile che quella del suo spazio di fase.
Adesso puoi quindi rileggere i tuoi commenti alla luce di quanto detto e vedrai di per te stesso quanto il tuo commento iniziale era inconsistente e, anzi, proprio errato.
Grazie per la pazienza.
Io aggiungerei che sappiamo anche un’altra cosa riguardo ai sistemi dotati di informazione, nel particolare quei sistemi dotati di informazione che sono i viventi: sappiamo che tale informazione non può essere contenuta tutta aprioristicamente nel sistema stesso e nello specifico nel DNA, così come invece avviene nella macchina, ad es. nel software il quale inoltre costituisce il limite intrinseco ed invalicabile delle operazioni che possono essere eseguite dal sistema stesso.
Che nel vivente le cose non possano essere a tal modo dovrebbe risultare evidente dal fatto che se considerassimo il codice genetico alla stregua di un programma per computer, ne risulterebbe che la quantità di informazione che esso dovrebbe contenere sarebbe pantagruelicamente enorme: un simile programma, infatti, dovrebbe prevedere tutte le possibili variazioni ambientali (che variano da individuo a individuo e nello stesso individuo da istante a istante) che un vivente incontra durante tutte le fasi del suo sviluppo. Così, partendo dall’unica cellula germinale arrivando all’individuo adulto composto da miliardi di cellule, quante differenziazioni, quanti miliardi di “passi” deve compiere l’organismo? Insomma, quanta informazione dovrebbe essere contenuta nel DNA per guidare un tale processo di sviluppo visto e considerato che già nei quattro passi di un semplicissimo albero biforcativo (ad 8 scelte) occorrono 2^3 unità di informazione? La risposta è: una quantità che nel DNA di fatto non è contenuta.
Ciò allora significa una cosa: che man mano che l’organismo si sviluppa esso è in grado per natura di generare informazione man mano che il processo, avanzando, rende necessarie nuove differenziazioni. O in altri termini, deve esistere un meccanismo adattivo tramite cui il vivente è in grado di ridefinire le alternative dello spazio di possibililtà iniziale in base all’interazione con l’ambiente interno ed esterno. E tale meccanismo non può certo essere casuale (ma nemmeno è direttamente guidato da una intelligenza) e sarà lo stesso che ha eventualmente presieduto alla diversificazione diacronica di specie ed organismi sempre più complessi. O almeno così io opino.
Non produce nessuna nuova informazione: il prodotto dello spazio di fase dell”ente vivente considerato con quello del suo ambiente non aumenta, ma anche in questo caso lo spazio di fase complessivo rappresentabile diminuisce.
La TRE modellizza bene questo processo qualora vi è l’apparire di una risonanza che elimina tutte le altre frequenze.
«Non produce nessuna nuova infromazione: il prodotto dello spazio di fase dell”ente vivente considerato con quello del suo ambiente non aumenta»
Infatti. Se rileggi meglio, Simon, ti accorgerai che non l’ho scritto.
PS. Tu avresti detto che viene “attualizzata informazione”. Per me, in questo preciso contesto, “attualizzare” e “generare” sono sinonimi, perché la generazione implica, come sai, una previa corruzione. E mi pare, ma correggimi se sbaglio, che ciò calzi perfettamente con quanto hai affermato circa il prodotto dello spazio di fase del vivente con quello del suo ambiente il quale non aumenta.
Infatti se tu avessi scritto “attualizzare” non avrei reagito.
Concordo pienamente che l’informazione, nei sistemi viventi, non può essere contenuta aprioristicamente nel sistema stesso o nel dna, ma direi anche che , a livello cibernetico, si possono avere programmi in grado di generari programmi,ragione per cui può essere difficile definire natura ed origine del meccanismo adattivo finale che crea nuova informazione.
Così siamo nuovamente al punto di partenza. Infatti nel caso di un programma compilato da un metaprogramma l’informazione non viene realmente generata: questa, proprio come in un sistema deduttivo (il quale non genera né informazione né verità logica), è già tutta contenuta “nelle premesse”, per così dire. I “possibili” devono già essere tutti predefiniti da qualche parte (=possibili logici). In tal modo l’azione causale dovrà solamente scegliere qualcosa che di fatto è già predefinito, sebbene implicito: non se ne esce.
Allora, affinché vi sia una genuina generazione/attualizzazione di informazione, che è quel che serve per venire a capo del problema in questione, è necessaria una azione causale che sia capace di costituire nell’essere una forma che esiste in pura potenza passiva nella materia. E tale forma, edotta dalla materia a partire dall’azione causale dell’agente sul sostrato stesso, è proprio ciò che Aristotele chiamava ἐντελέχεια (=termine intrinseco del moto degli elementi): una forma ontologica (=atto) e non già una pura forma logica. Ma la macchina, questo, non lo fa e non lo può fare ed ecco perché il paragone tra questa e il vivente non può essere spinto oltre certi limiti.
Ottimo riferirsi all’entelechia caro via Negativa.
In realtà, questo concetto permette di differenziare precisamente tra un sistema di Intelligenza Artificiale / Robot (che rimane sempre e solo un calcolo più o meno complesso) da quello di un sistema vitale. Infatti un sistema vitale cerca sempre il proprio compimento e raggiunge la propria completezza ponendosi in atto (entelechia come da te ben definita) mentre un sistema basato sul calcolo, e lo sappiamo dal secondo teorema di incompletudine di Gödel che si applica a tutti i sistemi basati sul calcolo aritmetico come lo sono i computers, sono incapaci di compietezza in quanto ci saranno sempre delle domande irrisolte che necessitano di postulati addizionali che sono da essere aggiunti al loro sistema e che non sono contenuti da essi.
In altre parole, per quanto complesso sia un programma, il suo metaprogramma e così via di seguito, esso avrà sempre bisogno di un programmatore esterno per risovergli un’incertezza Gödeliana (e ve ne sono un’infinità).
Cosa invece che la cellula vivente la più semplice sa fare… capacità di attuarsi che si chiama entelechia.
Il passaggio (abiogenesi) da un mondo senza vita ad uno con vita è quindi porsi il problema filosoficamente del passaggio tra un insieme materiale senza entelechia propria a quello di un sistema con entelechia propria: di certo il computer, per quanto complessissimo, non è capace di compiere questo salto di qualità, ma può solo dare l'”impressione” di fare finta che lo faccia cioè di emularlo, un fare finta che funziona finché una situazione non necessita l’aggiunta di un nuovo postulato al suo funzionamento.
Il problema culturale profondo che impedisce molti dei nostri contemporanei di riflettere con intelligenza sul mondo nel quale essi sono risiende, alla fin fine, nel non rendersi conto della profonda differenza tra δύναμις , ἐντελέχεια e ἔργον.
Perfetto. Bene anche il riferimento all’AI forte, ché i suoi problemi/limiti sono direttamente collegati ad un approccio simile al vivente, come si è intravisto dagli scambi precedenti. Insomma, dovrebbe ormai esser chiaro che se la macchina è intrinsecamente limitata alla pura e semplice manipolazione di simboli logici già costituiti e definiti a priori (essendo priva di νοῦς non ha per principio la capacità di costituirne di nuovi) nel momento in cui tratto il problema dell’informazione nel vivente in modo similare mi imbatterò in problemi non raggirabili di cui si è detto più sopra. Tantopiù che l’informazione è una quantità misurabile, non fantasia…
Pare che non ci sia alternativa: detto brutalmente, l’informazione che gli manca, nella sua ontogenesi, il vivente “la fa da se” a partire da scambi energetici con l’ambiente. Quindi non “se”, ma “come” ciò avvenga di preciso è la domanda a cui bisognerà dare risposta.
Beh, da fisico sostengo che l’entelechia dei sistemi materiali (materia intesa qui come “non-spirito”), che sia propria o non propria, è sempre causata dall’applicazione locale del secondo principio della termodinamica…
Certo, ma solo per precisare aggiungo che mi riferivo alla necessità di iniziare dal comprendere il funzionamento di quel meccanismo adattivo che il vivente necessariamente deve possedere e che gli consente di mantenere invariata la direzione del processo di sviluppo al variare delle condizioni al contorno.
Indipendentemente dall’esito che potrà avere il modello TRE in ambito di comunità scientifica, quello che secondo me è sicuramente interessante e potenzialmente fecondo in termini di approccio multidisciplinare alla scienza, è certamente questo sodalizio tra fisica della materia e biologia e quindi in questo caso tra i nostri validi ricercatori Damasco e Giuliani. Un sodalizio che però, in generale e a mio parere, è in grado di esprimere tutta la sua utilità soltanto a patto che la fisica, nel disporre della sua capacità nella costruzione di modelli matematici, riesca ad assumere in qualche modo un atteggiamento direi quasi di umiltà nel condividere necessariamente, e senza pregiudizio, lo statuto epistemologico della biologia.