Se non sarà un Dio a salvarci, pure, l’unica speranza su cui contare è un alcunché di divino e pericoloso: nuove narrazioni filosofiche.
di Gabriele Zuppa – 21 marzo 2017
L’ultimo uomo non vuole essere infastidito, disturbato, chiamato a pensare, «chi sente diversamente va da sé al manicomio» – spiega Nietzsche nel Prologo di Così parlò Zarathustra. Nondimeno la democrazia di oggi ritiene equivalenti tutte le opinioni, non preliminarmente come ipotesi da verificare, ma aprioristicamente come posizioni che non devono rendere conto a nessuno. Così la democrazia postmoderna consente di disubbidire all’autorità prestabilita, non in quanto prestabilita, ma in quanto autorità. In questo modo rimane l’irriflessa adesione ad un pregiudizio che per questo – perché proviene da se stessi – non è certo più autorevole. Si sta verificando quanto Tocqueville scongiurava nel suo lavoro su La democrazia in America, come ricorda J.S. Mill commentandolo:
Ciò di cui Tocqueville ha timore è la tirannia esercitata sulle opinioni, più che sulle persone. Egli paventa che tutta l’individualità di carattere, e l’indipendenza di pensiero e di sentimento, siano messe in ginocchio di fronte al giogo dispotico della pubblica opinione
Così il democratico postmoderno credendo di non dover obbedire a niente diventa con ciò l’emblema dell’ubbidienza. Un’ubbidienza inconsapevole che si manifesta nella presunzione di essere libera. Da cosa si riconosce l’ubbidiente democratico? Dal suo trattare con sufficienza e scandalo tutto quanto sia diverso da se stesso. Come ricorda il grande Gómez Dávila nelle Notas:
«L’intelligenza non si manifesta con un gesto di accoglienza e di affetto. L’intelligenza è perfida e traditrice, sospettosa e diffidente, comincia sempre col respingere e ribattere, rifiuta sempre e sempre protesta».
Ma la critica, affinché non sia sterile opposizione, un ostacolo al pensiero, deve saper pensare la tesi opposta, deve saper pensare con il proprio avversario. Questa capacità di coinvolgimento è la stessa autorevolezza del pensare. Altrimenti lo scontro tra pregiudizi non potrà che abbandonare all’ubbidienza del proprio arbitrario democraticistico capriccio.
Queste considerazioni prendono spunto da due testi editi nel 2016: lontanissimi e vicinissimi. È interessante indicare il perché di questo paradosso. Il testo di Enzo Pennetta – L’ultimo uomo, Circolo Proudhon Edizioni – racconta una storia sommersa dell’Europa novecentesca, mostrandoci quanto vi sia ancora da meditare e riscrivere; il testo di Luigi Iannone – L’ubbidiente democratico, Idrovolante Edizioni – narra la cronaca risaputa dei nostri giorni, restituendoci la percezione della palude nostrana nella quale siamo inermi: fermi alla polemica quotidiana non siamo abituati ad avere innanzi un quadro che chiunque riconoscerà come grottesco. In questo suo lavoro i personaggetti – come direbbe Crozza – sfilano innanzi come pezzi di un puzzle che restituiranno l’immagine finale:
Al cittadino pare evidente che il suo consenso non risulti più funzionale alla circolazione di idee e alla rappresentazione di interessi, quanto piuttosto ad una logica di scambio e di avvicendamento di gruppi all’interno di élite, in genere economico-finanziarie. Egli ha una funzione fondamentale solo nel momento in cui svolge il ruolo di consumatore e parzialmente quando vota
Da tempo si va denunciando che non si vedono progetti politici di ampio respiro, e che le vecchie ideologie della destra e della sinistra sono residuati evanescenti di narrazioni ormai ritenute fantasiose, di ideali oltrepassati da quelli che vengono chiamati fatti concreti, problemi reali – quelli economici. Poveri o benestanti, non saremmo quasi tutti disposti a vendere – a svendere – qualsiasi nostra idea per qualche dollaro in più? Forse perché, appunto, non abbiamo idee che valgano qualcosa? E se ci si concedesse il lusso di iniziare a pensare in grande stile, allora a placare quelle velleità interverrebbero le incombenze che, paradossalmente, benché presentati come fatti eccezionali, determinano le nostre vite come fatti ordinari.
«Ragioniamo solo per un attimo sui fatti più rilevanti degli ultimi due decenni: vale a dire, la lotta al terrorismo globale e la crisi economica. Essi stanno proprio lì a dimostrare che le procedure democratiche vengono sempre esautorate di fronte allo stato di necessità, per far posto ad uno schmittiano stato d’eccezione che è rappresentato da quei poteri che detengono forti interessi nei processi di globalizzazione».
Ma – ecco quel che Pennetta chiede, esplorando i sotterranei del nostro recente passato e del nostro presente – non è che la situazione sia questa perché siamo inconsapevoli dei presupposti, così poco indagati e meditati, che la determinano? La mancanza di prospettiva sul futuro non è magari data dalla nostra ignoranza del passato? Per questo il sottotitolo de L’ultimo uomo recita: Malthus, Darwin, Huxley e l’invenzione dell’antropologia capitalista. Non perché si intenda – come facilmente accuserebbe l’ubbidiente democratico – imputare Darwin di darwinismo sociale o adombrare sbrigative tesi complottistiche, ma perché si esprime l’esigenza che per iniziare a capire chi siamo e cosa fare – posto che si voglia andare oltre questo nostro presente – dobbiamo ripensare e riscrivere il nostro passato prossimo, nella sua complessità antropologica, ovvero a partire dalla concezione dell’uomo nell’universo.
Lyotard nel 1979 ha inaugurato il Postmoderno annunciando e auspicando la fine delle grandi narrazioni, non avvedendosi che la sua, così come quelle scritte e riscritte poi dagli stessi postmoderni, fossero delle enormi inconsapevoli narrazioni. Allora poteva sembrare un sofisma, ma, oggi che la storia è andata avanti – benché secondo Fukuyama sarebbe dovuta finire –, si fa sempre più chiaro che l’ubbidiente democratico ha poco a che fare con la democrazia e che dove la storia andrà a finire (perseverando in questa direzione) non ci soddisfa affatto, anche se – ignari di noi stessi – inesorabilmente contribuiamo a quella destinazione.
Non si ha almeno l’impressione che la liberazione dell’uomo moderno l’abbia spesso costretto ad altre schiavitù? Libero, egli si è trovato soggiogato da un’ignoranza uguale e contraria: dalla fame alla gola, dall’astinenza alla pornografia, dal dogmatismo religioso al dogmatismo scientista, dal populismo antidemocratico al populismo democraticistico, dalla donna come oggetto (in casa) alla donna oggetto (nell’immaginario). Siamo certi – chiede Pennetta – che la storia finisca, compiendosi – sic! –, con questa rivoluzione sessuale, con la rivoluzione psichedelica, con il superamento delle ideologie in un’unica ideologia democraticistica? L’alternativa alla società tradizionale è e soltanto può essere la società liquida?
Senz’altro «l’ultimo uomo è il risultato antropologico della fine delle grandi narrazioni e degli stimoli di una sola, capillare ideologia». Ma che ne sarà di noi? Che fare?
Sembra altrettanto certo che, se vogliamo fare la storia, e non credere che sia finita, dobbiamo tornare a riscriverla: in grande stile. Solo da questo tentativo di riscrittura potranno nascere nuove più consapevoli grandi narrazioni, nuovi orizzonti in cui scorgere il futuro.
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21 commenti
“Ragioniamo solo per un attimo sui fatti più rilevanti…”
Il tempo dedicato ad un argomento è inversamente proporzionale alla sua importanza.
Temo che non valga solo nelle riunioni aziendali.
Possiamo aggiungere che il tempo dedicato ad una argomento è anche direttamente proporzionale a quanto si vuole distogliere l’attenzione da altre questioni.
Sì, è un trucco dialettico alla portata di tutti, come anche il “benaltrismo”. Solo che la volontà non saprei misurarla. Per il tempo impiegato basta l’orologio. L’importanza, nella realtà industriale, la misurai con i soldi coinvolti. I punti caddero ben raccolti sulla legge Tempo * Importanza = Costante.
Quantificabile o no, la volontà di distogliere c’è, perché mi sembra irrilevante l’obiezione posta nel primo commento: la crisi economica e il terrorismo sono problemi così noti e discussi da anni, che l’ho trovata una cosa normale il citarli di sfuggita per portare avanti la discussione sull’ubbidiente democratico.
L'”ubbidiente democratico” è un ossimoro che ho apprezzato molto perché riassume l’idea che nel mondo occidentale ci sia una visione distorta delle regole democratiche che rende il cittadino non più potente, come ci si aspetterebbe in un regime democratico, ma più impotente. Se per esempio la democrazia la uso come scusa per propagandare un relativismo disarmante (alludo alla prima parte di questo articolo), in cui tutti hanno ragione, le opinioni vengono demolite a priori perché sarà il concetto stesso di opinione a perdere di significato.
Per quanto riguarda i fatti più rilevanti degli ultimi due decenni, in questo caso si assiste al fatto che la maschera democratica del cittadino ubbidente cade facilmente davanti agli “stati d’eccezione”. Aggiungo due esempi recentissimi: molti media mainstream hanno fatto intendere che la Brexit eTrump abbiano vinto grazie alle fake news, oppure per Olanda dicono che abbia perso il candidato “populista” (che è come dire che abbia perso il “cattivo”) e che abbia vinto la democrazia (che è come dire che abbia vinto il buono). Non è la stessa situazione di quando il vincitore afferma che ha vinto la scelta migliore tra due possibilità concesse dalla democrazia. Per fare una similitudine, è come se un cronista sportivo al termine di una partita di calcio anziché dire “ha vinto il migliore” dicesse “ha vinto quello che non ha corrotto l’arbitro”.
E’ evidente che i regimi democratici attuali siano stra-perfettibili, e sono in realtà para-democratici, per tutta una serie di problematiche che afferiscono essenzialmente al controllo dei mezzi economici e di comunicazione.
Ogni volta però che ne leggo la critica, quasi sempre questa critica sembra soffermarsi sul concetto stesso di democrazia.
Ed ogni volta non mi capita di leggere quali sarebbero le soluzioni di governo migliori delle attuali democrazie, per garantire allo stesso sviluppo sociale e libertà personali.
Sicuramente viviamo un tempo di una complessità senza precedenti , rispetto alle forme di governo.
Da una parte c’è una democrazia “formale”. Dall’altra un governo dell’economia , sia statale che privata , sia nazionale che transnazionale.
Le cose si mischiano ed l’una condiziona l’altra, sicchè non è mai chiaro se le scelte economiche siano dettate da impeti democratici o il contrario.
Ora però sarebbe il caso che chi non ha in simpatia la democrazia a suffragio universale, nella sua accezione occidentale e nella sua pluralità di sistemi di applicazione, indichi un sistema alternativo migliore.
O indichi , al minimo, quale tra i sistemi attuali (in quale nazione cioè) sia comunque il “meno peggio”.
Per quanto riguarda le varie Brexit, Trump, “NO” al referendum e notizie varie, a me sembra che questa sia la conferma che non esiste un “pensiero unico” , ma esistono tanti pensieri “non unici” , in contrasto l’uno con l’altro, e che si manifestano attraverso mille sistemi comunicativi , il che ha consentito dei risultati inaspettati.
Mi sembra che sia la conferma che il processo democratico, pur con tutti i suoi limiti, trova un suo mezzo di applicazione per mille rivoli , grazie anche alle nuove tecnologie.
E conferma pure che non esista questo strapotere dei “mezzi di comunicazione” c.d. ufficiali, e che anzi gli stessi siano diventati un boomerang.
Se poi vogliamo essere precisi, l’unico vero pensiero unico, al mondo, sono i soldi, ed i meccanismi che li guidano e che di fatto governano il mondo in modo sempre maggiore, e senza bisogno della guida fisica e consapevole di qualcuno. Il meccanismo economico, che in un regime di libera concorrenza fa sopravvivere alla lunga sempre il più forte e sempre il più grande , finisce per essere la nostra traiettoria anche politica, che da qui a qualche decennio, quando tutto il mondo sarà stato occupato e sarà diventato “consumatore” , farà esplodere il sistema. Quando dopo aver consumato la Cina, poi l’india, si consumeranno anche tutti i paesi sottosviluppati Africani, ed emergerà che nessuno sarà più disposto a lavorare 18 ore al giorno per produrre tonnellate di beni che altri comprano a prezzi stracciati, il sistema non si reggerà più e dovranno per forza cambiare i paradigmi di produzione e consumo.
Pur con tutti i suoi attuali difetti enormi , che alternativa c’è alla democrazia, per assicurare eguali possibilità di raggiungere il benessere economico e garantire al contempo libertà individuali ?
Secondo me, nessuna, il problema non è nella forma di governo ma nel mutamento antropologico in atto dalla fine delle “grandi narrazioni” CONSAPEVOLI e l’inizio di quelle INconsapevoli. La democrazia non è troppa, semmai è troppo poca.
Qui si critica il nuovo modello di conformista rappresentato dal democratico ubbidiente, che è cosa diversa dal semplice estimatore della democrazia.
Un esempio di intellettuale che apprezza la democrazia senza certe distorsioni moderne è Chesterton, veda un mio articolo dell’anno scorso:
https://www.enzopennetta.it/2016/03/mezzo-chesterton/
Chesterton apprezzava la democrazia come “governo dell’uomo comune” (nella sua filosofia l’uomo comune è una figura positiva), benché egli non sia stato neanche un po’ un relativista ma al contrario suo feroce oppositore del relativismo.
Vedendo anche quello che sta accadendo in Europa è evidente che , a distanza di qualche decina di anni dagli ultimi conflitti globali e con la fine della ideologie socialiste e le contrapposte idealità liberali, stia lentamente venendo meno la spinta ideale nelle persone.
Ormai viviamo in generazioni che non hanno mai dovuto lottare per la democrazia.
Semmai però quello che si vede è che la democrazia è data per scontata e ne criticano con leggerezza (ed ignoranza ) i valori senza aver mai vissuto però situazioni diverse.
Quando tu dici che la democrazia è troppo poca hai perfettamente ragione, ma come non notare, in giro, una certa insofferenza per i meccanismi democratici , per il confronto , per la mediazione, per i contrappesi tra le istituzioni ?
In realtà sempre più spesso coloro che invocano più democrazia a parole, nei fatti agiscono alterandone i principi basilari.
Senza nessun giudizio politico, come giudicare per esempio le modalità con le quali vengono prese le decisioni nel M5S ? Il consulto in rete di una minima parte di cittadini viene ritenuto “democrazia”, e quand’anche l’esito non è gradito, viene bypassato dalla volontà “illuminata” del singolo. Eppure è indubbio che il movimento sia nato dietro ad un vero sogno democratico.
E’ come se alla prova dei fatti il decidere a “maggioranza” risulti teoricamente giusto ma sia praticamente meglio, qualche volta, decidere in modo autoritario.
E questo sulla base del fatto che la “maggioranza” non è probabilmente bene informata, e non è neppure facilmente informabile
E qui veniamo al punto : Esiste la democrazia senza informazione corretta? Oppure questo della corretta informazione è un falso problema, nel senso che decidere a maggioranza è possibile, ma fare in modo che tutti coloro che si esprimono siano bene informati (ed anche ben formati per poter essere informati!) è una utopia di base che non può essere raggiunta in modo totale e condiviso (chi decide se una informazione è corretta ? quale entità fuori dal processo democratico può giudicare il processo democratico stesso ?) , e non può quindi essere considerato un elemento indispensabile perchè il sistema sia definibile democratico?
Le domande sono molte, ma sorgono ora perchè la complessità delle società moderne è molto più alta di quella di un tempo, e anche le esperienze democratiche sono di più lungo corso.
Fino a 100 anni fa quanti paesi avevano mai provato un percorso democratico ? Ben pochi, a livello mondiale. Ora invece sono molti, direi la maggioranza, e lo scontro con la realtà fa un po scricchiolare l’ideale.
Fino a 100 anni fa democrazia era sinonimo di una testa un voto. Ora , alla prova dei fatti, emerge sempre di più come la formazione e l’informazione siano determinanti per qualificare la democrazia, e come una democrazia “squalificata” non sia poi molto dissimile da una dittatura non dichiarata.
Ho apprezzato l’articolo e ne farò tesoro compatibilmente con i miei limiti.
Se poi alcuni scambiano per obiezione una osservazione, questo è davvero irrilevante.
Questo articolo mi ha richiamato alla mente la Filosofia del Lanternino di Paleari/Pirandello ne Il Fu Mattia Pascal; ivi allo spengimento dei lanternoni segue la confusione dei lanternini, che in preda alla confusione più assoluta si scontrano, tornano indietro, non riescono più a creare un lanternone con cui illuminare la realtà e dalla cui luce dare e prendere. Ognuno ha solo il suo piccolo lanternino “….un lanternino che ciascuno di noi porta in sé acceso; un lanternino che ci fa vedere sperduti su la terra, e ci fa vedere il male e il bene; un lanternino che projetta tutt’intorno a noi un cerchio più o meno ampio di luce….”
I problemi maggiori che io vedo è la collusione de facto tra i i quattro poteri tra di loro e le strutture burocratiche coagulate dal pensiero unico orwelliano che constatiamo.
Secondo me il fondo del problema viene dal fatto che guardiamo a sistemi di elezione di rappresentanti che, in fin dei conti, non sono egualitari ma al contrario elitisti e che conducono naturalmente a questo tipo di collusione e alla loro giustificazione ideologica in quanto intrinsecamente costruiti al loro servizio e non a quello del popolo che sarebbero sensati far progredire in umanità: risultato abbiamo l’evidente progressione in bestialità che ogni persona onesta non può fare a meno di constatare.
Secondo me l’avvento della tecnologia informatica permette un approccio democratico vicino alla perfezione, in quanto, in teoria per lo meno, non c’è più bisogno di eleggere rappresentanti per governare e per legiferare e permette una liberazione, almeno in linea di principio, dall’alienazione che rappresenta il quarto potere che pretende pensare meglio del popolo stesso.
Infatti chi governa a livello comunale, provinciale, regionale e nazionale dovrebbe essere scelto a caso in un processo puramente random e per un periodo non superiore ad anni cinque, salvo ovviamente chi avendo soddisfatto certi criteri oggettivi sara scelto a caso dopo due anni per il livello superiore e così via di seguito garantendo un servizio massimo di tredici anni in tutto per coloro essendo stati scelti a caso attraverso tutte le tappe fino a quello nazionale.
A livello legislativo, non c’è bisogno di nessun parlamento, ma spingendo l’esempio svizzero all’estremo, la popolazione voti ormai direttamente da casa.
Quanto al quarto potere lasciarlo soppiantare completamente dalle piattaforme internet, tipo FB migliorate.
Questo sarebbe il sistema il più giusto perché la scelta stocastica ogni anno di un quinto di personale esecutivo al servizio del paese è quel che garantisce statisticamente la miglior rappresentanza di tutte le sensibilità in una popolazione al governo di un paese.
Questa della scelta casuale dei governanti ci mancava. E’ quanto più vicino al governo dei Robot.
Infatti se passasse l’idea che posso scegliere casualmente chi mi governa, significherebbe che chiunque sarebbe in grado di governare.
E se chiunque è in grado di governare, vuol dire che le regole di governo sono codificabili e quindi trasferibili in un software. Quindi niente più bisogno di governanti, solo Robot.
Per quanto riguarda il voto su ogni provvedimento legislativo, si passa il tempo a dire che l’opinione pubblica è facilmente condizionabile , e poi la si mette in grado di decidere in tempo reale su tutto, magari in base all’umore del momento?
La presenza di un parlamento di eletti , ed di una serie di pesi e contrappesi, è una garanzia per tutti, con tutti i suoi difetti di lentezza. Un conto è un voto saltuario su temi specifici, che è sacrosanto (tipo referendum), ed un conto l’attività legislativa quotidiana.
Pensiamo ad un intervento di finanziamento dello stato alle attività delle comunità montane della liguria. Ci sarebbe qualche NON ligure che direbbe di si ?
Trovo il tuo intervento davvero semplicistico, scusami il giudizio.
Ti scuso il giudizio soprattutto a fronte dell’inconsistenza delle tue osservazioni.
(A) Assumendo 8000 comuni in Italia e una media di 10 assessori per comune, 90 provincie con una media di quaranta assessori, 20 regioni con una media di 60 assessori, un governo nazionale con 50 ministri e sottosecretari, quel vuol dire una totale di 84850 persone scelte a caso nella popolazione, il margine di errore statistico della rappresentanza del popolo italiana di questo gruppo di persone sarà quindi dello 0,3% cioè di un ordinae grandezza (!) migliore di qualunque sondaggio usuale. Per giunta un quinto di questi sarebbe scelto ogni anno cioè 16970 garantendo così un rappresentanza molto fine a livello di governo locale e centrale delle tendenze della società italiana. Il contrario di un robot per l’appunto
(B) Qualunque siano i pesi ed i contrappesi essi devono avere, in una democrazia, la loro radice nel popolo sovrano. Se vuoi instaurare un contrappeso, puoi benissimo chiedere non solo una maggioranza di popolo per far passare una legge, ma anche una maggioranza di regioni, ad esempio, o di comuni o altro. Non c’è bisogno di tempo reale per le legislazioni, c’è bisogno di tempo reale per le operazioni ed azioni di governo.
(C) Mi spiace contraddirti: io voto ogni trimestre su per giù in tutte le materie di interesse nazionale e in quelle del mio cantone ed in quelle del mio comune: non vado votare per il comune vicino, né per il cantone vicino. Non vedo perché questo non sarebbe applicabile in Italia mutatis mutandis. Quindi il popolo può benissimo prendere decisioni e solitamente il popolo svizzero è stato più furbo dei propri governanti: ad esempio non abbiamo mai accettato di far parte dell’Europa e il Brexit ci ha dato ragione e più nessuno si sogna di provarci ancora.
Ma ti conosco fin troppo bene ML…. sei troppo conformista per pensare fuori dalla scatolina del pensiero unico….
Esattamente il contrario, mi pare Simon, di quel che è capitato nel tuo Paese dopo il referendum sull’immigrazione di massa del 2014, referendum che i politici hanno in gran parte disatteso nel 2016, correggendo, a mio avviso abbastanza bene, un voto esercitato più di pancia che di cervello fine, quel che a mio avviso capiterebbe spesso con i metodi che caldeggi…
Infatti…. i politici sono eletti e partecipano di questa collusione con il Pensiero Unico e non rappresentando il Popolo lo tradiscono in azioni tradendo la democrazia in quel che ha nel suo più intimo.
Per questo la mia proposta vuole correggere quel che non funziona bene in Isvizzera.
Tu fai confusione tra politica ed amministrazione, ignorando che amministrare non è un fatto “matematico”.
Collocare in una certa area verde pubblico o collocare una zona commerciale non è una scelta amministrativa, ma è una scelta POLITICA, tra due idee diverse, una tesa alla salvaguardia del territorio e l’altra tesa a combattere la disoccupazione. Entrambe degne, ma tra di loro incompatibili e quindi necessitanti di una DECISIONE che è l’essenza della politica. E tale politica deve poi essere coerente a livello generale (o avremo sviluppi schizofrenici) , e finalizzata ad un disegno di società e territorio futuro, che necessità quindi di essere dichiarato e condiviso, anche perchè le scelte del singolo amministratore incidono poi su quelle di coloro che vengono dopo.
Devo dire che le tue che mi trovo in imbarazzo a controbattere queste tue affermazioni, perchè o sono geniali (e allora ammetto di non non arrivare a tanta genialità) o sono folli.
Mi piacerebbe il giudizio di altri, d tanti altri, su questo sistema casuale 🙂
P.S. la consistenza delle mie osservazioni sarà giudicata da altri (finalmente)
Nulla impedisce il dibattito di idee nella società e le grandi tendenze saranno sempre presenti e rappresentate. Per giunta nulla impedisce ile iniziative di cittadini che possono venire con proposte di legge o addirittura di governanza generale e il bello è che vengono votate da tutti dopo un periodo riflessione.
Invece di avere i lobbisty andare a corrompere membri di governo e altri legislatori dovranno fare il loro lavoro di fronte a tutti, permettendo così lo scontro dialettico pubblico e non più nascosto e corruttore.
Sappi una cosa, se la scelta è casuale il risultato è invece perfettamente determinato con una precisione dello 0;3% da cosa ne pensa il popolo: questo metodo è usato in fisica con il nome di “montecarlo”.
Un governante eletto con metodo casuale non avrebbe alcun riconoscimento da parte dei cittadini (pensiamo alla nomina di un evidente cretino, potrebbe forse essere evitata facendo l’albo dei cretini ? e chi governa questo albo, chi controlla il controllore?), e nessun riconoscimento da parte di chi (come le forza dell’ordine) dovrebbe garantire l’esercizio di tale governo.
In una nazione il potere non è solo la parte politica , ma tutte le istituzioni che la governano (magistratura, esercito, etc etc) , le quali non possono a loro volta essere elette in modo casuale, essendo cariche che contengono anche una parte professionale.
Pertanto la situazione di ingovernabilità sarebbe tale da consentire in breve tempo l’instaurazione di una dittatura, a furor di popolo, instaurata da uno dei poteri “forti” e stabili dello stato.
Un governo senza forte delega popolare non sarebbe il governo di nessuno.
Prima di tutto qui non si parla delle forze dell’ordine o alter burocrazie necessarie che debbono sempre restare sotto l’autorità del potere esecutivo.
Quanto al cretinismo il problema non esiste basta definire che chi può essere tirato a sorte deve avere fatto la scuola media e una formazione professionale e magari cinque anni di vita professionale pagando le tasse.
Questi sono dettagli che devono essere decisi dal legislatore, cioè dal popolo votante stesso.
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