Riportiamo un articolo pubblicato il 30 gennaio 2017 su “Bene Comune” e a firma del nostro amico Alessandro Giuliani.
Il tema della verità (e quindi del suo contrario, la menzogna) ha attraversato la riflessione nelle e sulle scienze naturali per secoli. Per comodità definiamo ‘post-verità’ una menzogna che riscuote un ampio seguito e lasciamo cadere la mistificazione che questo sia un fenomeno recente legato all’imbarbarimento delle masse…
Il tema della verità (e quindi del suo contrario, la menzogna) ha attraversato la riflessione nelle e sulle scienze naturali per secoli. Per comodità, e senza errare di molto, definiamo ‘post-verità’ una menzogna che riscuote un ampio seguito e lasciamo cadere la mistificazione (diffusa fra quei falsi amici della scienza molto numerosi tra le sedicenti elite) che questo sia un fenomeno recente legato all’imbarbarimento delle masse (le stesse che sono sante e illuminate quando seguono le sopra menzionate elite).
Chiariamo subito che la verità in scienza è una ‘condizione al contorno’ e non una acquisizione definitiva. Quando le nostre teorie saranno sorpassate ed i nostri contenuti datati — questo prima o poi succederà a tutte le teorie scientifiche essendo la scienza (quella vera, non quella strillata dai media) un continuo lavoro in corso in cui nuove scoperte continuamente soppiantano vecchi modi di pensare – ugualmente il nostro lavoro dovrebbe continuare a trasmettere il senso che possiede oltre l’uso immediato, come una poesia o un timone di legno. Questo senso proviene dalla possibilità di individuare in quel “pezzo di scienza” il personale apporto dell’artigiano nella soluzione dei problemi, il suo stile peculiare nel sistemare le argomentazioni, i suoi “trucchi” per far emergere la linea di pensiero, il particolare uso della metodologia statistica, il piano sperimentale. La scienza deve cercare la verità, ma la sua verità è nel cammino, non nel contenuto, la sua è la verità umile dell’artigiano, non la falsa e tronfia verità di chi voglia offrirci un sistema onnicomprensivo e definitivo. La verità della scienza è l’onestà del procedimento argomentativo, è il rigore della metodologia statistica, è la chiarezza dell’impianto.
Sia la scienza che l’arte possono sopravvivere solo se esiste una ‘verità materiale’ fuori da noi che le renda feconde (il vero segno distintivo della vera opera scientifica e della vera arte). La verità della scienza e dell’arte è insomma cosa diversa da quella dell’aula giudiziaria.
L’atto della ragione, comune all’arte e alla scienza, è il tentativo di ‘Rendere Visibile l’Invisibile’: perché ciò sia possibile l’artista (così come lo scienziato) deve venire a patti con il fruitore accordandosi su un insieme di regole di rappresentazione condiviso. Solo così l’operazione può riuscire con successo. Curiosamente (ma non troppo) questo insieme di regole condiviso non è molto dissimile tra le due attività e ha a che vedere con quelle esperienze fondanti che accomunano gli esseri umani indipendentemente dalla loro cultura.
Sono regole in larga parte legate all’esperienza quotidiana: Ernest Rutherford, nel suo famoso esperimento del 1911 ‘faceva vedere’ la struttura dell’atomo (di per sé invisibile) fondandosi sull’esperienza condivisa che una ‘palla piccola’ scontrandosi con una ‘palla grande’ dovrebbe rimbalzare all’indietro.
Rutherford dimostrava la fondatezza della sua teoria atomica chiedendo al pubblico uno sforzo di fantasia e immaginare gli atomi come delle palle di diversa grandezza. L’evidenza della sua dimostrazione era strettamente dipendente da questo atto di ‘fede’ nella ragionevolezza del mondo che ci circonda. Ma come faceva Rutherford a sapere che gli atomi erano equiparabili a delle palline? Ovviamente non lo sapeva e, andando avanti nella ricerca, la fisica teorica ha dimostrato varie pecche del suo modello atomico (insomma quella di considerare gli atomi alla stregua di palline era una approssimazione molto brutale). Ciò nonostante il suo modello è stato immensamente fecondo, aprendo la strada a innumerevoli scoperte in tutti i campi della scienza. La teoria atomica di Rutherford era una ‘post-verità’, una menzogna di successo? No, in nessun modo, era ‘verità scientifica’ in quanto ha aperto la strada a un secolo di sviluppi nel campo della chimica, della fisica e della biologia. Si pensi che aspetti apparentemente lontanissimi dal problema di Rutherford come la scoperta delle frodi alimentari sarebbero stati impossibili senza la sua mossa creativa.
Considerare gli atomi come delle palle ‘precede’ l’esperimento vero e proprio e lo giustifica in termini di codici condivisi tra autore e pubblico.
Se questi codici condivisi vengono meno, né l’arte (né tanto meno la scienza) hanno più alcun significato. Il legame con l’artigianato (sia esso la procedura statistica o la costruzione di uno strumento di misura) si è mantenuto nella scienza per più tempo che nell’arte. In questo senso la scienza può essere a tutti gli effetti considerata come ‘L’ultima fortezza dell’Arte’ in quanto ci fornisce un esempio ancora vivente di ‘canone’ quando l’ultimo ‘canone vitale’ dell’arte è stato il Barocco e (per brevissimo tempo) la sua fulminea ricomparsa sulla scena detta Liberty o Jugendstil.
Per ‘canone’ si intende un insieme condiviso di buone pratiche che garantisca la costruzione di un’opera fatta a ‘regola d’arte’ (in uno spettro continuo che va dal vaso di ceramica alla cattedrale), che soddisfi il legame tra ‘struttura’ (come è costruito il manufatto) e ‘funzione’ (l’uso del manufatto stesso).
Sia la scienza che l’arte dipendono da un livello di produzione artigianale. La produzione di massa appiattisce le peculiarità. Il grande sforzo collettivo in cui legioni di scienziati “gnomi” partecipano ad un piano che li trascende seguendo un protocollo standard, impedisce di scorgere l’altrove, il valore unico ed inimitabile del singolo pezzo, semplicemente la scienza viene ad essere valutata per il valore economico del suo prodotto finito abbattendone il suo carattere di “cultura materiale” e, neanche troppo alla lunga, rendendola infeconda.
Nel caso della scienza ci siamo già arrivati, la cosa bella è che gli scienziati (che in moltissimi casi sono tipi svegli) se ne sono accorti. Nel 2005 uscì un articolo che fece molto scalpore, il titolo era già un proclama ‘Perché la maggior parte dei risultati scientifici pubblicati sono falsi’.
John Ioannidis, statistico greco di stanza a Stanford, non usava ipotesi moralistico-consolatorie (molto in voga negli Stati Uniti) come ‘E’ la smania di successo di alcuni scienziati che li porta a falsificare i dati’ ma individuava la fallacia di gran parte della ricerca scientifica in semplici considerazioni statistiche. Il furioso dibattito che seguì alla pubblicazione ebbe termine con il riconoscimento della effettiva mancanza di ripetibilità della ricerca (soprattutto in biomedicina). Tanto che è di questi ultimi giorni la pubblicazione su una importante rivista del gruppo ‘Nature’ di una sorta di “manifesto” del canone scientifico.
Quello che traballa è niente meno che il fondamento della conoscenza scientifica: le galileiane ‘sensate esperienze’ che perdono la loro qualità precipua, quella di poter essere riprodotte in maniera intersoggettiva attraverso l’applicazione di una procedura codificata.
La conoscenza scientifica (quella solida) si fonda su un lungo periodo di assestamento, in cui l’accumularsi di prove empiriche inizialmente contrastanti e ambigue, si assesta verso una visione condivisa. Le singole prove empiriche (il materiale degli articoli scientifici) forniscono un contributo marginale alla costruzione della (parziale) verità scientifica, se un singolo articolo scientifico viene interpretato come la ‘verità definitiva’ su un fenomeno, siamo quasi sicuramente condannati al fallimento.
Tutto sommato non sembra qualcosa di molto strano, se non fosse che il lento e travagliato ‘processo di assestamento’ richiede tempo, la stratificazione di un sapere tradizionale, di un canone condiviso del mestiere della scienza, tutte cose che finanza e democrazia ‘moderne’ odiano dal profondo. La tradizione non porta nulla di buono, la scala dei tempi della finanza è di mesi e non di decenni, la maggioranza ha sempre e comunque ragione.
E qui si situa l’abisso profondo che separa le scienze naturali da altri campi del sapere umano (e.g. le scienze sociali) e che va preso di petto, non solo per comprendere la particolare natura della cosiddetta ‘post-truth’ in scienza, ma come mai (nonostante le apparenze), la scienza sia accomunata alla religione nell’odio profondo che le porta il relativismo culturale.
Un canone viene appreso in modo per larga parte non formalizzabile, come qualsiasi mestiere, attraverso il confronto con altri artigiani e lo studio attento dei manufatti, quindi attraverso la ‘tradizione’ che letteralmente significa ‘trasmissione’ (dal Latino Tradere: trasmettere, consegnare).
Un pezzo di scienza fatto a regola d’arte, se insegue un’ipotesi errata ha comunque in sé il modo per essere falsificato e quindi non ostacola (anzi promuove) l’avanzamento della scienza. Un pezzo non costruito secondo il canone è invece comunque una pietra di inciampo e un ostacolo, indipendentemente dal suo contenuto di realismo. Il grande fisico austriaco Wolfgang Pauli, per indicare il suo massimo disprezzo verso un pezzo di scienza sbottava: “Non è neppure sbagliato!“.
Il guaio è che questo non è esattamente lo scopo di chi nella scienza ci mette i soldi (sia pubblici che privati, si badi bene) e a cui l’efficacia a breve termine interessa molto di più della conoscenza. Nessuno sembra soffermarsi sul fatto che, anche se noi vediamo la televisione o leggiamo questo articolo da uno schermo di computer, grazie alle equazioni del campo elettromagnetico sviluppate da James Clerk Maxwell, non è che lui le abbia scritte nel 1860 sotto le insistenze pressanti della nipotina che voleva vedere i cartoni animati.
Il punto è che la scienza è stata schiavizzata da chi la ha voluta costringere a diventare ‘la religione del nostro tempo’ che è atto della stessa valenza morale di spingere alla prostituzione una ragazzina di dodici anni. Questo ha comportato che la mistificazione sia diventata parte integrante della gestione della ricerca scientifica. La frode non è che un aspetto minore del problema, dacché’ la semplificazione del linguaggio e dei contenuti della scienza è diventata una questione di vita o di morte della società, che ne dipende totalmente.
E’ qui che la ‘post-verità’ infetta la scienza, quando una mal riposta esigenza di ‘divulgazione’ maschera le mire di chi vuole far apparire come ‘inevitabile’ ciò che invece è solo desiderio di potere. Antonio Gramsci lo aveva ben chiaro (in tempi non sospetti), ecco le profetiche parole di questo pensatore, per tanti versi molto lontano dal mio modo di sentire, ma sicuramente una mente luminosa: “È da notare che accanto alla più superficiale infatuazione per le scienze, esiste in realtà la più grande ignoranza dei fatti e dei metodi scientifici, cose molto difficili e che sempre più diventano difficili per il progressivo specializzarsi di nuovi rami di ricerca. La superstizione scientifica porta con sé illusioni così ridicole e concezioni così infantili che la stessa superstizione religiosa ne viene nobilitata. Il progresso scientifico ha fatto nascere la credenza e l’aspettazione di un nuovo tipo di Messia, che realizzerà in questa terra il paese di Cuccagna; le forze della natura, senza nessun intervento della fatica umana, ma per opera di meccanismi sempre più perfezionati, daranno alla società in abbondanza tutto il necessario per soddisfare i suoi bisogni e vivere agiatamente. Contro questa infatuazione, i cui pericoli sono evidenti (la superstiziosa fede astratta nella forza taumaturgica dell’uomo, paradossalmente porta ad isterilire le basi stesse di questa stessa forza e a distruggere ogni amore al lavoro concreto e necessario, per fantasticare, come se si fosse fumato una nuova specie di oppio) bisogna combattere con vari mezzi, dei quali il più importante dovrebbe essere una migliore conoscenza delle nozioni scientifiche essenziali, divulgando la scienza per opera di scienziati e di studiosi seri e non più di giornalisti onnisapienti e di autodidatti presuntuosi. In realtà, poiché si aspetta troppo dalla scienza, la si concepisce come una superiore stregoneria, e perciò non si riesce a valutare realisticamente ciò che di concreto la scienza offre“. (Quaderno 11 – Paragrafo 39)
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23 commenti
Diciamo chiaramemte che il problema delle fake news (o post verità) non è certo una novità attuale e sempre usato, da tutti le parti, ed in tutte le epoche…
Sicuramente biasimevole, il loro uso ha lo scopo di impressionare esageratmente il pubblico al quale ci si rivolge con l’ovvio scopo di portarlo dalla propria parte ed, allo stesso tempo, screditare l’avversario; a mio avviso scredita solo, sempre e comunque chi ne fa (ab)uso.
Un piccolo esempio, legato (tanto per cambiare un po’) alla Guerra Fredda: qui in occidente chi denigrava l’URSS sosteneva che ‘i russi mangiavano i bambini’, mentre gli esponenti comunisti locali sostenevano che nei fiumi dei paesi del socialismo reale scorresse latte e miele al posto dell’acqua; tant’era l’abbondanza che ivi c’era.
Nel film ‘Il compagnio Don Camillo’, Fernandel accoglie (inconsapevolmente) una coppia di falsi esuli politici sovietici; la successiva notizia, su un quotidiano nazionale, che si trattava solamente due truffatori che ricorrevano a questa impostura allo scopo di sbarcare il lunario sulle spalle dei gonzi italiani, fece sì che nemmeno l’opposizione democristiana si oppose più al gemellaggio di Brescello con una cittadina rurale sovietica.
Questi esempi per dire che una corretta, ed imparziale informazione, non può che giovare ad un proficuo scambio e circolazione di idee, che arricchirebbe l’intera società nel suo complesso; quindi di primo acchito non potrei che essere favorevole ad un qualsiasi meccanismo che riduca fortemente la circolazione delle cosidette bufale.
Ci sono però due fortissimi punti interrogativi di carattere pratico;
1) Intanto un tale meccanismo, per poter essere implementato, richieda sempre e comunque delle persone, ragion per cui il rischio che tutto ciò evolva in un qualcosa di molto simile al Ministero della Verità (MinVer) di orwelliana memoria è molto concreto.
2) L’attuale clima relativamente alla post verità sarebbe nato in seguito al Brexit e all’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca; i cui risultati sarebbero stati dovuti al fatto che buona parte del popolo inglese e statunitense si sarebbe stupidamemte fatto abbindolare da bufale messe in circolazione sul WEB e quindi non per un diffuso senso di stanchezza ed insofferenza di quella gente verso una politica che evidentemente non si riconoscevano più; almeno secondo la vulgata ufficiale, messa in circolazione proprio da chi è uscito sonoramente sconfitto da queste elezioni.
Sarà perché come diceva un Grande vecchio della politica italiana, pensar male è sempre peccato ma spesso ci si indovina; queste due considerazioni mi fanno diffidare fortemente di chi ora invoca meccanismi per limitare, in qualche modo la circolazione di bufale sul Web.
“[…]quando l’ultimo ‘canone vitale’ dell’arte è stato il Barocco e (per
brevissimo tempo) la sua fulminea ricomparsa sulla scena detta Liberty o
Jugendstil.”
Non capisco questa frase
Caro Palafreniere, un ‘canone’ è un insieme condiviso di criteri di ‘manufatto a regola d’arte’ che non si limita alla produzione propriamente artistica nel senso romantico (e.g. le avanguardie storiche che cambiavano stili con la stessa frequenza con cui noi cambiamo d’abito) del termine ma informa di sè tutta la produzione di manufatti, dal vaso alal cattedrale appunto. Si tratta insomma di uno stile condiviso e riconoscibile a diverse scale. Questo avvenne per l’ultima volta nel Barocco per cui sappiamo immediatamente riconoscere la stessa impronta in una casetta di San Martino al Cimino o di Ischia ponte e nella Chiesa del Gesù a Roma o nella cattedrale di Noto. E’ fondamentalmente il motivo per cui Positano è una speculazione edilizia sul mare tanto quanto Torvajanica ma la prima è bella e la seconda è brutta, nel caso di Torvajanica il ‘continuo del canone’ dalla casetta all’opera d’arte era ormai interrotto, a Positano no.
Nel caso del Liberty (o Jugendstil o Art Noveau o Stle Floreale come è stato denominato nelle diverse nazioni) abbiamo avuto dieci-quindici anni di ‘ricomposizione’ dell’unità perduta per cui anche ora percepiamo immediatamente la stessa ‘aria di famiglia’ (derivata dal canone condiviso) tra il vaso della mia bisnonna e la Sagrada Familia di Gaudì. I temi portanti del canone Liberty erano singolarmente simili a quelli barocchi a partire dalla predilezione per le linee curve, per l’imitazione delle forme della natura, la molteplicità dei punti di vista…tanto da far pensare a un sussulto di vita di un morto sepolto dagli assassini neoclassici. Ora l’unità tra ‘cultura alta’ e ‘cultura bassa’ è l’unico antidoto alle menzogne…
Alessandro mi scusi ma non è così. Le avanguardie, a cui fa riferimento lei, al contrario hanno avuto delle ragioni comuni. Altro ché che se ce le hanno avuto! Il movimento “De Style” ad es. proponeva una nuova visione plastica, fatta di figure rettangolari, con l’uso sistematico di vuoti/pieni e di colori primari. Rifacendosi all’opera di tanti pittori e artisti dell’epoca! Oppure il Movimento Moderno che nasce dai punti di Le Corbusier: tetto giardino, finestra a nastro, pianta libera, pilotis e facciata libera. Per cui quello fu un movimento internazionale….
È naturale che ci sono declinature diverse, regionalismi ecc… ma anche nel Barocco ci son; che è molto eterogeneo!
Ma dire che le avanguardie non abbiano dei codici comuni è errato e fuorviante. Non è così.
Certo che sì, peccato che non percolassero al livello della vita di tutti i giorni se non per riempire di orrore le nostre periferie (che sono tutte brutte copie del razionalismo alla Le Corbusier), insomma lo stile ‘alto’ non si trasformava ‘nel continuo’ ma come ‘brutta copia’..nella famosa crociera da Marsiglia ad Atene che fu una specie di ‘atto fondativo del razionalismo moderno’ Leger ebbe a dire delle parole profetiche a riguardo;
https://archiwatch.it/2012/07/24/state-superando-il-limite/
Il Barocco è molto eterogeneo e certo Bernini non è Borromini ma una chiesa a Goa, in Messico e a Caprarola sono imemdiatamente riconoscibili come tali. Il Moderno ha provavto a fare uno ‘stile internazionale’ ma non è riuscito a ‘traversare le barriere di classe’…
Quanto alle Avanguardie si trattava ormai di artisti isolati che la modernità aveva separato dalla vita della gente comune…
Ma guardi che sta dicendo una grossa cavolata, mi permetta…
Orrore le periferie?! Eh?
Queste sono grossi miti che circolano, altro che fake news, completamente falsi. Al contrario, si studi le opere di Terragni e del gruppo BBPR. Casa del Fascio, Novocomum… Altro ché!
Al contrario tutti lodiamo l’EDILIZIA PUBBLICA degli anni 30! (Nonostante sia purtroppo promossa da un regime fascista). Fatta, appunto, dal Razionalismo italiano! Che, al contrario, invece ha incluso e dato spazio alle periferie… Semmai l’avvento successivo, postmoderno, basato sull’architettura-oggetto (decostruttivismo e tante altre), superando il Movimento Moderno hanno ristabilito un’architettura elitaria che piace tanto a lei! Guardi un po’! Appunto per questo a partire dagli anni 70 sono crollati i trasferimento alle periferie, dismettendo tanti fabbricati e non alimentando quei presidi di legalità che tengono in vita un quartiere. Questo perché la nuova architettura si fonda tutta sull’immagine. Pensi alle opere di Frank Gehry o Zadid! Quelle sono post-moderne… E quindi hanno poco di sociale… Sono solo sculture… (Come il barocco che piace a lei; in questo senso sono simili nell’idea elitaria di fondo)
Al contrario il Movimento Moderno (1900-1930) aveva concepito un’architettura logica, poco legata all’immagine, che contribuiva in maniera significativa (con l’avvento di materiali poveri come il c.a.) di essere protagonista della vita sociale dei quartieri popolari!
Pensi al grande arch. Muratori che realizzò opere di questo tipo, Terragni e tanti altri…
Bisogna informarsi prima di parlare. Sempre.
Ha perfettamente ragione caro Dom e mi scuso con lei, non a caso il razionalismo italiano è stato qualcosa di unico …ma vede, basta andare a Garbatella e notare (come già aveva intuito Pasolini per Sabaudia) che qui si tratta di qualcosa di molto differente , non a caso gli architetti di Garbatella riprendono gli stili del casale laziale, ma di nuovo si parte dall’alto e ci si ‘adegua’ al basso, finita la guerra la speculazione edilizia non ha più permesso cose simili e lo Zen o Corviale sono qualcosa di astratto, una ideologia ‘di cosa dovrebbe andar bene per le masse’ non realisticamente andare a osservare il territorio..
Esattamente come astratte sono le cose di Gehary e Zaha Hadid, soprattutto per Gehary il paragone con il barocco è perfetto, visto che lui stesso indicava nel S.Carlino alle Quattro Fontane il suo modello per la biblioteca di Bilbao. Ma qui arriviamo al punto e il punto ha a che vedere con la materia non con il disegno (quanto ai miei gusti, sì io adoro il Barocco ma qui non c’entra, stiamo parlando di cultura organica e siamo partiti dalla scienza). Allora se io sono uno scalpellino che lavora alla fabbrica del S.Carlino mi innamoro di un particolare della chiesa, di uno svolazzo di un portone, di un angioletto e penso ‘Cavoli, carino..tutto sommato è stucco…me lo rifaccio piccolo al paese’ si chiama scalabilità e si applica uguale uguale alla meccanica statistica.
Se io ho un bel disegno come nel caso della biblioteca di Bilbao e me lo voglio riportare a ‘informare l’architettura minuta’ non posso, semplicemente non è scalabile. Ora questo non c’entra con i gusti personali, a lei caro Dom, il barocco potrà fare orrore, ma questo non è materia di discussione, il punto è indipendente dall’estetica…anzi il fatto che delle orribili statue di cera ancora affliggano le nostre chiese è proprio un segno del fatto che la ‘vulgata popolare’ è rimasta indietro di 300 anni all’ultima cultura organica che la collegava alle elite (da cui ci piaccia o no scendono sempre le idee innovative) senza che queste elite le diano più risposta (un pà come quei giapponesi nell’isola di Guam che credevano che la guerra non fosse ancora finita negli anni 70 del secolo scorso).
Certo, concordo. Appunto perché ogni modo di fare architettura (non mi piace la parola “stile”) ha tanti regionalismi; viene interpretato secondo ogni territorio.
Su questo non ci sono dubbi. Il romanico italiano differisce da quello francese; al contempo lo stesso è diverso da regione a regione (quello lombardo da quello fiorentino, a quello umbro e così via).
Ma il discorso non è questo. Perché il razionalismo italiano, nonostante le sue pecurialitá, ha come base il moderno. L’uso del c.a. (introdotto da Le Corbusier) ha permesso quella “scalabilità”, che lei tanto loda, e diffusione che è arrivata fino a giorni nostri. Non solo, ha semplificato i processi di costruzione e ha permesso una garanzia di anti sismicità prima impensabile. Ecco, questo è quello che avvenuto, nei primi del Novecento, sulle spinte di idee socialiste e fasciste, dei movimenti di massa in generale.
La scalabilità è presente in tutti gli edifici lecorbuseriani, il modulor è l’unità base, che ha origini matematiche (rapporto aureo) e rinascimentali (pensiamo all'”uomo misura di tutte le cose” di Leonardo da Vinci).
Per cui, il Movimento Moderno segue il filone rinascimentale, nella sua linea di pensiero più profonda: misurabilità, umanismo (universalismo), rapporto centro/periferia. Lo stesso Le Corbusier studio affondo il Rinascimento: innamorandosi di opere come Palazzo Strozzi. E ancor più profondo il ragionamento il MM si rifà agli ideali greco-romani di proporzione: la colonna dorica (i rapporti metrici tra le parti), le distanze e il “luogo”. Il Pantheon è l’opera più dell’umanità per molti architetti del Movimento Moderno, appunto perché è misura perfetta, tra l’uomo e Dio.
Il Movimento Moderno crea una rottura con il passato in quanto distrugge ogni elemento ornamentale, ogni decorazione, purificando l’architettura. In questo è un ritorno all’essenza della stessa. Vuole palesare la misura, i rapporti più che la forma. In questo è un modo di intendere l’architettura universale, valido per ogni tempo.
Quindi, complice la crescita industriale, il trasferimento dalle compagne alle città, gli operai, il Movimento Moderno crea delle comunità in periferie. Perfettamente integrate. Pensi che Olivetti, in quegli anni, creó dei quartieri attorno alla sua fabbricae veramente all’avanguardia (ancora oggi). Li si realizzo il welfare: asili nido, biblioteche, centri di ritrovo ecc… Questo lo permise il deturpato Movimento Moderno, meglio identificato Razionalismo Italiano!
Altro discorso, il quartiere Zen. Li ci furono infiltrazioni mafiose, non fu completato, ci furono ritardi e la cosa venne gestita dal malaffare. Quindi il problema è di natura politico. Negli ultimi 30 anni la politica è stata sinonimo non di scelte, ma di clientelismo e malaffare, diciamo la verità.
Concludo, Mies Van Der Rohe, padre nobile del Movimento Moderno, per il suo stile essenziali prendeva ispirazione da Tommaso d’Aquino, come ebbe a dire! Un’architettura essenziale e pura nel suo essere poco formale.
Guardi un po’ le opere di Alvaro Siza, Mateus, Souto de Moura, Campo Baeza…
Assassini neoclassici? L’unità tra “cultura alta” e “cultura bassa” è possibile? C’è mai stata? Sono veramente due concetti così distanti e definibili l’uno dall’altro? Come si distinguono?
Caro Palafreniere,
le tue sono delle bellissime domande che meriterebbero un intero trattato , insomma è difficile cavarsela in due parola, tra l’altro (vedi i corsi e i ricorsi !) questo è il tema di fondo dei ‘Quaderni del carcere’ di Gramsci che, a grandi linee usava come criterio di distinzione un criterio temporale: la cultura bassa corrisponde alla cultura alta di qualche decennio prima filtrata attraverso la sabbia della tradizione. Fuor di metafora: un filosofo d’avanguardia scrive un trattato in cui introduce dei pensieri fino ad allora mai espressi così, passano cento anni e pezzi di questi stessi pensieri, un pochino incrostati e lievemente sbilenchi si ritrovano sulle labbra di un gruppo di vecchietti in un bar di paese.
La faccio molto brutale ma il senso è questo, non sono del tutto d’accordo su questa visione (anche se ha il pregio della semplicità e dell’estensibilità semplicemente velocizzando il tempo di percolazione, se Gramsci aveva in testa i decenni, ora il tempo dall’aula di Università al bar è di pochi mesi ma la distorsione è spesso maggiore). Ma, come dicevo, non sono d’accordo con questo movimento unidirezionale, anche perchè, da cattolico apostolico romano so che esiste una cosa che si chiama ‘Depositum Fidei’ dove si sedimentano in maniera orizzontale intuizioni che provengono da varie e inaspettate direzioni e la Chiesa è uno dei pochi luoghi al mondo (oltre al letto, allo stadio e pochi altri) dove un tizio che non ha letto neanche un libro può insegnare a chi ne ha letti diecimila…ma appunto ci sarebbe da parlare per ore, per cui preferisco tornare alla scienza e raccontare di un momento in cui cultura alta e bassa si sono unite e hanno prodotto qualcosa di molto simile a una cattedrale gotica che veniva su con il concorso di una intera comunità.
E’ qualcosa di molto vicino a me (dieci metri circa) e si tratta di un microscopio elettronico, la sua origine è curiosa e spero chiarificatrice per te caro Palafreniere e anche per Dem e per tutti i gentilissimi commentatori di questa mia cosa. Allora nel 1943 esistevano due soli esemplari al mondo di microscopio elettronico, entrambi costruiti dalla Siemens, uno era a Lipsia e un altro (dono propiziatorio dell’alleanza tra Mussolini e Hitler) a Roma, all’Istituto Superiore di Sanità appunto,
Dopo l’ otto settembre del 1943, il microscopio elettronico del mio Istituto viene requisito dai tedeschi e portato in Germania, i ricercatori, i tecnici e gli operai dell’Istituto decidono di RICOSTRUIRLO.
Piccola pausa: costruire un microscopio elettronico (specie nel 1943 ma anche adesso) e per di più senza progetto è UNA IMPRESA TITANICA che non può essere affrontata a un solo livello e da una sola persona, ma neanche da un solo progettista. Insomma i fisici dell’Istituto (tutti molto bravi per altro) conoscevano la teoria e (sempre in teoria) potevano anche dire a un molatore di lenti (molto in generale) cosa si aspettassero dalle sue lenti, ma poi il molatore doveva trasformare questi obiettivi nel suo linguaggio e soprattutto nella sua arte risolvendo una miriade di problemi che ai fisici nemmeno sfioravano l’anticamera del cervello. Ragionamenti analoghi si possono fare per i meccanici che dovevano costruire i giunti, per i fonditori .. ora se è vero che la teoria era ‘cultura alta’ e l’esigenza di avere un microscopio elettronico sentita dai fisici ma non dal molitore di lenti, quest’ultimo doveva tradurre e far proprio almeno l’essenziale del problema del fisico, non solo, ma quando ritornava da lui e gli proponeva la lente finita mi immagino che a sua volta il molitore spiegasse (movimento questa volta dal basso verso l’alto) che ‘..na cosa esattamente come la voleva lei dottò nun è possibbile, però veda un pò cosa altro me sò inventato…’
I concetti insomma si distinguono (il fisico sa cose diverse del molitore e le ha più che altro apprese dai libri, il molitore sa cose diverse dal fisico e le ha più che altro apprese dall’esperienza e dalla tradizione) se una cultura artigianale è viva e vitale (e nel 1943 la scienza era nel suo pieno fiorire artistico) però la distinzione corrisponde ai poli di un continuo organico e NON IMPLICA INCOMUNICABILITA’ anzi..come abbiamo capito da questa storia, il suo esatto contrario, visto che dopo tanti anni il microscopio sarebbe ancora funzionante e di fatto è stato usato per i successivi quaranta anni prima di essere sostituito da strumenti più efficienti.
Non so se ho risposto alla tua domanda, ora però una domanda (o meglio una proposta) ve la faccio io: secondo voi oggi una storia del genere, sempre nell’ambito scientifico, potrebbe accadere ?
Articolo stupendo, in cui il rigore epistemologico di una filosofia realista s’intreccia con l’amore vissuto dallo scienziato Giuliani verso la propria disciplina rigorosa, tanto più dileggiata quanto più deificata. È stata anche una gradita sorpresa per me il passaggio di Gramsci che, quasi un secolo fa, denunciava la strumentazione scientista della scienza naturale con grande chiarezza profetica.
Grazie Giorgio, troppo buono….
Bentornato con questo ottimo articolo dott. Giuliani. E’ tutto molto chiaro; davvero profetico Gramsci, ma forse siamo noi che pensiamo che l’oggi sia molto differenti dall’altro ieri quando non lo è (in fondo l’ubriacatura di massa con la scienza risale all’800 positivista).Sulla storia dell’arte avrei pensato proprio al neoclassicismo come ultimo canone, perché non lo è ? E’ addirittura “assassino” ? Non penso sia solo una questione di gusti…
Caro Muggeridge, il neoclassicismo è stile per definizione alto, non conosco case di poveracci neoclassiche e neanche casette di campagna. Non solo esso proviene da una MOSSA DELIBERATA (come nel Rinascimento) di prendere un modulo specifico (in questo caso una particolare interpretazione dell’architettura classica) e ripeterla ‘purificata’ ma il neoclassicismo impone il dibattito sulla ‘pittura pura’, la ‘scultura pura’ , l’architettura pura’ (se ti interessa l’argomento troverai da scaricare su Internet il bellissimo ‘Perdita del Centro’ di Hans Sedlmayr) frammentando le arti in ‘teorie separate’ cosa che nel Barocco (ma non nel Rinascimento) era deliberatamente escluso (vai a s.Andrea al Quirinale o a S.Ignazio a vedere l’architettura diventare scultura e poi pittura (e viceversa) nello spazio di uno-due metri in altari e soffitti), ma lo stesso lo puoi verificare in un decoro di una palazzina Liberty o in una povera edicola mariana a Nemi o a Folgaria….
Poi chiaramente i ‘gusti sono gusti’ e attengono alla sfera del personale, qui mi interessava sottolineare l’organicità (e qui compiaciamo ancora l’anima spero pacificata di Antonio Gramsci) di alcune culture rispetto alla separazione tra elite e popolo di altre…
La ringrazio per l’articolata spiegazione. Vado spesso a Folgaria e di solito alloggio vicino al Santuario (immagino avesse in mente questo, dal momento che è appunto dedicato alla Madonna delle Grazie ), quindi ho capito al volo.
Ma che meravigliosa coincidenza !!!
Molto bello e interessante questo pezzo di Giuliani che tocca con evidente competenza ed esperienza molti importanti temi epistemologici che riguardano la scienza. Dal concetto relativo di verità, che nella scienza tende a traslare evidentemente dai contenuti inevitabilmente parziali e temporanei agli approcci metodologici, al valore importante, ma relativo, che ha una singola pubblicazione scientifica nell’ambito del progresso delle conoscenze. Colgo anche tra le righe, ma non vorrei sbagliarmi, un sottile invito a non confondere frettolosamente la scienza con la tecnoscienza, anche se i due ambiti sono spesso fortemente interconnessi, in tal caso sarei completamente d’accordo. Condivido particolarmente anche la comparazione fatta tra arte (o artigianato) e scienza, in quanto anche la scienza come l’arte, alla radice è principalmente un’attività creativa che si prefigge di descrivere e rappresentare il mondo mediante l’uso di strumenti e di un linguaggio molto specifici. Molto bello anche il saggio riportato di Gramsci che riapre questioni ancora attualissime in merito alle diffuse, croniche e apparentemente incolmabili incomprensioni che tuttora esistono tra scienza e società.
Grazie mille Fabio delle tue gentili parole, l’invito che tu cogli tra le righe è pressante e urgente !!!!
Complimenti per il pezzo, dr. Giuliani, dovrei farlo leggere a qualche collega.
Grazie Claude
All’improvviso tutti si mettono a parlare di post-verità e ci accorgiamo che è un fenomeno che da tempo è già presente nelle scienze.
Mi viene da pensare che proprio l’aver contagiato per prime le scienze ha costituito la premessa per cui poi si estendesse anche negli altri ambiti. Chi doveva vigilare sulle scienze e sul corretto metodo ed epistemologia non l’ha fatto arrecando così un danno non solo alle scienze.
Il merito di questo articolo di Alessandro è di aver portato davanti agli occhi di tutti quello che sembrava impossibile, e cioè proprio la presenza della post-verità nelle scienze.
PS grazie per la citazione di Gramsci, sempre più un gigante grazie anche ai nani contemporanei.
Buonasera.
Ritengo pregevole ed ottimo il nuovo articolo del prof. Giuliani, il quale ha sempre evidenziato l’importanza di una cognizione organica e plastica dell’attività scientifica capace di estendersi sopra varie branche del sapere più o meno affini; esemplare, e non è la prima volta riscontrarla in un intervento del prof. Giuliani, la sua speciale attenzione per il mondo dell’arte (che si possa esser d’accordo o meno su certi punti, da cui l’interessante discussione con gli utenti Dom e Palafreniere). Complessità dell’indagine scientifica contemporanea, visione d’insieme e una forte epistemologia sono i mattoni di questo intervento degno di essere menzionato in scuole ed università (e direi anche una bella mostra di molte delle più fruttuose e positive idee discusse nell’esperienza di CS).
Molte grazie ed apprezzamenti ad prof. Giuliani per questo prezioso articolo.
P.S. ho appreso “spiritualmente” dal prof. Giuliani l’importanza e la specialità dell’uso e del ruolo della statistica nelle scienze (lo ringrazio perciò anche di questo).
Sono io che devo ringraziarti caro Alio per le tue gentili parole