Un giorno, parecchi mesi fa, stavo leggendo una discussione relativa ad un articolo di Critica Scientifica dove ad un certo punto, in un commento di uno degli autori di CS, leggo la seguente domanda retorica: “mi può fare lei un esempio di una cosa che la Scienza “umilmente” sa?”.
Questa domanda voleva insinuare che la Scienza sperimentale non fornisca mai una conoscenza “vera” sulla realtà.
Quest’insinuazione mi sorprese parecchio, perché credevo che la Scienza fosse uno strumento finalizzato ad una sempre maggiore conoscenza del reale, in particolare della natura, per cui affermare che in realtà essa “non sappia nulla” andava contro le mie aspirazioni culturali e la mia sete di conoscenza.
Deciso a chiarire meglio la questione, anzi, a rafforzare la mia idea che le cose non stavano come le poneva quella domanda retorica, mi feci indietro con la sedia per allontanarmi dal computer e per prepararmi per uscire di casa e tentare di prendere appuntamento con una personalità scientifica di gran lunga più autorevole, la quale avrebbe saputo certamente risolvere la questione a mio vantaggio.
Mi stavo quindi allacciando le scarpe quando già pensavo a quali parole usare per formulare al meglio la domanda da porre all’intellettuale che volevo incontrare, mentre mi infilavo il cappotto nutrivo il sogno di apparire più grosso, più adulto, per non sentirmi troppo piccolo di fronte all’autorità scientifica che io, studente qualunque, volevo intervistare per il bene di CS, affinché non si ripetessero più certe scettiche insinuazioni.
Nel chiudermi la porta alle spalle, mi consolavo dell’idea che anche se io non ero nessuno, potevo dimostrare che facevo quel che facevo per amore della Scienza e che tale amore sarebbe stata una cosa in comune importante col personaggio con cui volevo prendere appuntamento.
Scesi le scale e già stavo per cadere nel mio primo impedimento quando il piede schizzò via dal secondo gradino: le scale erano bagnate perché era giorno di pulizie nel mio palazzo. Per fortuna agguantai istantaneamente il corrimano e potei guardare in basso per accorgermi della luce riflessa dai gradini, la quale sarebbe stata subito evidente se non ero con la testa già a destinazione. Meglio procedere con un passo alla volta, dovunque si vada, per quanto lontano.
Dovendo quindi scendere i gradini con cautela, potei osservare una donna delle pulizie mentre fissava, piegata sulle ginocchia, una spugna che galleggiava sulla superficie dell’acqua che riempiva il suo secchio.
Non faceva caso a me, non sapevo però se per distrazione o per l’abitudine di ignorare i condomini che risporcavano le scale appena lavate; di sicuro non doveva essersi resa conto che stava pensando ad alta voce mentre fissava la spugna. Le parole che involontariamente origliai furono “un corpo immerso in un liquido riceve una spinta dal basso verso l’alto pari al peso del liquido spostato”.
Uscii dal mio palazzo ripensando a quella buffa situazione. Non so se davvero possa essere utile nel fare delle pulizie conoscere il Principio di Archimede, però è bello restare sorpresi su tale legge quando si pensa ad una crociera ferma in un porto. Quante tonnellate potrà pesare una crociera? In ogni caso c’è qualcosa di straordinario in quell’immagine ormai comune (per chi vive in una città di mare) di un’immensa nave di metallo sull’acqua. Se si sta sul ciglio di un molo, si raccoglie un sasso da terra e lo si lascia cadere in acqua, esso scompare e non lo si rivedrà mai più; mentre invece la nave resta lì. Forse mi emoziono facilmente, ma sapere che in certi fenomeni che hanno in gioco la gravità la massa non conta ma conta la densità (o equivalentemente, in questo caso, il volume d’acqua spostato), è un’idea antica ma affascinante.
Meditavo su queste cose mentre camminavo su un lungo marciapiede in direzione della metropolitana. Senza imparare nulla dal fatto che poco prima stavo per farmi male a causa delle mie distrazioni, camminavo senza porre molta attenzione ai palazzi alla mia destra, finché dovetti per forza ridestarmi quando mi trovai a passare accanto ad una folla.
C’erano tanti passanti incuriositi, due macchine della polizia e quattro agenti in divisa, due respingevano la folla per fare spazio agli altri due colleghi che scortavano un uomo in manette. Quest’ultimo non aveva un viso rassicurante: aveva quella che si usa chiamare nei film una “faccia cattiva”, dallo sguardo poco brillante, di chi fa delle “banalità del male” il proprio pane quotidiano. Non gli mancava il classico ghigno strafottente di chi non teme né la galera né le forze dell’ordine, di chi è troppo furbo per subire anche il più piccolo fastidio.
Quello che sembrava un giornalista, per via di un registratore in mano e lo sguardo molto più interessato dei passanti, si infilò come un serpente nell’erba alta tra la folla e fece sbucare il suo registratore ad un centimetro dalla bocca dell’ammanettato. Il probabile delinquente sembrava non aspettare altro che fare una bella dichiarazione (di quelle che fanno apparire un arresto una voluta apparizione in pubblico). La sua dichiarazione per i giornali fu “non possiamo conoscere contemporaneamente e con la stessa precisione la velocità e la posizione di una particella”. Detto questo, i poliziotti finalmente riuscirono a infilarlo in una delle loro autovetture e in cinque secondi ambo le macchine si dileguarono, la folla si disperse, il giornalista gongolante filò via su un motorino e tutto tacque.
Il Principio di Indeterminazione ai tempi del quinto liceo divenne un po’ una mia ossessione. Sembrava una specie di ossimoro: è un Principio, quindi un’affermazione postulata come vera e dalla quale derivare infinite conseguenze, ma allo stesso tempo il suo contenuto era proprio sulle indeterminazioni, cioè su quelle cose su cui non puoi esprimere un giudizio, o meglio, su cui non si hanno gli strumenti per quantificare un valore a priori. Questo Principio è solo una delle tante “stranezze della Meccanica Quantistica” e apparentemente descrive solo un problema pratico delle misure delle coppie di grandezze coniugate (i più esperti diranno “delle grandezze descritte da operatori che non commutano”, oppure “che sono l’una la trasformata di Fourier dell’altra”). Se misuro la posizione di una particella con molta precisione, la misura della sua velocità sarà affetta da un errore grande e inevitabile (per principio) e viceversa. I profani non apprezzeranno la gravità della cosa finché non gli si dice che la Meccanica Classica si reggeva su equazioni che erano del tutto inutili senza delle “condizioni iniziali”, cioè le equazioni (essendo di secondo grado) richiedevano la conoscenza della posizione e della velocità di una particella ad un dato istante; in seguito, nel risolverle, esse implicavano uno ed un solo moto della particella per un qualsiasi istante di tempo tramite metodi di analisi e l’inserimento dei dati inziali.
Il Principio di Indeterminazioni quindi rovina questo scenario pulito ed ordinato, perché se solo una delle due condizioni iniziali è ben nota, allora crolla tutto l’algoritmo, infatti, in MQ il concetto di “moto” non c’è più, o al più si può dire che sia del tutto stravolto.
Lo sconvolgente cambio di paradigma avvenuto quindi nella prima metà del Novecento non è facile da spiegare e quel delinquente, che in qualche modo avrà saputo di questa verità, forse ha provato a giustificarsi in modo elegante per qualche fatale proiettile vagante, ma in tal caso dovrà spiegare ai giudici che un proiettile di una pistola è già nel suo “piccolo” un oggetto macroscopico: su di esso la MQ è a dir poco inopportuna e risulta più utile la difesa di un buon avvocato.
Mi ritrovai, intanto, tra un pensiero quantistico e un altro, in una scorciatoia per la metropolitana ancora più silenziosa della strada precedente, un po’ tetra, forse perché all’epoca faceva ancora buio presto. Era una di quelle strade dove non sai se sia peggio essere completamente solo oppure vedere un volto umano col rischio che sia un volto come quello dell’uomo appena arrestato.
Ben presto non dovetti più rimuginare su tale dilemma perché vidi una donna ferma, che parlava ad un cellulare, a poche decine di metri da me.
Man mano che mi avvicinavo alla sua posizione, notai che indossava quella che sembrava essere la divisa ufficiale delle prostitute: calze a rete, minigonna, maglia più scollata di quanto le basse temperature dovrebbero consentire. A dire la verità erano più i modi e lo sguardo che mi davano l’idea di una donna che facesse il più antico dei mestieri. Esiste come uno spettro degli sguardi femminili: puritani, timidi, riservati, fiduciosi, maliziosi, sensuali e non-classificati. Mentre i primi sono abbastanza intuitivi, quelli che chiamo “non-classificati” sono sguardi che vanno molto oltre la sensualità, in pratica sono quelli che vedono l’altro solo come un pezzo di carne, un corpo che è in grado di parlare ma questo fatto non desta alcun sentimento. La mia non è una definizione rigorosa, preferisco dare un senso alla cosa e confidare nell’intuito di chi legge.
Siccome mi hanno insegnato a non giudicare, feci in modo da guardarla come una qualunque delle persone che passano accanto casualmente durante una passeggiata, ma siccome era una di quelle persone che sono ancora convinte che il cellulare non funzioni se non gli dai “una mano”, conversava ad alta voce.
In quella strada c’eravamo solo noi due, per cui sentii chiaramente che la donna diceva al suo interlocutore “il tempo scorre diversamente in due sistemi di riferimento in moto relativo tra loro”.
Non riuscii a credere alle mie orecchie, ma non per il principio che aveva appena formulato, ma perché non mi aspettavo che uscisse da quella rossissima bocca!
Avevo superato la donna e mi stavo allontanando da lei nel momento in cui mi ripresi dallo shock e mi resi conto che non ero nel 1905 e che anche le cose più sconvolgenti possono diventare indifferenti e ”comuni”.
Forse quella signorina volveva sfruttare la distrazione che poteva conferirgli quella conversazione telefonica per far “passare più velocemente il tempo”, magari convinta che la comune sensazione che la noia rallenti il tempo e la gioia lo acceleri sia ciò che descrisse il genio tedesco.
Se fissi una pentola in attesa che l’acqua bolla, fai meglio a guardare da un’altra parte, non è una cosa che devi apprendere da me. Ciò che invece è tutto un altro paio di maniche è che quell’orologio appeso sul muro della cucina non è valido per tutti, e non mi riferisco al fuso orario: se potessi staccare quell’orologio dal muro, uscire di casa, portartelo appresso mentre vai a farti una corsetta a velocità prossime alla luce (un giro un po’ noioso perché a tali velocità anche il giro del mondo, in un secondo, lo faresti circa sette volte), al tuo rientro a casa l’orologio da parete sarà sfasato rispetto a quello che avrai nella camera da letto.
Queste cose però non sono più una novità, per cui ormai divenni molto più interessato al fatto che ero giunto all’ingresso della metropolitana. Dovevo attraversare una strada che passava davanti ad esso, per cui dovevo guardare se stavano arrivando delle macchine, fu così che notai un barbone ubriaco che stava seduto ai gradini di un palazzo alla mia destra. Era vecchio, con barba bianca e naso rosso, sguardo pensieroso che fissava una bottiglia di birra ormai vuota. La sollevò un pochettino per guardarla meglio, poi aprì la mano facendola spaccare a terra in tre parti. Pensai che fosse deluso dal fatto di non poter godere più dei “benefici dell’alcool” quando invece parlò ad un interlocutore invisibile dicendo “l’entropia di un sistema isolato può solo aumentare”.
“Sarebbe stato un’insegnante molto efficace”, pensai sorridendo mentre ero già arrivato ai tornelli della metropolitana. A differenza dei principi della Relatività, quelli della Termodinamica sono molto più intuitivi ma non meno affascinanti. In attesa di un treno che completasse il mio viaggio, continuavo a fare nei mie pensieri complimenti didattici a quel barbone. L’entropia è una grandezza esprimibile in più modi, ma il più interessante è certamente quello in cui appare come indice del disordine di un sistema.
Un sistema isolato è un sistema che non scambia né energia né materia con un altro sistema. L’Universo, in quanto insieme di tutto ciò che c’è, è per definizione un sistema isolato. Di conseguenza, la situazione sembra tragica, perché considerando tutte le trasformazioni chimiche e termodinamiche dell’universo, incluse quelle che portano ad un maggiore ordine (come lo sviluppo di un embrione), il risultato netto, globale, è sempre un aumento di entropia. Tale principio è fenomenologico, ma anche probabilistico: il barbone avrà fatto cadere la bottiglia per indicare che “tipicamente” in natura gli atomi di un vetro tenderebbero ad allontanarsi l’uno dall’altro e non succede mai che i frammenti di vetro di una bottiglia si ridispongano spontaneamente per riformarla.
Stavo cominciando ad intristirmi per queste considerazioni (ma la tristezza è pur sempre un’emozione), quando arrivò il treno per distrarmi dai miei cupi pensieri.
Dovevo fare una decina di fermate e i viaggi in metro non mi entusiasmano molto. Mi sedetti e provai a guardare con discrezione chi erano gli altri passeggeri che condividevano con me, ennesimo passeggero casuale, quello spostamento monotono e rumoroso.
Purtroppo rimasi impressionato e disgustato dall’unico viaggiatore che si distingueva dalla norma e quindi, purtroppo, dava più nell’occhio. Stava fisicamente molto peggio dell’ubriacone, era sudato in modo innaturale considerato che faceva un po’ freddo e non si riusciva a capire se stava per addormentarsi da un momento all’altro o peggio. Dal momento che assomigliava ad uno zombie ma tali mostri, fino a prova contraria, non esistono, poteva solo trattarsi di un drogato.
La droga è per me l’inganno simbolo di tutti gli inganni materiali e spirituali. Mi piace immaginare il cervello come una sala di comando piena di computer, governata da una persona estremamente razionale e diligente che lavora senza sosta. La droga la immagino come un intruso che riesce ad accedere alla sala comandi e che scopre che esiste un bottone per azionare il sentimento “felicità”. L’intruso vorrebbe premerlo subito ma viene bloccato dall’uomo ai comandi che gli dice “mi dispiace, ma non si può premere il bottone “felicità” senza una causa precedente originatasi da un bene profondo”. L’intruso però è arrogante e violento, terrorizza l’uomo ai comandi e lo obbliga a premere ugualmente il bottone “felicità”. In seguito tutti gli effetti esteriori della felicità si manifestano: piacere, eccitazione, pace, senso di potere.
L’intruso esce soddisfatto dalla sala comandi, ma allora si scopre che tutti i meccanismi che realizzavano gli effetti della felicità avevano effettivamente bisogno di un carburante e che, per soddisfarne l’accensione forzata, hanno sottratto forze ed energie ad altri settori del corpo. Il capo della mente è costretto a dover cercare rimedio a tutti i danni causati, tali danni creano sofferenza nel soggetto interessato e tale sofferenza viene usata come scusa da parte dell’intruso, ogni volta che si ripresenta, per agire di nuovo.
L’apertura delle porte del treno mi risvegliò dalle mie fantasie e mi ricordò che restava un’ultima fermata e sarei arrivato. Anche il drogato sembrava esservi risvegliato dal suo stato di dormiveglia e pensò ad alta voce dicendo “non conosciamo di cosa è fatto il 90% dell’Universo”.
Gli altri passeggeri reagirono o indignati o divertiti in modo grottesco ai deliri del tossicodipendente, forse perché non avevano sentito quello che aveva detto ma solo il modo strascicato con cui lo disse. Purtroppo aveva detto una cosa vera e per qualcuno molto problematica: davvero non sappiamo cosa siano la materia oscura e l’energia oscura, anche se non sapevo a cosa stesse pensando il drogato quando gli venne in mente ciò.
Quando finalmente scesi dal treno, pensai che forse l’uomo da cui stavo andando aveva sicuramente formulato un’ipotesi brillante su questa strana materia cosmica la cui prova d’esistenza è data solo dagli effetti gravitazionali che causa (ammesso che esista) e non da onde elettromagnetiche.
La casa del grandissimo intellettuale con cui speravo di prendere appuntamento naturalmente si trovava in uno dei quartieri più chic di Napoli, era una villetta elegantissima, parzialmente isolata dalle altre case e posta in cima ad una collina da cui si può vedere un panorama mozzafiato.
Per raggiungere tale residenza dovevo però camminare poco e non c’era il rischio, per ciò che ho appena detto, di non riconoscere la destinazione. Arrivato davanti al portone color bronzo, mi accorsi che esso era solo socchiuso. Entrai con discrezione dicendo timidamente “permesso”, ma non ricevetti nessun feedback. Passai accanto ad un ufficio, che doveva essere quello della segretaria, ma vidi che la sedia era vuota. Di fronte a me c’era un corridoio che terminava con una porta aperta che rivelava una piccola biblioteca. Decisi che forse era lì che potevo incontrare qualcuno a cui presentarmi, ma non appena giunsi al ciglio della porta, vidi una grossa poltrona di stoffa e una porzione di una testa quasi calva, con alcune macchie e pochi capelli bianchi. Mi emozionai perché ero sicuro che colui che sedeva a un metro e mezzo da me fosse proprio “lui”, uno dei più grandi scienziati viventi, quello che mi piaceva soprannominare “lo Scienziato” (con la “S” maiuscola).
I contributi che ha dato lo Scienziato alla Fisica (principalmente) ma anche in molti altri campi sono incalcolabili. Non rivelo il suo nome di battesimo perché sarebbe un insulto alle vostre intelligenze doverlo fare. Uomo coltissimo, appassionato di ogni forma di conoscenza e interessato ad ogni forma d’arte, era ora a solo un metro da me, perché mi ero timidamente avvicinato.
Siccome non si accorse della mia presenza, probabilmente perché intento a leggere, ne approfittai per guardare meglio la stanza in cui si trovava quella brillantissima mente che l’umanità aveva prodotto.
Le pareti, a prima vista, sembravano coperte da una strana tappezzeria giallognola avente per tema rettangoli verticali con bordi marroni e strane linee nere orizzontali. Guardando con più attenzione mi accorsi di essermi sbagliato: le pareti erano bianche e quello che vedevo non erano parati; lo Scienziato aveva “semplicemente” ricoperto tutto lo spazio a sua disposizione con le innumerevoli lauree di cui era titolato.
La biblioteca era rettangolare e alla mia sinistra c’era una libreria altissima dove tutti i libri avevano però lo stesso titolo: “Pubblicazioni scientifiche dell’anno…”, quindi il titolo terminava con l’anno con cui erano raccolte un certo gruppo delle incalcolabili pubblicazioni dello Scienziato.
La parete maggiore che avevo di fronte e quella alla mia destra erano invece stracolme dei suoi libri (per un pubblico più o meno specializzato), ma proprio di fronte alla poltrona dello Scienziato c’era una spazio lasciato vuoto per una specie di piccola bacheca dei trofei. Questa bacheca era un piano rettangolare incorniciato da una cornice d’oro e su di essa c’erano sette chiodi eleganti disposti sulla stessa altezza: sopra ogni chiodo c’era una targhetta e appesa ad ognuno di essi una medaglia. Lessi ciò che stava scritto su ogni targhetta: Fisica, Chimica, Economia, Medicina, Letteratura, Pace e Matematica; le prima sei medaglie erano premi Nobel mentre l’ultima era una medaglia Fields.
Per poter leggere tutte le targhette dovetti avanzare di un altro mezzo metro e così lo Scienziato si accorse che c’era qualcuno nella sua biblioteca.
“Tatiana, sei già tornata?”, disse lo Scienziato con una voce roca e debole, per cui dissi: “Mi scusi, sono solo un ragazzo, ho trovato il portone aperto ma non ho trovato nessun altro in casa se non lei”. La mia voce era tremolante come se stessi sostenendo un importantissimo esame.
Per farmi vedere dallo Scienziato mi posi davanti alla sua poltrona: mi accorsi che era vecchissimo, tutto rughe, molto magro e con gli occhi scavati in modo preoccupante. Una lunghissima vita spesa per la Scienza.
“Buonasera, posso esserti utile? Come mai sei entrato a casa mia?”, riprese lo Scienziato, quindi mi feci coraggio e umilmente chiarii le mie intenzioni: “Sono uno studente universitario che nel tempo libero scrive per un sito scientifico, volevo prendere un appuntamento con lei per porle alcune domande. Una sua intervista sarebbe un grande onore per noi…”. Mi interruppe chiedendomi: “Quante domande sono?”. Forse non voleva interrompermi, forse era un po’ sordo e non aveva sentito l’ultima frase che avevo pronunciato (avevo usato un tono basso per dare meglio il senso dell’umiltà), quindi interruppi a mia volta il discorso che mi ero preparato e risposi: “In verità sono pochissime domande, anzi, quella importante è una sola”.
Lo Scienziato chinò lentamente il capo, sembrò che stesse per addormentarsi, poi risollevò la testa e mi disse: “Se è per pochissime domande approfitti ora, figliolo, senza la seccatura di un appuntamento. Ho ancora dieci minuti prima di andare a cenare”. Lo Scienziato fece un debole sorriso e lentamente indicò una piccola poltroncina, praticamente un poggiapiedi, su cui potevo accomodarmi.
Col cuore che mi batteva a mille per l’opportunità che mi si presentava, presi posto, sfilai un foglio di carta da una tasca del giubbotto e una penna (mi ero preparato in fretta a casa mia ma avevo pensato a tutto).
Quando vidi che lo Scienziato mi guardava in attesa, allora mi concentrai a scandii la domanda che con ansia volevo porgli: “Vorrei chiederle se può farmi un esempio di una cosa che la Scienza “sa”…” ; interpretando il suo silenzio come una perplessità, capii che dovevo spiegarmi meglio, visto che egli non poteva conoscere il contesto in cui, su CS, era apparsa quella domanda: “Vorrei per la precisione sapere se c’è almeno una cosa che la Scienza possa dire di conoscere definitivamente e con certezza”.
Lo Scienziato oscillò lentamente la testa, probabilmente in segno di maggiore comprensione, quindi senza problemi rispose: “Certamente, potrei farti mille esempi, per dirne una, una cosa certa per la Scienza è che la Teoria Gravitazionale di Newton non funziona per il pianeta Mercurio”.
Fui rapidissimo, quasi brusco, nel prendere appunti sulla sua risposta, anche per dimostrare in modo un po’ teatrale che davvero pendevo dalle sue labbra, ma finito di scrivere, mi accorsi che c’era qualcosa che non andava: non era il tipo di risposta che avevo in mente.
“La ringrazio per questa prima risposta, vorrei però chiederle una cortesia, dal momento che mi ha detto che ci sarebbero mille esempi, può darmene un altro che sia di tipo “affermativo”, nel senso che vorrei tanto ascoltare una cosa che la Scienza sa “che sia vero”, più che sa che “non sia vero”. Non so se mi sono saputo spiegare…”.
Fortunatamente lo Scienziato non peggiorò il mio stato di imbarazzo e provvide subito a soddisfare la mia curiosità: “Non preoccuparti, capisco cosa, intendi. Dunque, vediamo…”. Di nuovo fece come per addormentarsi, poi riaprì gli occhi: “Una cosa “affermativa” che la Scienza sa è che la velocità della luce nel vuoto è di 299’792’458 m/s”.
“Complimenti per la sua ottima memoria, professore!” dissi mentre di nuovo presi subito appunti sulla nuova risposta. L’ansia da prestazione mi fece però venire mille dubbi: avevo sbagliato a chiamarlo “professore”? Sicuramente un uomo come lui sarà professore emerito in varie università e sarà stato docente di qualche prestigiosa cattedra, quindi no. Nel dire che aveva un ottima memoria avrò fatto capire che anche io ricordo a memoria la velocità della luce nel vuoto? Sarò apparso vanitoso, peggio ancora come uno di quelli che vuole apparire bravo quanto lo Scienziato!
Speravo di non essere caduto in qualche gaffe quando smisi di scrivere la seconda risposta. Come mi sentivo piccolo e ingrato, costretto a trovare giustificazioni e spiegazioni per tutto quello che dicevo, a dover sempre argomentare quello che penso, a differenza dello Scienziato a cui invece basta parlare per essere convincente!
Rileggendo gli appunti per essere sicuro di aver scritto tutto e per essere pronto a colmare quel silenzio tra noi due che, secondo il mio punto di vista estremamente soggettivo del momento, si stava prolungando troppo, pensai ad una terza domanda di chiusura.
In un momento di lucidità, superata l’emozione dell’intervista, mi accorsi che di nuovo c’era qualcosa che non andava: lo Scienziato mi aveva fornito un dato, il risultato di una misura, ma una singola misura non sarebbe stata una cosa che avrebbe entusiasmato molto un lettore di un giornale, di un blog, di un qualsiasi mezzo stampato o quant’altro. Un singolo fatto, da solo, non è quello che la gente si aspetta dalla Scienza, essa è “bella” quando crea una teoria che permetta una comprensione di più ampio respiro della natura di quello che darebbe un banale insieme di numeri.
Dandomi fiducia alla luce di questi pensieri, formulai la mia terza domanda: “La ringrazio ancora, professore, mi perdoni però se insisto su questo punto…” (“fai lo scaricabarile”, pensai) “purtroppo i lettori del sito con cui collaboro sono molto esigenti: può farmi un esempio di legge o di teoria scientifica che possa essere considerata ormai una verità acquisita definitivamente e con esattezza”.
Lo Scienziato scosse lentamente la testa, facendomi crollare tutta l’autostima che avevo accumulato per formulare la domanda, quindi disse: “Figliolo, ogni principio è vero fino a prova contraria, sia in Relatività, sia in Termodinamica, sia in ogni altro campo scientifico. Questo non è un limite, ma è la radice di ogni progresso”.
Quest’ultima risposta, benché posta in toni gentili, fu per me come una tirata d’orecchi e un bagno di umiltà. Capii che la cosa più saggia da fare fosse ringraziare lo Scienziato un’ultima volta per la saggezza che mi aveva offerto, offrirgli l’indirizzo del sito su un foglio di carta e lasciarlo alla sua cena.
Mi alzai lentamente e gli dissi: “Professore, la ringrazio ancora per la saggezza delle sue risposte e la lascio alla sua cena. Sono venuto a casa sua perché avevo il desiderio di conoscere qualcosa di assolutamente vero e l’ho trovata. Ciò che è vero è che lei è la persona più brillante che possa mai incontrare in tutta la mia vita”. Fui sorpreso e fiero di me per questa chiusa finale che nacque spontanea dalle mie labbra.
“È stato un piacere anche per me”, mi rispose lo Scienziato, “ed è una cosa vera”, aggiunse sorridendo, “quanto è vero che per la Fisica attuale la divergenza di un campo elettrico è sempre zero”.
Fui così contento di aver fatto una buona impressione allo Scienziato che solo dopo qualche secondo mi accorsi del fatto che avesse detto una cosa scorretta, certamente a causa di un banale lapsus, ma la gioia che provavo in quel momento mi rese più sfrontato di quanto sarei dovuto essere in quella circostanza: “Mi scusi, professore, ha fatto un piccolo sbaglio, è il campo di induzione magnetica che ha sempre divergenza nulla (ha causa del fatto che non si osservano monopoli magnetici), il campo elettrico ha divergenza nulla solo nel vuoto”.
Lo Scienziato ammutolì. Lì per lì pensai che forse avevo alzato la voce senza accorgermene, oppure che avevo detto una fesseria, poi pensai che si fosse un’altra volta addormentato per due secondi. Dopo alcuni secondi che mi parvero lunghissimi, lo Scienziato lentamente aggrottò le sopracciglia, assunse un’espressione delusa (facendomi gelare il sangue per la vergogna) e mi disse con tono cupo: “Nessuno mi contraddice più da almeno settant’anni!”.
Siccome lui era rimasto seduto tutto il tempo e io, stando in piedi, lo guardavo dall’alto in basso, per la mia mortificazione mi chinai tantissimo e quasi mi inginocchiai per chiedergli perdono; ma lui puntò un dito magro e storto verso di me continuando il suo rimprovero: “Tu, invece, hai osato dire a me che io avrei fatto uno sba…”. Sembrava che sulla “A” di sbaglio stesse per sbadigliare, poi sembrava che stesse soffocando, infine si accasciò sullo schienale della poltrona e rimase immobile con gli occhi e la bocca spalancati.
“Professore, si sente bene? Professore?”, dissi con un tono leggermente più alto di quello usato fino a quel momento, provando a scuotergli con delicatezza una spalla. Lo Scienziato non si mosse. Provai a mettere i polpastrelli della mia mano destra sotto le sue narici, poi davanti alla sua bocca. Non respirava.
Terrorizzato dall’accaduto e incapace di pensare, corsi fuori dalla biblioteca, fuggii lungo il corridoio, poi fuori dal portone, poi mi allontanai dalla sua villetta per guardarla da lontano, da dietro una macchina.
Osservai il suo portone come se fosse naturale aspettarmi qualcosa, qualcosa che mi aveva suggerito qualcuno nella mia testa. Dopo pochi istanti capii perché l’istinto mi aveva fatto voltare indietro: una donna bionda, dai tratti nord-europei, si avvicinò alla casa dello Scienziato, infilò una chiave della serratura ed entrò.
Sicuro di non essere visto da nessuno, corsi verso l’ingresso della metropolitana da cui ero arrivato solo un quarto d’ora prima.
“Aveva almeno novant’anni”, mi ripetevo, “probabilmente, se non era oggi, era domani. Probabilmente la sua lucidità nascondeva i cento acciacchi di cui può essere affetto un novantenne. La sua badante non ne sarà sorpresa, né nessun altro”.
Rassicurato solo in parte dai miei pensieri, infilavo il biglietto per oltrepassare i tornelli e quindi salire sulle scale mobili.
“Eppure mi sento in colpa”, pensai, “anche se gli fossero rimaste solo altre due ore di vita, con la mia maleducazione, io gliel’ho tolte”.
Come se stessi replicando a me stesso, dopo un po’ pensai: “Ma comunque non è colpa tua se ha reagito in quel modo”.
Giunto ai binari, mi guardai intorno scoprendo di essere quasi solo a quella fermata, gli altri pendolari erano infatti su una panchina a diverse decine di metri da me.
Ripresi a pensare: “Ma perché ha reagito in quel modo? Io mi sono limitato a dire una semplice verità, una cosa che sapevo fosse vera, non perché l’abbia scoperta io, ma perché è così, è provata (per ora). Non pensavo che soltanto dicendo una verità, anziché pretendendone una, avrei ucciso un Autorità come lo Scienziato”.
Un po’ per la stanchezza, un po’ per il freddo, cominciai a smettere di pensare a tutto ciò che era successo e cominciai a desiderare semplicemente il treno per tornare a casa, per tornare nella mia stanza e magari, quando ne avrei avuta l’occasione, scrivere un articolo.
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31 commenti
Grazie, h tagliato, per l’ameno racconto, pregno d’insegnamenti. A mio parere, esso potrebbe figurare degnamente tra le letture estive di ogni buon giornale.
Anch’io mi sono iscritto a Fisica da giovane con l’idea di conoscere la “verità” almeno su alcuni aspetti limitati della realtà, specificatamente sulla struttura della materia. Certo sapevo fin dal liceo che la storia della fisica aveva sviluppato teorie diverse, però credevo – come il professore del tuo racconto – che comunque il succedersi delle teorie scientifiche (per es.: Aristotele -> Tolomeo -> Keplero -> Newton -> Einstein, con riguardo ai moti celesti) coincidesse con un progresso verso l’avvicinamento alla verità…, più o meno come succede in matematica quando si calcola una nuova cifra della radice quadrata di 2 e così ci si avvicina (senza mai raggiungerlo) al numero irrazionale.
Solo tardi, dopo molti anni di ricerca interdisciplinare, ho capito che non è (neanche) così, per le scienze naturali.
Una teoria scientifica X è un modello (una rappresentazione, una storia, un mito logicamente coerente) che spiega (nel senso che “predice”) un dominio D di fenomeni, propriamente inclusivo del dominio C predetto da una teoria Y precedente, abbandonata. Ma il mito X non ha alcun rapporto formale col mito Y, né nessuna storia spiega tutti i fenomeni dell’universo fisico U. Cosicché, per es., sull’intersezione dei domini noi disponiamo di teorie rivali equivalenti, fornenti spiegazioni incompatibili! Le maree sono il risultato di una forza di attrazione esercitata dalla massa della Luna, o sono le geodetiche locali della deformazione dello spazio-tempo? qual è la “verità”?
Tommaso d’Aquino: “Ci sono due modi diversi di render conto di una cosa. Il primo consiste nello stabilire con una dimostrazione sufficiente l’esattezza di un principio da cui questa cosa deriva […] Un secondo modo di render ragione di una cosa consiste non nel dimostrare il suo principio con una prova sufficiente ma nel far vedere come gli effetti si accordino ad un principio precedentemente posto; così in astronomia si rende conto degli eccentrici e degli epicicli per il fatto che, per mezzo di quest’ipotesi, si possono salvare le apparenze sensibili relative ai moti celesti; ma non è, questo, un motivo sufficientemente probante, perché questi moti apparenti si potrebbero salvare per mezzo di un’altra ipotesi“. (Summa theologiae, parte I, questione XXXII, art. I; evidenziazione mia).
E Bonaventura: “Se anche vivrai molti anni, non riuscirai a conoscere pienamente nemmeno la natura di una mosca, di una pagliuzza o di ogni altra minima creatura del mondo”.
Grazie a lei, perché quasi tutti gli insegnamenti di questo racconto sono cose che già lei più volte ha spiegato, semplicemente riproposti in un’altra forma!
Gentilissimo prof. Masiero, questa è un suo modo di vedere la scienza. Non tutti condividono questa visione e non si può pretendere che tutti ne abbiano la stessa visione, anzi è a mio avviso la diversità di opinioni che rende possibile un dialogo interno alla scienza e quindi lo sviluppo di nuove idee.
Volevo in più chiederle, quindi per lei la scienza è solo fenomenologia e non c’è differenza sostanziale fra una teoria e un modello?
Una teoria che descriva tutto non è ancora stata trovata, e forse non sarà mai trovata, ma non mi sembra un motivo valido per smettere di cercare teorie più profonde, che spiegano più fenomeni. Ci possono essere più teorie che danno gli stessi risultati in merito ad un fenomeno, ma una di queste sarà più precisa, sarà più “fondamentale”, partirà da principi più profondi e quindi è quella la teoria “esatta”, dove per “esatta” sottintendo finchè non si troverà una teoria più profonda (o un modello che descrive il fenomeno con precisione maggiore).
La relatività generale ci dice delle cose sulla realtà, riesce a predirre il periodo di Mercurio e la traiettoria dei raggi luminosi in prossimità di sorgenti gravitazionali. Allo stesso tempo pone questioni come l’equivalenza dei sistemi di riferimento anche non inerziali e ciò non può essere, a mio avviso, scartato come “modo matematico di descrivere le cose che non ha nessuna attinenza con la realtà e la natura”. E’ un principio della natura, sicuramente o forse è solo un’ approssimazione, ma è da li che io partirei per studiare più a fondo la natura (fisica)!
Io sono d’accordo con Lei, Koala, che non tutte le teorie scientifiche sono equivalenti e che, al contrario, c’è un progresso scientifico mosso dalla ricerca, che ci permette di controllare sempre più la natura.
Auguro anche a Lei, come giovane fisico, di dare un contributo a questo progresso per trovare teorie più potenti e più coerenti di quelle attuali, anche perché, come Lei sa, le attuali principali teorie di cui disponiamo (la relatività generale e la teoria quantistica dei campi) non sono coerenti tra loro (e quindi una delle due o tutte e due sono sbagliate) e, ciò che è peggio, non spiegano il 95% della materia-energia dell’universo.
Solo dico, con Hawking per es., che i fenomeni osservati sono una cosa, la realtà tutt’altra cosa. E purtroppo la realtà sfugge in toto alla fisica. Cosa fa la fisica? Come disse Tommaso d’Aquino per primo (e più recentemente Popper, Quine, Hawking, ecc.) fornisce “ipotesi” esplicative per alcuni fenomeni naturali, però non abbiamo né mai avremo certezza che le ipotesi del momento siano la “verità”.
Lei non pensa mai, Koala, che tra 300 anni i fisici sorrideranno delle nostre teorie, come noi sorridiamo della forza gravitazionale a distanza istantanea di Newton?
Non solo lo penso, ne sono quasi sicuro.
Potrebbe dirmi cortesemente la sua definizione di realtà?
A mio parere é realtà anche la natura, e più profonda é la conoscenza di questa, più profonda é la conoscenza della realtà. É ovvio che ci sono cose a cui la scienza non può (e non vuole) rispondere, tutta via può comunque dare ,in modo indiretto, un contributo. Si prenda ad esempio la filosofia e quanto stretto é stato il rapporto tra pensiero filosofico e lo sviluppo della RG.
Mi scuso per il doppio commento, ma ci tenevo a specificare che ci sono cose di cui, a distanza di secoli, non sorridiamo. La misura della terra di Eratostene, i la meccanica razionale (o analitica) rimangono fondamentali. É questo tipo di conoscenza che fra progredire la nostra comprensione del mondo in qualità, e non in quantità. Fra secoli potranno ridere della formulazione ondulatoria della meccanica quantistica, del modello standard delle particelle, ma non dell’ esperimento di Stern e Gerlach o dell’apparato formale sviluppato (a meno di intendere che le tasche cnologie e le notazioni diventeranno obsolete).
Parlavamo delle teorie fisiche, che sono per definizione falsificabili, Koala, non delle teorie matematiche, come la meccanica razionale, che costituiscono il linguaggio delle prime, né parlavamo degli esperimenti, come quello di Stern & Gerlach, che sono allestiti per corroborare o falsificare le prime!
Cos’è la realtà? Questa è la prima domanda della metafisica ed il suo oggetto. Si dia Lei la Sua risposta, in base alla Sua Weltanschauung.
La mia è arrivata alla fine di una lunga ricerca personale, e coincide con il realismo aristotelico-tomistico.
In ogni concezione comunque, fin dalla nascita della scienza moderna (v. la famosa terza Lettera di Galilei a Mark Welser, 1 dicembre 1612), la scienza non studia la realtà delle “essenze”, ma solo gli “accidenti” misurabili (nel sistema IS). Per es., Lei come spiegherebbe il colore rosso ad un fisico cieco dalla nascita, o l’armonia delle variazioni di Goldberg ad un fisico sordo dalla nascita?!
In termini di lunghezze d’onda e di periodi. Se si riferisce alle emozioni, quelle almeno per ora non le sappiamo descrivere in modo formale, forse un giorno ci riusciremo forse é impossibile, fatto sta che la fisica (non quella puramente fenomenologica almeno) descrive la realtà, o almeno una parte di essa, e descriverla significa almeno in una certa misura e approssimazione comprenderla.
Ovviamente queste sono mie idee, e sono opinabili, a differenza dei fatti scientifici.
In ogni caso non sono d’accordo nell’affermare che la meccanica razionale non sia una teoria fisica come lo é la teoria quantistica dei campi o la relatività generale, ma qui credo che stiamo divagando, magari ne parleremo in un altro post!
Descrivendo la lunghezza d’onda, Lei dice, Koala? Per Lei quindi è la stessa “realtà” ascoltare un concerto e leggere la partitura musicale? O gustare un bicchiere di Amarone, piuttosto che leggerne la composizione chimica?!
Non ci credo.
PS. Mi dà un esperimento di meccanica razionale, suscettibile di corroborare o falsificare la teoria?
Lei confonde la realtà con le emozioni che la realtà suscita (che sono, secondo me, a loro volta parte della realtà).
Ascoltare un concerto suscita emozioni diverse ed ho già ammesso che quelle non saprei descriverle.
Qualsiasi misura (classica) sul corpo rigido. E’ spiegabile anche in termini di fisica Newtoniana, è vero, ma la meccanica razionale lo affronta in modo molto più profondo, ottenendo risultati corroborabili.
La meccanica statistica è ricca di previsioni fatte prendendo come base la meccanica razionale, tutte corroborabili, e infatti alcuni stimoli alla meccanica quantistica sono arrivati proprio da questa direzione.
@ Koala
Adesso Lei ammette che non saprebbe come descrivere con la fisica le emozioni (che pure fanno parte della realtà), ma nel commento precedente, alla mia domanda di come descrivere a fisici minorati della vista o dell’udito le emozioni suscitate dai colori nei vedenti e dalla musica negli udenti, Lei aveva risposto con le “lunghezze d’onda”. Non sono io quindi ad aver fatto confusione.
Ora siamo d’accordo, mi pare, su questo punto. Chiuso.
Sulla meccanica razionale, lei ripete apoditticamente le Sue affermazioni precedenti, ovvero che si tratta di teoria “fisica”. Ma la mia domanda era di conoscere uno, dico uno, esperimento capace di falsificare la meccanica razionale.
Lei scrive “Lei come spiegherebbe il colore rosso ad un fisico cieco dalla nascita, o l’armonia delle variazioni di Goldberg ad un fisico sordo dalla nascita?!”
Io rispondo “In termini di lunghezze d’onda e di periodi. Se si riferisce alle emozioni, quelle almeno per ora non le sappiamo descrivere in modo formale”
Deve essere stato un fraintendimento.
Misuri il periodo di un pendolo. Se trova risultati diversi da quelli predetti dalla meccanica razionale, essa sarà falsificata.
O ancora, studi la conduzione del calore, o qualsiasi altro fenomeno fisico che può essere descritto partendo dalla meccanica razionale, se ne trova uno in cui fa previsioni sbagliate, la cambieremo.
E in effetti è stato già fatto. Siamo passati alla meccanica quantistica, e anche la meccanica statistica, e tutte le aree della fisica che avevano come base la meccanica razionale, si sono dovute adeguare.
In conlcusione, la meccanica razionale è già stata confutata, tutta via il rigore e il formalismo matematico utilizzato non fanno ridere, anzi, continuano a fornire grossi spunti ancora oggi!
Sì, c’è stato un evidente fraintendimento, Koala. Ma nessuna “confusione” da parte mia. I qualia sono per definizione non osservabili da un osservatore (esterno), ma solo vivibili dall’Io.
Quanto alla meccanica razionale essa è, per definizione, metodi matematici del moto. Ma la meccanica razionale non comprende la scelta della Lagrangiana. E Lei non calcola nulla, nemmeno il periodo d’un pendolo, senza prestabilire la forma della Lagrangiana (o dell’Hamiltoniana): e questa è fisica!
Consiglio: non dica in nessun esame che la meccanica razionale è stata confutata!
PS. Per parte mia, proseguirò il dialogo dopodomani, se Le interessa.
Il mio professore di meccanica razionale, che era un ordinario incardinato al Dipartimento di Matematica, arrivato alle equazioni di Eulero-Lagrange soleva dire: qui finisce la matematica e con la forma della lagrangiana comincia la fisica.
Grazie, htagliato, del racconto, uno spasso.
Se la pone in questi termini ha ragione lei, non c’è spazio per il dialogo.
La meccanica razionale é la teoria fisica, quando si stabilisce la forma dell’Hamiltoniana o Lagrangiana e si fanno i conti diventa un applicazione della teoria. L’unica differenza con altre teoria come quella di Newton (dove se non ho la forma della forza neanche posso calcolarlo il periodo del pendolo) é che non é una teoria fenomenologica (non tutti ritengono che solo le teorie fenomenologiche sono fisiche). É una teoria che si propone di spiegare in modo coerente il più ampio numero di fenomeni possibili, nel modo più accurato possibile. Abbiamo però scoperto che non é perfetta e che siamo dovuti passare alla meccanica quantistica, non perché siano sbagliati i teoremi della meccanica razionale ma perché ne sono state confutate le ipotesi e gli assiomi (la Lagrangiana non é una funzione, non posso conoscere i dati iniziali ecc..).
Fortunatamente i miei esami sono sempre stati incentrati su cosa ho imparato a fare, più che sulle opinioni che ho sviluppato le quali, anche se fanno parte di una corrente di minoranza, hanno il pregio di non chiudere la fisica e in generale la scienza nella logica degli schemi e delle classificazioni immutabili.
Bellissimo racconto. Htagliato hai talento da vendere e ti e mi auguro di vedertelo riconosciuto un giorno da un più vasto pubblico. Grazie comunque per avermi divertito, informato e fatto pensare leggendo questo racconto.
Grazie Muggeridge, mi metti in imbarazzo ma sono contento che il racconto ti sia piaciuto.
Come al solito complimenti per l’articolo, ben scritto ricco di riflessioni e, in aggiunta, proposto in modo veramente simpatico. Comunque il più calzante esempio di relatività del tempo è che per uno studente agosto è il periodo ideale per scrivere articoli, dopo aver brillantemente superato gli esami!
Dopo questo preambolo vorrei ribadire le mie opinioni, come al solito contrarie alle tue (cosa vengo a fare in un forum dove sembra difficile anche trovare la base per dialogare? bè, diciamo che conoscere idee diverse dalle mie mi piace e mi aiuta a non pensare alle mie come un “dato di fatto”).
Per convincere qualcuno che la terra non è piatta puoi pensare molti modi. Alcuni si convincono vedendo arrivare le navi all’orizzonte, altri hanno bisogno di vedere la nave che circumnaviga l’intero globo. In ultima analisi non è “il dato” o il fatto e nemmeno la teoria a convincere le persone, ma il buon senso.
Il principio di autorità può fare molti danni, vedi il caso storico di Newton che usò la sua immensa autorità per scalzare Huygens, ma credo che un professore che studi per anni una disciplina abbia opinioni più mature di un novizio. E’ una questione di buon senso continuare a mattere in discussione il professore (e per il professore mettersi in discussione), questo perchè tutti possiamo sbagliare e la cosa migliore da fare è, dopo aver chiesto a chi ne sa più di noi, continuare a rifletterci in modo critico.
Grazie per i complimenti Koala! Non sono sicuro che anche stavolta la pensiamo diversamente, forse nel passaggio ” In ultima analisi non è “il dato” o il fatto e nemmeno la teoria a convincere le persone, ma il buon senso.”. Se stiamo parlando di un’affermazione scientifica, allora il fatto che le persone si convincono solo con il buon senso, magari sarà una realtà, ma è una cosa che non dovrebbero fare. La scienza sperimentale ha già un criterio di verità, è il riscontro sperimentale. Se c’è una teoria che urta il tuo buon senso (tipo la MQ) ma essa è corroborata dai dati sperimentali, allora devi fartene una ragione e capire che il punto è comprenderla, non crederci. Ci sono quindi solo due modi per dubitare di una teoria, ipotesi o affermazione scientifica su cui si dice che gli esperimenti l’abbiano corroborata: o dimostrando che l’esperimento è mal realizzato, oppure che è stato svolto correttamente ma la sua interpretazione è criticabile.
Per il resto, sono d’accordo con te.
Ottimo articolo presentante un soggetto intellettualmente “hot” in modo “cool”.
Come Giorgio nel suo commento quando cominciai gli studi fisica decenni fa avevo l’ambizione di raggiungere la “verità”, come lui sono giunto alle sue stesse conclusioni: penso che è l’effetto dell’esperienza di vita e dell’ interdisciplinarità.
Vorrei però spezzare una lancia in favore del principio di autorità: sebbene l’argomento di autorità sia il più debole degli argomenti in sede razionale e questo è pacifico per l’aristotelico ed il tomista che sono , eppure è l’argomento il più certo ed il più efficace per fare avanzare il discorso scientifico.
L’argomento di autorità si basa sulla nozione di testimonianza: cioè è l’autore stesso di un’affermazione (“ho trovato il bosone di Higgs”) che testimonia della propria scoperta, e a chi l’ascolta rimangono due opzioni: quella di rifare l’esperimento oppure quella di fidarsi della testimonianza dell’autore del detto esperimento. Ad esempio, conosco molti che “credono” che la terra giri intorno al sole, ma nessuno che lo abbia mai sperimentato: tutti si rimettono alle affermazioni altrui, testimonianze varie basate sul principio di autorità.
D’altronde senza principio di autorità e senza testimonianza la vita intellettuale e pratica sarebbe… impraticabile. E principio di autorità e testimonianza conducono ad una vera conoscenza (se considerate correttamente, ovviamente).
Grazie Simon, ottima riflessione anche la sua: se dovessi imparare la Fisica ripetendo tutti gli esperimenti che ne hanno corroborato le leggi, la laurea non si basarebbe più sulla formula 3+2 ma 30+20!
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Caro Htagliato,
il tuo racconto mi ha commosso e mi ha riportato a una strana giornata di circa 15 anni fa: ero sull’autobus, a Roma, diretto verso il CNR di Viale Kant (teniamo a mente i nomi), l’autobus che dalla fermata Ponte Mammolo (luogo ultra Pasoliniano di ragazzi di vita) della metro porta verso quella zona di Roma in cui la toponomastica si fonda sui filosofi: dalla carne all’idea insomma.
Stavo su quell’autobus perchè ero stato invitato a tenere un seminario sulle mie solite cose di statistica applicata alla biologia, era un fredda e limpida giornata di Febbraio, e sulla vettura assisto a una scena molto triste. Una bella ragazza di circa venti anni, evidentemente con qualche problema psichico (o magari sotto l’effetto di droghe, chi lo sa), si offre in maniera evidente a tutti gli uomini (pochi invero) sull’autobus e arriva fino a me ‘Dai..portami via, ti farò impazzire..’ io non riesco che a farfugliare ovvietà come ‘dai non fare così, non scherzare, può essere pericoloso..’ e intanto penso che dopo che io scenderò alla mia fermata la lascerò in balia del primo che se ne vorrà approfittare ma non riesco a far nulla, non riesco ad avere il coraggio di stare con lei, provare a farla rinsavire, rinunciare al mio seminario, metterla in salvo. E ho netta, chiara e bruciante, la vacuità della mia scienza quando sono posto di fronte a quello che dovrebbe essere il mio compito principale di difendere i deboli.
Non riesco a fare di più che raccomandare la ragazza a una signora che arriva fino al capolinea, di starle attenta, ma capisco che è poco, è niente.
E’ probabilmente stupido trovare un nesso fra il dover tenere un seminario e imbattersi in quella ragazza, ma da quel momento capii che ciò che la scienza ‘sa’ è solo quello che la scienza ‘ci offre’ in termini di onestà con noi stessi, di non prenderci in giro, di ammettere ciò che non sappiamo, la verità della scienza è la verità dell’artigiano, non la verità del filosofo.
Questo forse è quello che i personaggi che hai incontrato nel tuo racconto hanno provato a dirti…
Caro Alessandro, grazie a te per la tua testimonianza di vita che mi ha fatto riflettere e imparare qualcosa.
Chiedo venia ma vorrei far pervenire a Muggeridge questo commento dato che nell’altro sono chiusi.
“@Muggeridge
Ho fatto qualche ricerca e devo fare pure delle correzioni.
Ho trovato questo
“Il primo volume (ormai introvabile) è dedicato a un tema spinoso e delicato che abbiamo già affrontato in qualche precedente articolo: l’Inquisizione.
Léo Moulin, L’Inquisizione sotto Inquisizione, Cagliari, Icaro, 1992.”
Link libro: https://ilpalazzodisichelgaita.files.wordpress.com/2012/08/linquisizione-sotto-inquisizione.pdf
Sono rimasto sorpreso perché non fu quindi quasi 20 anni fa ma più di 20 anni fa (anche perche’ è morto nel 96, cosa che non sapevo o non ricordavo). Il ricordo che ne ho è però lucido e ho dedotto sbagliando che fosse un ricordo di ragazzino quando invece ero proprio bambino. Strano. Forse lo vidi un po’ dopo la pubblicazione.. non so. Chiederò a chi c’era. Perdoni dunque le evidenti imprecisioni precedenti.
Arrivederci”
Grazie Htagliato. Simpatico e stimolante. Complimenti.
Grazie a te, Paolos
Paolos, intanto la ringrazio per gli apprezzamenti nei commenti, ora chiusi, dell’altro articolo. Ovviamente, come avrà già trovato in rete, il libro più conosciuto di Moulin è “La vita quotidiana sotto San Benedetto”. Lo storico belga è comunque in buona compagnia tra gli specialisti di storia che evidenziano l’unicità e l’importanza del cristianesimo e del cattolicesimo in particolare. Sicuramente la conoscerà già, ma una rivista che abitualmente contiene articoli che parlano di storia e/del cattolicesimo è il Timone (diretto sino a poco fa da Giampaolo Barra e ora da Riccardo Cascioli) alla quale sono abbonato da tempo.
Muggeridge, scusa se ti rispondo qui ma di la la conversazione è chiusa. Ho visto che hai rifatto riferimento all’altro post, e allora mi inserisco.
Mi colpiva un pò la frase che hai messo sull’altro post : “Per questo non mi è risultato proibitivo farmi un’opinione storica favorevole alla Chiesa leggendo la storiografia meno schierata ideologicamente contro di essa.”
Meno schierata secondo i tuoi paradigmi, ma qualcun’altro potrebbe comodamente dire “Schierata dalla parte cattolica” , utilizzando il tuo stesso criterio. Mi sembra che così non si vada da nessuna parte.
Anche il testo di Moulin che hai indicato è evidentemente orientato verso una versione dei fatti “minimalista.” (peraltro è scritto in caratteri gotici, di faticosa lettura…)
Ti consiglio di leggere un po più dettagliato ed articolato (ed equilibrato, ovviamente secondo me) libro sulla inquisizione :
La lunga storia dell’inquisizione: luci e ombre della “leggenda nera” (Editrice Città Nuova, che è una casa editrice di ispirazione anche cristiana, se leggi il suo sito)
https://books.google.it/books?id=gPEAGiD3CnwC&printsec=frontcover&dq=Inquisizione+luci&hl=it&sa=X&ved=0CCQQuwUwAGoVChMIiKzyk_uCxwIVhbQUCh3jXQUS#v=onepage&q=Inquisizione%20luci&f=false
Poi di libri sull’inquisizione ce ne sono molti. Ognuno si può scegliere quello che gli fa più piacere, ce ne per tutti i gusti e ognuno può cercarci la sua verità, o per meglio dire…un riscontro a quella che ha già deciso essere la sua verità.
Altra cosa però è il giudizio complessivo che gli storici danno di un certo evento, senza riferimenti ai singoli fatti. Di quello, anche se criticabile, bisogna aver rispetto, perchè è l’esito del lavoro di tanti ed in genere molto qualificati.
Per finire..a tutti piace pensare che mamma e papà siano perfetti, e quando si è piccoli è anche necessario pensarla così. Ma poi…quando si cresce, bisogna anche accettare il fatto che mamma e papà hanno fatto tante cose pure sbagliate, senza distogliere lo sguardo. Il che non toglie che restino sempre mamma e papà, cioè i cari ed unici ed amati genitori, che non cambieremmo con nessun altro. Spero di aver reso, con questa metafora, quello che è il mio pensiero sulla Chiesa.
Mentelibera, mamma e papà certamente non sono perfetti, ma se qualcuno – oltre alle critiche lecite – vomita loro addosso ogni genere di calunnie, se permetterai, mi sembra giusto replicare, quanto meno per amore di verità. A me pare che, nel tuo voler essere mente libera (cattolico sì, ma contrario ad ogni forma di dogmatismo?), tu abbia la tendenza a schierarti pregiudizialmente a favore di ogni critica al cattolicesimo, ancorchè infondata o largamente esagerata. Magari poi ci ragioni meglio su ed attenui la tua posizione, ma il primo riflesso condizionato è quello di saltar su, quasi come se ammettere il fatto lampante che nell’interpretazione storica mainstream, specie del mondo anglosassone e specie nel diciannovesimo e ventesimo secolo, c’è stata una forte pregiudiziale negativa nei confronti del cattolicesimo fosse qualcosa di altamente sconveniente, puzzasse di clericalismo chiuso e stantio. Non è così e storici non cattolici come Moulin stanno lì a dimostrarlo.
Ha già risposto bene Enrico. Io posso solo aggiungere che del cambiamento di posizione sull’inquisizione da parte di storici che si sono occupati di questo argomento ho già dato ampia testimonianza qui linkando anche un documentario del lontano 1994 e della BBC, che non è certo l’istituzione da cui ci si possono aspettare carezze verso il cattolicesimo (essendo la TV di stato britannica). Bisogna prendere atto con tranquillità che la “leggenda nera” di cui si nutrono ancora i media, dai giornali, al cinema, alle televisioni, è ormai datata, appartiene ad altri tempi e si è rivelata del tutto inconsistente alla luce degli studi storici degli ultimi 40 anni. Non va confusa quindi la storia divulgativa fatta sui mezzi di comunicazione di massa per intrattenere il grande pubblico e suscitare delle emozioni e delle reazioni, con la ricerca storica seria che si fa a livelli accademici. Solo la seconda è la storiografia propriamente detta ed è anni avanti rispetto alla storia-spettacolo divulgata dai media che si nutre di una storiografia non aggiornata, ideologica, ma sopratutto vecchia e sorpassata che può sopravvivere, oltre che tra il grande pubblico disinformato, anche in qualche ambito accademico ideologicamente orientato arroccato su posizioni sempre meno sostenibili.
@ Koala
E’ il verbo “confutare” che non va bene, per nessuna teoria matematica. Per le teorie matematiche (tutte coerenti!), possiamo solo scegliere quali si adattano più e quali meno a rappresentare una classe di fenomeni fisici. Altrimenti dovremmo anche dire (lo sproposito) che la geometria euclidea è stata confutata dalla relatività speciale perché lo spazio di Minkowski è a 4 dimensioni e non euclideo, o che l’aritmetica è stata confutata dalla non commutatività degli operatori in QFT.
Più in generale, Koala, io condivido quella che mi sembra la Sua aspirazione ad un’unificazione della fisica con un sottoinsieme dell’universo delle strutture matematiche. La nostra attuale comprensione della QFT è dominata dall’idea (dovuta a Dirac) di definire la teoria partendo da un funzionale lagrangiano e poi di applicare la quantizzazione canonica (o l’integrale di cammino alla Feynman). E’ evidente però che molte interessanti teorie quantistiche di campo non possono essere definite in questo modo, v. per es. la teoria 6-dimensionale non conforme N = (2, 0), su cui si focalizza gran parte della ricerca dei nostri giorni.
Alcune ricerche di unificazione si spingono addirittura ad un’unificazione tra la teoria dei numeri e la QFT. Come ho spiegato in un articolo di matematica su CS, c’è una analogia profonda tra i campi numerici come Q e il campo delle funzioni su una curva algebrica sopra un campo finito. In questa analogia ricadono anche le superficie di Riemann, pensate come curve algebriche sopra il campo C. Di qui è partito Witten nel 1987 col suo programma. Ecc., ecc.
Però dobbiamo ammettere che questa unificazione è ancora lontana. Il wigneriano “miracolo dell’irragionevole efficacia” della matematica nella fisica resta lì a proclamare che l’unità tra fisica e matematica sembra esistere a “livello profondo” (secondo il linguaggio che piace a Lei), a dispetto che non vediamo alcuna ragione per aspettarci tale unificazione (e “meritarla”, nelle parole di Wigner). Le auguro di essere parte del progresso scientifico su questo campo.