La linea di confine

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“Grande torre di Babele” (Pieter Bruegel il Vecchio, 1563)

Che cosa separa la scienza dalla fiction? La lezione rigorosa e attuale di Pierre Duhem

Hic sunt leones!, dicevano gli antichi segnando la linea di demarcazione tra le terre mappate sugli atlanti del mondo civilizzato e quelle ignote e selvagge. Ma dove sta il confine tra l’isola della buona ricerca scientifica che dà (un po’ di) conoscenza e controllo sulla natura, e il “mare di falsi risultati” prodotti solo per interesse o ignoranza di chi vende fiction per scienza?

Da sempreil problema primo della filosofia sono i fondamenti su cui basare una conoscenza oggettiva. Se l’opinione soggettiva, la doxa, è sparsa in ogni piazza, dove abita l’epistème, la verità “che si tiene da sé” come una roccia? Aristotele (384-322 a.C.): “Per dimostrazione intendo il sillogismo scientifico, e lo chiamo così perché, per il fatto di possederlo, noi sappiamo. […] Sarà però necessario che la scienza dimostrativa si costituisca sulla base di premesse vere, prime, immediate, più note della conclusione, anteriori ad essa e che siano cause di essa” (“Analitici secondi”). La scienza aristotelica parte da premesse indubitabili e ne trae le verità singole: “Tutti gli uomini sono mortali, Socrate è un uomo, quindi Socrate è mortale”. È il metodo deduttivo: dall’alto in basso, dall’universale al particolare.

Dall’altra parte, gli empiristi ribattono: donde provengono queste verità universali? come fa Aristotele a “sapere” che tutti gli uomini sono mortali? E rispondono: esclusivamente dall’osservazione ripetuta di tanti casi particolari. S’è mai visto un uomo non morire prima o poi? o il Sole non risorgere il giorno dopo? No; soltanto da questa ripetuta esperienza ricaviamo le verità universali che tutti gli uomini sono mortali e che il Sole sorge tutti i giorni. Quindi, la vera conoscenza si realizza con la procedura opposta a quella deduttiva: dal particolare all’universale, dal basso verso l’alto. Si chiama induzione, e almeno dai tempi di Galileo è la base filosofica della scienza moderna. L’empirismo si caratterizzò subito, come si sa, in contrapposizione agli altri metodi di conoscenza, di volta in volta denominati mitici, metafisici, razionalistici, quando non semplicemente irrazionali. Ma siamo proprio sicuri che il Sole sorgerà domani, perché così si è sempre osservato in passato?

Le albe ammirate dagli umani fin dai tempi più remoti, per quanto numerose, non garantiscono affatto né che il Sole sia sempre sorto in passato anche prima dei racconti degli avi, né che il Sole sorgerà ogni giorno futuro. Anzi, per la verità, la fisica racconta oggi tutta un’altra storia a riguardo… Ogni generalizzazione di osservazioni replicate non ci dà maggior certezza di quanto l’aver osservato solo cigni bianchi nei laghetti di Hyde Park precluda la possibilità dell’esistenza di cigni neri da qualche altra parte della Britannia: David Hume (1711-1776), che non aveva certo simpatie per la metafisica, mise ferocemente in luce la fragilità logica dell’empirismo induttivo. E tutti noi, nel nostro piccolo, abbiamo fatto almeno una volta nella vita l’amara esperienza di generalizzazioni errate. Sappiamo inoltre che le scoperte scientifiche più importanti si caratterizzano proprio per il fatto di aver smentito “verità” prima scontate!

Ma allora, su che cosa fonderemo l’epistème? che cosa giustifica, “fa giusta”, la scienza fondata sull’induzione demarcandola dagli altri metodi di conoscenza, ammesso che esistano?

Karl Popper (1902-1994) – pur ammettendo che il punto di partenza della conoscenza è l’esperienza – condivise nella pars destruens la critica di Hume all’empirismo estremo, ma l’edulcorò nella pars construens col progresso scientifico. Nel 1919, assistendo ad una conferenza di Einstein sulla relatività generale, Popper ebbe l’illuminazione: rimase “sbalordito” nel vedere messe in crisi la meccanica di Newton e l’elettrodinamica di Maxwell, fino ad allora considerate “verità indubitabili”. Presentando la sua teoria, Einstein non la dichiarò indubitabile, ma piuttosto sfidò gli scienziati a sottoporla ad un “esperimento cruciale”per smentirla. Per es. ad una prova spettroscopica: se il campo gravitazionale non spostasse le righe spettrali verso il rosso, allora essa sarebbe insostenibile, disse Einstein. “Sentii allora”, avrebbe raccontato Popper molti anni dopo, “che era questo il vero atteggiamento scientifico. Tutto diverso dall’atteggiamento dogmatico, che continuamente afferma di trovare le ‘prove’ delle sue teorie preferite. Giunsi così, sul finire del 1919, alla conclusione che l’atteggiamento scientifico è critico, non va in cerca di prove,ma di controlli cruciali; controlli che potrebbero confutare la teoria sottomessa a test, ma mai confermarla definitivamente” (K. Popper, “Unended Quest: An Intellectual Autobiography”, 1976). Dunque, le leggi e le teorie della scienza – che sono ricavate per induzione da moltissime osservazioni – non possono dirci mai nulla di vero e definitivo, ma hanno solo un carattere provvisorio di aderenza ai fatti, che rimane valido fino alla prima “falsificazione” sperimentale.

Nel suo paradigma Popper mutua dalla Scolastica medievale il procedimento logico del modus tollens: se aver piovuto (P) implica la terra bagnata (Q) e osservo che la terra non è bagnata (non-Q), allora vuol dire che non è piovuto (non-P). In simboli logico-formali il modus tollens si scrive:

[(PQ) and not(Q)] → not(P).

Per Popper: se la congettura P implica la predizione Q e l’esperimento ci dà non-Q, allora vuol dire che P è falsa. Il falsificazionismo fu preso da Popper a “criterio di demarcazione”, ovvero di scientificità di una teoria in opposizione all’empirismo ingenuo che pretende di ricavare “verità” dalla scienza sperimentale. In questo modo Popper giustificò la scienza moderna spostando il problema dall’induzione al progresso per successive teorie migliorative. Il ritrovamento di un singolo cigno nero falsifica la vecchia teoria che tutti i cigni siano bianchi: non possiamo mai essere certi di una verità assoluta, è vero, ma possiamo almeno essere certi dei nostri errori e scegliere tra teorie rivali quella più esplicativa alla luce delle evidenze sperimentali attuali (i cigni sono in maggioranza bianchi e ce n’è qualcuno di nero).

Pierre Duhem (1861-1916) fu un fisico e matematico francese con passione per la filosofia e la storia della scienza. È noto per le sue spiccate doti matematiche, che applicò in fisica ai problemi del calore, del flusso dei liquidi e dell’elettromagnetismo. A differenza di Popper, che non fece mai esperienza diretta di ricerca scientifica e filosoficamente era avverso alla metafisica, Duhem aveva fiducia nell’esistenza della verità, che gli derivava dalla sua fede cristiana. Per lui domande come “Esiste una realtà distinta dall’apparenza sensibile?” o “Qual è la natura della realtà?” avevano senso. E non trovando risposta nel metodo scientifico, che non sonda oltre l’esperienza sensibile e misurabile, esse formavano per Duhem oggetto di un altro sapere, la metafisica appunto: “Poiché le teorie fisiche non possono spiegare le loro leggi sperimentali, la fisica non è una scienza autonoma, ma è subordinata alla metafisica” (P. Duhem, “La théorie physique, son objet et sa structure”, 1906).

L’intuizione filosofica più importante contenuta in questo testo è la teorizzazione del falsificazionismo (in anticipo di alcuni decenni rispetto a Popper) come ipotetica demarcazione del metodo scientifico, subito seguita dalla dimostrazione d’insufficienza del falsificazionismo stesso.

Innanzitutto Duhem spiega che lo scopo di ogni teoria fisica è la rappresentazione matematica dei risultati sperimentali: “La parola ‘verità’ ha solo significato con riguardo ad una teoria, in quanto esprime l’accordo tra le sue predizioni e quanto risulta all’osservatore […] Ogni legge della fisica è il sommario di un’infinità di esperimenti che sono stati fatti e che potranno essere replicati”. Duhem cita esempi concreti a supporto della sua affermazione, come la legge di Snell sugli angoli d’incidenza e di rifrazione di un raggio di luce che attraversa la superficie di separazione di due mezzi diversi, o la legge di Boyle sulla pressione e il volume di un gas a temperatura costante. Come scienziato, Duhem ha un’intima comprensione della laboriosa organizzazione di un esperimento, quella comprensione che magari è più sbiadita in un filosofo della scienza che discetta dalla cattedra di un dipartimento lontano dai laboratori.

Duhem si rende conto così, chiaramente, di quanto siano numerose le assunzioni implicate anche nel più semplice test sperimentale. Il risultato di un esperimento – spiega pazientemente lo scienziato ai filosofi – non è mai predetto solo sulla base di un’ipotesi singola, ma della piattaforma composta anche da un sistema di ipotesi (“ausiliarie”), che costituiscono un sottoinsieme del compendio scientifico acquisito e non sono di regola considerate problematiche. Citando un esperimento cruciale di ottica riguardante la luce polarizzata (il test di Wiener sull’ipotesi di Neumann), Duhem elenca minuziosamente le ipotesi che, pur concretamente implicate, non sono di norma sindacate nell’interpretazione dei risultati ad esperimento eseguito:

A-che la luce consista di semplici vibrazioni periodiche,
B- che tali vibrazioni siano ortogonali alla linea di propagazione,
C- che l’energia cinetica della vibrazione sia proporzionale all’intensità della luce,
D- che lo strato di gelatina impressionato sulla lastra fotografica misuri l’intensità della luce,
E- ecc., ecc.

Ma allora, sul piano logico, quando la predizione Q non accade, non è solo la (nuova) ipotesi P per cui è stato allestito il test che va messa in discussione, ma l’intero sistema teorico {A, B, C, D, …} indipendente da P utilizzato nell’interpretazione dell’esperimento. In caso di fallimento della predizione, l’unica cosa che l’esperimento c’insegna è che tra le proposizioni usate per predire il fenomeno e per stabilirne la riproducibilità c’è almeno un errore. Ma dove risieda questo errore l’esperimento non ce lo dice. “Il fisico può dichiarare che l’errore sta nella proposizione soggetta a test, ma come esserne sicuri?”. Insomma, se il risultato dell’esperimento cosiddetto cruciale non è quello predetto, non è dimostrato affatto che sia sbagliata l’ipotesi soggetta a controllo: è possibile dal punto di vista logico che questa sia giusta e che l’errore risieda in una o più delle ipotesi ausiliarie! Formalmente

[({P and A and B and C …} → Q) and not(Q)] → not(P) or not(A) or not(B) or not(C) …,

cosicché da nonQ il modus tollens non trae necessariamente la falsità di P, ma eventualmente la falsità di alcune, non sappiamo quali, fra le assunzioni implicate nell’interpretazione dell’esperimento e normalmente non soggette a controllo. Nel caso citato del test di Wiener, Duhem mostra che col risultato negativo, anziché condannare l’ipotesi di Neumann, si potrebbe benissimo salvarla rinunciando all’ipotesi ausiliaria che l’energia cinetica media misuri l’intensità della luce e sostituendola con l’energia potenziale media del mezzo.

L’errore di Popper è dunque triplice:

  1. sul piano epistemologico, di separare una teoria scientifica dal corpus di tutta la scienza acquisita e, così,
  2. sul piano logico, di usare il modus tollens per falsificare una singola proposizione, quando invece a risultare falsificata è la congiunzione di un sistema di proposizioni. Infine,
  3. sul piano filosofico generale, di postulare un indefinito progresso (fuori di un esplicitato orizzonte metafisico), come se la falsificazione di una teoria dovesse necessariamente dare origine ad una nuova teoria coerente più comprensiva, piuttosto che alla babele di teorie reciprocamente incompatibili ciascuna rappresentativa di un settore della fenomenologia.

In un esperimento scientifico, i fatti non constano generalmente in osservazioni dirette operate attraverso i sensi, ma nelle misure restituite da un apparato strumentale che sono interpretate dagli osservatori alla luce del sistema scientifico stabilito. Duhem mette in dubbio l’esistenza stessa di esperimenti cruciali capaci di falsificare una specifica congettura o teoria scientifica, perché in ogni esperimento tutto un sistema teorico più vasto costituisce un unicum di proposizioni intrecciate. Simul stabunt aut simul cadent.

Ad ulteriore sostegno della sua tesi, col tipico stile dello scienziato Duhem simula la falsificazione di una serie di congetture e teorie per dimostrare la non crucialità dei test. Una di queste simulazioni à la Popper e ante litteram è particolarmente rivelatoria, perché anticipatrice di quanto sarebbe successo anni dopo con la meccanica quantistica. Viene esaminata la storica rivalità tra la teoria corpuscolare della luce (di Newton) e quella ondulatoria (di Huygens) attraverso l’interpretazione dell’esperimento di Foucault, che veniva usato all’epoca a corroborazione della teoria ondulatoria e a falsificazione di quella corpuscolare. Duhem dimostra che il risultato di Foucault non è affatto cruciale a decidere tra le due perché, inversamente, è la teoria da cui si parte a dare un senso o un altro al risultato dell’esperimento!

C’è una bella differenza tra la matematica e la fisica, conclude Duhem: nella prima una proposizione P e la sua negazione non-P esauriscono l’universo delle possibilità, donde la reductio ad absurdum che è l’arma più potente dell’argomentazione matematica. Ma in scienza naturale, chi può dire che Newton e Huygens abbiano esaurito l’universo dei sistemi ottici? Parole oracolari: l’ambivalenza di comportamento della luce non è risolta a tutt’oggi, anzi, secondo la fisica quantistica, appartiene alla stessa natura della luce.

Quando Duhem sviluppò le sue tesi, ai primi del ‘900, Popper andava ancora all’asilo e, nei circoli neopositivistici in cui poi sarebbe cresciuto, si era troppo impegnati a dibattere il problema dell’induzione e della demarcazione della “scienza positiva”, per studiare l’epistemologia di uno scienziato cattolico francese. Solo quando nel 1951 Willard Quine (1908-2000) pubblicò un articolo (“Two Dogmas of Empiricism”), nel quale la critica all’empirismo riduzionistico veniva estesa ad ogni tipo di conoscenza, solo allora il mondo scoprì che il falsificazionismo di Popper… era stato immaginato e confutato a Parigi ancor prima di essere sviluppato in Australia!

 

Allo stesso modo in cui Duhem si era opposto al positivismo ottocentesco di Comte, Quine intendeva contrastare il neopositivismo logico del circolo di Vienna. Il primo dei due dogmi negati da Quine è la distinzione tra verità analitiche e verità sintetiche, vale a dire tra le proposizioni della logica e della matematica da una parte e i giudizi di fatto dall’altra. L’altro dogma è “credere che ogni affermazione sensata sia equivalente ad un costrutto logico di termini che si riferiscono all’esperienza immediata”, come se ogni singola affermazione empirica, presa isolatamente dalle altre, possa essere confermata o smentita dai fatti. La concezione di Quine è olistica: ogni dichiarazione sul mondo esterno è soggetta al tribunale dell’esperienza sensoriale non individualmente ma organicamente a tutte le altre.

Quine fa nel suo articolo riferimento a Duhem e ne inasprisce l’epistemologia al punto di dichiarare che l’unità più piccola avente significato empirico coincide con l’intero corpus scientifico! L’olismo di Quine non riconosce alcun limite, per nessun particolare esperimento, alle ipotesi ausiliarie implicate che diventano tout court l’intero patrimonio del sapere umano. Dove per Duhem ad essere testati erano sistemi teorici piuttosto che ipotesi e teorie individuali, a Quine i sistemi non bastano per quanto grandi, perché sarebbe l’intero corpus della conoscenza sempre in gioco, in ogni osservazione.

Conclusioni

Quine ha avuto un merito, quello di portare alla luce le riflessioni di Duhem prima ignorate dagli accademici e, attraverso esse, svelare i limiti del riduzionismo popperiano. Ma possiamo essere d’accordo con il suo olismo? La prima legge di Newton, F = ma, non può essere controllata separatamente dalla considerazione di molte altre ipotesi, è vero. Quindi Popper ha torto nel suo falsificazionismo riduzionistico. Però Le Verrier riuscì nel 1846 con un adeguato sistema di ipotesi a predire l’esistenza di Urano e a calcolarne l’orbita. Il sistema teorico di Le Verrier era senza dubbio molto vasto, comprendeva la meccanica celeste e la gravitazione newtoniana, ma non includeva l’intero corpus scientifico dell’epoca. Quindi Quine ha torto nel suo olismo radicale.

La lezione di Duhem, vecchia di più di un secolo, sembra la più equilibrata. Essa richiama

  1. la riproducibilità,
  2. la controllabilità sperimentale e
  3. il vaglio logico di tutte le assunzioni implicate nell’interpretazione di un esperimento.

Essa appare di attualità nella crisi in cui la scienza di oggi affoga e che richiede ormai un “cambio dell’intera cultura scientifica” secondo l’NIH, l’istituto che soprassiede e finanzia la ricerca biomedica in USA. Quanto alla fisica, Duhem sarebbe desolato di apprendere che il cumulo incoerente da lui temuto (altro che progresso…) svela oggi nella sua scienza prediletta la realtà di un 95% di materia ed energia “oscure” (un eufemismo per indicare che le teorie stabilite sono falsificate in cosmologia oltre che incoerenti a livello fondamentale), e all’opposto produce una babele di teorie matematiche incontrollabili, in fuga verso l’irrealtà. Come si fa a speculare sull’esistenza e le proprietà d’infiniti universi alieni, quando ci sfugge l’essenza del 95% del nostro universo abitato?

Che cosa il vaglio rigoroso di Duhem significhi in termini culturali, cioè interdisciplinari – di filosofia, logica ed epistemologia, di procedure matematiche (in primo luogo, statistiche) ed anche di umiltà tecnica – è ciò che vedremo in altra occasione.

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GIORGIO MASIERO: giorgio_masiero@alice.it Laureato in fisica, dopo un’attività di ricercatore e docente, ha lavorato in aziende industriali, della logistica, della finanza ed editoriali, pubbliche e private. Consigliere economico del governo negli anni ‘80, ha curato la privatizzazione dei settori delle telecomunicazioni, agro-alimentare, chimico e siderurgico, e il riassetto del settore bancario. Dal 2005 interviene presso università italiane ed estere in corsi e seminari dedicati alle nuove tecnologie ICT e Biotech.

19 commenti

  1. alessandro giuliani on

    Citando Gomez Davila uno dei miei preferiti : Verità scientifica è quella su cui sappiamo come metterci d’accordo.
    E anche:
    La scienza è un colloquio di molti la filosofia un soliloquio che alcuni ci lasciano ascoltare
    grazie Giorgio

  2. Mmm, questo articolo merita di essere riletto con calma, dopo il lavoro

  3. Grazie a te Giorgio scopro Duhem: prima di Popper e meglio di Popper.
    Unico suo torto quello di non appartenere al versante “giusto” della cultura, stessa sorte di Mendel, Lemaitre, Le Jeune, ecc…

    • Giorgio Masiero on

      Eh sì, Enzo, come si potrebbe se no sostenere il “teorema” che la scienza è in contrasto con la fede?
      NB. Bellissima la tua sintesi di Duhem: “Prima di Popper e meglio di Popper”!

  4. È talmente ben scritto questo articolo che sono riuscito a capire tutto anche leggendolo a pezzi durante i momenti morti a lavoro! Complimenti. L’argomento è molto interessante e offre molto spunti anche per capire i meccanismi attraverso i quali nella nostra società si acquisiscono nuovi principii.

  5. Ottima messa in perspettiva, caro Giorgio: il discorso scientifico è (o piuttosto dovrebbe essere) un discorso rigoroso secondo una certa metodologia, ma non è una conoscenza che propone una verità quanto piuttosto un insieme di falsità da rigettare.
    La conoscenza scientifica è sapere apofatico e di certo non catafatico come certa propaganda ateista cerca di fare ingoiare al vulgus pecum contemporaneo ed ignorante.
    Ben hai fatto a ricordare l’epistemologia di Duhem, di cui possiamo dire che quella di Popper è un modello simplificante: in un certo senso, estrapolando Duhem alle sue estreme conseguenze, cioè aldilà delle ipotesi che sorreggono un’esperimento per situarlo nel contesto storico nel quale esso ha luogo, possiamo dire che il discorso scientifico è quello che delimita con precisione la non validità di un contesto culturale dato.
    Ma proprio per questo certo pubblico va alla ricerca di fantasie “scientifiche” senza curarsi del loro valore scientifico: cioè in cosa son capaci di falsificare sperimentalmente (cioè per davvero) il contesto culturale contemporaneo. Da questo modo di pensare a-scientifico vengono fuori i darwinisti di ogni risma, o coloro che “credono” nei branes e altre favole.
    Grazie ancora per l’articolo interessantissimo e ispirante.

    • Giorgio Masiero on

      Grazie, Simon.
      Quanto dici portando “Duhem alle estreme conseguenze” è esattamente quello che afferma Quine – un ateo insospettabile, ma coerente, che tirò alle estreme conseguenze, appunto, sia Duhem, sia il nichilismo: “Gli oggetti fisici sono introdotti dal punto di vista concettuale come utili intermediari, non mediante una definizione in termini di esperienza, ma semplicemente come postulati irriducibili, simili dal punto di vista epistemologico agli dei di Omero. Da parte mia, in quanto fisicalista laico, credo negli oggetti fisici e non negli dei di Omero; e ritengo che sia un errore scientifico fare altrimenti. Ma dal punto di vista del fondamento epistemologico, gli oggetti fisici e gli dei di Omero differiscono solo quanto al grado e non quanto al genere. Entrambi i tipi di entità entrano nella nostra concezione soltanto come postulati culturali” (“From a logical point of view”, 1956, sottolineatura mia).
      Credere agli dei di Omero, piuttosto che agli atomi, sarebbe quindi solo un errore ‘scientifico’ (e come dargli torto?), ma quanto a non verità i due concetti differiscono solo in grado! E come non dare ancora ragione a Quine, se si ragiona sulla base del “contesto culturale contemporaneo”?

      • In effetti, gli dei di Omero, o agli atomi o altri quarks, sono epistemologicamente entità dello stesso genere in quanto ambo “postulati” culturali con noi relazionati sia dal mito che li propone.

        Quanto agli oggetti “fisici” bisognerebbe porsi una domanda più fine che probabilmente non era così acuta come oggi nel XIX secolo: non solo la riflessione di Duhem che porta ad essere attenti al fatto che un esperienza concettualmente non solo testa l’ipotesi principale ma che sottende tutta una ragnatela di ipotesi implicite come lo hai ben spieato tu, caro Giorgio, ma anche il fatto che non è più possibile separare l’apparato sperimentale concreto stesso dall’oggetto osservato.

        In altre parole quando diciamo “osservare” un protone che collide con un altro protone e che produce un deuterone ed un pione, quel che osserviamo in realtà è una serie di 1 e di 0 prodotto dal sofisticatissimo apparato sperimentale. Cioè l’ggetto fisico che noi sperimentiamo non sono direttamente tali particlelle, ma l’insieme olistico dell’apparato sperimentale che si comporta in un modo particolare, implicitamente, ovviamente, ammettendo le ipotesi di Duhem.

        Tutto questo per dire che c’è una differenza epistemologica di genere tra lo sperimentare l’oggetto fisico con il quale siamo direttamente in relazione con i nostri cinque sensi e l’oggetto fisico che può essere sperimentato solo all’interno e come parte integrante di traliccio di ipotesi e apparati di misura essi si direttamente sperimentabili.

        Lo schermo davanti ai nostri occhi ha un valore epistemologico che non è dello stesso genere degli dei dell’olimpo, ma i gluoni e atri neutrini invece si, il legame tra noi ed essi essendo quello di una storia che si racconta “bene” nel quadro della nostra cultura.

        Grazie per la tua pazienza.

        • Scusami Giorgio, tanti refusi, non so perché non ho potuto correggerli.
          Il più sostanziale riguarda l’ultima frase.

          Lo schermo davanti ai nostri occhi ha un valore epistemologico che non è dello stesso genere degli dei dell’olimpo,come neanche con i gluoni e altri neutrini: il legame tra noi e gli dèi e i quarks charmed essendo quello di una storia che si racconta “bene” nel quadro della nostra cultura.

  6. Giuseppe Cipriani on

    Approfitto di questo post per augurare a tutti buone feste pasquali…
    .
    Ultimamente sono stato un po’ a guardare, mi sono messo tra gli osservatori/lettori di CS per varie ragioni, non ultima una sorta di regressione mentale verso argomenti per me un po’ ostici, non ultimo questo, che ho capito per sommi capi, ma che poi si è dipanato in maniera difficile, almeno per l’uomo della strada nella cui categoria mi annovero… Un abbraccione a tutti.

  7. Bellissimo articolo,
    Chiarissimo.

    Quanto è vero che nel pianificare esperimenti si parta da centinaia di impliciti assunti più o meno veri.

    Talvolta un po’ come atti di fede.
    Quante volte si pone nero su bianco che si sta analizzando una sola variabile sperimentale, mentre sotto ad un sistema vivente ce ne sono mille di cui neppure sappiamo bene il funzionamento.
    Mi viene in mente il caso emblematico del yeast two-hybrid protein assay. Che è un sistema che ti permette di vedere se due proteine A e B interagiscano e quindi producano per questo il marcatore di conferma.
    Semplice quanto fallace.
    Il più delle volte in mezzo ad A B si inserisce un misterioso C che funge da ponte fra A e B facendo la magia.
    Quindi empiricamente A interagisce con B.
    Di fatto.. Esiste l’ignoto C a fare tutto.
    E le cellule di ponti sono piene. Noi spesso vediamo solo quello che ci prefiggiamo di vedere a monte e a valle di sistemi intricatissimi.
    Eppure, concludiamo che è stato certamente A con B.

    Grazie per il bel pezzo di riflessione a auguri a tutti di buona Pasqua.

    • Giorgio Masiero on

      Grazie, Virginia, anche per il Suo interessante contributo attinto dalla biologia molecolare.

    • Ciao Virginia, buona Pasqua anche a te e a tutti di CS.
      Con uno strumentino che si chiama Biacore della General Electric, si risolvono un sacco di dubbi sulla interazione fra molecole. Te lo dico per esperienza personale!
      A presto,

  8. muggeridge on

    Duhem mi era noto soprattutto per la sua enorme opera di storico della scienza che ha riabilitato in pieno il medioevo cristiano in epoca di positivismo imperante e che è stata a lungo boicottata dall’establishment laicista d’Oltralpe. Alla luce di questa anticipazione e superamento del tanto strombazzato Popper, mi appare davvero un gigante misconosciuto ai più, probabilmente proprio a causa della propria fede.
    Grazie quindi al prof. Masiero per questa rivelazione e questo stupendo articolo e Buona Pasqua a tutti.

    • Giorgio Masiero on

      Sono io a ringraziare Lei, Muggeridge, per i Suoi interventi sempre puntuali e arricchenti. Sono certo che anche Lei avrebbe molte cose da insegnare a me e a tutti i lettori! Quando un Suo articolo su CS?

  9. muggeridge on

    La ringrazio per gli apprezzamenti, prof. Masiero, ma più leggo gli articoli di CS, più mi sento inadeguato a scriverne uno. Ci ho anche provato, ma riesco solo a concepire frasi brevi e concetti alquanto sintetici difficili da collegare tra loro per ricavarne un pezzo di più ampio respiro. “Si parva licet…” mi riescono al più Pensieri alla Pascal (appunti che il grande matematico e filosofo avrebbe voluto far diventare un trattato articolato di apologetica e che restarono invece solo degli spunti). Probabilmente sconto il mio interesse per molti argomenti senza andare troppo in profonditá, accontentandomi di intuizioni, connessioni e analogie tra le varie tematiche, che però difficilmente possono essere sviluppati in discorsi strutturati e rigorosamente logici o scientifici, come giustamente si conviene fare qui.

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