Il problema dei testi scolastici

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manuali

Si avvicina il momento in cui gli insegnanti dovranno comunicare le loro scelte riguardo i libri di testo per il prossimo anno scolastico.

Come affrontare le carenze nei contenuti, soprattutto in quelli di scienze.

 

Estratto dall’articolo pubblicato su “Il Timone ” di Gennaio

Di Enzo Pennetta

 

Riguardo l’insegnamento delle scienze, come del resto per tutte le altre materie, l’opinione comune è che sia tutto chiaro e definito, che non esistano differenti punti di vista da esporre e confrontare e che in definitiva ci si debba concentrare solo sugli strumenti dato che non c’è nulla da dire sul contenuto, ma vediamo perché non è così.

Anche se mancassero tutti i mezzi didattici moderni un buon insegnante potrebbe fare ancora benissimo il proprio lavoro con gesso e lavagna, quello che veramente conta è invece non trasmettere un insegnamento dogmatico delle varie discipline, e in particolare delle scienze naturali. Quello che possiamo fare per aiutare gli studenti, sia da parte sia dei genitori che dei docenti, è insegnare loro che la scienza va affrontata in modo critico perché le sue conclusioni sono sempre soggette a revisioni e perché essa è spesso stata impiegata per fornire una giustificazione a scelte politiche, ideologiche e culturali. Per trasmettere questa visione della materia il modo migliore è presentare gli argomenti con un approccio storico, è importante spiegare le conoscenze acquisite mediante la storia delle scoperte scientifiche.

L’approccio prevalente nei nostri modernissimi testi scolastici è invece proprio quello di presentare una minima parte di storia della scienza e per la restante una serie di affermazioni calate dall’alto come fossero le tavole dei comandamenti, ma a ben vedere spesso queste moderne  tavole sono, per così dire, un po’ “sbianchettate” per nascondere alcune parti scomode e mostrare la scienza nella sua veste foriera di “magnifiche sorti e progressive” di leopardiana memoria. La parte di storia della scienza che viene in genere proposta è volta a rappresentare le radici gloriose nell’antica Grecia seguite da un intermezzo oscuro costituito dagli immancabili “secoli bui” del medioevo che hanno dovuto lasciare il passo alla ragione solo a partire dal Rinascimento. Al riguardo è d’obbligo un richiamo al processo Galilei, ovviamente ridotto poco più che a uno slogan anticlericale, e del quale vengono taciute le vere ragioni che aiuterebbero invece moltissimo a capire che la scienza non è mai, a maggior ragione oggi, slegata dalle questioni che ruotano intorno al potere politico e alla società.

Una volta fatto passare il principio che il pensiero religioso è nemico della scienza e che invece uno stato laico la lascia libera, il terreno è pronto per introdurre una serie di messaggi sui quali il nostro studente non dovrà mai dubitare in futuro. Come molto spesso accade si dimenticheranno la maggior parte delle cose apprese a scuola, ma che Galilei fu condannato da quegli oscurantisti della Chiesa dovrà restare impresso in modo indelebile. Come si può appurare facilmente con un minimo di ricerca storica le cose con Galilei andarono ben diversamente e il cristianesimo lungi dall’essere nemico dello sviluppo delle conoscenze fu invece la premessa indispensabile per la nascita della scienza moderna, ma troppi anche tra i cattolici resteranno convinti del contrario. Sono conoscenze che resteranno per sempre e resisteranno spesso ad ogni tentativo di mostrare la realtà dei fatti, questo dimostra che la scuola, quando vuole, funziona.

Una volta interiorizzato che la laicità è sinonimo di libertà per la scienza, i nostri allievi sono pronti ad ascoltare il mantra che ripete a ritmi serrati che abbiamo scoperto tutto quel che di importante c’è da sapere sull’origine della vita e dell’Uomo, e che conoscendone l’origine di conseguenza sappiamo anche quel che c’è da sapere sulla verità ontologica dell’essere umano. Entriamo con questo argomento nel campo dell’evoluzionismo (la desinenza in –ismo è voluta come indicativa di un’ideologia) presentato come un sinonimo di darwinismo, che è invece solo una delle ipotesi possibili sull’evoluzione. Il risultato di questa voluta confusione è che non verranno tenuti ben distinti da una parte il fatto che le specie si siano succedute nel tempo (vedi i fossili), e dall’altra la spiegazione che di quel fatto ha dato Darwin. La teoria darwiniana viene infine presentata in modo dogmatico e impermeabile a qualsiasi critica, sfido apertamente chiunque a mostrare un testo dove venga insegnata la vera teoria iniziale di Darwin, dove vengano indicate le motivazioni che ne causarono il tramonto all’inizio del ‘900 e i punti deboli del successivo “neodarwinismo”.

Per quanto paradossale possa sembrare il problema dell’insegnamento dell’evoluzione è che questo argomento viene insegnato male. Lo ripeto perché la questione è della massima importanza: l’evoluzione sui libri di testo viene insegnata male e in modo superficiale perché se si andasse a fondo emergerebbero i gravissimi limiti della teoria stessa. E quindi sui manuali scolastici troviamo (chi ha un figlio in età scolare può fare la prova), pagine e pagine su Darwin e sulla sua teoria, continui richiami all’evoluzione anche nei capitoli in cui si parla di altri argomenti, ma in realtà della teoria vengono affrontati solamente aspetti collaterali che danno la sensazione di un’analisi approfondita ma che in realtà non andranno al cuore del meccanismo proposto e delle sue problematiche.

E così quello che deve passare, e che passerà, è che Darwin ha spiegato più o meno tutto quello che c’è da capire, che l’uomo è solo un animale con delle caratteristiche un po’ più sviluppate rispetto alle scimmie e che solo da parte di un pensiero oscurantista si possono sollevare delle obiezioni al riguardo.

Cosa possono fare allora insegnanti e genitori che vogliono assicurare ai ragazzi un corretto insegnamento di una materia così bella e importante come le scienze naturali? La buona notizia è che, nonostante i punti deboli sin qui esposti, come è stato premesso all’inizio, i testi scolastici sono in generale di ottima qualità e forniscono una base ampiamente utilizzabile per supportare l’insegnamento. Va sottolineato ancora una volta che i passaggi critici contenenti inesattezze e omissioni sono in definitiva pochi, anche se a volte insistiti e riproposti trasversalmente in vari argomenti. Da insegnante il metodo che adotto nei passaggi che contengono inesattezze o luoghi comuni,  consiste nel presentare la versione proposta dal testo e subito dopo mostrarne le contraddizioni e le informazioni mancanti facendo notare che non è l’intero libro ad essere messo in discussione ma solo quei determinati passaggi. Una volta posta la questione dei passaggi critici potrà esserci un confronto in classe.

In conclusione possiamo dire che ci sono buone notizie: esiste un problema riguardo l’insegnamento delle scienze, ma esiste anche la soluzione.

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4 commenti

  1. Su questi temi affascinanti due contributi di spessore del filosofo Prof. Pagani e dell’archeologo Prof. De Marinis

    UOMO, DALLA PAROLA LA NASCITA DELLA CIVILTÀ
    L’archeologo De Marinis e il filosofo Pagani alle Questioni di Principio

    «Il piede libera la mano, la mano libera la parola». È la frase – presa a prestito dall’antropologo André Leroi-Gourhan – che spiega in sintesi l’unicità della specie umana secondo Raffaele De Marinis, docente di Preistoria e Protostoria all’Università di Milano, e protagonista, insieme con Paolo Pagani, docente di Filosofia morale all’Università Ca’ Foscari di Venezia, all’incontro “Uomo primate, o primato dell’uomo? Alle origini della diversità umana” condotto dall’archeologa Chiara Cerutti sabato 7 marzo a Novara nella sala Maddalena del Palazzo dei Vescovi nel ciclo di conferenze “Questioni di Principio. Domande e riflessioni sull’inizio” proposte dall’Associazione Culturale Diocesana La Nuova Regaldi e Comitato per Passio in collaborazione con il Comune di Novara e la Fondazione Teatro Coccia in abbinamento alla mostra In Principio allestita all’Arengo.
    «L’etnologia – prosegue De Marinis – mostra come la posizione eretta, documentata dagli scheletri dei primi ominidi, ha liberato le mani dal compito della locomozione disponendole a funzioni, come la presa di oggetti, prima affidate alla bocca, che finalmente può essere usata per parlare». Nessuna traccia è rimasta ovviamente delle parole pronunciate agli albori della civiltà, ma l’esistenza del linguaggio è l’unica ipotesi che consente di spiegare lo svilupparsi di un’organizzazione sociale e tecnologica sempre più sofisticata. «È un’evoluzione culturale – commenta Pagani – resa possibile con la comunicazione di concetti universali, che l’uomo elabora a partire dall’esperienza concreta, rendendoli “esportabili” per affrontare nuove sfide». Il ragionamento astratto libera così l’uomo dalla visione di una realtà limitata al “qui e ora”, aprendo orizzonti infiniti. «Le pitture e incisioni impresse sulle pareti delle grotte di Chauvet e Lascaux, nel sud della Francia – spiega De Marinis –, documentano la creazione di un ambiente in cui l’uomo paleolitico elabora e celebra la dimensione del sacro». È il segno – conclude Pagani – di «un pensiero umano che si sviluppa grazie alle interazioni elettrochimiche delle cellule neuronali, come “materia” che lo rende possibile, ma alla quale non può essere ridotto».

    https://www.youtube.com/watch?v=AKDsdbIw5Nk

  2. alessandro giuliani on

    Altro aspetto importante è a mio avviso la programmatica separazione del ragionamento quantitativo dalla biologia : la matematica viene ridotta a procedure astratte senza alcun peso reale sul formarsi della conoscenza scientifica. Il risultato è che si iscrive a biologia chi è interessato alla scienza ma non sopporta la matematica ( identificata con la sua caricatura su cui ha sofferto a scuola ). Questo provoca danni gravi nel pensiero critico delle scienza della vita ma anche e soprattutto nella formazione dei ragazzi. Meno regole di Ruffini e piu statistica di base( fondamentale per il pensiero critico quanto le versioni dal latino) potrebbe essere la medicina

    • Mi fa piacere leggere queste considerazioni, non abbiamo mai parlato dell’insegnamento della matematica ma vedo (e non mi sorprende) che abbiamo idee simili.
      Insegnare più teoria della matematica e storia della matematica, e meno sgobbate sugli esercizi, se ben ricordo nell’antica Grecia i matematici si dividevano in due categorie, i teorici (veri matematici) e gli esecutori di calcoli chiamati “logistici” che spesso erano schiavi.
      Non dico di eliminare gli esercizi, ma di ridurne il peso nel tempo di studio dedicato alla matematica, oggi i logistici sono i PC.

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