Alle radici storiche della propaganda

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Statua di Augusto (12 a.C – 9 d.C.), Musei vaticani

Un’altra impresa di Augusto, questa poco narrata a scuola, fu di aver inventato la propaganda politica, molto prima di Goebbels, Bernays e Casaleggio

 

 

di Giorgio Masiero

Nelle Res gestae di Ottaviano i temi e gli stilemi della comunicazione politica moderna

Prima che si chiuda l’anno, desidero commemorare Ottaviano Augusto (63 a.C. – 14 d.C.) nel bimillenario della sua morte. Non gli tributerò l’elogio che si deve a tutti i trapassati, buoni o cattivi, valenti o inetti, nel giorno del loro funerale e ad ogni successiva commemorazione; né starò qui a ricordarne la virtuosa vita e le meritorie imprese, che sono a tutti note. Piuttosto, celebrerò il primo degli imperatori romani per un suo scritto, dove egli presentò la propria immagine agli abitanti dell’impero, per allora ed i secoli a venire. Per noi si tratta di riconoscere, nelle distorsioni della verità storica contenute nel messaggio e nelle forme in cui questo è stato redatto e divulgato, le tecniche della moderna comunicazione di massa.

Il testo, intitolato “Res gestae divi Augusti” (“Le imprese del divino Augusto”), si compone di 35 paragrafi più un’appendice e fu scritto da Ottaviano negli ultimi anni di vita, perché fosse letto in Senato durante le sue esequie e poi fuso, su tavole di bronzo così da risultare indelebile, nel suo mausoleo a Roma e alle porte dei templi dell’impero. Oggi si conservano solo frammenti, trovati in diversi siti archeologici a Oriente e a Occidente, attraverso i quali possiamo conoscere il documento nella sua integrità. Ciò si deve soprattutto al reperto principale trovato nel 1555 ad Ancyra (l’attuale Ankara) dall’ambasciatore degli Asburgo presso il Solimano. Il frammento anatolico è scritto in latino e in greco, come convenientemente decisero a suo tempo gli esecutori testamentari per una sua più estesa comprensione e per rimarcare l’universalità geografica e culturale del neonato impero. La doppia lingua nel frammento e il confronto con passi corrispondenti dei frammenti ritrovati in altre aree, dalla Siria alla Galizia, permettono già di notare che la traduzione dal latino originale di Augusto al greco non è sempre fedele, ma contiene sparse qua e là modifiche, cancellazioni e integrazioni, in cui si tralasciarono vicende che potevano risultare sgradite ai cittadini d’Oriente o si aggiunsero giudizi a loro compiacimento, che però vennero taciuti o manomessi per i cittadini d’Occidente per i motivi uguali e contrari.

Tutto il documento racconta in stile trionfalistico la genesi del principato, di un Augusto primus inter pares, il cui primato stava nel mettersi per primo al servizio del popolo. Il racconto si svolge come quello di una rivoluzione fatta dal Principe che, dopo aver posto fine alle guerre civili ed esterne, creò le condizioni di una pace perpetua capace di estendere all’orbe terracqueo i costumi retti degli antichi quiriti, in un glorioso sincretismo di tutte le etnie. Il principato fu una rivoluzione – vi si canta –, realizzata nel rispetto della cornice costituzionale della Repubblica romana e dei suoi organi, dei quali si elogiano la perenne validità e la rappresentanza democratica e si nasconde il totale svuotamento dei poteri in favore di un’unica persona.

Le Res gestae sono storia del pensiero politico, di ieri come di oggi. Un’altra impresa di Augusto, questa poco narrata a scuola, fu quindi di aver inventato la propaganda politica, molto prima di Goebbels, Bernays e Casaleggio.

Nei primi 7 paragrafi Augusto sintetizza la sua carriera, che lo ha portato per meriti ad essere onorato delle più alte cariche pubbliche, da lui mai cercate ma da tutti (patrizi e plebei) sempre impostegli a forza.

1. “A 19 anni, di mia iniziativa e a mie spese, misi insieme un esercito con il quale vendicai la Repubblica oppressa nella libertà dalla dominazione di una fazione […] il Senato mi incluse nel suo ordine per decreto onorifico, dandomi assieme il rango consolare e il comando militare. La Repubblica mi ordinò di provvedere come pro-pretore e insieme ai consoli che nessuno potesse portare danno. Nello stesso anno il popolo romano mi elesse console e triumviro per riordinare la Repubblica, poiché entrambi i consoli erano stati uccisi in guerra.

2. Mandai in esilio quelli che trucidarono mio padre [Cesare], punendo il loro delitto con procedimenti legali, e muovendo poi essi guerra alla Repubblica li vinsi due volte in battaglia.

3. Combattei spesso guerre civili ed esterne in tutto il mondo per terra e per mare e da vincitore lasciai in vita tutti quei cittadini che implorarono grazia. Preferii conservare i popoli esterni, ai quali si poté perdonare senza pericolo, piuttosto che sterminarli. Quasi 500.000 furono i cittadini romani in armi sotto le mie insegne, dei quali inviai più di 300.000 in colonie o rimandai nei loro municipi, compiuto il servizio militare; e ad essi tutti assegnai terre o donai denaro in premio del servizio. Catturai 600 navi, oltre a quelle minori per capacità alle triremi.

4. Due volte ebbi un’ovazione trionfale e tre volte celebrai trionfi curuli e fui acclamato 21 volte imperatore, sebbene il Senato deliberasse un maggior numero di trionfi che io declinai. Deposi l’alloro dai fasci in Campidoglio, sciogliendo così i voti solenni che avevo pronunciato per ciascuna guerra. Per le imprese per terra e per mare compiute da me o dai miei legati, sotto i miei auspici, 55 volte il Senato decretò solenni ringraziamenti agli dèi immortali. I giorni poi, durante i quali per decreto del Senato furono innalzate pubbliche preghiere, furono 890. Nei miei trionfi furono condotti davanti al mio carro 9 re o figli di re. Ero stato console 13 volte quando scrivevo queste memorie ed ero per la 37ma volta rivestito della potestà tribunizia.

5. Non accettai la dittatura […] quando mi fu offerta […] dal popolo e dal Senato. Non mi sottrassi invece in un’estrema carestia ad accettare la sovrintendenza dell’annona, che ressi in modo tale da liberare in pochi giorni dal timore e dal pericolo l’intera Urbe, a mie spese e con la mia solerzia. Anche il consolato, offertomi allora annuo e a vita, non accettai.

6. [Più tardi] nonostante l’unanime consenso del Senato e del popolo romano a che io fossi designato unico sovrintendente delle leggi e dei costumi con sommi poteri, non accettai alcuna magistratura conferitami contro l’uso degli antenati. E ciò che il Senato volle che fosse da me gestito, portai a compimento tramite la potestà tribunizia, che chiesi ed ottenni dal Senato per più di 5 volte di condividere con un collega.

7. Fui triumviro per riordinare la Repubblica per 10 anni consecutivi. Fui principe del Senato per 40 anni […]. E fui pontefice massimo, augure, quindecemviro alle sacre cerimonie, settemviro degli epuloni, fratello arvale, sodale tizio, feziale”.

 

Copia moderna delle Res gestae scolpita nel retro del Museo dell’Ara Pacis a Roma

Il racconto dell’uomo generoso di sua tasca, pio verso gli dèi, magnanimo coi nemici, fedele alle antiche costituzioni, cui tanto più le cariche pubbliche si attaccavano quanto più le rifuggiva, ci lascia tutti ammutoliti per l’ammirazione. Ricordiamo però che, sebbene Augusto non abbia dimostrato mai la crudeltà ingiustificata e sadica di molti suoi successori, mente quando dichiara di avere “risparmiato tutti i cittadini che chiesero perdono”: il suicidio di stato di Cleopatra e la soppressione di Cesarione, figlio di lei e di Cesare (che Augusto si vantava di chiamare “padre”) lo sbugiardano. Così come mente su popoli come i Parti, a proposito dei quali sarebbe stato più onesto a riconoscere di non averli sottomessi, piuttosto che vantarsi di aver “preferito conservarli”. A riguardo delle guerre civili e di coloro che “mossero guerra alla Repubblica e furono due volte vinti in battaglia”, ricordiamo poi, per la precisione, che la battaglia di Modena (43 a.C.) non fu legittimata dal Senato, né molto opportunamente viene citata dal traduttore greco, a differenza di quella di Filippi (42 a.C.) che fu autorizzata ed è richiamata in entrambe le lingue. Per finire, notiamo che Augusto si definisce al paragrafo 7 “principe del Senato” (speaker o presidente dell’assemblea, diremmo oggi), ma questo appellativo non comparirà dopo più nel documento. Da questo punto egli chiamerà se stesso “Principe” e basta.

Nei commi 8-14, oltre a ripetere l’elenco delle sue virtù e a ribadire che l’odiato accumulo d’incarichi prestigiosi e di poteri garantiti d’immunità gli fu imposto “da una moltitudine mai vista di cittadini accorsa da tutta Italia”, Ottaviano enumera i suoi meriti democratici e religiosi nella gestione della pace, particolarmente per aver allargato il patriziato e ripristinato gli antichi, severi costumi.

8. “Durante il mio quinto consolato accrebbi il numero dei patrizi per ordine del popolo e del Senato. […] con nuove leggi, proposte su mia iniziativa, rimisi in vigore molti modelli di comportamento degli avi, che ormai nel nostro tempo erano caduti in disuso, e io stesso consegnai ai posteri esempi di molti costumi da imitare.

9. Il Senato decretò che venissero fatti voti per la mia salute dai consoli e dai sacerdoti ogni 4 anni. In seguito a questi voti spesso, durante la mia vita, i quattro più importanti colleghi sacerdotali o i consoli allestirono giochi. Anche tutti i cittadini, a titolo personale e municipio per municipio, unanimemente, senza interruzione, innalzarono pubbliche preghiere per la mia salute in tutti i templi.

10. […] fu sancito per legge che fossi inviolabile per sempre e che avessi la potestà tribunizia a vita. Rifiutai di diventare pontefice massimo al posto d’un mio collega ancora in vita, benché fosse il popolo ad offrirmi questo sacerdozio, che mio padre aveva rivestito. E questo sacerdozio accettai, qualche anno dopo […] confluendo ai miei comizi da tutta l’Italia una moltitudine tanto grande quanta mai a Roma si dice vi fosse stata fino a quel momento.

11. […]

12. Per decisione del Senato [una delegazione]mi fu mandata incontro in Campania, e questo onore non è stato decretato a nessuno tranne che a me. Quando […] tornai a Roma dalla Spagna e dalla Gallia, dopo aver portato a termine con successo i piani stabiliti, il Senato decretò che per il mio ritorno dovesse essere consacrato l’altare della Pace Augusta vicino al Campo Marzio, e ordinò che su di esso i magistrati, i sacerdoti e le vergini Vestali facessero ogni anno un sacrificio.

13. Il tempio di Giano Quirino […] prima che io nascessi, dalla fondazione della città fu chiuso in tutto due volte, sotto il mio principato per tre volte il senato decretò che dovesse essere chiuso.

14. I miei figli, che la sorte mi strappò in giovane età, Gaio e Lucio Cesare, in mio onore il Senato e il popolo romano designarono consoli all’età di 14 anni, perché rivestissero tale magistratura dopo 5 anni. E il Senato decretò che partecipassero ai dibattiti di interesse pubblico dal giorno in cui furono accompagnati nel Foro. Inoltre i cavalieri romani, tutti quanti, vollero che entrambi avessero il titolo di principi della gioventù e che venissero loro donati scudi e aste d’argento”.

Se nei 700 anni precedenti di storia dell’Urbe il tempio di Giano fu chiuso solo due volte, ad indicare che solo due volte i Romani godettero di una vera pace dopo la vittoria, ora sotto di lui Principe la chiusura del tempio è stata decretata già tre volte! All’auto-incensamento si accompagnano la sottile manipolazione dei lettori ignari e la sfacciata distorsione dei fatti accertati. Augusto non amava il figlio Tiberio, la cui successione gli fu imposta dalla moglie, ed il quadretto familiare – un must per ogni politico fino ad oggi – non era così idilliaco se solo ricordiamo che il nipote prediletto per la successione, Germanico, morì misteriosamente avvelenato forse su ispirazione di Tiberio. Secondo uno schema familiare, innovativo delle tradizioni romane, che sarebbe stato imitato da molti successori.

Volgendosi verso la fine, nei paragrafi finali 25-33 Augusto descrive le sue imprese per debellare i “pirati” e stabilire l’ordine anche nei mari, e per estendere l’impero romano fino agli estremi confini della terra col pieno accordo delle popolazioni autoctone, dalle foci dell’Elba ai Sarmati agli Indiani

25. “Stabilii la pace sul mare liberandolo dai pirati. In quella guerra catturai circa 30.000 schiavi che erano fuggiti dai loro padroni ed avevano impugnato le armi contro lo Stato e li consegnai ai padroni perché infliggessero una pena. Tutta l’Italia giurò spontaneamente fedeltà a me e mi richiese come duce nella guerra che poi vinsi ad Azio; giurarono parimenti fedeltà le province di Gallia, delle Spagne, d’Africa, Sicilia e Sardegna. […]

 26. Allargai i confini di tutte le province del popolo romano, con le quali erano confinanti popolazioni che non erano sottoposte al nostro potere. Pacificai le Gallie e le Spagne, come anche la Germania nel tratto che confina con l’Oceano; da Cadice alla foce del fiume Elba. Feci sì che fossero pacificate le Alpi, dalla regione che è prossima al mare Adriatico fino al Tirreno, senza aver portato guerra ingiustamente a nessuna popolazione. La mia flotta navigò l’Oceano dalla foce del Reno verso le regioni orientali fino al territorio dei Cimbri, dove né per terra né per mare giunse alcun romano prima di allora, e i Cimbri, i Caridi, i Sennoni e altri popoli germani della medesima regione chiesero per mezzo di ambasciatori l’amicizia mia e del popolo romano. Per mio comando e sotto i miei auspici due eserciti furono condotti, all’incirca nel medesimo tempo, in Etiopia e nell’Arabia detta Felice […].

27. Aggiunsi l’Egitto all’impero del popolo romano. Pur potendo fare dell’Armenia maggiore una provincia dopo l’uccisione del suo re Artasse, preferii, sull’esempio dei nostri antenati, affidare quel regno a Tigrane, figlio del re […] Riconquistai tutte le province che al di là del mare Adriatico sono volte a Oriente, e Cirene, ormai in gran parte possedute da re; precedentemente, la Sicilia e la Sardegna, occupate nel corso della guerra servile.

28. Fondai colonie di soldati in Africa, in Sicilia, in Macedonia, in entrambe le Spagne, in Acaia, in Asia, in Siria, nella Gallia narbonese […].

29. Recuperai dalle Spagna e dalla Gallia e dai Dalmati, dopo aver vinto i nemici, parecchie insegne militari perdute da altri comandanti. Costrinsi i Parti a restituirmi spoglie e insegne di tre eserciti romani e a chiedere supplici l’amicizia del popolo romano. Quelle insegne, poi, riposi nel penetrale del tempio di Marte Ultore.

30. Le popolazioni dei Pannoni alle quali prima del mio principato l’esercito del popolo romano mai si era accostato […] sottomisi all’impero del popolo romano, estesi i confini dell’Illirico fino alla riva del Danubio. E un esercito di Daci, passati al di qua di esso, sotto i miei auspici fu vinto e sbaragliato, e in seguito il mio esercito, condotto al di là del Danubio, costrinse la popolazione dei Daci a sottostare ai comandi del popolo romano.

31. Furono inviate spesso a me ambascerie di re dall’India, mai viste prima di allora da alcun comandante romano. Chiesero la nostra amicizia per mezzo di ambasciatori i Basrani, gli Sciti e i Sarmati che abitano al di qua e al di là del fiume Tànai, e i re degli Albani, degli Iberi e dei Medi.

32. Presso di me si rifugiarono supplici i re […] e moltissime altre popolazioni sperimentarono, durante il mio principato, la lealtà del popolo romano, esse che in precedenza non avevano avuto nessun rapporto di ambascerie e di amicizia con il popolo romano.
33. […].

In questa parte la mistificazione della storia, operata dall’augusto spin doctor di se stesso, supera ogni decenza. Le guerre civili sono sottaciute ed in ogni caso Ottaviano non si rappresenta capo di una delle fazioni, quella vincente, ma s’identifica con la Repubblica vittoriosa contro tutte le fazioni. L’interesse generale copre quelli particolari, nei politici di ieri e di oggi. I “pirati”? Erano appunto uno dei partiti perdenti, capeggiato dal figlio di Pompeo. I prigionieri furono passati per le armi, non da Augusto però, che se ne lavò le mani consegnandoli “ai loro padroni perché infliggessero una pena”: quella di morte per crocifissione, soggiungo.

Tota Italia”, attraverso un referendum mai avvenuto, si sarebbe schierata a fianco di Ottaviano nominandolo “duce” contro Antonio e Cleopatra, che peraltro pudicamente non sono nominati. Prima duce, cioè capo di una rivoluzione in corso, ora principe, capo di una rivoluzione conclusa. Nemmeno è vero, come anche i bambini sanno, che conquistò la Germania, il confine nord orientale essendo stato per Roma sempre il Reno e l’Elba un sogno (e un incubo). Vennero a me, a me, a me… dall’India, dalla Sarmazia, dall’Anglia,… Augusto al centro dell’universo, come Alessandro 3 secoli prima.

L’apologetica e l’apoteosi salgono nei due paragrafi finali in un crescendo sinfonico.

34. “[…] assunsi per consenso universale il potere supremo e trasferii dalla mia persona al Senato e al popolo romano il governo della Repubblica. Per questo mio atto, in segno di riconoscenza, mi fu dato il titolo di Augusto per delibera del Senato e la porta della mia casa per ordine dello Stato fu ornata con rami d’alloro, e una corona civica fu affissa alla mia porta, e nella Curia Giulia fu posto uno scudo d’oro, la cui iscrizione attestava che il Senato e il popolo romano me lo davano a motivo del mio valore e della mia clemenza, della mia giustizia e della mia pietà. Dopo di che, sovrastai tutti per autorità, ma non ebbi potere più ampio di quelli che mi furono colleghi in ogni magistratura.

35. Quando rivestivo il tredicesimo consolato, il Senato, l’ordine equestre e tutto il popolo romano mi chiamarono padre della patria, decretarono che questo titolo dovesse venire iscritto sul vestibolo della mia casa, e sulla Curia Giulia e nel Foro di Augusto sotto la quadriga che fu eretta a decisione del Senato, in mio onore […].

Seguono nell’Appendice l’ammontare fino all’ultimo sesterzio delle elargizioni fatte di propria tasca al popolo e l’elenco preciso delle grandi opere eseguite – templi, strade, acquedotti, piazze, teatri, ecc. –. Delle spese per giochi, spettacoli e soccorsi ad alluvionati e terremotati – tutte tradizioni italiche che si sono gelosamente conservate fino ad oggi – è andato perduto il conto, ma in ogni caso furono “enormi”.

La doppia etimologia, greca e latina, dell’appellativo “augusto”serba tutta l’ambiguità comunicativa del documento: dal greco “sebastos”, divino, però con questo significato si poteva pronunciare solo in Oriente a cagione dell’antica ritrosia romana ad innalzare gli uomini al livello degli dèi; e dal latino “augeo”, accresco (la ricchezza di Roma), per ammiccare a quell’Occidente che bada al sodo. La quadriga d’oro nel Foro è rispettosamente vuota, finché lui è vivo. Ora è solo Pater patriae: compiuta la missione, egli è ridiventato un comune cittadino; ristabilita la Repubblica, rimane superiore solo per “auctoritas”, non per “potestas. La verità è che, dal 23 a.C., in tale Repubblica, i “principi” si sarebbero fatti rinnovare dal Senato ogni anno, per 500 anni di seguito, la “tribunitia potestas”, ovvero

–          l’immunità,

–          la libertà di legiferare in ogni campo e

–          i comandi esecutivo e militare

(che sono poi tutti i poteri possibili immaginabili), all’interno di una cornice democratica fasulla che dell’antica Roma avrebbe conservato solo i riti ormai stanchi. Fino al crollo finale.

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GIORGIO MASIERO: giorgio_masiero@alice.it Laureato in fisica, dopo un’attività di ricercatore e docente, ha lavorato in aziende industriali, della logistica, della finanza ed editoriali, pubbliche e private. Consigliere economico del governo negli anni ‘80, ha curato la privatizzazione dei settori delle telecomunicazioni, agro-alimentare, chimico e siderurgico, e il riassetto del settore bancario. Dal 2005 interviene presso università italiane ed estere in corsi e seminari dedicati alle nuove tecnologie ICT e Biotech.

27 commenti

    • Giorgio Masiero on

      Prego, Max. Da quando ho conosciuto te e Francesco, e il vostro pallino per la comunicazione, mi si è aggiunto come un altro occhio nella lettura dei libri… e del mondo!

  1. Non posso fare a meno di osservare che negli ultimi decenni la propaganda ha fatto passi da gigante, i “ritocchi” fatti da Augusto in confronto a quello che vediamo adesso fanno quasi tenerezza.

    • Giorgio Masiero on

      La propaganda è uno strumento, cioè “tecnica”, per un obiettivo che coincide con la promozione di un oggetto (un prodotto, un partito, una persona, un’idea). In quanto tecnica, Enzo, penso che da Augusto ad oggi la propaganda sia evoluta né più né meno di quanto sia evoluta la tecnica in generale, come insieme delle tecnologie.
      Però l’uomo, con le sue passioni delle quali la tecnica è al servizio, è sempre lo stesso.

  2. Buongiorno,
    una bella analisi, direi, anche se affermare che a scuola non si parli della propaganda augustea lo ritengo inesatto; nei libri di storia della letteratura latina, e.g., si mettono puntualmente a confronto i circoli di Mecenate e di Messalla, evidenziandone la differenza (seppur non nettissima) fra i rispettivi gradi di autoidentificazione culturale nei fondamenti del Regime (parlando in generale sempre di storia romana, un recente libro di testo liceale di letteratura evidenzia come i vincoli di amicitia – e/o clientela- a Roma fossero sostanzialmente dei legami simil-mafiosi).
    Una domanda curiosa che indirizzo al professor Masiero; come ha integrato nel Suo percorso di studii la formazione scientifica con quella umanistico-filosofica? Ed ha fatto ciò autonomamente od anche sotto la guida di buoni docenti? (spero di non apparire troppo curioso con queste domande…) .

    • Giorgio Masiero on

      Grazie, Alio.
      Non ho scritto che l’invenzione della propaganda “non” sia insegnata a scuola, ma che è “poco” insegnata, rispetto alle altre imprese politiche e militari di Ottaviano. Però può darsi che oggi le cose siano cambiate in meglio rispetto ai miei tempi di studente medio e liceale.
      Quanto alla Sua domanda finale, io devo molto alla scuola media inferiore, nei 3 anni della quale ho avuto una preparazione in italiano, storia, latino, francese e arte assolutamente sopra ogni standard, al punto che in queste materie il liceo si è rivelato poi quasi solo un marginale approfondimento. In quei 3 anni ho anche appreso l’assoluta preminenza della cultura umanistica rispetto a quella tecnico-scientifica. Questa convinzione profonda mi ha permesso che, anche all’università (dove ho frequentato fisica) e soprattutto al lavoro continuassi sempre, per mio conto la lettura e lo studio delle materie umanistiche: filosofia e letteratura classica, prima di tutte.

      • Interessante il fatto della scuola media. Si dice che le scuole medie, pur caotiche, siano uno stadio importante nella formazione. Per quel che mi riguarda, sono state importanti non tanto sul piano formativo (come vanamente sperai) ma su quello umano; quest’ultimo, pure nel bene, ma molto anche nel male ha avuto la sua importanza.
        La ringrazio della risposta.

  3. Non é che Res Gestae furono preparate da qualche scribacchino della corte imperiale, intenzionato più che altro ad incensare il principe?
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    In ogni caso é difficile “rivedere” la figura consolidata di Augusto come “grande” uomo/politico/regnante (non solo sul fronte più prosaico della capacità di saper vendere bene l’immagine del proprio potere); del resto figlio di una altrettanto “grande” donna rappresentata da Azia maggiore. Ricordiamo che la gens Giulia ha fatto la storia…

    • Giorgio Masiero on

      Non trovo alcuna difficoltà a credere, beppino, che Ottaviano si sia scritto le Res gestae di persona. Ne aveva la capacità e l’ambizione.
      Quanto al resto, io sono il primo a riconoscere i meriti della gens Iulia e di Ottaviano in particolare, in campo politico e militare. Come ho scritto all’inizio dell’articolo, qui non mi sono proposto di “rivedere” la figura di Ottaviano, che è a tutti nota nei suddetti campi, ma piuttosto di “integrarla” con una sua impresa poco nota, la creazione della propaganda politica in grande stile.

  4. Giuseppe Cipriani on

    Bello! Corsi e ricorsi…
    In alcuni passaggi, sembra la fotocopia delle moderne rivendicazioni di certi governi berlusconi…

    • Giorgio Masiero on

      Grazie, Cipriani.
      Quanto alle fotocopie, io direi 1) che sono semmai i moderni a fotocopiare gli antichi e 2) che tutti i governi, di ogni colore e di ogni paese, si assomiglino negli stilemi propagandistici, perché si tratta di qualcosa che pertiene alla sostanza del “potere” piuttosto che alla sua forma, data dal governo del momento.

  5. La leggo sempre con grande soddisfazione, prof. Masiero. Sarei anch’io curiosa di avere una sua risposta alla domanda di Alio.

  6. Enrico Lutman on

    @ Giorgio Masiero

    Poichè mi arrivano gli avvisi dei suoi articoli via mail, e possibile risponderle scrivendole una e-mail?

    • Giorgio Masiero on

      Il mio indirizzo email, Lutman, appare in fondo ad ogni mio articolo. Quindi Lei può scrivermi quando e su quale argomento ne ha voglia.
      Se si tratta però di commentare un articolo specifico, sarebbe preferibile a mio avviso che Lei usasse lo spazio pubblico, che è predisposto allo scopo e dove tutti possono godere delle riflessioni di tutti.
      NB. Poiché dei lettori mi hanno scritto in passato chiedendomi di essere avvisati all’uscita dei miei articoli, ho provveduto io di mia iniziativa a farlo per alcuni, tra cui Lei. Poiché però, qualche tempo fa, Lei aveva manifestato forse il Suo disinteresse ad essere avvisato, ho fatto depennare subito il Suo indirizzo dalla suddetta lista. Non credo quindi che Lei abbia ricevuto l’avviso per questo articolo, né che ne riceverà più per il futuro.

        • Giorgio Masiero on

          Rimedio subito, Lutman. Ho disposto che il Suo indirizzo venga reinserito nella lista.

  7. Alessandro Giuliani on

    Caro Giorgio, tu sai quanto ti stimi e quanto in ambito scientifico e filosofico abbiamo delle visioni molto simili ma nel caso di Gaio Ottavio (solo dopo Ottaviano Augusto, ci torneremo..) SONO DEL TUTTO IN DISACCORDO CON TE e, quella che a prima vista sembrerebbe una sorta di ‘propaganda’ sul genere della disinformazione (erroneamente detta ‘imperiale’ ) di oggi, è esattamente il suo contrario.
    Ma andiamo con ordine, e partiamo proprio da Gaio Ottavio jr. che nacque nel 63 a.C. da Gaio Ottavio sr.– che, originario di Velletri, fu il primo della sua famiglia ad ascendere al Senato – e Attia, figlia di Giulia, sorella di Gaio Giulio Cesare. Ora il futuro Ottaviano Augusto, anche da imperatore amava tornare alla sua casa di Velletri e alla sua origine ruspante. Ora , per me che avevo una nonna di Velletri, questo è molto significativo, insomma un velletrano è persona eminentemente pratica, molto terragna, legato alla vigna..l’esatto opposto di quel trombone di Marco Antonio che voleva instaurare un culto della personalità di tipo orientale. (benissimo ha fatto Ottaviano a sterminarne eredi e amante) . Se Marco Antonio avesse vinto ad Azio non avremmo neanche l’ombra non solo dell’Europa e dello stato di diritto ma neanche del Cristianesimo. E’ chiaro che Gaio Ottavio era un finto modesto mostrandosi schivo e non amante del potere, ma, da buon velletrano, sapeva che se si fosse ‘fomentato’ non solo l’avrebbero fatto secco, ma non avrebbe avuto alcuna possibilità di creare quello che ha creato ‘uno stato di diritto’ dove anche la persona più potente del mondo SENTE LA NECESSITA’ DI NON PROCLAMARLO APERTAMENTE (cosa che a Marco Antonio sfuggiva del tutto) in quanto intrinsecamente conscio dell’esistenza di UNA SOCIETA’ di fronte a lui, una società da blandire se vuoi ma non un branco di pecore NESSUNO BLANDISCE UN BRANCO DI PECORE.
    Ora, propaganda, nel suo senso proprio non vuol dire nè ‘pubblicità’ nè ‘disinformazione sistematica’ (questo è il senso che ha acquisito ai nostri giorni) ma ‘propter- agere’ cioè letteralmente ‘agire per uno scopo’ per questo a Roma abbiamo il meraviglioso palazzo Borrominiano della ‘Propaganda Fide’, Quale era lo scopo di Augusto ? Quello di stabilire una ‘ecumene’ cioè far convergere il mondo conosciuto verso una ‘base comune’ di leggi, consuetudini (NON DI RELIGIONI E NEANCHE DI IDEOLOGIE) e infrastrutture in cui le elite locali (e da qui i aggi mutamenti di testo nelle versioni greca e latina delle res gestae nei vari luoghi) si potessero riconoscere e quindi permettere un dominio di Roma NON IMPOSTO CON LE ARMI ma con l’intimo convincimento dei diversi popoli di ‘sentirsi parte’ di un tutto unico.
    E’ riuscito nel suo scopo ? Direi di sì visto che dopo duemila anni l’imperatore delle Russie si faceva chiamare Zar (da Caesar), che Capitol Hill è la collina del Campidoglio, che il termine Palazzo (o Palace) viene dal nome del colle romano del Palatino e che ovunque esiste un Senato…Ma la cosa più importante di tutte è che solo grazie a questa sistemazione ‘propagandistica’ un certo Saulo di Tarso, ebreo della Fenicia, poteva IN QUANTO CITTADINO ROMANO A TUTTI GLI EFFETTI appellarsi al giudizio dell’imperatore ed essere strappato dalle mani dei farisei che ne volevano fare scempio e iniziare la sua predicazione nel mondo. E’ solo grazie all’esistenza di un sostrato culturale comune (e a strade sicure) che gli apostoli potevano diffondere la Buona Novella nell’Impero e farsi capire quando dicevano che ‘non esiste più nè greco nè ebreo, nè schiavo nè libero..’ e non elencare quindicimila nomi di nazioni…
    Insomma globalizzazione ? Certo, ma quale globalizzazione ? Confrontiamola con gli imperi (e con la propaganda) moderni e vedremo subito le differenze, jst to name a few:
    a) Ce lo avreste visto nell’impero inglese un indiano o un pakistano primo ministro ? Nell’impero romano gli imperatori venivano dalla Spagna, dalla Croazia, dall’Africa…
    b) Il prodotto culturale di punta dell’odierna globalizzazione sono Miley Cirus o Lady Gaga, vogliamo confrontarli con Orazio o Virgilio ?
    c) ‘Essere Globalizzati’ ora significa bere Coca-Cola, avere rapporti sessuali il più vari possibile e schifare le proprie tradizioni, ‘essere globalizzati’ al tempo del velletrano voleva dire riconoscere lo stato di diritto.

    Poi chiaramente per imporsi una forma di comando fa guerre e distruzioni allora come oggi, ma mentre ‘gli imperialismi’ moderni si accartocciano su sè stessi, l’unico vero impero è sopravvissuto alla sua morte politica e ancora innerva ogni nostro pensiero universale, sopravvive come cultura di base del Cristianesimo e comunque come idea comune di mediazione possibile convivenza.
    Se per fare questo Augusto ha dovuto esagerare le sue gesta e indorare la pillola non lo trovo per niente disdicevole…….tanto più che il nostro aveva capito che badare alla saldezza della famiglia era una buona cosa per perpetuare una organizzazione stabile, cosa che gli imperialismi di ora neanche si sognano visto che sono consci della loro intrinseca debolezza e quindi l’unica loro speranza di perpetuarsi è la guerra continua e la paura … altro che Pax Augustea !!!!
    Vale

    • Giorgio Masiero on

      Ahi, gli indomabili Volsci! Hic, Velitrae, sunt leones!
      Ti ringrazio, Alessandro, per la stima e l’affetto che come sai sono ricambiati, e per la tua “controrelazione” augustea, piena di passione e per me anche d’interpretazioni e scorci altamente suggestivi, che completano la descrizione della figura storica di Ottaviano e, soprattutto, del lascito perenne di Roma visibile anche ai nostri giorni.
      Io ho commentato le Res gestae come pretesto per soffermarmi sulle “tecniche” immarcescibili della propaganda, tu hai insistito sulla differenza sostanziale degli scopi per cui la propagazione di un sogno si differenzia dalla pubblicità d’un detersivo. Possiamo forse anche dire che l’effetto di un messaggio non è uguale sulle varie persone, in questo caso su un latino e un veneto, o un etrusco e un celta.

    • Interessantissimo! Da ignorantone vorrei commentare: “quindi il fatto che ancora oggi si festeggiano le Feriae Augusti, (festa clamorosamente pagana sopravvissuta al tentativo mai riuscito di sovrapposizione con l’Assunzione) e’ forse un tributo popolare ad un grande statista?”.

      • Giorgio Masiero on

        Grazie, Fabio.
        Se a ferragosto sia rimasta più gente a rendere “tributo” ad Augusto di quanta festeggia l’Assunzione ho seri dubbi. Ne deduco che il “tentativo” di sovrapposizione, se c’è stato, è “riuscito”.

        • Che si festeggi Ottaviano lo dubito anche io. Ma dalla mia personale esperienza non ho mai visto il Ferragosto come festa religiosa, anche se c’e’ la solita cerimonia religiosa “ultracorpo”. Chissa’!

          • Fatto sta che il giorno dopo a Siena c’è il Palio dell’Assunta, non di Augusto 🙂
            Mentre dove di solito mi trovo in vacanza io, nel Sud Italia, ci sono seguitissime “processioni” sul mare con la statua della Vergine portata in barca lungo la costa e il problema è trovare posto sulla spiaggia per vederla passare.

          • Giorgio Masiero on

            “Dalla Sua personale esperienza” di non cristiano, io posso crederlo, Fabio. Ma Lei creda che dalla “mia” personale esperienza, se c’è un motivo per far festa a ferragosto, in parrocchia, in famiglia e con gli amici è solo l’Assunzione di Maria. In ogni caso, riconoscerà che quando si fa festa, solo i cristiani festeggiano per un motivo, in nome di un ricordo cui si considerano radicati nelle generazioni.

          • Giorgio Masiero on

            Anche nel mio comune del Nord Italia, muggeridge, la festa dell’Assunta si fa con grandi solennità religiose e paesane che durano una settimana.

          • Devo rispondere a me stesso perche’ non vedo i reply, ma rispondo a Muggeridge e Giorgio. Ok, allora e’ solo una mia percezione. Comunque anche io provengo da un paesino di mare, del Centro, e anche da me c’e’ la cerimonia in mare. Ma e’ davvero minimamente liturgica. Tanto che ero gia’ grandicello quando ho saputo che il 15 si festeggiava l’Assunzione: non mi ero mai accorto che c’era una valenza religiosa, personalmente la vedevo come una cerimonia dei pescatori, dove le persone venivano invitate sui pescherecci (a volte) e si’, c’era ad un certo punto anche un prete che faceva qualche funzione ma in modo marginale al grande caos del Ferragosto. Anche quando frequentavo la chiesa, non ricordo di essere mai andato a messa il 15.
            Pero’ ok capisco che sono solo mie impressioni personali.

  8. alessandro giuliani on

    Grande Giorgio ! Evidentemente nonostante strenui tentativi di strapparci dalle radici queste resistono e questa è una gran bella notizia !

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