L’ultima superstizione non riguarda i gatti neri o i venerdì 17, e neanche gli oroscopi.
Si tratta di una superstizione subdola perché vestita da scienza.
Intervento al Workshop di Critica Scientifica, 11 ottobre 2014
Ho deciso che inizierò il mio intervento parlandovi brevemente di me e di come sono arrivato a CS. So bene che, di per sé, la cosa non sia molto interessante! È però sempre buona educazione presentarsi prima. Sono laureato in Fisica, con una tesi sull’ottica guidata; sono stato ricercatore precario al CNR dal 1992 al 2001; dal 2001 al 2010 ho insegnato Matematica e Scienze alle medie; attualmente sono insegnante di Matematica e Fisica al liceo scientifico. Tra il 2007 e il 2010 mi sono – per così dire – soffermato a riflettere sulle grandi questioni dell’origine e dell’evoluzione dell’Uomo e dell’Universo. La prospettiva, data la mia formazione scientifica, non poteva che essere rigorosamente galileiana. Dal materiale raccolto in quegli anni è infine venuto fuori un piccolo saggio, che è stato pubblicato nella primavera del 2011. È stato infine grazie ad esso che, nel settembre del 2011, ho avuto occasione di contattare per la prima volta Enzo Pennetta.
Perché vi ho annoiato con la puntigliosità di queste date? Il motivo è semplice: perché ci sono alcune coincidenze abbastanza sorprendenti. La prima è che il sito di CS aveva cominciato l’attività regolare esattamente nella primavera del 2011, lo stesso periodo in cui usciva il fondamentale libro di Enzo, “Inchiesta sul darwinismo”. La seconda è che avevamo lo stesso editore, l’uno all’insaputa dell’altro. Ma la coincidenza per me più sorprendente di tutte era il fatto che, pur seguendo percorsi diversi, eravamo giunti in pratica ad identiche conclusioni sul paradigma darwinista.
Col tempo giunsi a scoprire che avevamo anche dell’altro in comune. In primo luogo, né io né Enzo avevamo mai avuto problemi a conciliare la nostra posizione metafisica (in senso lato) con la scienza che studiavamo, praticavamo e insegnavamo. In secondo luogo, entrambi eravamo cresciuti nella convinzione che la teoria neo-darwiniana avesse ormai detto l’ultima parola in materia di evoluzione biologica; fino a quando, seguendo percorsi diversi, entrambi avevamo scoperto che ogni forma di darwinismo integrale (mi si passi il termine) è fondamentalmente inconciliabile con la scienza galileiana. Infine, nessuno dei due era ed è – decisamente – né un creazionista stile Bible belt né un sostenitore dell’ID. Credetemi, prima di imbattermi in CS avevo temuto di essere molto solo in Italia a pensarla così.
A questo punto proverò a descrivere, molto schematicamente, il percorso che mi ha portato a convergere su CS. Sono partito dall’esaminare il nucleo fondante del neo-darwinismo (la Sintesi Moderna), così come viene oggi universalmente imparato a scuola, visto in TV o letto nella stampa di divulgazione scientifica. Esso si può riassumere all’incirca così: gli errori di copiatura e le mutazioni del DNA degli organismi viventi producono una lenta variazione della distribuzione dei caratteri ereditari in un insieme di organismi; da una generazione all’altra sopravvivono, ovvero si riproducono maggiormente, solo quelli meglio adattati all’ambiente (in senso lato); in questo modo, attraverso le ere geologiche compaiono gradualmente nella biosfera nuovi caratteri, nuovi organi, nuove funzioni biologiche, nuove specie.
Jacques Monod rese paradigmatico tale schema esplicativo nel suo capolavoro filosofico “Il Caso e la Necessità”, del 1971. Secondo Monod, il meccanismo neo-darwiniano dell’evoluzione biologica ha infatti i suoi capisaldi nel Caso e nella Necessità: la modificazione accidentale del patrimonio genetico (Caso) produce – di generazione in generazione – la variazione lenta e graduale dei caratteri ereditari, i quali vengono amplificati e fissati nella popolazione mediante la selezione naturale nelle sue varie forme, compresa quella sessuale (Necessità).
Raccontata così, la storia appare assolutamente pacifica e assodata – sembrerebbe che nulla vi sia da aggiungere o modificare. Almeno, tale risulta nella versione divulgativa, quella che tutti conosciamo; a ben guardare, infatti, la Sintesi Moderna risulta essere un meccanismo scintillante e ben oliato solo se ci si ferma al livello divulgativo. Insomma, il grande successo del paradigma darwinista sembra essere più una questione di efficacia comunicativa che di effettivo potere esplicativo.
Per capire meglio quanto andiamo affermando, è opportuno focalizzarci su un aspetto tecnico della teoria neo-darwiniana. In breve, la Sintesi Moderna afferma che la macroevoluzione (vale a dire, la comparsa nel tempo di nuovi macro-gruppi tassonomici, di nuovi organi, di nuove funzioni…) sia riducibile a una successione di fenomeni di microevoluzione (variazioni nelle dimensioni degli arti, della livrea, differenziazione in sotto-specie…). Scientificamente, la microevoluzione è direttamente osservabile in laboratorio, sia in vivo sia in vitro; la macroevoluzione è invece osservata solo indirettamente, ma attraverso una mole di solidi dati paleontologici. Nessuna delle due forme di evoluzione è dunque da mettere in discussione; viceversa, ogni possibile spiegazione del loro collegamento (ipotizzato dalla Sintesi Moderna come una sostanziale identità) è un’ipotesi da sottoporre all’analisi scientifica – non è un dato di fatto scientificamente indiscutibile, ed è lungi dall’essere dimostrato al di là di ogni possibile dubbio.
Il guaio è che le versioni divulgative della Sintesi Moderna, in genere, portano come prove del meccanismo evolutivo che sostiene (fondamentalmente esprimibile con l’equazione MACROEVOLUZIONE = MICROEVOLUZIONE) solo fenomeni microevolutivi (la Biston betularia, il becco dei fringuelli delle Galapagos, le razze canine…), ipotesi di catene evolutive non supportate da prove sufficienti (l’allungamento del collo della giraffa), o addirittura osservazioni a dir poco dubbie, se non proprio screditate (gli embrioni di Haeckel). Insomma, ci si sofferma su ciò che è dato ampiamente per scontato (il lato sinistro e il lato destro dell’equazione), ma non si tenta mai la traversata del “periglioso golfo” rappresentato dal segno di equivalenza – che poi è il nucleo fondante della teoria neo-darwiniana. Immaginiamo che esistano delle ricerche scientifiche che corroborano tale meccanismo; però non mi è mai capitato di leggerne nella letteratura divulgativa. Possibile che si tratti solo di una difficoltà a livello comunicativo? Voglio dire, potrebbe forse dipendere dal fatto che è impossibile semplificare le prove a sostegno di quell’ipotesi, in modo che siano comprensibili a persone di media cultura? Oppure si tratta del sintomo di problemi più profondi?
A ben vedere, dall’analisi delle ricerche a livello di “state-of-the-art” risulta evidente un aspetto: il potere esplicativo della Sintesi Moderna poggia praticamente solo sul Caso, e quasi per niente sulla Necessità. Intendiamoci, non ci sarebbe niente di male, dal punto di vista scientifico, se la casualità chiamata in causa (mi si perdoni il gioco di parole) appartenesse alla stessa categoria di quella che ha un ruolo tanto centrale in Meccanica Statistica e in Meccanica Quantistica: vale a dire, se si trattasse di una forma di Caso esattamente analizzabile mediante le leggi della probabilità, in cui è sempre definibile a priori una distribuzione matematica probabilistica delle variabili aleatorie coinvolte. È evidente che questo è ciò che accade quando si ha a che fare con la microevoluzione (quindi su scale temporali corte); ma lo studio della macroevoluzione mostra, a posteriori, che nulla del genere è riscontrabile sulle scale temporali lunghe. Tra breve giustificheremo, attraverso qualche esempio, quest’ultima affermazione.
Il Caso da cui dipende in maniera essenziale la Sintesi Moderna è dunque quello meno analizzabile dalla scienza: è niente di più e niente di meno della contingenza assoluta. È il Caso della Storia, il Caso che sfugge ad ogni compiuta analisi statistica e – a maggior ragione – probabilistica.
Il problema con questo tipo di aleatorietà non sta soltanto nel fatto che essa non permette una piena e coerente analisi matematica e quindi scientifica; il problema sta piuttosto nel riconoscimento che il suo studio appartiene al campo della metafisica più che a quello delle scienze naturalistiche. In pratica, quando si fa appello ad una serie di eventi contingenti allo scopo di giustificare un dato accadimento storico, ci si pone automaticamente al di fuori del dominio della scienza sperimentale: non è dato sapere, infatti, se tali eventi siano dovuti effettivamente al Caso (quindi privi di senso, di ordine ovvero di finalità), oppure se dipendano da una qualche Necessità di ordine sconosciuto.
Proviamo a tradurre il ragionamento nei termini della biologia evolutiva. Supponiamo per ipotesi di aver accertato che l’antica comparsa di un dato organo in un certo phylum debba essere dipesa da una precisa successione di mutazioni genetiche mirate. Ebbene, trattandosi di eventi per definizione contingenti, non è possibile discriminare per via scientifica se si sia trattato di una sequenza fortuita di mutazioni genuinamente accidentali (errori di copiatura del DNA, effetti di sostanze mutagene, esposizione a radiazioni) oppure degli effetti di ciò che James Shapiro definisce Natural Genetic Engineering (la risposta, ampiamente non casuale, del sistema complesso del genoma agli stimoli ambientali). Secondo la Sintesi Moderna, ovviamente, quell’organo si deve essere evoluto attraverso un lungo processo di selezione naturale che ha man mano filtrato e amplificato le discendenze dei “fortunati” organismi portatori delle mutazioni “giuste”. Ma ciò non toglie che si tratti di una possibile interpretazione dei dati sperimentali, i quali – di per sé – non sono in grado di escludere la seconda interpretazione che abbiamo citato, né eventuali altre.
E qui sta il vero problema della teoria neo-darwiniana dell’evoluzione. Supponiamo, per ipotesi aggiuntiva, che la paleontologia abbia indicato che la suddetta sequenza si sia verificata nell’arco di pochi milioni di anni, e che magari si sia ripetuta molte volte nel corso della storia evolutiva della Terra. È vero che neanche stavolta la scienza ci permetterebbe di discriminare tra le varie interpretazioni. Si dovrebbe ammettere tuttavia che una stima della probabilità che le cose siano andate effettivamente così deve essere tremendamente bassa: a meno che non si faccia appello ad ulteriori eventi contingenti al momento sconosciuti, e demandando la loro analisi a future ricerche o scoperte scientifiche. Insomma, dal punto di vista della Sintesi Moderna, o quell’evento macroevolutivo è il frutto di un colpo di fortuna sfacciata, oppure deve essere dipeso da qualche fenomeno molto meno improbabile – ma sicuramente anch’esso contingente – che ci si riserva di studiare se si avrà la fortuna di imbattersi in esso nel corso delle ricerche future.
In realtà, questo è proprio quel che succede. La macroevoluzione – in particolare quella dell’Homo sapiens – non può essere spiegata semplicemente nel quadro della teoria neo-darwiniana, ovvero come una statisticamente inevitabile successione di passi microevolutivi. Invece, essa appare dipendere da una lunga catena di colpi di fortuna, assolutamente contingenti e quasi del tutto non quantificabili dal punto di vista probabilistico. Se si limita l’analisi scientifica dei fenomeni biologici al paradigma darwinista, questo è quanto resta della teoria dell’evoluzione: un’interminabile serie di vincite alla roulette.
Vediamo dunque, come promesso, qualche esempio delle “fortune” legate all’evoluzione dell’Uomo:
1. Circa 3,5 miliardi di anni fa: comparsa degli organismi autotrofi e, conseguentemente, delle catene alimentari (carnivori-erbivori-vegetali-detritivori; ovvero: produttori-consumatori-decompositori). In assenza di queste “novità”, non si sarebbe mai potuto produrre l’ossigeno destinato a fornire energia agli animali superiori, né si sarebbe instaurata una biosfera duratura.
2. Circa 1,5 miliardi di anni fa: comparsa delle cellule con nucleo e degli organelli cellulari, secondo la teoria dell’endosimbiosi di Lynn Margulis. In mancanza di ciò, non sarebbero mai potute esistere cellule abbastanza efficienti (dal punto di vista energetico, ma non solo) da poter dare origine agli organismi superiori.
3. Circa 530 milioni di anni fa: esplosione di phyla e comparsa di organismi a simmetria bilaterale con occhi e cervello. Si parla di “Big Bang del Cambriano” perché tali eventi si sono verificati, secondo la documentazione fossile, nell’arco di pochi milioni di anni.
4. L’evoluzione parallela di organi visivi. Ognuno di essi richiede una ben precisa successione di mutazioni genetiche non puntuali.
5. Fenomeni geologici ed astronomici imprevedibili che hanno aperto la strada al successo di nuovi macrogruppi (per esempio l’estinzione dei dinosauri alla fine del Cretaceo).
L’elenco non finirebbe certo qui. Una valutazione esatta della probabilità a priori associata a ognuno di questi eventi è impossibile; è tuttavia senz’altro possibile effettuarne una stima a posteriori, su base statistica o per analogia. È facile intuire che, in ognuno dei casi visti, tale stima risulta essere un numero astronomicamente piccolo. Teniamo presente, poi, che questi sono solo una parte dell’intera catena di accadimenti che si sono succeduti dall’origine della vita sulla Terra alla comparsa dell’Homo sapiens!
La statistica, dunque, indica che il Caso della Sintesi Moderna non sia scientificamente sostenibile come agente creatore di innovazione biologica. Cosa comporta questa considerazione? La risposta può essere data (anzi, deve essere data) sia sul piano scientifico sia su quello filosofico.
Dal punto di vista scientifico, la conseguenza è che, quasi certamente, o siamo i soli esseri pensanti nell’Universo (e in tal caso abbiamo il dovere di continuare a chiederci come mai esistiamo, visto che la probabilità della nostra esistenza sfiora l’impossibilità matematica), oppure devono esistere leggi specifiche della complessità biologica (non ancora scoperte) che costituiscono un superamento della fisica e della chimica oggi conosciute.
Passando al piano filosofico, l’unico modo che la prospettiva metafisica determinista/riduzionista (la base epistemologica del paradigma darwinista) ha per conservare una coerenza logica prima facie è quello di postulare l’esistenza di una quantità illimitata di risorse probabilistiche – vale a dire, quanto meno di un Universo democriteo-epicureo infinito ed eterno. Poiché la scienza sperimentale non sostiene minimamente tale modello cosmologico, una trentina di anni fa ne è stata proposta la versione moderna, che va sotto il nome di Multiverso.
Qui sarebbe necessario prolungare molto il discorso. Basti perciò osservare, per il momento, che il concetto di Multiverso è solo superficialmente in accordo con la scienza galileiana, e per di più incorre in una quantità di difficoltà logiche difficilmente superabili. In pratica si tratta di un’idea che si situa al livello di un sistema di credenze irrazionali e indimostrabili: in altre parole, è una superstizione. Anzi, è l’ultima superstizione a sostegno di un paradigma, quello darwinista, che ha ormai fatto il suo tempo nella scienza.
Michele Forastiere
Qui di seguito sono disponibili le diapositive della presentazione (riversate in PDF)
.
4 commenti
La superstizione secondo il CICAP:
“La superstizione è una sovrastruttura mentale che ha coinvolto l’umanità sin dai primordi, da quando cioè l’uomo ha cominciato a riflettere sulla natura che lo circondava e sugli accadimenti che derivavano da cause le più improbabili.
L’uomo preistorico usava rappresentare, con le sue pitture rupestri, forme con alto valore simbolico, sciamani, animali totemici di forte valenza magica tanto da pensare che le stesse immagini potessero propiziare favorevolmente la realtà.
La sua etimologia deriva dal latino super (sopra) e sistere (stare) ed evidenzia la sua caratteristica di “credenza irrazionale in forze occulte ritenute portatrici di influenze perlopiù negative”; nella sua accezione più ampia indica tutte le credenze e le pratiche che l’esperienza scientifica dichiara irrazionali, ma che continuano a sopravvivere in ampi margini della popolazione.”
.
Una credenza irrazionale che però continua a sopravvivere, niente di più adatto a multiverso e neodarwinismo.
Materiale per il CICAP, se solo si decidessero a studiare la teoria…
Un articolo di esemplare chiarezza e di fondamentale importanza. Andrebbe tradotto in inglese e diffuso. Inoltre, secondo me, potrebbe costituire lo schema per un libro.
I calcoli d’improbabilità si potrebbero eseguire, talvolta esattamente talaltra ricorrendo a massimanti, sarebbero la degna appendice di un tal libro e dimostrerebbero matematicamente la tesi di Forastiere: il darwinismo implica il multiverso, ovvero la fuga nella più grande – per definizione – di tutte le superstizioni.
Che dire: grazie per l’apprezzamento! La traduzione si può senz’altro tentare (magari omettendo le informazioni personali, che davvero non interessano a nessuno…). Anche per quanto riguarda un nuovo libro ci si può stare; penso però che sarebbe interessante se si potesse avvalere di validi coautori come te, Giorgio, ed Enzo, in grado di fornire più preziosi contributi in campo filosofico e biologico, oltre che di prevenire mie eventuali défaillance in tali settori!
Un caro saluto
Io sono un lettore di media cultura (non scientifica), e come spesso accade su CS ho trovato un articolo per me comprensibile (e convincente) di critica al neodarwinismo. Spiace che i neodarwinisti (diversi dei quali leggono quotidianamente il sito, come si è visto) non contribuiscano alla discussione argomentando, con altrettanta capacità di divulgazione, le ragioni del loro dissenso e quindi della difesa della teoria.. Per quello che mi riguarda, cmq, considerate una copia del (possibile) libro già venduta 🙂