L’inutilità dell’approccio darwiniano: abbiamo la faccia diversa per riconoscerci

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Foto segnaletica di Al Capone

Abbiamo il volto diverso per riconoscerci, questa la scoperta pubblicata su Nature.

Ancora una volta la teoria darwiniana si dimostra un’inutile tautologia. Piena inoltre di contraddizioni.

La straordinaria varietà dei volti umani – di gran lunga superiore a quella della maggior parte degli altri animali – è il risultato di una pressione evolutiva destinata a renderci facilmente riconoscibili nell’ambiente sociale complesso in cui viviamo.

Questo è quanto leggiamo all’inizio di un articolo pubblicato il 17 settembre scorso su Le Scienze on line con il titolo “La vita sociale all’origine della varietà dei volti umani“, un’autentica non-notizia e, ancor prima, un’autentica non-scoperta. Intere generazioni hanno sempre saputo che la differenza dei volti è alla base della nostra capacità di riconoscimento, se non ne siete convinti provate a indovinare chi sono io in questa foto:

 

Ovviamente i più attenti avranno riconosciuto un’immagine tratta da Eyes wide shut del grandissimo Stanley Kubrick, ma anche in questo caso nessuno può dire con certezza che da quest’immagine si possa escludere la mia presenza nella foto. Non per niente a Venezia durante il carnevale si indossava una maschera per potersi permettere delle licenze che altrimenti avrebbero comportato qualche problemino. E non per niente anche i banditi preferiscono nascondersi il volto per non farsi riconoscere, a volte basta celare anche solo gli occhi, lo sanno tutti, ma anche i buoni lo fanno quando sono i cattivi a comandare, come ad esempio Zorro che usa da sempre questo accorgimento, un fatto documentato qui sotto:

 

Bene, questa nostra capacità di riconoscerci è nientemeno che uno dei prodotti della selezione naturale, proprio come intuito da Charles Darwin un secolo e mezzo fa, infatti uno studio pubblicato su Nature con il titolo “Morphological and population genomic evidence that human faces have evolved to signal individual identity” ha scoperto che noi non ci riconosciamo dall’odore o dall’udito (che abbiamo meno sviluppati rispetto ad altri animali), ma proprio dalla faccia. E infatti la variabilità morfolgica di questa è superiore a quella di ogni altro aspetto anatomico, come riportato su Le Scienze:

 Analizzando i dati morfologici del viso contenuti in varie banche dati – tra cui l’archivio dell’Army Anthropometric Survey (ANSUR), che dal 1988 raccoglie i dati antropometrici di tutto il personale dell’esercito statunitense – i ricercatori hanno scoperto che i tratti del viso sono molto più variabili di altre caratteristiche del corpo, per esempio la lunghezza della mano. Inoltre, i tratti più variabili si trovano all’interno del triangolo formato da occhi, bocca e naso. 

 

Insomma, la faccia cambia più di altre parti del corpo, ecco perché non ci riconosciamo dalla lunghezza delle mani. Ma come è si è affermata questa caratteristica? Per spiegarcelo ecco venirci incontro la spiegazione darwiniana:

Sheehan e Nachman hanno poi analizzato i dati del progetto 1000 Genome, che ha sequenziato e catalogato quasi 40 milioni di variazioni genetiche tra gli esseri umani di tutto il mondo, concentrandosi sulle regioni del DNA rilevanti per la determinazione della forma del viso. Hanno così scoperto che queste regioni erano interessate da un numero di varianti molto più elevato rispetto ad altre caratteristiche, come l’altezza, che non coinvolgono il viso. La variazione genetica – ha detto Nachman – tende a essere eliminata dalla selezione naturale nel caso di tratti non essenziali per la sopravvivenza. Qui è il contrario: la selezione ha mantenuto ed esaltato la variazione.

 

Insomma, poiché avere la faccia diversa è utile, la selezione avrebbe premiato la diversità, una classica conclusione inutile di una teoria che non spiega nulla: poiché avere la faccia diversa è vantaggioso, il vantaggio ha favorito chi aveva la faccia diversa. Tautologico…!

Una ricerca inutile, potremmo a questo punto concludere. E invece no, la ricerca è utilissima, ma per un altro motivo, soffermiamoci su un’affermazione passata quasi inosservata del brano precedente:

La variazione genetica – ha detto Nachman – tende a essere eliminata dalla selezione naturale nel caso di tratti non essenziali per la sopravvivenza…

Ma come, la selezione elimina i tratti non essenziali? No, non c’è scritto dannosi, c’è scritto proprio “non essenziali”. E come farebbe la selezione naturale ad eliminare un tratto neutro dal momento che per definizione un carattere neutro non è selezionabile? Misteri del neodarwinismo davanti ai quali non si devono fare domande.

L’eliminazione di un carattere neutro minerebbe alla base la teoria neutrale dell’evoluzione che prevede proprio l’accumularsi di mutazioni neutre per spiegare la macroevoluzione, ma minerebbe anche il concetto di deriva genetica che viene unanimemente riconosciuto. Questa ricerca è utile in quanto dimostra come i principi della teoria neodarwiniana possano essere piegati alla spiegazione (inutile) che fa comodo al momento.

E infine una seconda cosa utile è la conferma della sostanziale unità di Sapiens, Neanderthal e Denisova:

I ricercatori hanno anche confrontato i genomi degli esseri umani moderni con i genomi recentemente sequenziati dell’uomo di Neanderthal e dell’uomo di Denisova, trovando una variabilità genetica simile: ciò indica che l’elevata variabilità del nostro viso deve aver avuto origine prima della separazione di questi tre lignaggi.

Anche in questo caso un ulteriore elemento a sostegno della tesi che Neanderthal e Sapiens fossero un’unica specie. In definitiva la ricerca pubblicata su Nature è utile, anche se non per i motivi dichiarati dagli autori.

 

 

 

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Laureato in Biologia e in Farmacia, docente di scienze naturali Nel 2011 ha pubblicato "Inchiesta sul darwinismo", nel 2016 "L'ultimo uomo" e nel 2020 "Il Quarto Dominio".

23 commenti

  1. Caro Prof. leggendo il suo articolo mi e’ venuto in mente il filosofo Levinas, che ha fatto del volto dell’altro il centro della sua filosofia.

    Riporto una sua citazione:
    “Il volto è presente nel suo rifiuto di essere contenuto. In questo senso non potrebbe essere compreso, cioè inglobato. Né visto, e neanche toccato, perché nella sensazione visiva o tattile, l’identità dell’io avvolge l’alterità dell’oggetto che precisamente diviene contenuto. L’altro non è altro di alterità relativa come, ad esempio, le specie, che, fossero pure ultime, si escludono reciprocamente, ma si situano ancora nella comunanza del genere. L’alterità dell’altro non dipende da una qualche qualità che lo distinguerebbe da me, perché una distinzione di questa natura implicherebbe precisamente tra noi questa comunanza di genere che già annulla l’alterità” (Totalità e Infinito, “Il volto e l’esteriorità”).

    Il volto e’ cio’ che rende unico colui che mi sta di fronte. E’ un richiamo continuo al fatto che tra me e lui non c’e’ identita’, omologazione. L’altro e’ completamente altro, e non puo’ essere assimilato a me stesso.

    Scrive ancora Levinas: “Quando mi riferisco al volto, non intendo solo il colore degli occhi, la forma del naso, il rossore delle labbra. Fermandomi qui io contemplo ancora soltanto dei dati; ma anche una sedia è fatta di dati. La vera natura del volto, il suo segreto sta altrove: nella domanda che mi rivolge, domanda che è al contempo una richiesta di aiuto e una minaccia”.

    Questa e’ la radice dell’etica, secondo il filosofo.

    All’origine dell’etica lèvisiana sta l’appello dell’alterità/esteriorità d’altri che significa nel “volto”, in quanto esso mi comanda di aiutarlo nella sua indigenza, nudità, esposizione, fragilità e altezza al tempo stesso.
    L’estraneità-miseria dell’Altro, che si esprime come volto nudo, pone l’io all’accusativo, convocandolo, inquietandolo, mettendolo in questione, è appello etico, “anzi, comando etico incondizionato che trasfigura la miseria altrui nella assoluta “Altezza” del Signore e del Maestro, e rovescia la mia libertà di soggetto egoistico nella libertà di soggetto responsabile, che deve rispondere della miseria altrui”.

    • Grazie Amedeo,
      confesso che non conoscevo Levianas che di nome ma la pagina che ahi riportato mi ha mostrato un autore che andrebbe approfondito.
      E il confronto tra la banalità della ricerca oggetto dell’articolo e la profondità della filosofia che hai riportato è una forte dimostrazione di come la filosofia sia e resti un sapere autonomo e irrinunciabile, contro ogni riduzionismo.

      • Dico di conoscere Levianas ancor meno del professor Pennetta, ma a mio (ignorante) giudizio questi estratti hanno un senso, come posso dire, sofistico” (il volto di un altro è un tipo di alterità che è tuttavia anche comunanza rispetto a me individuo, credo di aver inteso). Non intendo poi la reductio della dignità ed etica dell’anima a quella del volto. Ma, ammetto, dico ciò ignorantemente. Ringrazio comunque l’utente Amedeo per l’interessante argomento proposto (il volto, nella comunicazione umana, detiene comunque una posizione privilegiata -perdonate il modo di dire-) .

        • Anche io non comprendo perchè la differenziazione (o alterità non so a cosa rimandi Levinas con la parola “alterità” )starebbe nel volto,se fosse vero che fosse solo nel volto,perchè due gemelli omozigoti che sono completamente identici, sono comunque diversi?E ammettiamo che uno diventasse buono e non buono,in che senso dipenderebbe dal volto?
          P.S non penso proprio che dall’estetica del volto ci si possano ricavare prescrizioni etiche,ne più ne meno da quelle in cui ricaverebbero prescrizioni etiche dal concetto di bellezza o bruttezza.
          In particolare da descrizioni fisiche non necessariamente si ricavano prescrizioni etiche necessarie,anzi sintetizzando dall’estetica non si ricava necessariamente l’etica.
          Dubito che un volto parli di “bene e male”,fra l’altro non costituisce a mio avviso nè alterità nè differenziazione,perchè se nè fosse il principio allora si dovrebbe spiegar e perchè mai vista l’esistenza di esseri umani con facce identiche vi è comunque l’alterità.E dunque non è necessario che l’alterità dipenda dal volto,mi sembra che la connessione tra le due cose sia più psicologica/sentimentale/poetica piuttosto che razionale.

        • E’ troppo tardi per entrare in analisi profonde, dico solo che a me il brano di Levinas è piaciuto perché ho colto l’essenza del rapporto umano con l’altro, quello che di indicibile è in un volto, quel mistero che nessuna analisi morfologica potrà mostrare.
          Io ho capito questo, però posso aver capito male. 😯

          • Grazie, prof., credo che lei abbia capito molto bene.
            L’alterita’ di chi mi sta di fronte e’ un confine invalicabile e, come tale, un mistero.
            Come sottolinea Levinas, non e’ questione di caratteristiche fisiche. E’ questione di relazione.
            Il volto dell’altro si pone come limite alla mia “volonta’ di potenza” ed e’ un appello continuo al riconoscimento del fatto che chi mi sta di fronte e’ una persona “altra” da me, non e’ una proiezione del mio io o uno strumento per la soddisfazione dei miei bisogni.

            Per capire il pensiero di Levinas, bisogna tener presente che lui e’ un ebreo che ha conosciuto le devastazioni del pensiero totalizzante delle dittature del XX secolo, in particolare di quella nazista.
            Per il filosofo non siamo tutti omologati in un unico “essere” (visione totalitaria), ma siamo alterita’ in relazione.
            Il volto è senso da solo: tu sei tu (nessun altro può sostituirti). Perciò il volto non è “visto”: è ciò che non può diventare un contenuto afferrabile dal pensiero. Il volto significa l’Infinito.
            “Nel semplice incontro di un uomo con l’altro si gioca l’essenziale, l’assoluto: nella manifestazione, nell’«epifania» del volto dell’altro scopro che il mondo è mio nella misura in cui lo posso condividere con l’altro. E l’assoluto si gioca nella prossimità, alla portata del mio sguardo, alla portata di un gesto di complicità o di aggressività, di accoglienza o di rifiuto.”
            Ma se il volto significa infinito, l’altro rimanda, secondo Lévinas, a un Altro unico e trascendente, fonte e fondamento di tutte le relazioni. Che si identifica con Dio, come il Volto trascendente.

  2. Ammetto di essere disorientato , ma non sono state sberle a pugni ad aver modellato il nostro volto ?

    • Caro Emanuele sei un grande. Ti sei meritato un minuto di applauso in piedi.
      Ora torno a sedermi perchè le persone in treno iniziavano a guardarmi male e a chiamare il controllore.
      Grande Emanuele, questa è Signora Ironia. Spero di vederti a Roma l’11 ottobre, ti offro il pranzo.

        • Mi intrometto, utente Emanuele, tentando di non recare eccessivo disturbo. L’articolo, di cui offre il collegamento, reputo essere onestamente qualcosa di molto insensato. E’ giusta la fallacia dell’opposizione fra scienza e spirito, ma poi continua a dire che uno scienziato sia per definizione ateo (perché?), e che la teoria del big bang sia un’insulto (come può una teoria sufficientemente verificata urtare una coscienza? Il discorso sull’entropia, poi, è ingiustificato).
          Mi auguro che qualcuno interessato e più perito di me possa confermare quanto da me detto.
          Comunque sia, credo che articoli del genere siano pur sempre una testimonianza importante di come gli uomini di scienza (anche se spesso illogicamente) continuino ancora ad interrogarsi sull’anima.

          • Giorgio Masiero on

            Condivido il Suo giudizio, Alio, al 100%. E non mi meraviglio che questo “scienziato” formuli nei confronti del II Principio della termodinamica tale disprezzo: in fondo è da quel principio, la legge più sicura di tutta la fisica secondo Einstein, che la cosmologia trae la necessità di un’origine dell’Universo… cosicché chi ha fede in un universo eterno non ha altra strada che mettersi contro quel principio!

          • Nessun problema Alio. Ho consigliato l’articolo a Max, perché mi sembra interessante , ma non sono in grado di esprimere giudizi in merito visto che di fisica so ben poco .
            Maledetta o beata ignoranza ? Alle volte credo sia meglio la seconda opzione ….

          • Certamente, utente Emanuele. Come ho già detto, l’articolo è d’interesse come testimonianza di una corrente di pensiero “contro corrente” (perdoni il gioco di parole) nel mondo scientifico, seppur illogica.

  3. “poiché avere la faccia diversa è vantaggioso, il vantaggio ha favorito chi aveva la faccia diversa. ”

    E’ un argomento circolare,fra l’altro inconcludente dal punto di vista logico ,che si intende per “vantaggioso” ?
    In che senso due gemelli omozigoti (che possono avere faccia identica)sarebbero “svantaggiati” rispetto a due gemelli con faccia diversa?(???)
    Cosa sarebbe “essenzialmente vantaggioso”?

      • Ma secondo me c’è la riposta la più nota:il CASO vuole che sia più vantaggioso.
        E perchè?
        Perchè il vantaggioso è casuale e il casuale è vantaggioso.:-P

    • Giorgio Masiero on

      Come spiegò una volta Popper, la “fitness” darwiniana non è definita a priori (col che la predizione della sopravvivenza dei caratteri più “vantaggiosi” sarebbe controllabile), ma a posteriori, attraverso i caratteri che sono sopravvissuti.
      Quindi:
      – sopravvivono i caratteri più vantaggiosi e
      – si chiamano vantaggiosi i caratteri che sopravvivono.
      Qui sta la tautologia, la banalità che permette al darwinismo di avere sempre ragione come chi dice ‘A = A’. E che gli vieta di fare qualsiasi tipo di predizione…

  4. Sono stato un paio di volte a Taiwan per lavoro ed un collega mi ha detto che noi occidentali siamo tutti uguali, e dire che io pensavo che fossero gli asiatici tutti uguali.
    Evidentemente, nella nostra mente, l’immagine delle persone viene a formarsi nei primi anni di vita quindi riconosciamo solo ciò che, in qualche modo, conosciamo. Se qualcuno deve sviluppare un software o deve fare una ricerca antropomorfica deve tenere conto anche del proprio peso culturale.
    Per concludere, avete mai notato che gli africani sono tutti uguali? 😉

    • Tu dici che se vado a Taiwan con Fratus potrebbero confonderci? 😯

      A parte gli scherzi, ricordo che lo scrittore Francesco Piccolo raccontava che ad Hong Kong c’era uno fissato che lui fosse Nicholas Cage, anche se non è che si somiglino poi molto, adesso forse capisco questa confusione.

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