Articolo pubblicato sul blog “The TOF Spot” di Michael F. Flynn, tradotto e pubblicato con l’autorizzazione dell’autore.
Traduzione: Michele Forastiere.
di Michael Flynn
Un’osservazione banale
Si dice che “noi umani condividiamo più di metà del nostro genoma con i vermi piatti; circa il sessanta per cento con i moscerini e i polli; l’ottanta per cento con le mucche; e il novantanove per cento con gli scimpanzé”.
Ciò dimostra qualcosa di molto importante: vale a dire, quanto poco significhino i nostri geni.
Qualcuno ritiene che quelle percentuali dimostrino che gli umani non sono poi tanto diversi dalle mucche e dalle scimmie. Altri osservano empiricamente che gli umani differiscono clamorosamente da essi – non ci state leggendo sull’internet bovina – e si chiedono se i geni siano una misura significativa di qualunque cosa che non sia fisiologia.
Le grandi rivoluzioni scientifiche, ha osservato una volta Chastek, hanno preso il via dal vedere il significato in cose che erano trascurabili nel loro contesto. La differenza tra un’orbita circolare e le orbite ellittiche reali seguite dai pianeti è trascurabile. La differenza tra gli ordinamenti di Newton e di Einstein conta solo ad alte velocità. Però quella scheggia di differenza conta un bel po’, perfino in una cosa quotidiana come il GPS. Perciò il “delta” tra uomo e scimmia sarà anche piccolissimo, geneticamente parlando – ma nessuno ha mai detto che dobbiamo parlare solo di geni.
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Un guanto di sfida
Nella sezione dei commenti di un notissimo blog, un commentatore che si autodenomina “Ben Goren” ha lanciato un guanto di sfida:
Non mi risulta nemmeno un solo esempio di complessità biologica che metta in dubbio la spiegazione all’interno della cornice darwiniana moderna. Forse voi potreste offrirne uno…?
Questa somiglia moltissimo a un’affermazione che la “cornice” (cioè la “metafisica”) darwiniana non sia falsificabile, dal momento che si può sempre arrangiare una Just-So-Story nel suo contesto. Se questa possa essere una “spiegazione” dipende dall’evidenza empirica che la storia sia mai realmente accaduta. Possiamo ordire un racconto di Come l’Elefante Ebbe La Proboscide, ma ciò solleva la questione se l’elefante abbia davvero ottenuto in quel modo la proboscide. Almeno quando i fisici e i chimici producono storie le muniscono di specifici meccanismi fisici.
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L’evoluzionista molecolare James Shapiro ha deciso di fornire alcuni esempi di cambio evolutivo in cui “abbiamo sufficienti prove molecolari per sapere che non si sono verificati mediante l’accumulo graduale di mutazioni casuali”:
- 1. resistenza multipla agli antibiotici nei batteri;
- 2. origine della cellula eucariotica;
- 3. origine della linea evolutiva degli eucarioti fotosintetici;
- 4. l’“abominevole mistero” della rapida evoluzione delle angiosperme.
Un accesso di sdegno
Il risultato è stato un grande accesso di sdegno nel momento in cui i difensori dell’ortodossia si radunavano per… bé, difendere l’ortodossia.
Ben Goren, un trombettista che fa “un sacco di cose da computer come freelance”, ha dato al noto biologo questa risposta strettamente motivata:
La sua lista mi fa capire che lei soffre di qualche equivoco e/o mancanza di comprensione su ciò che la Teoria dell’Evoluzione mediante Mutazioni Casuali e Selezione realmente sia. Esaminando solo il suo primo punto, per esempio… bé, la resistenza agli antibiotici è un esempio da manuale di evoluzione in pratica, uno di quelli che lo stesso Darwin probabilmente avrebbe predetto (e certamente non ne sarebbe rimasto sorpreso).
Il Fedele Lettore avrà notato la Tattica dell’Adescamento. Shapiro dichiara che i punti citati “non si sono verificati mediante l’accumulo graduale di mutazioni casuali”, mentre Goren afferma che sono “esemp[i]da manuale di evoluzione in pratica”. È come se Maxwell avesse detto che “i due corpi carichi non si attraevano reciprocamente mediante forze gravitazionali” solo per ricevere da Goren la risposta che questo è “un esempio da manuale di moto in pratica”. Bé, sì. “Evoluzione”, come “moto”, è un termine generico. Significa semplicemente che qualcosa si è “dipanato” da qualcos’altro; è il meccanismo preciso tramite il quale il dipanamento si è verificato ad essere messo in questione.
Si noti anche che è de rigeur insinuare che gli eretici siano moralmente o intellettivamente deficienti. Non basta dire, “Credo che tu sia in errore”; si deve gridare, “Sei ignorante”. Perché ciò debba accadere per l’ignoranza dell’evoluzione e non, diciamo, per l’ignoranza della topologia algebrica o della teoria dei dielettrici non è dato sapere. La maggior parte delle persone è in effetti ignorante sulla maggior parte delle cose. TOF [The OFloinn, NdT] ad esempio non sa suonare la tromba. Ma sono pochi gli argomenti per i quali tale ignoranza diventa un’occasione per farsi venire un attacco isterico.
Per la verità, però, questo non si può dire del Dr. Shapiro del Dipartimento di Biochimica e Biologia Molecolare dell’Università di Chicago; non senza una certa malizia. All’affermazione che “lo stesso Darwin probabilmente avrebbe predetto” il fenomeno, il buon dottore commenta asciutto:
“L’idea di Darwin che predice plasmidi coniugativi, trasposoni e integroni mi giunge in effetti del tutto nuova. Tutto ciò che Ben è riuscito a concepire è stata la mutazione casuale nella resistenza agli antibiotici. Era inconsapevole che tali mutazioni sono irrilevanti nell’evoluzione reale e nella diffusione globale dei fattori di resistenza multipla agli antibiotici.”
Shapiro nota “quanto poco importi ad alcuni lettori del blog Why Evolution Is True dell’analisi molecolare dell’evoluzione”. Le intuizioni di un filosofo naturale del XIX secolo bastano allo scopo. La resistenza dei batteri agli antibiotici, dice Shapiro, “evolve mediante trasferimento orizzontale di plasmidi e l’accumulo di fattori di resistenza multipla mediante trasposizione e ricombinazione sito-specifica”, non mediante l’accumulo graduale di mutazioni casuali.
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Un pisello sotto il materasso
Quando era uno statistico di professione, TOF si è sempre interrogato su questa cosuccia della mutazione casuale. Se è davvero-davvero casuale, non c’è stato abbastanza tempo nell’universo per mettere insieme tutta l’evoluzione che c’è stata, lasciando perdere l’abominevole mistero del suo passo. Se dovessimo aspettare che arrivi una mutazione che guarda caso è “benefica”, Godot avrebbe tutto il tempo di arrivare e di annoiarsi.
Shapiro invita Goren a guardare due dei suoi blog sull’argomento. Dopo averne letto uno, Goren replica:
Jim, ho appena letto il primo dei tuoi blog. E, mi spiace, ma non vedo alcuna differenza significativa tra te e Behe.
Questa è l’equazione obbligatoria del dissenso dall’eresia. Torna al tuo posto, rompiscatole, o ti scarichiamo con gli Intoccabili e non ti sarà permesso di sedere al tavolo dei Ragazzi Ganzi a mensa.
Ma l’incapacità di Ben di vedere una differenza potrebbe stare più nella sua miopia che nella vicinanza di Shapiro a Behe. Il trombettista associa il biologo molecolare al paladino dell’ID perché entrambi questi ultimi hanno notato che “manca ancora una spiegazione scientifica completa delle ben documentate relazioni evolutive tra flagelli batterici, apparato di trasferimento del DNA e complessi di iniezione proteica nella patogenesi”. Ma è certamente possibile prendere nota di un fatto e trarne conclusioni diametralmente opposte.
- Behe pensa che questa mancanza indichi un progetto intelligente.
- Ben Goren ha paura che lo faccia. La sua paura che la theokinesis sia l’unica alternativa possibile lo spinge a rifugiarsi nel bunker sotto la Fortezza Darwin.
- Ma Shapiro pensa che la mancanza indichi altri processi naturali, in particolare processi genetici che solo ora cominciamo a comprendere.
Dopo tutto, in quale altro campo della scienza ci fidiamo ancora delle intuizioni di un possidente terriero dell’epoca Vittoriana?
L’uomo nell’argomento
Goren ricorre allora ad un argumentum ad hominem:
Di nuovo, non fai altro che indicare qualcosa che non capisci e ti manca l’immaginazione di tentare un’interpretazione ragionevole, e ti arrendi e insisti che anche tutti gli altri dovrebbero lasciar perdere e unirsi a te nella tua ignoranza.
Oddio. Shapiro ha solo osservato che ci sono altri processi naturali il cui risultato è l’evoluzione delle forme naturali. Come se Maxwell avesse affermato che non tutti i moti della materia ponderabile si spiegano con la teoria newtoniana della gravitazione universale.
Oh, aspettate un momento: l’ha fatto. Ma i fisici hanno risposto dicendo “Bello!”, non accusando Maxwell di essere un negatore di Newton.
Rimanere sui binari nelle landa sconfinata
Quando l’amico Goren ha scritto che l’immunità batterica acquisita è “un esempio da manuale di evoluzione in pratica” ha commesso un esempio da manuale di confusione della teoria con la pratica. Shapiro aveva presentato l’immunità batterica acquisita come un esempio in cui i meccanismi darwiniani non potevano spiegare l’evoluzione, non come un esempio in cui l’evoluzione non avviene. Questa confusione di “evoluzione” con “selezione naturale” è alquanto comune.(*) Ma la prima è un fatto e la seconda è una teoria che intende spiegare il fatto. Questo merita una rivisitazione.
(*) Non per Darwin, a proposito, che evitava entrambi i termini appena poteva. Gli autori di una teoria sono spesso più incerti e sfumati dei loro epigoni che hanno studiato sui manuali.
Nicholas Wade ha recensito un libro di Dawkins in questi termini:
Wade: Sembra che [Dawkins] apprezzi poco la struttura cognitiva della scienza. I filosofi della scienza, che sono gli arbitri di tali questioni, dicono che la scienza consiste in gran parte di fatti, leggi e teorie. I fatti sono i fatti, le leggi riassumono le regolarità dei fatti e le teorie spiegano le leggi. L’evoluzione può stare solo in una di queste categorie, ed è una teoria.
P.Z. Myers gli ha risposto così:
Myers: Cavoli. A queste parole gli scienziati di tutti il mondo si staranno strozzando. I filosofi, per quanto siano carini, decisamente non sono gli “arbitri” della struttura cognitiva della scienza. Sono più come degli spettatori interessati, che corrono a fianco della locomotiva della scienza e che giocano ad acchiapparla per immaginare che cosa stia facendo, e di tanto in tanto urlano avvertenze al macchinista, il quale potrebbe talvolta annuire con assenso interessato ma che più probabilmente farebbe spallucce e ignorerebbe gli accademici stravaganti con tutti quei discorsi prolissi. Personalmente, penso che la filosofia della scienza sia roba interessante, e possa sorprendermi con delle intuizioni, ma la scienza è un’operazione molto più pragmatica, che non fa tanta auto-riflessione. [Enfasi aggiunta]
Socrate una volta disse che non vale la pena di vivere una vita non esaminata; ma Myers sembra vantarsi dei limitati orizzonti mentali che attribuisce agli scienziati. In altre parole, Myers è un tecnico, non un pensatore. Come facciamo a saperlo? Perché se ci avesse riflettuto non avrebbe mai usato la metafora della locomotiva-della-scienza. Se la locomotiva è la scienza, si dovrebbe tener presente che la locomotiva segue dei binari stesi da qualcun altro e può andare solo nei posti già raggiunti dai binari. Cattiva metafora, cattiva! Vai nella tua stanza.
Ma chi sono quei filosofi che Myers vede sbuffare e ansimare accanto al motore mentre dicono al suo vigoroso macchinista baconiano che i fatti e le teorie sono distinti? Dei veri e propri zeri, come Poincaré, Mach, Einstein e simili, che non sono adatti a guidare il ciuf-ciuf di P.Z. Myers.
Il Paziente Lettore comprenderà se TOF presta più attenzione ai simili di Poincaré.
Fatti e leggi e teorie, oh mamma!
Tuttavia, a parziale difesa di Myers, bisogna dire che egli è probabilmente abituato ai Soliti Sospetti che equiparano “teoria” a “congettura folle”. Ma la reazione istintiva a questa stupidaggine è asserire che una Teoria ben comprovata possa in qualche modo essere promossa a Fatto. Così una follia genera il suo Gemello Malvagio.
Ma non è questo che Poincaré, Mach e gli altri volevano dire con Fatto e Teoria. Le teorie sono storie o racconti nel contesto in cui un dato insieme di fatti “ha un senso”, e da cui si possono dedurre le leggi matematiche. (E Feynman sottolineava che un fisico ha sempre in mente più di una teoria, ognuna delle quali predice lo stesso insieme di fatti, ma che differiscono nella loro capacità di ispirare nuove idee). Perciò,
- i corpi che cadono e l’evoluzione sono Fatti.
- la gravitazione e la selezione naturale sono Teorie.
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Vermi nella mela
Blyth per primo propose la selezione naturale come il meccanismo che manteneva la fissità delle specie. Essa vagliava le variazioni che rendevano una specie meno adatta alla nicchia che già occupava. Darwin prese la sua idea e immaginò che se una variazione (in qualche modo) “benefica” dovesse (in qualche modo) apparire, lo stesso processo di selezione propagherebbe (in qualche modo) la variazione benefica, producendo così un’evoluzione. Darwin non disse che Blyth ci aveva quasi preso, oppure che Blyth non aveva visto le piene ramificazioni della selezione naturale. Non nominò per niente Blyth; nemmeno nella Sesta Edizione, dove ebbe modo di dire cose carine perfino di Lamarck.
C’era solo un problema.
I fatti non sostenevano Darwin.
Peccato, ti è andata male
- Nello specifico, la teoria della selezione naturale prediceva una lenta evoluzione graduale, ripiena fino alle branchie di forme di transizione. Invece, la registrazione fossile mostrava specie che apparivano improvvisamente da Schenectady e poi rimanevano allegramente [Blythe-ly = blithely, NdT] fisse fino a che arrivavano ciabattando fino a Buffalo. Replica di Darwin: i Fatti avevano torto. Via via che si scopriranno nuovi fossili, affermò, riempiranno i buchi con transizioni. Non l’occasionale anello mancante, badate bene. Con il suo meccanismo, le specie di transizione sarebbero dovute venire a due al centesimo.
- La teoria non spiegava come le variazioni benefiche potessero fissarsi in una specie. Si pensava che l’ereditarietà avvenisse mediante un “mescolamento” dei tratti della madre e del padre. (Ecco perché si parla di “sangue” e “lignaggio”). Se è così, un cambiamento benefico fortuito verrebbe presto diluito nel “lignaggio” e si perderebbe in poche generazioni – a meno che (ancora più improbabilmente, a meno di essere Lamarck) il cambiamento apparisse in un gran numero di individui nella stessa generazione.
Ignorato da Darwin, un monaco agostiniano di nome Greg Mendel, addestrato nella dura scienza della fisica, aveva già condotto un esperimento progettato in biologia e aveva scoperto leggi matematiche che mostravano che l’ereditarietà è digitale, non analogica. Qualche “unità di eredità” affine agli atomi o agli elettroni trasportava i nuovi tratti e poteva annidarsi in una popolazione per riapparire ad una generazione successiva. Gli ibridi delle piante di piselli verdi e gialle erano verdi o gialle, mai chartreuse. Non c’era “diluizione”. L’obiezione “diluizione” non si poneva nemmeno.
Questo sistemava la seconda obiezione; ma la prima era rimasta. Via via che si scoprivano altri fossili, le lacune si rifiutavano ostinatamente di riempirsi. Talvolta si scoprivano “fossili viventi”, come i celacanti (*), che si pensavano estinti da settanta milioni di anni e ora si onoravano come “specie minacciata”; (**) una specie che è durata quattrocento milioni di anni con pochissimi cambiamenti.
(*) Nota: l’articolo indicato usa erroneamente l’espressione “petizione di principio”. Aargh!
(**) “Specie minacciata” è un termine artefatto che significa “Capperi, non si vedono molti di questi schifi in giro”. Sembrano esserci due popolazioni di celacanti, una in Indonesia, l’altra al largo della costa africana. Le due popolazioni si separarono o trenta milioni di anni fa (se credete alla geologia) o cinque milioni di anni fa (se credete alle “impronte” genetiche). In entrambi i casi, molto dopo la supposta estinzione delle specie. Per essere una specie minacciata, il vecchio camminatore-sulle-pinne sembra notevolmente resistente.
Non c’è stata “assenza di cambiamenti” nel celacanto. La deriva genetica si verifica, il che sembra spiegare perché siamo finiti con due specie moderne di celacanto. Ma la deriva genetica non è la selezione naturale. Se la nicchia ecologica a cui il celacanto era adattato non cambia, c’è qualche ragione per supporre che il vecchio camminatore-sulle-pinne debba cambiare? È come una posizione L5 in un sistema gravitazionale. Serve una forza applicata per allontanarsene.
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L’evoluzione passa al digitale
Darwin era ben consapevole di entrambe le obiezioni, ma non aveva capito che la somiglianza implicita tra loro sta nell’assunzione di evoluzione analogica invece che digitale. E se l’evoluzione fosse come l’ereditarietà – o come la maggior parte della fisica, se è per questo – che procede per salti quantici piuttosto che mediante lente variazioni incrementali? A quel punto, la granularità della registrazione fossile smette di essere un problema, anzi perfino un’obiezione all’evoluzione.
Il corso dell’evoluzione, come quello del vero amore, non è mai liscio. La registrazione fossile rimane ostinatamente catastrofica (nel senso matematico della teoria topologica delle “catastrofi” di Thom). Come osservò una volta Niles Eldrige, è irragionevole supporre che le forme di transizione appaiano sempre dietro le quinte. La teoria delle catastrofi [vedere per esempio la catastrofe a cuspide, qui sopra]mostra come il moto lungo la varietà multidimensionale dei punti di equilibrio possa produrre una variazione improvvisa nello spazio degli stati anche se i cambiamenti nello spazio parametrico sono graduali.
Certamente, sembra ragionevole supporre che i fatti (fossili) abbiano ragione e la teoria (gradualismo) torto. Dopo tutto, il gradualismo era un’assunzione a priori usata per concepire la teoria e perciò non può essere una conclusione derivata dalla teoria.
Presente alla nascita
Ci sono un certo numero di assunzioni a priori che vengono oggi scambiate per conclusioni “provate dalla scienza”. Shapiro le riassume come segue:
- Allo scopo di combattere gli argomenti pseudo-teleologici di William Paley in favore di un orologiaio divino, gli evoluzionisti esclusero rigorosamente dalle loro teorie ogni idea di attività orientata a un fine.
- Per stare al passo con la termodinamica matematica del XIX secolo, essi insistettero sulla casualità a livello microscopico come base degli effetti macroscopici.
- Nel momento in cui il pensiero evoluzionistico venne a patti con la genetica mendeliana nella Sintesi Moderna neodarwiniana, adottò il pensiero meccanicistico che aveva prevalso in seguito all’intenso dibattito Meccanicismo-Vitalismo degli inizi del XX secolo.
Si noti che tutte e tre sono scelte metafisiche. Non sono conclusioni derivanti dallo studio della materia. L’ironia è che queste scelte venivano fatte all’incirca nello stesso momento in cui i fisici stavano cominciando ad abbandonarle.
- Il comportamento finalizzato stava ritornando in fisica nella forma delle funzioni potenziali, dei bacini d’attrazione e simili. Il pensiero meccanicistico uscì dalla porta posteriore quando la teoria quantistica entrò a grandi passi dall’ingresso principale. (Vedere il carteggio Heisenberg-Lukacs per i dettagli).
- Neanche la casualità a livello microscopico potrebbe più reggere. Le cosiddette “mutazioni” potrebbero essere dirette da meccanismi cellulari che Shapiro definisce “ingegneria genetica naturale” (un termine parallelo a “selezione naturale”). Gli statistici sanno che la casualità non è mai causa di alcunché; è solo una descrizione di ignoranza. Nella sua “Nobel Lecture”, Friedrich von Hayek disse:
Complessità organizzata qui significa che il carattere delle strutture che la mostrano dipende non soltanto dalle proprietà dei singoli elementi di cui sono composte e dalle frequenze relative con cui appaiono, ma anche dal modo in cui gli elementi singoli sono collegati uno all’altro. – “The Pretence of Knowledge” (1974) [Enfasi aggiunta]
Il Fedele Lettore riconoscerà in “il modo in cui gli elementi singoli sono collegati uno all’altro” un richiamo alle cause formali aristoteliche e in “i singoli elementi di cui sono composte” un richiamo alle cause materiali aristoteliche. Von Hayek specificamente identifica in ciò la biologia e l’economia in contrapposizione alla fisica e alla chimica:
“le scienze sociali, come molta biologia ma diversamente dalla maggior parte dei campi delle scienze fisiche, hanno a che fare con strutture di complessità essenziale, cioè con strutture le cui proprietà caratteristiche possono essere esibite solo da modelli costituiti da numeri relativamente grandi di variabili.”
[Per commenti aggiuntivi sulla complessità organizzata e disorganizzata (e la semplicità organizzata!), vedere Yang ed el-Haik, “The components of complexity in engineering design.”]
- I Meccanicisti prevalsero sui Vitalisti poiché questi ultimi “non riuscivano a spiegare la natura della loro ipotetica forza vitale speciale”. Ciò culminò in The Meaninglessness of the Terms Life and Living [La mancanza di significato dei termini vita e vivente] (1937) di W. Pirie [e più recentemente su Scientific American, “Why Life Does Not Really Exist” (trad. su Le Scienze, con il titolo “Perché la vita, in realtà, non esiste”)]e nella replica sardonica di Charles DeKoninck “The Lifeless World of Biology” in The Hollow Universe (1964) in cui affermava contro i meccanicisti che in realtà c’è una differenze tra vivo e morto.
Shapiro osserva che “il resto del XX secolo e l’inizio del XXI hanno dato una svolta finemente ironica al dibattito filosofico”.
Nel momento in cui la biologia molecolare avanzava, cominciava a scoprire reti multi-molecolari sempre più complesse e avanzate che svolgono attività sensoriali, comunicative, regolative e decisionali all’interno e tra le cellule. Allo stesso tempo, gli sviluppi nel XX secolo della cibernetica, dei computer e dei sistemi elettronici di elaborazione dell’informazione hanno cominciato a fornire esempi concreti di capacità che i vitalisti vedevano all’opera negli organismi viventi. La rivoluzione dell’informazione era arrivata alla biologia. [Enfasi aggiunta]
Indeterminazione nell’evoluzione
Consideriamo i tre grandi phyla animali: Nematodi (vermi cilindrici), Artropodi (insetti & C.), e Vertebrati (bestie).
- I vermi cilindrici fanno la muta.
- Le bestie hanno un coelum (cavità corporea).
- Gli insetti hanno il coelum e fanno la muta.
Non è logicamente possibile che sia la muta sia il coelum si siano evoluti solo una volta. Una deve essere un caso di evoluzione convergente. Una scuola di pensiero sostiene che il coelum si sia evoluto una volta nell’antenato degli insetti e delle bestie, mentre i vermi cilindrici da un lato inventavano la muta. Poi gli insetti si separarono dalle bestie e reinventarono la muta indipendentemente. Una seconda scuola di pensiero sostiene che la muta si è evoluta una volta, in un antenato comune di insetti e vermi, mentre da un lato le bestie sviluppavano un coelum. Poi più tardi gli insetti svilupparono un coelum. C’è un profondo disaccordo su quale dei due phyla condivida l’antenato comune, lasciando stare quanto tempo fa esso visse.
Gli alberi ricostruiti non vanno meglio quando si usa la “distanza genetica” invece dei tratti grossolani. È sempre possibile più di un “albero della discendenza”. Confondere la questione è evoluzione convergente.
Topi!
Per esempio, ci sono stati tre tipi di “roditori”.
1. Tritilodonti. Durante il tardo Triassico, una famiglia di rettili simili ai mammiferi si sviluppò in rettili simili specificamente ai roditori. Essi variavano dalla taglia dei topolini a quella dei conigli, avevano incisivi allargati seguiti da un varco e poi una batteria di molari a cuspide multipla in modo molto simile ai roditori moderni. Durarono cinquanta milioni di anni, fino al medio Giurassico.
2. I multituberculati possedevano una dentatura simile ai tritilodonti, ma erano mammiferi con tutti i crismi. Subentrarono ai tritilodonti nel medio-Giurassico e prosperarono fino al tardo Eocene. Sono stati il gruppo di mammiferi di maggior successo di tutti i tempi, e l’unico gruppo di mammiferi che si è completamente estinto.
3. Veri roditori. Cominciarono a prosperare mentre i multituberculati cominciavano a svanire. Alcuni roditori preistorici, come il telicomio, avevano la taglia di un rinoceronte. Santo cielo!
Fondamentalmente, fin dall’apparire delle piante con semi c’è stato sempre almeno un gruppo di bestioline atte a mordicchiare le parti dure; e tutte sfoggiavano lo stesso piano generale del corpo e della dentatura, anche se una era un rettile. (Dunque i mammiferi sono comparsi una volta e si sono diversificati nella nicchia dei roditori mentre i tritilodonti incassavano le loro fiches evolutive? Oppure una varietà di rettili simili ai mammiferi si evolvevano indipendentemente in mammiferi equivalenti simili ai mammiferi?)
Il Coltello della Selezione Naturale intaglia gli stessi pioli rotondi per gli stessi buchi rotondi. Ci deve essere nell’evoluzione qualcosa che “punta verso” soluzioni simili agli stessi problemi ambientali. Talvolta ciò è inquietante. I mammiferi placentati ci hanno dato i gatti dai denti a sciabola; i marsupiali il Thylacodon.
Un gene dovrebbe
Le variazioni trasmissibili per via ereditaria sono la causa materiale dell’evoluzione. Vale a dire, esse forniscono la “materia” su cui l’evoluzione lavora. Lamarck, Darwin, ed altri, non avevano alcun indizio del perché alcune variazioni fossero ereditabili e altre no. Con la riscoperta dell’opera di Mendel all’inizio del ‘900, fu inventato il “gene”. (Alla lettera: fu un’astrazione invocata come unità d’eredità. Nessuno sapeva se aveva esistenza fisica o, come gli epicicli, era solo un concetto utile che faceva “funzionare” le cose). La gente cominciò a immaginare che le “mutazioni” nelle bestioline riflettevano differenze nei “geni”. Ora, invece di criticarle come pigre e inette, si diceva che certe persone avevano “cattivi geni”. In un certo senso questo era peggio. Si può, con uno sforzo, diventare non-pigri.
Negli anni ’50 fu scoperta la forma, o struttura, del DNA e si poté esaminare come la variazione (κινέσις) o la “mutazione” nascesse a livello molecolare. La semplicistica idea di “un gene per il verde” che cambiava in “un gene per il giallo” divenne più sfumata via via che la complessità delle strutture genetiche diventava più evidente. Mentre si scopriva che i geni erano tanto più complessi quanto più in profondità si scavava, l’intera ipotesi del modello casuale/termodinamico cominciava a diventare insostenibile. Ci sono meccanismi all’interno del gene che agiscono in modi decisamente non-casuali. Non è proprio per niente come le molecole di un gas.
La doppia elica può anche essere meravigliosamente semplice, ma le stesse triplette nel codice genetico possono essere “parti” di più di un “gene”; e il “gene” può includere triplette in posizioni diverse nella molecola. Ciò si può illustrare con la seguente analogia:
il gene X1 contribuisce al solo tratto Y1. Ma il tratto Y1 è influenzato anche dai geni X3, X4, X7 e X8. Il gene X3, a sua volta, influenza i tratti Y2, Y3 e Y4; e così via. Un ingegnere genetico che cerchi di ottimizzare Y1 (qualunque cosa ciò significhi) potrebbe giocherellare con X1 e aver successo; ma se dovesse stuzzicare anche X3, incasinerebbe tre altri tratti per ottimizzare il primo. Un racconto apparso su ANALOG, di cui ho dimenticato il titolo, descriveva una donna che era stata progettata per la bellezza ed era finita per essere bellissima… e sorda. In effetti, TOF ha scritto un racconto per l’antologia Captive Dreams dal titolo “Hopeful Monsters”, che tratta proprio di questo tema. Ma stiamo divagando.
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Muori, gene egoista! Muori!
Lungo la strada verso il nirvana meccanicistico è successa una cosa buffa. Una volta si pensava che i geni fossero le planimetrie da cui venivano costruiti gli organismi (costruiti da chi? Una planimetria non si realizza da sola). Poi divenne chiaro che nessun genoma aveva in sé abbastanza informazione da includere un insieme di planimetrie! Al contrario, dovevano essere più simili a regole minimaliste che generano “comportamento emergente”.
Ma anche le planimetrie hanno bisogno di un’impresa di costruzioni per leggerle. Al massimo il codice genetico è la causa formale della struttura; non ne è la causa efficiente. Qualcosa “legge” il DNA e costruisce le proteine. Al di fuori di un corpo vivo, il DNA è solo una molecola.
Ci sarà pure pochissima distanza genetica tra uomini e scimpanzé; ma non c’è proprio nessuna distanza tra cavallette e locuste. Queste ultime sono solo cavallette “diventate Hulk”. Se non sapessimo in anticipo che sono le stesse identiche bestioline, saremmo tentati di classificarle come specie diverse. Lo stesso genoma è usato da entrambe. La differenza è che ciò che il genoma fa dipende dagli stimoli ambientali entro cui lo fa. Vale a dire, il fine del genoma non è determinato verso una qualsiasi cosa, ma verso una serie di potenze, e quale di queste si realizza dipende da “fattori epigenetici”. Citando dall’articolo:
Questi cambiamenti di fase ([da cavalletta a locusta]…) si verificano quando l’affollamento stimola un picco temporaneo dei livelli di serotonina, il quale causa cambiamenti nell’espressione genetica così diffusi e potenti da alterare non soltanto il comportamento della cavalletta ma anche il suo aspetto e la sua forma. Le zampe e le ali si restringono. La tenue colorazione mimetica diventa vistosamente sgargiante. Il cervello cresce per gestire il mondo sociale dell’animale, recentemente complicatosi, il che include il fatto che, se una locusta si muove troppo lentamente in mezzo a milioni di cugini, i cugini che si trovano direttamente dietro di lei possono mangiarsela.
Come accade ciò? Succede qualcosa ai loro geni? Sì, ma – e questo era il punto della conferenza di Roger – in realtà i loro geni non cambiano. Cioè, non mutano o alterano in qualsiasi modo la sequenza genetica o il DNA. Niente viene riscritto. Il DNA di questo insetto – il libro genetico con milioni di lettere che formano le istruzioni per costruire e far funzionare una cavalletta – viene riletto in modo tale che proprio lo stesso libro diventa quello delle istruzioni per far funzionare una locusta. [Enfasi aggiunta].
Questo è quanto per i geni egoisti. Che significa “selezione” quando il gene non è l’unico determinante dei risultati? Cosa viene “selezionato” – e come? Probabilmente una nuova serie di equivoci sul termine. Invece di restare a bocca aperta piena di meraviglia davanti a un altro livello di complessità nel mondo, la gente della sola genetica prenderà a spintonate la gente dell’epigenetica e i suoi “genotipi estesi”. Nossignore, TOF li sente dire, le convinzioni dei vecchi tempi sono le migliori convinzioni. Battete le mani!
Datemi quella buona vecchia genetica!
Datemi quella buona vecchia genetica!
Datemi quella buona vecchia genetica!
Va più che bene per me!
Andava bene per Fratel Darwin.
Andava bene per Fratel Darwin.
Se andava bene per Fratel Darwin,
Va più che bene per me!
Scusate. Per un attimo TOF si è fatto prendere la mano.
Un altro esempio dell’indeterminazione del genoma è l’esperimento con le pulci d’acqua con l’elmetto. In natura, questi cappucci duri sulla testa delle pulci le rendono leggermente meno attraenti per i pesci predatori. Nell’esperimento venivano usate due popolazioni clonate, geneticamente identiche. Una era messa in acqua alterata con un composto chimico caratteristico del pesce predatore; l’altra in un recipiente con acqua pura. Le pulci nel primo contenitore svilupparono l’elmetto; ma quelle nel secondo no. Fondamentalmente, se non c’erano segnali chimici della presenza del predatore, le pulci non usavano il loro genoma per lasciarsi crescere l’elmetto, sebbene le stesse “istruzioni” fossero presenti in entrambi i gruppi. Parte dell’informazione usata dalla pulce era “al di fuori della pulce”.
Un esempio finale che abbiamo già visto è la lucertola italiana, che su un’isola priva di piante era insettivora e cannibale, mentre su un’isola ricca di vegetazione diventava erbivora e sviluppava un nuovo organo per digerire nutrienti vegetali – nello spazio di venti anni!
Tutto ciò indica che le evoluzioni possono aver luogo rapidamente – sebbene TOF supponga che non sia vero per tutte – e possano essere alquanto importanti, subitanee e mirate a un fine. Non l’accumulo graduale di piccole variazioni casuali. Il nuovo organo sviluppato dalle lucertole non è stato una mutazione casuale: si dovrebbe aspettare a lungo perché questa si verifichi. Era finalizzata alle nuove circostanze della lucertola, e tirata in ballo in qualche modo epigenetico da stimoli ambientali. Né si trattava di un organo preesistente modificato gradualmente per un nuovo scopo. Questo sarebbe esposto alla critica della “trappola per topi” dell’ID: l’organo modificato avrebbe dovuto essere almeno adatto alla sopravvivenza a tutti gli stadi della sua trasformazione. Ma se il genoma possiede meccanismi di “ingegneria genetica naturale” l’intera teoria del progetto intelligente se ne va giù per lo scarico. Le mutazioni non sono casuali, e il cambiamento non è graduale. Gli equilibri punteggiati non hanno bisogno del meccanismo darwiniano descritto da Eldrege e Gould.
Sette cose simpatiche che abbiamo imparato sulle origini della variazione ereditaria dal 1953
Shapiro elenca sette intuizioni chiave che hanno sconvolto la vecchia visione “atomica” dei geni e che mostrano come la biologia molecolare sia andata oltre i modelli meccanicistici del XIX secolo per arrivare ai modelli cibernetici della fine del XX secolo.
- Il cambiamento del genoma non è il risultato di errori stocastici ma di un’azione biochimica (ovvero cellulare).
- Componenti genomiche provenienti da discendenze differenti possono essere combinate.
- Il cambiamento del DNA è un processo non-casuale, che risulta da operazioni biochimiche ben definite, ognuna delle quali lascia una firma caratteristica nella struttura del DNA. Nell’insieme, esse sono definite operatori di “ingegneria genetica naturale” (“natural genetic engineering”, NGE).
- Gli operatori di NGE possono essere attivati o inibiti da fattori epigenetici.
- Gli eventi di ingegneria genetica naturale possono essere mirati all’interno del genoma.
- I cambiamenti evolutivi del DNA si verificano rapidamente a tutti i livelli genomici di complessità. Questi cambiamenti sono spesso combinatori e generano funzionalità innovative.
- Le cellule mettono in atto eventi di ristrutturazione del DNA intenzionali (orientati ad un obiettivo) durante i normali cicli vitali in maniera non casuale, ma anche non deterministica.
Queste scoperte minano alla base le precedenti assunzioni di orientamento privo di obiettivo, mutazione casuale e variazione graduale. Le mutazioni casuali in realtà non si verificano tanto spesso, e la cellula possiede meccanismi per riparare tali difetti. Shapiro indica numerosi collegamenti ad articoli che sostengono queste interpretazioni. Alcuni ricercatori di Princeton, per esemoio, hanno scoperto che “le stesse proteine agivano per correggere qualsiasi squilibrio che venisse loro imposto attraverso mutazioni artificiali e riportavano la catena al corretto funzionamento”.
Shapiro propone un meccanismo che definisce ingegneria genetica naturale in analogia alla selezione naturale di Darwin come meccanismo per le evoluzioni delle specie. Non è una situazione del tipo “o così, oppure così”, è del tipo “sia così, sia così”. La selezione naturale è sempre stata nell’aria: una dichiarazione che qualcosa succede, ma non altrettanto una descrizione di come succede. Dopo tutto, Darwin non aveva mai sentito parlare di geni, tanto per cominciare. L’ingegneria genetica naturale fornisce i processi molecolari mediante i quali queste cose accadono. Questo dovrebbe far piacere ai meccanicisti dei vecchi tempi, ma c’è una curiosa reazione di chiusura a riccio davanti a tutto ciò. Qualcuno ha osservato che “ingegneria genetica” fa apparire magicamente un progettista intelligente nel termine “ingegneria”, dimenticando forse che il termine “selezione” fa esattamente la stessa cosa. (*)
(*) La critica sollevata da atei come Jerry Fodor contro la teoria darwiniana è precisamente che “selezione” e “adattamento” sono troppo dannatamente teleologici.
Se non dobbiamo attendere mutazioni “benefiche” “casuali”, allora l’intero argomento non-c’è-tempo-per-l’evoluzione le becca di santa ragione. Se il cambiamento genetico è improvviso e (almeno potenzialmente) importante, tutto l’accumulo graduale di mutazioni sparisce e la mancanza di transizioni fossili nelle rocce diventa aspettato invece che inesplicabile.
Applicazioni per la fantascienza
Lasciamo perdere le lucertole, le locuste e le pulci d’acqua con l’elmetto. Che dire delle persone?
Quali stimoli epigenetici potrebbero causare la trasformazione di Bruce Banner in Hulk? O far sì che Peter Parker sviluppi i suoi fighissimi poteri da ragnetto? Potrebbe qualche fattore ambientale spingere gli umani a sviluppare “elmetti” o nuovi “organi” o far nascere individui che li possiedano (con i termini genericamente intesi)? Sia Gully Foyle (in Destinazione stelle di Alfred Bester) sia Davy (in Jumper di Steven Gould) scoprivano la capacità di teletrasportarsi trovandosi in una situazione di pericolo mortale. Se la realtà non è mai proprio così drammatica, non potrebbe produrre qualcosa del genere? Il metrosessuale dal petto liscio è una conseguenza del riscaldamento globale? L’irsutismo sarebbe più comune se il clima diventasse più freddo? Fino a che punto il clima può realizzare delle potenzialità già presenti nel genoma?
E gli zombie? Sono le locuste umane che si ottengono quando il sovraffollamento fa sì che i nostri genomi siano riletti in modo diverso?
Cosa ci farà qualche generazione di vita nello spazio? Le condizioni di caduta libera agiranno come grilletti epigenetici che portano a improvvise “non-mutazioni” adattate alla “vita in zerogì”, come nel caso di Abd al Aziz Corrigan e la dottoressa Fransziska Wong nel mio The Wreck of the River of Stars?
Se l’evoluzione è digitale invece che analogica, potremmo veleggiare senza cambiamenti mentre gli stimoli ambientali a cui il nostro genoma reagisce variano gradualmente. Poi passiamo un confine di fase e – bang! – all’improvviso i nostri bambini sembrano… diversi.
Bibliografia
- Begley, Sharon. “Water-Flea Case Shows That Ability To Adapt Is What’s Really Innate,” Wall Street Journal (22 April, 2005)
- Briggs, Matt. “New Poll Says 40% Don’t Believe In Evolution. So What.” Statistician to the Stars (4 Jan. 2014)
- Chastek, James. “Free will as negligible” (Just Thomism, 12 Jan. 2013)
- Coyne, Jerry. “Nicholas Wade’s ridiculous prescription for curing creationism“. whyevolutionistrue, (Nov 28, 2012)
- DeKoninck, Charles. “The Lifeless World of Biology” in The Hollow Universe (1964)
- Dobbs, David. Die, selfish gene, die! Aeon Magazine (2 Dec. 2013)
- Fodor, Jerry. “Why Pigs Don’t Have Wings,” London Review of Books, v. 29 no. 20 (18 Oct 2007)
- von Hayek, Friedrich. “The Pretence of Knowledge” (Nobel Lecture, 1974)
- Johnson, Kimberly, Lizards Rapidly Evolve After Introduction to Island. National Geographic News (April 21, 2008)
- MacPherson, Kitta. “Evolution’s new wrinkle: Proteins with cruise control provide new perspective,” News at Princeton (Nov. 10, 2008; 10:00 a.m.)
- Shapiro, James A. Rethinking the (Im)Possible in Evolution. Progress in Biophysics and Molecular Biology (2013)
- Singer, Emily. “A Comeback for Lamarckian Evolution?” MIT Technology Review (4 Feb. 2009)
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29 commenti
L’articolo di cui si era parlato quì:
http://www.enzopennetta.it/2014/01/la-gastrite-di-jerry-coyne-intellettuali-e-scienziati-vogliono-pensionare-il-darwinismo/#comment-22520
Già, proprio quello, prepariamo un altro Maalox per Coyne e Co…
Un’altro periodo interessante è:
“Dopo tutto, il gradualismo era un’assunzione a priori usata per concepire la teoria e perciò non può essere una conclusione derivata dalla teoria.”
Da collegare con la attivazione de-attivazione di geni e adattamento plastico all’ambiente.
e da collegare ad un altro periodo che dalle locste può essere esteso per riflettere su eventuali ignoranze(come in parte suggeriva anche mcCarty):
” Se non sapessimo in anticipo che sono le stesse identiche bestioline, saremmo tentati di classificarle come specie diverse”
Ma nonostante tutto,queste osservazioni vedono ancora lontanissimo il mistero della “macro evoluzione”,ma molto più vicina l’analisi libera dei fatti.
Che è comunque il punto su cui in ogni caso si deve partire.
‘I darwinisti insistono perché tutti ci uniamo a loro nell’accettazione dell’ignoranza che, con la parola “caso”, essi chiamano scienza’: bello, TOF!
Shapiro pone chiaramente 6 (+1) questioni che stanno di fronte alla biologia evolutiva, opposte alla stocastica autoreferenziale di moda in Italia, che oltre ad essere in conflitto con la disponibilità di tempo fisico è diventata un intralcio al progresso scientifico. Esse mi ricordano i macigni che, un secolo fa, determinarono il crollo della fisica classica, meccanicistica e l’avvento della fisica moderna, quantistica. Per questi motivi, il XXI secolo sarà quello di una biologia razionale, emancipata dai miti uguali e contrari del darwinismo e del creazionismo, e fondata su pure basi scientifiche, ovvero che fanno appello esclusivamente alle prime 3 cause aristoteliche.
La soluzione delle prime 6 questioni sta nella fisica, non nella chimica. La settima però, dott. Shapiro, non può essere scientificamente posta, perché l’intenzionalità è una categoria filosofica.
allora non si sa nemmeno se il genere homo deriva dagli scimpanze’,praticamente nulla e’ certo?
Qualcosa si sa: che non deriva dagli scimpanzé.
esiste,tornando indietro nel tempo una classificazione certa di antenati nelle specie oppure ci sono opinioni scientifiche troppo diverse?e poi una domanda un po curiosa,ma la vegetazione,gli alberi,le piante essendo classificate come viventi come si sono evolute?
Questo articolo, anche nel suo stile informale, è una miniera di epistemologia della biologia. Grazie, Michele, per averlo reso disponibile anche a chi non conosce l’inglese.
Esistono “evoluzioni” in chimica? No, solo REAZIONI. E quando 2 sostanze reagiscono per dare una terza, per es.
H2 + (1/2)O2 = H2O,
le sostanze reagenti NON HANNO NULLA IN COMUNE con la sostanza prodotto, perché l’acqua è acqua, e l’idrogeno e l’ossigeno sono cose completamente diverse. L’atomismo ottocentesco non lo sapeva (né lo sanno i biologi moderni che non conoscono la fisica moderna), ma noi sappiamo oggi che cosa fa dell’acqua acqua, e che l’acqua non è la somma delle proprietà dell’idrogeno e dell’ossigeno! Ci sono di mezzo i campi…
La chimica infatti è fisica, più esattamente fisica dello scambio di elettroni dell’ultimo strato. Ciò che i chimici chiamano ossido-riduzione.
E la fisica? Esistono “evoluzioni” in fisica? No, in fisica esistono solo TRASFORMAZIONI. Per es. la trasformazione beta
protone -> neutrone + positrone + neutrino
non è un’evoluzione, ma una trasformazione. Se l’avessero conosciuta Darwin o Boltzmann avrebbero detto, nel loro atomismo meccanicistico, che il protone “è fatto” di un neutrone, di un positrone e di un neutrino. Ciò non è vero perché esiste anche la trasformazione
neutrone -> protone + elettrone + antineutrino.
Tutte le sopradette particelle sono “elementari”. Semplicemente non evolvono gradualmente l’una nell’altra, ma trasmutano.
L’assunzione del gradualismo appartiene al cuore del darwinismo e alla sua concezione atomistica, derivante dalla fisica dei tempi di Darwin. Il gradualismo è falsificato dalla fisica contemporanea. Se negli anni ’40 del secolo scorso Schroedinger ha insegnato la chimica e la teoria dell’informazione ai biologi, urge qualcuno che insegni la fisica dei quanti ai biologi del XXI secolo.
Lo dico a me stesso: forse dovremmo finire di usare in biologia la parola evoluzione, e invece parlare di “trasformazione”. E’ questione di igiene scientifica. Ma ci ritornerò, proprio in riferimento agli ultimi studi (peer per view) post-darwiniani della fisica dei viventi.
“Lo dico a me stesso: forse dovremmo finire di usare in biologia la parola evoluzione, e invece parlare di “trasformazione”. ”
Sarebbe un po’ strano visto che lo usò già Lamarck nel 1809,e che faceva proprio riferimento ad un fenomeno di tipo graduale…
Ma se la gradualità NON PUÒ ESISTERE, nell’origine delle specie, non si può parlare di evoluzione in senso stretto, giusto?
In effetti, ciò che Shapiro suggerisce (e che io farò vedere sulla base della fisica quantistica) è che una micromutazione casuale
– di regola viene assorbita dall’organismo e non trasmessa ereditariamente;
– in casi particolari distrugge l’organismo;
– in condizioni particolarissime, ecco il meccanismo quantistico perfettamente deterministico post-darwiniano, può innescare una macromutazione fenotipica con aumento d’informazione.
Interessantissimo, prof. Masiero, questo discorso di una micromutazione casuale che provoca, se ho ben capito, la precipitazione di una macromutazione con effetti di riorganizzazione della materia vivente. Sarebbe la confutazione del darwinismo e dell’intelligent design in un colpo solo. Due piccioni con una fava.
Ho capito bene?
C’entra la meccanica quantistica?
A quando il suo articolo?
Le rispondo, Anna, con “sì”, “sì” ed “entro marzo, spero”.
P.S. Proprio ieri uno scienziato d’oltre Atlantico ha scritto ad un collaboratore di CS: “Why there are attempts to undermine your group’s credentials regarding the most up-to-date synthesis is I believe for two reasons. One, some scientists actually believe they can extend the Darwinian synthesis, so they might think that you are simply not up to speed (however, you and I know they are deluding themselves on this), the second reason, as I am sure you already know, is that they must feel threatened because you are asking the right questions (and of course that is a good thing, as that is what science is all about, questioning assumptions)…
“Why there are attempts to undermine your group’s credentials regarding the most up-to-date synthesis is I believe for two reasons. One, some scientists actually believe they can extend the Darwinian synthesis, so they might think that you are simply not up to speed (however, you and I know they are deluding themselves on this), the second reason, as I am sure you already know, is that they must feel threatened because you are asking the right questions (and of course that is a good thing, as that is what science is all about, questioning assumptions)…
La prima cosa l’abbiamo vista accadere proprio ancora una volta di recente.
Direi che ci ha preso..
“Ma se la gradualità NON PUÒ ESISTERE, nell’origine delle specie, non si può parlare di evoluzione in senso stretto, giusto?”
No.Sarebbe impossibile usarlo in quel caso.
Shapiro(http://www.ibs.it/ame/book/9780133435535/shapiro–james-a-/evolution:-view-from.html)
Parte proprio dalla domanda delle domande:
‘Come emerge il nuovo nell’evoluzione?’
E cosa scrive?
Un’ovvietà che avremo ripetuto svariate volte,cioè:
“Senza variazioni e novità, la selezione non ha nulla su cui agire”
Shapiro che aveva fatto notare anche un’altra cosa che abbiamo detto più volte:
“mutazioni accidentali localizzate, selezioni operate un gene alla volta e modifiche graduali di funzioni individuali non possono spiegare in modo soddisfacente come tanta complessità, modularità e integrazione sia sorte e modificata nel DNA durante la storia della vita sulla terra. Ci sono semplicemente troppi potenziali gradi di libertà per la variabilità casuale e troppe interconnessioni di cui dare conto. Per quanto lungi sia il tempo che si assume per questi cambiamenti”
Per sviluppare un modello,per così dire,neo-lamarckiano in cui l’attenzione dal dna si sposta un po’ anche sulla cellula e sulla “comunicazione” fra questi e l’ambiente.
C’è un però..Shapiro parte da casi di adattamenti plastici all’ambiente dovuti a “attivazione e de-attivazione di geni”.
Cosicché lui già parla di novità con una certa accezione.
Il problema è se questi possano essere coinvolti nella formazione di novità vere nel concreto,ma non solo,se possano esserlo ancora oggi o in futuro..
E Coyne non si è trattenuto vs Shapiro:
http://old.richarddawkins.net/articles/646837-james-shapiro-goes-after-natural-selection-again-twice-on-huffpo
Che ritira fuori Lenski come “novità”
Cioè quello che volevo sottolineare è che l'”ingegneria naturale” di Shapiro elenca processi che avvengono nel genoma e dice che essi siano quelli usati dalle cellule come strumenti per l’ingegneria naturale.
Niente su come facciano o possano fare a farlo.
Nessun modello di alcun tipo per spiegarne il funzionamento.
Lo stesso concetto di ingegneria naturale non viene ben definito.
Non viene neanche mostrato uin caso dove se ne vedrebbero gli effetti,o se viene fatto,viene fatto “erroneamente”..
Poi i neodarwinisti,in generale,più che da queste cose sono stati più “infastiditi” da ‘rapporti’ fra Shapiro e il Discovery Institute,ma sono arrivate critiche anche in tal senso.
Alla fine è un po’ come il concetto di evolvibilità sia come il concetto di intelligenza dell’ID.
Ma c’è un nuovo ‘però’, che è un po’ il suo Masiero,ovvero che la fisica potrebbe dare “risposte”,o qualcosa di simile,in questa direzione.
Già un po’ ci aveva pensato:
http://www.helsinki.fi/~aannila/arto/
Però Masiero a qualcuno ciò piace veramente poco,guardi un po’ cosa riservano per voi fisici alcuni biologi:
http://molbiohut.wordpress.com/2012/12/10/arrogance-of-physicists-towards-biology/
😀
Quel che credo sia possibile constatare è che ancora ci siano diverse cose da scoprire e chiarire sull’origine delle varietà e su vari processi microevolutivi.
Quando arriverà maggior chiarezza in merito,forse anche in una cooperazione fra biologia-chimica e fisica ci saranno più basi per cercare di comprendere,se sarà possibile,qualcosa sulle macro-evoluzioni,e quindi anche sulla vita stessa..
Leonetto detto cosi e’ davvero complicato e mi fai capire che e’ e sara’ difficile dare una risposta all’evoluzione ed in piu’ i darwinisti tralasciano molte spiegazioni importanti
Leonetto buonasera la gradualita’ vuol dire che non si trovano reperti in cui per esempio si trova un cranio con forme intermedie tra una specie ed un altra?
Prendendo spunto da uno stralcio di un’affermazione di Myers contenuta nell’articolo, che ha catturato la mia attenzione:
“ …i filosofi, per quanto siano carini, decisamente non sono gli “arbitri” della struttura cognitiva della scienza. Sono più come degli spettatori interessati, che corrono a fianco della locomotiva della scienza e che giocano ad acchiapparla per immaginare che cosa stia facendo, e di tanto in tanto urlano avvertenze al macchinista, il quale potrebbe talvolta annuire con assenso interessato ma che più probabilmente farebbe spallucce e ignorerebbe gli accademici stravaganti con tutti quei discorsi prolissi… ”.
Sarebbe opportuno che il suddetto tenesse presente che se oggi l’uomo si occupa di scienza, della materia e della realtà immanente, è anche grazie a qualche filosofo e teologo che in periodo tardo antico ed anche medievale ha affermato, dopo lunghe cogitationes e contro visioni dualistiche (es.: di stampo manicheo), che la materia è parte della realtà e che è bene occuparsene come parte del creato; Galileo in seguito, scienziato e filosofo, nel XVII secolo ha impostato alla base il metodo sperimentale, come percorso per approfondire la conoscenza della realtà fisica.
Se non ci fossero stati questi “ingegneri” che hanno posizionato i binari, probabilmente oggi la locomotiva della scienza non viaggerebbe così veloce e di macchinisti (cioè gli scienziati) ce ne sarebbero pochi.
allora se gli scimpanze’ non sono i nostri progenitori perché sono cosi simili a noi forse abbiamo antenati in comune e sono quindi nostri cugini?
Vorrei abbassare per un momento il livello del dibattito notando la finezza della canzoncina “Datemi quella buona vecchia genetica!”, citazione della canzone all’inizio del film “Inherit the Wind” (“E l’uomo creò Satana”), film di cui il professor Pennetta ha già parlato in alcuni interessantissimi articoli (ovviamente la canzone del film – un Gospel – è “Give me that old-time religion”, ma la parafrasi era obbligatoria, oltre che divertente e azzeccata) 🙂
Dopo il libro di Monod, che è veramente bello, profondo ed ammaliante – un intreccio in bello stile di scienza e filosofia -, è invalso l’uso di sintetizzare il darwinismo moderno nel binomio “caso e necessità”. Per dire che le assunzioni per spiegare l’origine delle specie sono in quella teoria 2: il caso, come motore della novità di organi e organismi, e le leggi di natura, come garanti della loro (temporanea) stabilità.
(La selezione naturale è tautologia, indegna di apparire in un libro di scienza: vince il più forte, perché si chiama più forte quello che vince!)
Ma in ogni teoria scientifica, o che aspira ad esser tale, ci sono sempre miriadi di assunzioni nascoste, di ipotesi recondite, entrate così profondamente nelle formae mentis che non è facile stanarle…, per sottoporle al test di controllo che si deve in ogni teoria scientifica.
Tutti gli articoli dell’almanacco di Micromega sono pregni di queste assunzioni, senza che i redattori (in buona fede) se ne rendano conto: cosicché la tesi (naturalistica) che credono di dimostrare nei loro teoremi coincide con l’ipotesi da cui erano partiti! Ciò che credono si scoprire in natura è solo un parto del loro cervello.
Ebbene, c’è una terza assunzione nel darwinismo, che finora abbiamo data per un “fatto” ed invece è solo un’ipotesi che va soggetta come le altre al controllo dei fatti: è il “gradualismo”, ovvero l’accadere del nuovo attraverso “piccole” mutazioni. Il gradualismo si trasferisce nella parola “evoluzione”: con questa parola il “fatto” delle evidenze fossili asincrone a complessità crescente diviene subdolamente la “assunzione” che la speciazione è avvenuta per “piccole” mutazioni casuali.
Quindi
darwinismo = 1) gradualismo + 2) caso + 3) necessità.
Il superamento del darwinismo passerà attraverso la scoperta del meccanismo fisico quantistico all’origine della vita vegetativa e delle sue “trasformazioni” (non “evoluzioni”), un meccanismo che falsificherà il gradualismo ed eliminerà l’ignoranza nascosta sotto la parola caso.
Sempre più vedo che viene fatta confusione tra la teoria completa delle sue varie parti e singoli punti di essa, c’è chi per la teoria intende la selezione naturale e chi la discendenza da un antenato comune, ma in genere nessuno mette insieme tutti i punti necessari, escludendo di preferenza la comparsa per caso dei nuovi caratteri.
Monod era di ben altro livello, il caso lo ha messo bene in evidenza al primo posto.
Posso chiedere perché sarebbe scientifica una spiegazione che onorasse le prime tre cause aristoteliche, e non dunque anche la IV: la causa finale?
Molte grazie
Cordialità
Perché, Giampaolo, il “fine” (se c’è) di un processo naturale sfugge agli strumenti di misurazione della scienza empirica, che ha bilance, metri, orologi, ecc., a sua disposizione, ma nessuno strumento in grado di misurare, anzi nemmeno d’individuare, “scopi”.
Il fine è fuori della portata della scienza. Ma solo gli illogici possono dedurre l’inesistenza dell’elemento “f” dalla sua non appartenenza ad un insieme limitato “S”.
Per questo motivo è sofistica l’affermazione di Pievani & C di “assenza di fine dimostrata per via scientifica”. Come è sofistica quella opposta dei creazionisti, di “presenza di fine dimostrata per via scientifica”.
Molte grazie per la risposta, Prof. Masiero, puntuale e precisa.
Le confesso che, da filosofo (dunque outsider e tendenzialmente impiccione), sono un po’ in difficoltà ad accettare che la scienza si appiattisca sulla misurabilità, sul solo aspetto quantitativo.
Comprendo e apprezzo lo sforzo in qualche modo popperiano di recuperare le cause finali all’esterno della scienza, dopo aver delimitato la portata di quest’ultima, e capisco il non-sequitur logico del neo-darwinismo a-teleologico.
Mi pare però un po’ troppo fisicalista la tesi secondo la quale il fine sia non scientificamente considerabile. Provo ad esemplificare (se scrivessi castronerie me ne scuso in anticipo). Un moto naturale è necessariamente orientato, ha una direzione, un fine, secondo il vocabolario di Aristotele, che sviluppò infatti un’interessantissima teoria dei moti naturali.
Il fine dello sviluppo embrionale, presente in potenza anche nel proprio dna, è l’espressione del proprio fenotipo, più in generale la biologia non può prescindere dal considerare le finalità dei processi organici che studia, e queste eccedono gli elementi di cui constano.
In termini sempre aristotelici, se la scienza si configura come tale per il sistematico studio delle cause, la causa finale è la prima nell’ordine ontologico, l’ultima in quello gnoseologico, ma sempre di causa parliamo.
Capisco che la scienza moderna, sperimentale nel senso che Galileo ha dato al termine, cerchi di escludere questo ambito, attestandosi al quantitativo, ma esisteva una scienza pre-galileiana ed esiste, per fortuna, anche un post Galileo. Voglio dire che scientifico non deve per forza far rima empiristico, per tacer del fatto che anche dei fini è possibile far esperienza, basta intendersi sul concetto di esperienza, non riducendolo a quello di esperimento, che ne è una decurtazione.
Grazie ancora per l’attenzione e per questa interessante possibilità di interlocuzione.
Cordialmente
Sono del tutto d’accordo con Lei, Giampaolo, ed è questa una ragione per cui la filosofia è superiore alla scienza empirica e giudice del suo senso.
L’equivoco nasce dall’uso ambiguo che si fa dei termini “scienza” e “scientifico”. Purtroppo viviamo in Occidente un’epoca in cui la scienza non ha più il senso pieno della filosofia scolastica, ma è fatta coincidere con la tecnoscienza. Per quanto possiamo, cerchiamo in CS di igienizzare il linguaggio usando i termini scienza naturale, o scienza empirica, o tecnoscienza, ecc., per riferirci a quelle procedure che seguono il metodo galileiano quantitativo.
Per l’aggettivo “scientifico”, ci siamo invece rassegnati all’occupazione manu militari che ne ha fatto la tecnoscienza, mentre ci teniamo stretto in serbo l’aggettivo “filosofico” quando lo intendiamo in senso largo.
Grazie a Lei.
PS. Questo è il meno comunque, Giampaolo. Si pensi che ci sono in giro tutta una serie di “filosofi”, che spacciano per scientifiche (in senso galileiano!) le loro interpretazioni naturalistiche…
Il suo Post Scriptum mette il dito nella piaga, purtroppo.
Che ci siano scienziati, diciamo così, un po’ troppo rapidi a trarre conseguenze da “sensate osservazioni” non fa problema, è nell’ordine delle cose; ma che ci siano filosofi che avallino, spacciando per scientifiche e fondate, specifiche interpretazioni, oltretutto sempre quelle, questo è un problema reale: lo scadere della filosofia in sofistica.
Lo vedo nel piccolo del nostro istituto, dove spesso, quasi senza accorgersene, quando si tratta di valutare la cogenza o anche solo l’attendibilità di un argomento, non ci si chiede più se sia fondato, come usava fare tra filosofi, ma se sia scientifico, come se tra i due domini vi fosse completa identità.
Mi permetto una chiosa off topic, stimolato da un suo intervento di critica verso un certo utilizzo del concetto di analogia, adottato dal Prof. Strumia nell’ambito di un rapido testo su scienza, verità ed epistemologia.
Consideri la nozione classica, platonico aristotelica di analogia, proprio come anà (superiore) logos, quella cioè di argomento di ordine superiore, all’interno del quale risulta comprensibile l’ordine di grandezza inferiore. Questa teoria dell’analogia sarà poi fatta propria da S. Tommaso e la Scolastica successiva (il Caietano soprattutto) estendendola all’essere e agli enti. Intendo dire il rapporto tra i modelli di conoscenza, teologia, filosofia e scienza è comprensibile come rapporto di analogia, dove ogni disciplina si trova in rapporto con la propria “superiore” e inferiore secondo un anà-logos, un logos superiore è per questo simile, ma non identico. Cogliere i tratti di somiglianze e dissomiglianze è un tratto epistemologicamente proficuo e, soprattutto, riprende quello splendido stile scolastico che le ho visto, con gran piacere, così spesso elogiare.
Mi scuso per la divagazione
Cordialità
Sono d’accordo, Giampaolo. Aggiungo due postille.
Chi sono preferibilmente i sofisti che poggiano i propri argomenti sulla (presunta) scientificità, piuttosto che sulla cogenza, ecc.? Proprio coloro che meno sanno dei meccanismi e dei limiti del metodo scientifico, che mai sono entrati in un laboratorio, e che non sanno su quali basi precarie vorrebbero basarsi, perché ignorano la falsificabilità sempre dietro all’angolo di ogni teoria scientifica (abbagliati dai gingilli della tecnica come bambini coi balocchi)!
La seconda riguarda il ragionamento fatto da Strumia, che io condivido se è inteso in termini di interdisciplinarità; ma da cui invece mi distinguo, se in qualche misura implica un’ibridazione del metodo galileiano delle scienze naturali con altri metodi di conoscenza. Per me la filosofia, ed in questa la metafisica, ha sempre la prima e l’ultima parola.