Edward Feser è uno scrittore e filosofo di Los Angeles ed insegna filosofia al Pasadena City College. Si occupa principalmente di ricerca nei campi della filosofia della mente, filosofia politica e morale, e filosofia della religione.
Si interessa anche di politica e cultura, scrivendo da un punto di vista conservatore, e di religione dalla prospettiva della tradizione Cattolica.
I suoi articoli vengono ospitati anche su National Review, First Things, TCS online, Crisis, Public Discourse ed altri, e dal 2008 gestisce il suo blog personale raggiungibile all’indirizzo www.edwardfeser.blogspot.com
Teleologia
Una guida all’acquisto
di Edward Feser
Department of Philosophy
Pasadena City College
Pasadena, California
(traduzione di Jacques de Molay, testo originale all’indirizzo http://www.epsociety.org/userfiles/art-Feser%20(Teleology)(1).pdf)
Abstract. La teleologia è una questione di primo piano nei dibattiti in corso in ambito di filosofia della mente, teoria dell’azione, filosofia della biologia e anche nella disputa tra i teorici dell’Intelligent Design e i naturalisti darwiniani. Purtroppo, i contendenti spesso parlano senza capirsi e semplificano eccessivamente la questione, non riuscendo a riconoscere le differenze tra le diverse teorie teleologiche che i filosofi hanno sostenuto nel corso della storia, e tra i differenti fenomeni naturali che potrebbero essere definiti teleologici. In questo documento vengono individuati 5 possibili teorie della teleologia, e 5 livelli diversi di natura in cui la teleologia potrebbe esistere. Un’attenzione particolare è stata riservata alle differenze tra l’approccio aristotelico-tomista alla teleologia e quello proprio della teoria dell’Intelligent Design.
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Il telos è il fine o l’obiettivo verso cui un oggetto o un processo è diretto. Le nozioni teleologiche occupano una posizione di particolare rilievo nei correnti dibattiti in filosofia della biologia, filosofia dell’azione, filosofia della mente e filosofia della religione. I naturalisti solitamente sostengono che le descrizioni teleologiche dei fenomeni naturali sono false oppure, se vere, sono riducibili a descrizioni espresse in termini non-teleologici. I non-naturalisti generalmente affermano che vi siano alcuni fenomeni naturali che mostrano una teleologia irriducibile. Ad esempio, i teorici dell’Intelligent Design (ID) sostengono che certi fenomeni biologici non possano essere propriamente compresi se non come il prodotto di un’intelligenza che li abbia progettati per svolgere determinate funzioni.
La situazione controversa della teleologia, nella filosofia moderna, nasce dalla visione meccanicistica del mondo naturale che i primi moderni, come Bacone, Galileo, Descartes, Hobbes, Boyle e Locke, introdussero in luogo della filosofia aristotelica della natura che aveva caratterizzato la Scolastica medievale. Seguendo l’insegnamento di Aristotele, gli Scolastici ritenevano che per comprendere a pieno una sostanza materiale fosse necessario identificare ognuna delle sue “4 cause”. Ogni sostanza è, anzitutto, un composto irriducibile di forma sostanziale e materia prima (irriducibile perché, dal punto di vista scolastico, forma sostanziale e materia prima non possono essere intese indipendentemente dalle sostanze che compongono, rendendo l’analisi olistica piuttosto che riduzionista). La forma sostanziale di un oggetto è la sua natura o essenza, la base metafisica che sottende alle sue proprietà e poteri causali; è la causa formale dell’oggetto. La materia prima è qualcosa di altrimenti privo di forma che assume la forma sostanziale che viene istanziata nell’oggetto concreto, separatamente dal quale la forma sarebbe una mera astrazione; è la causa materiale dell’oggetto. Ciò che porta l’oggetto all’esistenza costituisce la sua causa efficiente. E il fine o l’obiettivo verso cui l’oggetto è naturalmente diretto è la sua causa finale.1
Come l’ultima frase indica, il concetto di causa finale è strettamente legato a quello di telos e quindi al concetto di teleologia. Ma l’avverbio “naturalmente” sta ad indicare come la nozione di causa finale si differenzi da altre concezioni di teleologia. Per Aristotele e gli Scolastici, il fine o l’obiettivo di una sostanza materiale è ad essa intrinseco, qualcosa che possiede proprio in virtù di ciò che l’oggetto è per natura. Pertanto, non è da intendersi sul modello di un manufatto umano come un orologio, le cui componenti non hanno alcuna tendenza intrinseca, nello specifico, a segnare il tempo, cosa che deve essere loro imposta da un progettista esterno. Ad esempio, che il cuore abbia la funzione di pompare il sangue è vero semplicemente in virtù dell’essere il tipo di sostanza materiale che è, e rimarrebbe vero sia che abbia Dio come sua causa ultima o meno.
I pensatori che hanno fondato la filosofia e la scienza moderne rifiutarono questa visione della natura. In particolare, rifiutarono i concetti di forma sostanziale, di materia intesa come ciò che assume tale forma e di causa finale come fine intrinseco o telos di un oggetto. Delle 4 cause aristoteliche, solo la causa efficiente fu lasciata in una forma più o meno riconoscibile (e comunque il concetto è stato alterato in maniera significativa, poiché, come vedremo, gli Scolastici ritenevano le cause efficienti collegate alle cause finali).2 Gli oggetti materiali furono ripensati come costituiti interamente da microscopiche particelle (da intendersi sia nell’ottica atomistica, corpuscolare o della teoria del plenum) prive di qualsiasi finalismo intrinseco e la cui causa di interazione veniva spiegata esclusivamente secondo un meccanismo di contatto di tipo reversibile. Nel corso dello sviluppo della filosofia e della scienza moderna questa “filosofia meccanica” subì varie trasformazioni. L’inadeguatezza filosofica del modello di interazione causale per contatto divenne presto evidente alla luce della critica di occasionalisti, humeani e altri; e in ogni caso il modello non riuscì a sopravvivere alle difficoltà empiriche poste dalla gravitazione newtoniana, dall’elettromagnetismo e dalla meccanica quantistica. Ciò che è chiaramente sopravvissuto sino ai nostri giorni, della rivoluzione “meccanicistica” anti-aristotelica, è il rifiuto della teleologia come caratteristica intrinseca dell’ordine naturale. Come il filosofo della scienza David Dull ha scritto: “Il meccanicismo nella sua forma più estrema è chiaramente falso poiché molti tra i più ordinari fenomeni fisici non possono essere spiegati interamente in termini di masse in movimento. La meccanica è solo una piccola parte della fisica. Storicamente, le spiegazioni furono definite come meccanicistiche per indicare che non si faceva alcun riferimento a cause finali o forze vitali. In questa debole accezione, tutte le spiegazioni scientifiche attuali sono meccanicistiche”.3
I filosofi moderni hanno abbracciato quasi universalmente questa concezione di spiegazione scientifica. Il ricorso ad una teleologia irriducibile, intesa come qualcosa di estrinseco al mondo materiale, allo scopo di implementare le spiegazioni meccanicistiche della scienza empirica, è stato da loro rifiutato. I naturalisti contemporanei negano che un tale ricorso possa essere giustificato. Per contro, i primi tra i pensatori moderni come Boyle e Newton ritenevano il ricorso ad una teleologia estrinseca – in particolare, alle intenzioni e all’attività di Dio come artefice del mondo naturale – la chiave di volta dell’edificio della scienza.4
L’argomento del disegno di William Paley fu un’espressione influente di questa linea di pensiero, a cui lo stesso Paley diede il suo più completo sviluppo. Come vedremo nella prossima sezione, gli argomenti dei teorici ID contemporanei come William Dembski, sebbene differiscano da quelli di Boyle, Newton e Paley in vari particolari, fanno riferimento alla teleologia come qualcosa di estrinseco al mondo materiale, concedendo che almeno una parte dell’ordine naturale sia in principio non-teleologico. Il punto su cui questi pensatori concordano con i loro avversari naturalisti è il rifiutare la concezione aristotelico-scolastica delle cause finali intese come intrinseche alle sostanze materiali.
Tra i pensatori contemporanei, sono soprattutto i tomisti, ed in special modo quelli che considerano il tomismo fondarsi essenzialmente sull’aristotelismo, che rifiutano il meccanicismo come precedentemente definito e che promuovono un ritorno a qualcosa di simile alla filosofia scolastica della natura, la cui applicazione dovrebbe essere opportunamente modificata alla luce dei risultati empirici della scienza moderna. Gli argomenti dell’aristotelismo-tomista (A-T) a favore della teleologia irriducibile, e dell’esistenza di Dio come spiegazione ultima della realtà di tale teleologia (come la Quinta Via di Tommaso D’Aquino), differiscono pertanto in maniera significativa dagli argomenti paleysiani e da quelli della teoria ID contemporanea.
Purtroppo, tale storia e le sfumature concettuali che riflette (di cui solo ad alcune abbiamo fino ad ora accennato) sembra essere stata dimenticata in molte delle discussioni filosofiche contemporanee sulla teleologia. Di conseguenza, i partigiani di entrambe le fazioni dei vari dibattiti nell’ambito di filosofia della biologia, filosofia della mente, filosofia della religione e altre sotto-discipline filosofiche, spesso parlano lingue diverse senza capirsi, oppure affermano o rifiutano l’esistenza di una teleologia irriducibile sulla base di argomenti che possono essere rilevanti solo con rispetto a determinate concezioni della teleologia e non ad altre.
Nelle sezioni seguenti, mi propongo di fornire una sorta di “guida all’acquisto” per i filosofi interessati alle questioni riguardanti la teleologia, e lungo il percorso tratterò in maniera più ampia alcuni dei temi storici e concettuali a cui ho già accennato. In particolare, mostrerò nella seconda sezione “5 Approcci alla teleologia” che alla domanda se esiste la teleologia in natura non è possibile rispondere con un semplice “sì o no”, dato che ci sono 5 posizioni principali che possono essere e sono state prese in considerazione. Nella terza sezione, “Livelli di teleologia”, mostrerò che ci sono, almeno, anche 5 livelli di natura in cui si può affermare l’esistenza di una teleologia irriducibile, cosicché stabilire che un telos esista o non esista ad un dato livello non sarà sufficiente per determinare se esista o meno negli altri. Con almeno 5 livelli di natura in cui la teleologia può esistere e 5 possibili modi di concepirla ad ognuno di questi livelli, il terreno concettuale può risultare davvero complesso. Infine, nell’ultima sezione affronterò le implicazioni di queste distinzioni concettuali nel dibattito sugli argomenti teleologici per l’esistenza di Dio. In particolare, spiegherò come l’approccio adottato dai filosofi aderenti alla metafisica A-T differisca in maniera radicale da quello adottato dai teorici dell’ID e dai difensori dei design argument di stampo paleysiano. In corso d’opera spero di riuscire a far chiarezza su un fenomeno che molti sostenitori dell’ID trovano sconcertante, ossia il fatto che i tomisti, che dovrebbero essere loro alleati nella disputa contro il naturalismo, siano in genere molto critici dell’ID. Come vedremo, questo stato di cose non ha tanto a che fare con il disaccordo circa i meriti della biologia evoluzionista darwiniana (sebbene alle volte abbia a che fare anche con questo), ma ha piuttosto a che fare con il disaccordo sui principi metafisici di base, disaccordi che, per il metafisico aderente all’A-T, mostrano come il sostenitore dell’ID sia (sorprendentemente) più vicino al naturalista darwiniano che all’aristotelico tomista.
Ai fini di una più completa informazione, vorrei sottolineare che simpatizzo per la posizione A-T. Il punto di quanto segue però non è difendere tale posizione, ma solo fornire una mappa del dibattito sulla teleologia nei vari rami della filosofia che ho menzionato. Non c’è nulla nella classificazione che andrò a proporre che non possa essere accettato in linea di principio da ogni filosofo, indipendentemente dalla posizione che assume su questi argomenti.
5 approcci alla teleologia
I 5 principali approcci alla teleologia vanno in parallelo con i 5 maggiori approcci che, storicamente, sono stati adottati nei confronti del problema degli universali: il nominalismo, il concettualismo e tre tipi di realismo. In effetti, come vedremo, ci sono diversi modi in cui il problema degli universali e il problema della teleologia risultano strettamente collegati. Sarà pertanto utile riassumere brevemente i principali approcci al primo problema, prima di discutere il secondo.
Essi sono i seguenti: il realismo sostiene che gli universali – la triangolarità, la “felinità”, l’umanità e così via – non siano riducibili alle loro istanze particolari e che esistano in un modo che è in un certo senso indipendente dalla mente umana. Il nominalismo nega che ci siano veri universali e sostiene che solo i particolari siano reali: c’è questo e quel triangolo, c’è questo gatto e quell’altro, ma nulla come la triangolarità o la felinità al di fuori di loro. Il concettualismo può essere inteso come una via di mezzo e sostiene che gli universali esistano, ma solo nella mente: triangolarità, felinità e simili sono i prodotti dell’astrazione e non corrispondono a nulla nel mondo degli oggetti esterni, che sono tutti particolari.
Il realismo a sua volta si differenzia in 3 tipi: il realismo platonico (chiamato a volte “realismo estremo”) afferma che gli universali esistano in un “terzo regno” distinto dal mondo degli oggetti particolari e distinto dalla mente umana. Il realismo aristotelico (chiamato a volte “realismo moderato”) rifiuta l’approccio del “terzo regno” e considera gli universali esistenti solamente nell’oggetto particolare che li istanzia e nella mente che li astrae dal particolare. Si differenzia dal nominalismo in quanto ritiene che gli universali non siano riducibili alle loro istanze, e dal concettualismo nel considerare i prodotti dell’astrazione fondati sui particolari stessi e non una mera invenzione della mente: la triangolarità corrisponde a qualcosa che si trova realmente nei triangoli attuali (in attesa di venirvi astratta, per così dire). Infine, il realismo scolastico – la posizione elaborata dai medievali come Tommaso d’Aquino allo scopo di armonizzare il realismo aristotelico con il platonismo di stampo agostiniano – sostiene che mentre gli universali esistono in effetti nelle istanze particolari o negli intelletti, la loro esistenza non dipende tuttavia interamente dai particolari o dagli intelletti finiti giacché esistono interamente nell’infinito intelletto divino, come archetipi in accordo con i quali Dio crea il mondo.5
Passiamo ora ai 5 corrispettivi approcci alla teleologia. Il realismo teleologico afferma che la teleologia è una caratteristica reale e non riducibile del mondo naturale e va in parallelo alla visione realista secondo cui gli universali sono reali e non riducibili ai particolari. In parallelo al nominalismo abbiamo (seguendo Christopher Shields) ciò che potremmo chiamare l’eliminativismo teleologico, una visione secondo cui non esiste affatto una genuina teleologia nel mondo naturale. Shields cita gli antichi atomisti come Democrito e Leucippo come rappresentativi di questo punto di vista, che sembra essere sostenuto da molti contemporanei aderenti alla moderna concezione meccanicistica anti-teleologica della natura descritta nella prima sezione.6 Molti, ma non tutti. Infatti altri scrittori contemporanei, i cui punti di vista risultano decisamente meccanicistici, potrebbero essere più appropriatamente descritti come sostenitori del riduzionismo teleologico, l’idea secondo cui esiste una sorta di teleologia in natura, ma che può essere completamente ridotta a fenomeni non-teleologici. Ad esempio, i filosofi della biologia che affermano che la funzione di una struttura biologica può essere analizzata nei termini delle ragioni per la quale tale struttura fu favorita dalla selezione naturale, sembrerebbero adottare una posizione riduzionistica piuttosto che eliminativistica.7 Siccome il concettualismo può essere pensato come una visione riduzionistica – gli universali sono reali, ma contrariamente al realismo sono davvero “nient’altro che” idee astratte dalla mente – possiamo considerare il riduzionismo teleologico come un approccio alla teleologia che va in parallelo con la visione concettualistica degli universali.8
L’approccio di Kant alla teleologia nella Critica del Giudizio è un caso interessante. Potrebbe essere interpretato come un altro possibile tipo di riduzionismo teleologico, con un ancor più evidente parallelismo al concettualismo in quanto Kant considerava l’analisi teleologica come un principio regolatore che la mente formula per sostenere la propria spiegazione dei fenomeni biologici. D’altra parte, se fosse puramente un principio regolatore, senza alcuna validità oggettiva, la posizione di Kant potrebbe invece essere interpretata come un tipo di eliminativismo.9 Ma dal momento che ciò che Kant negava non era il fatto che la nozione di teleologia avesse una validità oggettiva, ma piuttosto il fatto che noi si possa sapere se ce l’abbia, sarebbe meglio interpretarlo come sostenitore di una posizione agnostica secondo cui una qualche versione del realismo teleologico, del riduzionismo o dell’eliminativismo sia vera, ma non potremo mai sapere quale.
Di maggior interesse per i nostri fini, però, è il fatto che il realismo teleologico possa essere chiaramente spiegato in modi che corrispondono a ciascuna delle 3 varietà di realismo circa gli universali. Christopher Shields e Andre Ariew hanno recentemente sottolineato la distinzione tra i primi due di questi modi.10
Il realismo teleologico platonico sostiene che la teleologia irriducibile manifestata in natura è estrinseca e deriva interamente da una fonte esterna.11 I fenomeni naturali in quanto tali non sono teleologici, ma sono diretti verso certi fini da (diciamo) una mente divina. Shields cita Anassagora in qualità di antico rappresentante di questa concezione, Ariew cita Platone (a causa del demiurgo del Timeo), Newton e William Paley. Il realismo teleologico aristotelico afferma che la teleologia o causalità finale è intrinseca alle sostanze naturali e non deriva da alcuna fonte divina. Certo, Aristotele credeva in un Motore Immobile divino, ma pensava che la Sua esistenza seguisse dal fatto del moto o del mutamento, e non dall’esistenza delle cause finali che considerava come un semplice fatto riguardante il mondo. La ghianda è diretta oltre se stessa verso la quercia non perché sia stata fatta così, ma perché è proprio così per natura, semplicemente in virtù del fatto di essere una ghianda.12 Non agisce in tal modo in maniera cosciente, ovviamente, poiché le ghiande sono totalmente prive di coscienza. Il punto fondamentale della visione aristotelica è sottolineare che il finalismo non richiede una mente che voglia coscientemente un obiettivo. Perciò, dal punto di vista aristotelico non esiste alcuna connessione necessaria tra teleologia e teismo.
Quello che Shields ed Ariew trascurano è che c’è una posizione intermedia tra la visione platonica e quella aristotelica, che possiamo chiamare realismo teleologico scolastico, che corrisponde abbastanza chiaramente alla via di mezzo della posizione scolastica sugli universali, situata a metà strada tra l’approccio platonico e quello aristotelico. Secondo questa concezione, eminentemente rappresentata dalla Quinta Via di Tommaso, le cause finali sono immanenti o intrinseche alle sostanze naturali, proprio come sostengono gli aristotelici. Possiamo sapere che la ghianda è “diretta verso” la quercia in maniera del tutto indipendente dalla questione dell’esistenza di Dio, e il teismo può essere in pratica messo “tra parentesi” nello studio delle cause finali in quanto tali. Allo stesso tempo, per il realista teleologico scolastico, l’esistenza delle cause finali deve essere in ultima analisi spiegato facendo ricorso ad un’intelligenza divina. La differenza con l’approccio platonico consiste, dal punto di vista scolastico, nel non inferire l’esistenza di un’intelligenza ordinatrice divina direttamente dall’esistenza della teleologia in natura. L’argomento richiede un passo intermedio, poiché il collegamento tra teleologia e mente ordinatrice è (con una strizzata d’occhio ad Aristotele) non considerato come ovvio. Questo è uno dei motivi per cui (come vedremo) la Quinta Via si differenzia dalla strategia adottata da Paley e dai teorici ID contemporanei.
Si notino i paralleli con le 3 versioni del realismo sul problema degli universali. Per il realismo platonico riguardo gli universali, l’essenza universale ghianda esiste in maniera del tutto separata dalle ghiande particolari e dalle menti finite che afferrano tale universale, in un “terzo regno”; per il realismo teleologico platonico, il fine o l’obiettivo di una ghianda esiste in maniera del tutto separata da essa, in (diciamo) una mente divina, che la dirige verso il suo fine. Per il realismo aristotelico riguardo gli universali, l’essenza universale ghianda esiste soltanto nelle stesse ghiande particolari e nelle menti finite che l’astraggono; per il realismo teleologico aristotelico, il fine o l’obiettivo della ghianda esiste solo intrinsecamente alla ghianda stessa. Per il realismo scolastico riguardo gli universali, l’essenza universale ghianda esiste nelle ghiande particolari stesse e nelle menti finite che l’astraggono, ma pre-esiste anche nell’intelletto divino come archetipo secondo cui Dio crea le ghiande; per il realismo teleologico scolastico, il fine o l’obiettivo della ghianda esiste intrinsecamente alla ghianda stessa, ma solo perché Dio l’ha creata in accordo con l’essenza pre-esistente in questione, che prevede la generazione di una quercia come fine o obiettivo.
Per riassumere i 5 approcci principali alla teleologia: l’eliminativismo teleologico nega che esista un qualsiasi tipo di teleologia nel mondo naturale. Il riduzionismo teleologico concede che ci sia, ma sostiene che possa essere ridotto a fenomeni non-teleologici. Il realismo teleologico platonico sostiene che esista un intelletto ordinatore esterno che dirige le cose verso determinati fini. Il realismo teleologico aristotelico afferma esistere una teleologia irriducibile nel mondo naturale e che è immanente, esiste cioè nelle cose semplicemente in virtù della loro natura e non è in alcun modo dipendente da una mente ordinatrice. Il realismo teleologico scolastico sostiene che esiste una teleologia irriducibile nel mondo naturale e che è immanente alle cose data la loro natura, ma anche che il fatto che le cose possiedano una natura che le dirige verso un fine non può essere compreso se non facendo ricorso ad un’intelligenza ordinatrice.
Livelli di teleologia
Avremo qualcos’altro da dire riguardo gli argomenti sostenuti dalla posizione scolastica. Ma prima di farlo sarà utile identificare i 5 livelli del mondo naturale in cui si potrebbe affermare l’esistenza della teleologia. Nelle discussioni filosofiche sulla teleologia, gli esempi biologici sono stati ampiamente utilizzati, sicuramente nella filosofia moderna e in qualche misura anche da Aristotele. Infatti, spesso si presume che attribuire teleologia a qualche fenomeno naturale equivalga ad attribuirgli una funzione pari a quella svolta da un organo biologico o magari a quella di un artefatto umano. Tuttavia questo è un errore. Per molti realisti teleologici – in particolare per quelli scolastici – la funzione biologica è soltanto un tipo di teleologia tra gli altri.
La teleologia biologica implica paradigmaticamente una parte che serve a realizzare il bene dell’intero, nel modo in cui lo stomaco serve a digerire il cibo affinché l’organismo nel suo insieme possa sopravvivere, o nel modo in cui gli organi sessuali funzionano in maniera tale da permettere all’organismo di riprodursi, affinché le specie nell’insieme proseguano oltre la sua morte. Per gli autori scolastici, il possedere una capacità di questo tipo, ossia di “causalità immanente” (per usare il gergo scolastico), è proprio ciò che rende qualcosa un essere vivente. I fenomeni inanimati sono in grado solo di una “causalità transiente”, causalità che si risolve in un effetto esterno alla causa stessa e che quindi non promuove il bene proprio della causa. (Anche gli esseri viventi mostrano una causalità transiente; il punto è che, a differenza degli oggetti inanimati, sono capaci anche di una causalità immanente13).
I fenomeni inanimati sono tuttavia capaci di esibire un più elementare tipo di teleologia. Infatti, per gli scolastici, anche la più semplice regolarità causale nell’ordine delle cause efficienti presuppone una causalità finale. Se una causa A genera in maniera regolare un effetto, o un intervallo di effetti, B – piuttosto che C, o D o nessun effetto – allora questo può avvenire solamente perché A è per sua natura “diretta a” o “punta verso” la generazione specifica di B in quanto suo fine od obiettivo intrinseco. Per semplificare un po’, potremmo dire che se A è la causa efficiente di B, allora B è la causa finale di A.14 Se neghiamo questo – in particolare, se neghiamo che un oggetto in virtù della sua natura o essenza possieda poteri causali diretti verso risultati specifici come un fine o un obiettivo – allora (sostengono gli scolastici) la causalità efficiente diviene incomprensibile. Cause ed effetti divengono intrinsecamente “sciolti e separati” e non c’è alcuna ragione di principio per cui ad ogni causa non possa seguire un qualsiasi effetto o anche nessuno. Dalla prospettiva A-T, è stato proprio il rifiuto dei primi moderni delle cause finali, delle forme sostanziali (o essenze intrinseche) e simili che ha spianato la via ai rompicapi humeani riguardo la causalità e l’induzione.15 (È interessante notare che vi è stato un ritorno della metafisica analitica verso l’idea che le sostanze materiali abbiano poteri causali intrinseci, in virtù dei quali esibiscono ciò che George Molnar descrive come un tipo di “intenzionalità fisica” non-cosciente, e che David Amstrong definisce “proto-intenzionalità” o il “puntare oltre loro stessi” verso determinati risultati.16 Quello di cui tali autori non sembrano accorgersi è che hanno fatto essenzialmente ritorno alla posizione scolastica17).
Modelli causali inanimati più complessi, potrebbero verosimilmente esibire anch’essi una teleologia. Il filosofo aristotelico-tomista David Oderberg sostiene che i cicli naturali come quello dell’acqua e quello delle rocce ne forniscono un chiaro esempio.18 Prendiamo in esame il ciclo dell’acqua: la condensazione porta alla precipitazione, che porta alla raccolta, la quale porta all’evaporazione, che porta alla condensazione ed il ciclo ricomincia nuovamente. Gli scienziati che studiano tali processi ci dicono che ciascuna di queste fasi gioca un ruolo specifico in relazione alle altre. Nello specifico, ogni fase ha come “fine” o “obiettivo” verso cui è diretta la produzione di un certo risultato o intervallo di risultati: ad esempio, il ruolo della condensazione è portare alla precipitazione. Come sostiene Oderberg, non servirà a molto suggerire che il ciclo possa essere adeguatamente descritto ritenendo ogni fase la causa efficiente di un’altra, senza far alcun riferimento al fatto che questa giochi un “ruolo” nel generare determinati effetti intesi come “fine” o “obiettivo”. Infatti ogni fase ha molti altri effetti che non sono parte del ciclo. Per quanto ne sappiamo la condensazione, quando avviene in determinate zone, potrebbe essere la causa di dolori artritici all’alluce di qualcuno. Il causare dolore artritico, però, non fa parte del ciclo dell’acqua. Alcune catene causali sono rilevanti per il ciclo ed altre no. Non è nemmeno corretto dire che chi studia il ciclo dell’acqua è interessato solo a come l’acqua passi da una forma all’altra e che non è interessato all’artrite, cosicché presta attenzione a determinati elementi della situazione causale complessiva piuttosto che ad altri. I pattern descritti dagli scienziati che studiano tali cicli sono infatti modelli oggettivi che troviamo in natura e non mere proiezioni di interessi umani. Ma l’unico modo per spiegare la cosa è riconoscere che ogni fase del processo, che potrebbe avere vari tipi di effetti, ha solo la generazione di alcuni effetti specifici come proprio “fine” o “obiettivo” nel ciclo. In breve, equivale a riconoscere tali cicli come teleologici.
Ovviamente, potrebbero essere sollevate molte domande su questi argomenti, ma il punto è semplicemente notare che sia le regolarità causali elementari sia i processi inorganici complessi forniscono ulteriori esempi di fenomeni naturali presumibilmente teleologici, in aggiunta agli esempi standard di fenomeni biologici. Anche tra i fenomeni biologici, tuttavia, possiamo distinguere 2 ulteriori esempi possibili di teleologia naturale. La “causalità immanente” di cui abbiamo parlato precedentemente è comune a tutti gli esseri viventi, siano piante o animali. A differenza delle piante però, gli animali sono capaci di sensazioni, appetito e locomozione, vale a dire movimento indotto dall’appetito in risposta a ciò che le sensazioni hanno rilevato nell’ambiente dell’animale. Tutto ciò implica un tipo di finalismo – del tipo manifestato nei desideri coscienti – che va oltre la semplice coordinazione delle parti per il bene dell’insieme, che anche le piante possiedono. Questo indica in modo plausibile un ulteriore livello di teleologia biologica oltre il livello di base rappresentato dalle piante. Inoltre, negli esseri umani, il desiderio viene informato dalla ragione: le nostre azioni sono guidate dal pensiero, il quale possiede una struttura concettuale estranea agli altri animali. Qui abbiamo scopo ed intenzionalità nel senso più completo e, sembrerebbe, un altro livello di teleologia. E che l’azione umana sia irriducibilmente teleologica è una tesi che ha avuto una lunga storia nella filosofia.19
Nuovamente, se ci sia davvero teleologia a questi o ad altri livelli di natura – e in caso affermativo, se debbano essere interpretati in modo riduzionista, platonico, aristotelico o scolastico – non è una questione che può esser risolta qui. Il punto è che ci sono almeno questi 5 livelli in cui una teleologia irriducibile potrebbe esistere: nelle regolarità causali elementari; nei processi inorganici complessi; nei fenomeni biologici elementari20; nella vita tipicamente animale; e nel pensiero e nell’azione umana.21
Argomenti teleologici di Paley, teoria dell’ID e tomismo
Generalmente nella filosofia contemporanea si ritiene che se una teleologia irriducibile esiste davvero in natura, allora deve esistere necessariamente un’intelligenza ordinatrice (probabilmente divina) che ne sia responsabile. I naturalisti negano che tale teleologia irriducibile esista, mentre i difensori dei “design argument” di tipo paleysiano e/o della teoria dell’ID ne affermano l’esistenza, ma condividono l’assunzione su ciò che l’esistenza di una teleologia irriducibile comporterebbe se fosse reale. Come abbiamo visto però, il realismo teleologico aristotelico nega questo assunto e sostiene invece che la teleologia è immanente al mondo naturale e non ha bisogno di ulteriori spiegazioni, divine o meno. Una delle differenze tra i difensori di Paley e dell’ID da una parte e i difensori A-T della Quinta Via di Tommaso dall’altra, consiste nel riconoscere da parte di questi ultimi la sfida posta dall’aristotelismo, che prendono in seria considerazione. La ragione è che i sostenitori dell’A-T rifiutano la concezione meccanicistica della natura comune sia ai naturalisti sia ai difensori di Paley e dell’ID, una concezione che, per definizione, elimina fin dall’inizio la visione aristotelica che vuole la teleologia immanente alle sostanze naturali.
Ora, i sostenitori della teoria dell’ID a volte negano che la loro posizione sia meccanicistica. Ad esempio, così fa William Dembski spesso nel suo libro The Design Revolution.22 Ma sempre nello stesso libro ed anche in altri scritti, Dembski fa affermazioni che presuppongono chiaramente la verità della concezione meccanicistica della natura, almeno per come gli autori A-T intendono il “meccanicismo”. Ad esempio, discutendo di Aristotele in The Design Revolution, Dembski identifica il “design” con ciò che Aristotele chiamava techne o “arte”.23 Dembski afferma correttamente che “l’idea fondamentale alla base di questi termini è che l’informazione venga conferita ad un oggetto dall’esterno e che il materiale che lo costituisce, indipendentemente dall’informazione esterna, non abbia il potere di assumere la forma che assume. Ad esempio, dei pezzi di legno, di per se stessi, non hanno il potere di formare una barca”. Questo è in contrasto con ciò che Aristotele chiamava “natura”, che (citando Dembski che cita a sua volta Aristotele) “è un principio nella cosa stessa”. Così (citando nuovamente l’esposizione di Dembski di Aristotele), “la ghianda assume quella data forma grazie al potere interno ad essa: la ghianda è un seme programmato per produrre una quercia”, in contrasto con il modo in cui la “barca assume una data forma tramite dei poteri esterni ad essa”, tramite una “intelligenza disegnatrice” che le “impone” tale forma dall’esterno.
Fatta questa distinzione, Dembski prosegue esplicitamente nell’affermare che proprio come “l’arte della costruzione navale non si trova nel legno che costituisce la barca” e “l’arte della scultura non sta nella pietra da cui le statue vengono tratte,” “allo stesso modo, la teoria del disegno intelligente sostiene che l’arte del dare la vita non si trovi nella materia fisica che costituisce la vita ma richiede un progettista” (corsivo aggiunto). In altre parole, secondo la teoria dell’ID (almeno per come concepita da Dembski) gli esseri viventi devono essere considerati come barche o statue, il prodotto della techne o “arte”, la cui caratteristica “informazione” non è a loro “interna”, ma deve essere “imposta dall’esterno”. E questo è proprio ciò che i filosofi A-T intendono per concezione “meccanicistica” della vita. Come Dembski dice altrove, nel proporre la teoria dell’ID, “non voglio dare l’impressione che stia sostenendo un ritorno alla teoria di Aristotele sulla causalità. Ci sono dei problemi con la teoria di Aristotele, che perciò necessita di essere sostituita”.24 Quindi, per la teoria dell’ID come per Paley (contrariamente alla posizione A-T) è quantomeno possibile che le sostanze naturali non abbiano alcun fine, obiettivo o proposito; anzi essi pensano che sia improbabile che ce l’abbiano. La ragione è che la loro concezione essenzialmente meccanicistica della natura li conduce a modellare il mondo sull’analogia di un artefatto umano. I pezzi di metallo che compongono un orologio non possiedono alcuna tendenza intrinseca a funzionare come tali; in teoria è quantomeno possibile, anche se improbabile, che la disposizione d’un orologio sorga per puro caso. E questo vale anche per gli oggetti naturali; non vi è nulla di intrinseco in un oggetto naturale o in un sistema – nessuna essenza, natura, forma sostanziale o altro che corrisponda alle categorie aristotelico-scolastiche – da cui si possa inferire teleologia o cause finali. Il mondo potrebbe essere come un aggregato di pezzi di metallo che per puro caso si sono assemblati in qualcosa che assomiglia ad un orologio. La cosa però è talmente improbabile che la “migliore spiegazione” è che un’intelligenza abbia assemblato i pezzi che compongono il mondo nella loro attuale configurazione dotata di uno scopo, proprio nel modo in cui un orologiaio assembla ciò che altrimenti sarebbero pezzi di metallo privi di un fine, in un orologio. Questo approccio è stato ciò che ha portato Paley ed i teorici dell’ID a concentrarsi sui fenomeni biologici complessi. È solo perché l’occhio o il flagello dei batteri presentano una “complessità specificata” (come sostiene Dembski) o “complessità irriducibile” (come afferma Michael Behe) che si distinguono come candidati per il “design”. L’implicazione è che le unghie o le palpebre (ad esempio) – per non parlare di sostanze e processi inanimati – fornirebbero casi non altrettanto potenti, o addirittura nessun caso.
L’approccio A-T non potrebbe essere più differente.25 Per l’A-T, c’è una differenza metafisica fondamentale tra le sostanze naturali e gli artefatti umani. Le parti degli esseri viventi, ad esempio, sono orientate intrinsecamente e per natura a funzionare in maniera congiunta per il bene dell’insieme. Per contro, le parti di un artefatto non hanno alcuna naturale tendenza a funzionare in concerto a quel modo, e per farlo necessitano di qualcosa che sia a loro esterno. Il loro orientamento naturale è verso altri fini – intrinseci al loro essere, di qualsiasi sostanza naturale siano – anche se un artigiano potrebbe essere in grado di arrangiarli in modo che queste tendenze naturali non vadano ad inficiare il fine artificiale che egli ha loro imposto. Per prendere un esempio di Aristotele, se un letto di legno venisse piantato (mentre il legno della pianta con cui è stato costruito è ancora fresco, diciamo) ciò che crescerebbe, ammesso che cresca qualcosa, sarebbe un albero e non un letto.26 L’orientamento naturale del legno fresco è di essere “albero” piuttosto che “letto”, anche se un artigiano esperto potrebbe in ogni caso lavorarlo in maniera tale da renderlo un letto. In generale, per l’A-T, gli artefatti ed i fini per cui vengono realizzati presuppongono le sostanze naturali e le tendenze che naturalmente manifestano, motivo per cui è incoerente considerare le sostanze naturali come se fossero artefatti. Ciò non significa che gli oggetti naturali non siano creati da Dio. Implica però che Dio non li crea nel modo in cui un artigiano assembla i pezzi per produrre un artefatto.
Similmente, il motivo per cui i filosofi A-T affermano l’esistenza di una teleologia irriducibile in natura non ha nulla a che fare con la complessità o col soppesare le probabilità, né con l’analogia con i progettisti umani, né con i fenomeni biologici piuttosto che qualsiasi altro fenomeno naturale. Come abbiamo visto nella terza sezione, l’A-T sostiene l’esistenza di una teleologia irriducibile ad ognuno dei 5 livelli di natura di cui si è parlato, incluse le più semplici regolarità causali.27 In quanto teleologiche, le funzioni svolte dalle unghie o dalle palpebre, o la tendenza di un cubetto di ghiaccio a rendere l’acqua a temperatura ambiente più fredda, sono né più né meno significative dell’occhio o del flagello batterico. L’A-T sostiene che la teleologia deve esistere per necessità metafisica nell’oggetto naturale che la possiede, altrimenti semplicemente non sarebbero gli oggetti che sono per natura – non è questione di probabilità, alte o basse. Proprio per questa ragione, i filosofi A-T seguono Aristotele nel sostenere che il rilevare la teleologia non ha nulla a che vedere con il ragionamento basato su un’analogia tra sostanze o processi naturali e i prodotti di un progetto umano, o addirittura con l’ipotesi che a monte vi sia un progettista. Se una cosa è naturalmente diretta verso un certo fine, ciò accade perché (naturalmente) è nella sua natura che accada, e noi possiamo conoscere la natura delle cose senza sapere da dove siano venute.
Spiegare (al contrario di rilevare) l’esistenza di una teleologia naturale irriducibile è però un’altra storia, almeno per il realismo teleologico scolastico, se non per Aristotele stesso. Ma anche in questo caso la questione non ha nulla a che fare con il tracciare analogie con progettisti umani, soppesare probabilità o simili.
Questo ci porta alla Quinta Via di Tommaso. L’argomento inizia nella maniera seguente: “Noi vediamo che alcune cose, le quali sono prive di conoscenza, cioè i corpi fisici, operano per un fine, come appare dal fatto che esse operano sempre o quasi sempre allo stesso modo per conseguire la perfezione: donde appare che non a caso, ma per una predisposizione raggiungono il loro fine”.28
Questo in sostanza riassume ciò che è stato già detto. L’Aquinate non sta dicendo che certi oggetti naturali eccezionali – quelli che manifestano “complessità specificata” o “complessità irriducibile”- siano talmente difficili da spiegare in termini puramente naturalistici che è probabile che siano stati creati da un disegnatore dotato d’intelligenza. Sta dicendo che ogni corpo naturale – anche uno molto semplice – che agisce regolarmente in un dato modo deve agire in tal modo poiché è il suo fine naturale. Non è una questione di “alte probabilità”, ma una questione di come una cosa deve agire data la sua natura.29 È in questo senso che tali oggetti non intelligenti agiscono per “predisposizione” piuttosto che “a caso”. Tommaso non sta facendo riferimento al disegnatore intelligente; giungerà a Dio solo nella seconda metà dell’argomento. Si sta piuttosto riferendo al punto aristotelico secondo cui le regolarità dimostrano teleologia, che se A è causa efficiente di B allora il generare B deve essere la causa finale di A. Altre traduzioni presentano “uno scopo” o “un’intenzione” in luogo di “una predisposizione” e tutte queste espressioni devono essere lette in modo aristotelico, il quale implica una causalità finale o un fine immanente contrapposti al caso o ad un avvenimento fortuito.
A questo punto dell’argomento, quindi, Tommaso non sta dicendo nulla che non sarebbe detto anche da un realista teleologico aristotelico. Il punto in cui va oltre questi ultimi, giungendo ad una posizione distintivamente realistico-teleologico-scolastica, è nella seconda metà dell’argomento: “Ora, ciò che è privo d’intelligenza non tende al fine se non perché è diretto da un essere conoscitivo e intelligente, come la freccia dall’arciere. Vi è dunque un qualche essere intelligente, dal quale tutte le cose naturali sono ordinate a un fine: e quest’essere chiamiamo Dio”.
Qui Tommaso dichiara che la teleologia o il finalismo in natura, affermato nella prima metà dell’argomento, deve in ultima analisi essere spiegato in termini di intelligenza divina ordinatrice. Si noti che anche in questo caso, però, non fa alcun riferimento alle probabilità: dice che gli oggetti naturali privi di intelligenza non possono muovere verso un fine a meno che non siano diretti da un’intelligenza, non che è altamente improbabile che lo facciano. Questa è una delle ragioni per cui il riferimento di Tommaso all’arciere non può essere interpretato nel senso in cui gli argomenti del tipo di Paley si riferiscono all’orologiaio e simili. Un’altra è che le frecce e il loro comportamento, quando vengono scoccate, sono fenomeni molto semplici, a differenza di orologi ed altre macchine di vario tipo che Paley ed i suoi eredi usano per formulare argomenti basati sull’analogia. Tommaso non sta dicendo “le frecce sono oggetti complessi fatti da esseri intelligenti e così anche certi oggetti naturali; quindi, per analogia, possiamo inferire che siano anch’essi stati creati da un essere intelligente”. Non sta nemmeno dicendo “le frecce raggiungono il loro bersaglio grazie ad un essere intelligente e quindi, per analogia, possiamo inferire che tutto ciò che tende ad un certo fine lo fa grazie ad un essere intelligente”, come se l’argomento fosse una generalizzazione induttiva estremamente debole basata su una singola circostanza! Non è affatto una generalizzazione induttiva, né un argomento basato sull’analogia, né un argomento basato sulla migliore spiegazione. Di nuovo, l’affermazione di Tommaso è molto forte: egli sta dicendo che un oggetto privo di intelligenza non può muovere verso un fine – non può avere un certo risultato come propria causa finale – a meno che non sia diretto da un’intelligenza. Questa è un’asserzione metafisica, non un tentativo di formulare ipotesi empiriche.
Ciò che Tommaso sta facendo qui è qualcosa che ho discusso a lungo altrove.30 Per i nostri propositi, in questa sede, sarà sufficiente notare che i tomisti hanno interpretato l’argomento in questo senso. Una delle obiezioni comuni all’idea di causa finale consiste nel fatto che questa sembri implicare che una cosa possa produrre un effetto ancor prima che esista. Quindi, dire che una quercia sia la causa finale di una ghianda sembra implicare che la quercia – che ancora non esiste – faccia sì che la ghianda debba passare attraverso ogni fase necessaria per diventare una quercia, dato che la quercia è l’“obiettivo” o il fine naturale della ghianda. Ma come è possibile? Quando il fine è associato alla coscienza, come avviene in noi, non c’è mistero. Un costruttore costruisce una casa ed è capace di farlo perché la forma della casa esiste nel suo intelletto prima che venga istanziata nell’oggetto particolare concreto. E certamente, i materiali che assumeranno quella forma sono già esistenti, in attesa di diventare una casa. Quindi non si tratta di qualcosa che ha una causa che ancora non esiste: i materiali esistono già nel mondo naturale; la forma esiste nell’intelletto del costruttore; ed il costruttore stesso già esiste, pronto per assemblare i materiali in modo tale che assumano la forma della casa. Tutti assieme questi fattori già esistenti sono sufficienti a spiegare come la casa venga ad essere.
Pertanto, quando associata ad un’intelligenza, la causalità finale è perfettamente comprensibile perché in quel caso il “fine” o l’“obiettivo” esiste di già come forma nell’intelletto. Il fine o l’obiettivo potrebbe esistere di già in qualche altro modo? Apparentemente ci sono solo 4 possibilità: potrebbe esistere nell’oggetto naturale stesso; potrebbe esistere nel “terzo regno” platonico; potrebbe esistere in qualche intelletto umano o in qualche altro intelletto all’interno del mondo naturale; o potrebbe esistere in un intelletto completamente estraneo al mondo naturale. Ovviamente non esiste nell’oggetto naturale stesso; se la forma della quercia fosse già nella ghianda stessa, sarebbe una quercia, e non lo è. Non può esistere nemmeno in un “terzo regno” platonico, almeno non per chi sostiene (come il realista teleologico scolastico) la critica al realismo platonico sugli universali mossa dal realismo aristotelico. Né può esistere in un intelletto umano o di un altro tipo all’interno del mondo naturale, perlomeno non senza un regresso vizioso. Non sono gli umani ovviamente a dirigere le ghiande e gli altri oggetti naturali (inclusi gli esseri umani stessi) ai loro fini naturali; e se supponessimo che ciò avvenga grazie ad altri intelletti non umani, ma pur sempre facenti parte del mondo naturale, questo non farebbe altro che sollevare la questione su cosa sia a dirigere quegli intelletti verso i loro fini (dato che sarebbero anch’essi oggetti naturali con le proprie cause finali). L’unica possibilità che rimane, allora, è l’ultima: la finalità causale in natura è comprensibile perché esiste un’intelligenza del tutto esterna all’ordine naturale che dirige le cose verso i loro fini.
Quindi, all’obiezione alla causalità finale “Come può una cosa che non esiste essere una causa?”, la risposta del tomista è “Non può. Ecco perché la causa finale d’un oggetto naturale deve già esistere come idea o forma in un intelletto esistente al di là dell’ordine naturale”. Si noti che, sebbene l’esposizione dell’argomento faccia riferimento all’esempio del costruttore di case, non è un “argomento per analogia” nel senso in cui sono ritenuti i “design argument”. Il ragionamento non è “le case sono costruite da esseri intelligenti e gli oggetti naturali sono analoghi alle case, pertanto anch’essi sono stati fatti probabilmente da esseri intelligenti”. Il punto dell’esempio del costruttore è piuttosto illustrare uno dei vari modi in cui la forma di una cosa potrebbe essere efficace anche se la cosa stessa non esiste ancora. L’argomento procede poi col cercare di dimostrare che tutte le altre possibilità possano essere escluse e che quindi non ci sia altro modo per dare un senso all’efficacia delle cause finali. La sua struttura è quella di un tentativo di dimostrazione metafisica, non quella di un ricorso all’analogia, alla generalizzazione induttiva, all’argomento della miglior spiegazione o qualsiasi altro tipo di formazione di ipotesi empirica.
In sintesi, quindi, il nocciolo della Quinta Via è questo: (1) una teleologia irriducibile è immanente all’ordine naturale; (2) ma tale teleologia non è comprensibile a meno che non esista un intelletto esterno all’ordine naturale; quindi (3) esiste un intelletto esterno all’ordine naturale. L’argomento si differenzia da quelli del design di tipo paleysiano e ID in altri modi oltre a quelli già menzionati. Ad esempio, poiché le entità che costituiscono il mondo naturale, fintanto che esistono, possiedono le loro proprie cause finali, l’intelletto in questione deve esistere fintanto che il mondo stesso esiste, in maniera tale da dirigere costantemente le cose verso il loro fine. L’idea deistica del Dio che ha “disegnato” il mondo e lo ha poi lasciato funzionare in maniera autonoma viene esclusa. In questo caso, come negli altri argomenti tomistici per l’esistenza di Dio, lo scopo è dimostrare che Egli è la causa che sostiene e conserva il mondo piuttosto che Colui che gli abbia dato inizio ad un certo punto nel passato. Ma perché pensare, in primo luogo, che l’intelletto ordinatore in questione possegga tutti gli attributi divini? Qui bisognerebbe far riferimento a temi più ampi della metafisica A-T. Ad esempio, un’intelligenza ordinatrice che sostenga determinati fini naturali che una cosa possiede, sarebbe ciò che conferisce alla cosa la sua natura o essenza. Da una prospettiva A-T, questo implica in pratica il congiungere un’essenza con un “atto di esistenza”, e solo ciò in cui essenza ed esistenza sono identiche – ciò che è Ipsum Esse Subsistens o l’Essere Sussistente di per Sé – lo può eventualmente fare. Quando questo concetto viene attentamente elaborato, tutti gli attributi divini ne scaturiscono. Quindi anche il suggerire che un intelletto ordinatore possa essere un progettista molto potente, ma pur sempre finito (obiezione spesso sollevata contro il “design argument”) o anche un extraterrestre (come teorici dell’ID a volte concedono) è escluso. La Quinta Via, quando elaborata, ci porta direttamente al Dio del teismo classico.
Stabilire se la dimostrazione riesca o meno, non è una cosa che può essere risolta in questa sede. Il punto è solamente dimostrare come l’approccio A-T a tali questioni differisca da quelli che hanno avuto la maggior parte d’attenzione nel dibattito contemporaneo sugli argomenti teleologici. Con almeno 5 principali approcci che possono essere adottati per stabilire se la teleologia esista nel mondo naturale, almeno 5 livelli di natura in cui se ne potrebbe affermare l’esistenza e almeno 2 principali approcci che potrebbero essere utilizzati per formulare un argomento teleologico per l’esistenza di Dio, il problema della teleologia è molto più complesso di quanto molti filosofi contemporanei possano immaginare.31
Note
1. Per una breve esposizione e difesa della metafisica aristotelico-scolastica e della filosofia della natura, si veda il cap. 2 del mio Aquinas (Oxford: Oneworld, 2009). Per una più dettagliata esposizione e difesa, si veda il mio The Last Superstition: A Refutation of the New Atheism (South Bend, IN:St. Augustine’s, 2008). La più recente ed approfondita difesa dell’aristotelismo scolastico è di David S. Oderberg, Real Essentialism (London: Routledge, 2007).
2. Si veda Kenneth Clatterbaugh, The Causation Debate in Modern Philosophy 1637–1739 (London: Routledge, 1999) per un’utile panoramica sulla storia della trasformazione graduale, operata dai moderni, della nozione di causa efficiente.
3. The Cambridge Dictionary of Philosophy, s.v. “mechanistic explanation”. Cfr. William Hasker, The Emergent Self (Ithaca, NY: Cornell University Press, 1999), 59–64.
4. Per un resoconto sulla transizione dalla concezione intrinseca a quella estrinseca della teleologia tra questi pensatori moderni ed il suo effetto sulla teologia naturale, si veda Margaret J. Osler, “From Immanent Natures to Nature as Artifice: The Reinterpretation of Final Causes in Seventeenth-Century Natural Philosophy,” The Monist 79 (1996): 388–407. Cfr. William B. Ashworth, Jr., “Christianity and the Mechanistic Universe,” in When Science and Christianity Meet, ed. David C. Lindberg and Ronald L. Numbers (Chicago:University of Chicago Press, 2003).
5. Per un’utile introduzione al problema degli universali, si veda J.P. Moreland, Universals (Montreal: McGill-Queen’s University Press, 2001). Purtroppo, le discussioni contemporanee sulla questione tendono a prestare poca o nessuna attenzione alla posizione che ho etichettato come “realismo scolastico”. Per un’esposizione e difesa recente, si veda Introduction to Scholastic Realism (New York: Peter Lang, 1999). Cf. Feser, The Last Superstition, 39–49, 90–1.
6. Christopher Shields, Aristotle (London: Routledge, 2007), 90. Andre Ariew classifica questa visione come “materialismo”, ma la dicitura di Shields pare più appropriata dato che è possibile essere materialisti e contemporaneamente riduzionisti, piuttosto che eliminativisti, riguardo la teleologia. Si vedano gli articoli di Ariew “Platonic and Aristotelian Roots of Teleological Arguments” in Functions: New Essays in the Philosophy of Psychology and Biology, ed. Andre: New Essays in the Philosophy of Psychology and Biology, ed. Andre Ariew, Robert Cummins, and Mark Perlman (Oxford: Oxford University Press, 2002); e “Teleology,” in The Cambridge Companion to the Philosophy of Biology, ed. David L. Hull and Michael Ruse (New York: Cambridge University Press, 2007).
7. Per il dibattito sulle analisi “naturalistiche” delle funzioni biologiche, si veda David J. Buller, ed., Function, Selection, and Design (Albany, NY: State University of New York Press, 1999).
8. In senso stretto, quindi, il concettualismo sarebbe una sorta d’approccio più generale agli universali che potremmo chiamare riduzionismo, laddove altre possibili varietà di riduzionismo includerebbero per esempio la visione per cui gli universali sono riducibili alla totalità delle loro istanze. Ma dal momento che la classificazione standard degli approcci al problema degli universali come “realismo, nominalismo e concettualismo” è ben consolidata, ho preferito seguire la tradizione piuttosto che introdurre una nuova (ma presumibilmente più precisa) classificazione.
9. Tale interpretazione potrebbe essere altresì chiamata “strumentalista”, ma siccome una finzione utile è pur sempre una finzione, lo strumentalismo sembrerebbe comunque nulla più che una variante dell’eliminativismo piuttosto che una visione separata.
10. Si veda Shields, Aristotle, 68–90, e i due articoli di Ariew citati sopra.
11. Shields chiama questa visione “intenzionalismo teleologico” e Ariew la classifica come “teleologismo platonico”.
12. Si veda Monte Ransome Johnson, Aristotle on Teleology (Oxford: Oxford University Press, 2005) per un recente ed ampio trattato sul realismo teleologico aristotelico.
13. Per una discussione, si veda Feser, Aquinas, 132–7, e Oderberg, Real Essentialism, 177–83.
14. Come dice l’Aquinate: “Ogni agente agisce per un fine: altrimenti dall’operazione non potrebbe risultare un effetto piuttosto che un altro, se non per caso”, (Summa Theologiae I, q.44, a.4). Per “agente” egli intende non solo esseri pensanti come noi, ma ogni cosa che sortisce un effetto.
15. Ma non solo da un punto di vista A-T. Alfred North Whitehead afferma una cosa simile in Science and the Modern World (New York: The Free Press, 1967), sostenendo che il problema dell’induzione sia generato da una concezione meccanicistica della materia secondo cui per ogni particolare materiale “non vi sia alcun riferimento intrinseco al tempo, passato o futuro” (51). “Se la causa in sé non indica alcuna informazione sull’effetto, così che il primo reperimento di questo può essere del tutto arbitrario, ne segue immediatamente che la scienza è impossibile, eccetto che nel senso di stabilire connessioni del tutto arbitrarie che non sono garantite da alcunché d’intrinseco alle nature delle cause o degli effetti” (ibid., 4).
16. Si veda George Molnar, Powers: A Study in Metaphysics (Oxford: Oxford University Press, 2003) e D. M. Armstrong, The Mind–Body Problem (Boulder, CO: Westview, 1999), 138–40.
17. D’altra parte, questa rivendicazione implicita dell’aristotelismo è riconosciuta da Nancy Cartwright in “Aristotelian Natures and the Modern Experimental Method,” in Inference, Explanation, and Other Frustrations: Essays in the Philosophy of Science, ed. John Earman (Berkeley: University of California Press, 1992).
18. David S. Oderberg, “Teleology: Inorganic and Organic”, in Contemporary Perspectives on Natural Law, ed. Ana Marta Gonzalez (Aldershot: Ashgate, 2008).
19. Il carattere irriducibilmente teleologico dell’azione umana è stato più recentemente sostenuto da G.F. Schueler in Reasons and Purposes (Oxford: Oxford University Press, 2003) e Scott Sehon, in Teleological Realism (Cambridge, MA: MIT Press, 2005).
20. Ci sono ulteriori distinzioni che potrebbero essere fatte a questo livello. Per esempio, come Ariew ha enfatizzato negli articoli sopracitati, l’adattamento di un organismo al suo ambiente è solo un caso apparente di teleologia biologica, che viene comunemente dichiarato esser stato spiegato da Darwin. I processi di sviluppo, ed in particolare il fatto che alcuni pattern di crescita siano normali mentre altri aberranti, fornisce un ulteriore esempio, che il darwinismo non ha spiegato. Cfr. Marjorie Grene, “Biology and Teleology,” in The Understanding of Nature: Essays in the Philosophy of Biology (Dordrecht: D. Reidel, 1974), e J. Scott Turner, The Tinkerer’s Accomplice: How Design Emerges from Life Itself (Cambridge, MA: Harvard University Press, 2007). C’è poi il modo in cui l’informazione genetica sembra “puntare oltre se stessa” verso una espressione fenotipica – una circostanza in cui, secondo il fisico Paul Davies, sembrerebbe evincersi un proposito che il meccanicismo esclude e che il biofisico Max Delbrück definisce come una difesa a favore di Aristotele. (Si veda Paul Davies, The Fifth Miracle (New York: Simon and Schuster, 1999), 121–2; e Max Delbrück, “Aristotle-totle-totle,” in Of Microbes and Life, ed. Jacques Monod and Ernest Borek (New York: Columbia University Press, 1971). Per un recente dibattito, vedere Sahotra Sarkar, “Genes Encode Information for Phenotypic Traits,” and Peter Godfrey-Smith, “Genes Do Not Encode Information for Phenotypic Traits” in Contemporary Debates in Philosophy of Science, ed. Christopher Hitchcock (Oxford: Blackwell, 2004)).
21. Queste ultime 3 corrispondono, certamente, alla tradizionale distinzione aristotelica tra forme di vita vegetativa, animale e razionale. Che siano realmente irriducibili (con buona pace dei più contemporanei filosofi e scienziati che affermano con nonchalance il contrario) è una questione aperta. Si veda Oderberg, Real Essentialism, chs. 8–10 per una difesa della tradizionale distinzione aristotelica.
22. William Dembski, The Design Revolution (Downers Grove, IL: InterVarsity, 2004), 25, 151.
23. Ibid., 132–3.
24. William Dembski, Intelligent Design (Downers Grove, IL: InterVarsity, 1999), 124. Cfr. No Free Lunch di Dembski (New York: Rowman and Littlefield, 2002), 5. In entrambi i casi il contesto della discussione è il rifiuto dei primi filosofi moderni delle cause formali e finali aristoteliche, e Dembski chiarisce che il suo problema non è nel rifiutare la posizione di Aristotele, ma nel come “ciò che l’ha rimpiazzata” abbia finito per “escludere un progetto” di qualsiasi tipo.
25. Per una critica dell’argomento del disegno di Paley da una prospettiva A-T, si veda Christopher F. J. Martin, Thomas Aquinas: God and Explanations (Edinburgh: University of Edinburgh Press,1997), cap. 13. Per una critica della teoria dell’ID scritta da un punto di vista ampiamente A-T, si veda Ric Machuga, In Defense of the Soul (Grand Rapids, MI: Brazos, 2002), 161–6, nonostante vi siano delle imprecisioni rilevanti nell’esposizione di Machuga della metafisica A-T. Benjamin Wiker, “Review of Ric Machuga, In Defense of the Soul”, ISCID Archive (October 18, 2003) è una replica alle imprecisioni di Machuga che corregge gli errori nella sua trattazione ed espone un resoconto più dettagliato delle differenze tra A-T e ID. Si veda anche Oderberg, Real Essentialism, 287; Francis J. Beckwith, “How to Be an Anti-Intelligent Design Advocate”, University of St. Thomas Journal of Law and Public Policy 4:1 (2009–10); Michael Tkacz, “Aquinas vs. Intelligent Design”, This Rock (November 2008); e la critica, più o meno ispirata all’A-T, presentata da Edward T. Oakes nella sua recensione di The Wedge of Truth in First Things di Phillip E. Johnson, Gennaio 2001, e il dibattito da questa generato in “Edward T. Oakes and His Critics: An Exchange”, First Things, Aprile 2001.
26. Fisica di Aristotele, libro 2, cap. 1.
27. Contrariamente a Dembski, The Design Revolution, 140, il quale concede che tali regolarità siano “facilmente ritenute fatti inesplicabili di natura quanto gli artefatti del disegno”.
28. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, trad. Fathers of the English Dominican Province (New York: Benzinger Brothers, 1946), I, q.2, a.3.
29. Perché, allora, l’Aquinate parla di cose che agiscono “sempre, o quasi sempre” in un certo modo? Perché una tendenza naturale può essere mancata. Una ghianda diventerà sempre una quercia – piuttosto che un olmo, un ragno o un cane – nelle giuste condizioni, poiché quella è la sua tendenza naturale. Certamente però, non sempre ci sono le condizioni favorevoli. La ghianda potrebbe essere danneggiata, essere messa in un cassetto o essere mangiata. Quando i filosofi A-T discutono di come le cose agiscano secondo la propria natura, non intendono che queste riescano sempre ad agire in quel modo, ma piuttosto che è il modo in cui naturalmente tendono a comportarsi, il modo in cui agiranno a meno che non siano ostacolate nel farlo.
30. Si veda Feser, Aquinas, 110–20, e The Last Superstition, 110–19. Cfr. Reginald Garrigou Lagrange, God: His Existence and His Nature (St. Louis: B. Herder, 1939), 1:345–72; Maurice Holloway, An Introduction to Natural Theology (New York: Appleton-Century-Crofts, 1959),134–53; e Martin, Thomas Aquinas, cap. 13.
31. Il mondo dei blog è stato testimone di alcuni intensi dibattiti tra teorici dell’ID e filosofi A-T. I lettori potrebbero ritenere interessante uno scambio sull’argomento tra me, Vincent Torley e William Dembski, avvenuto sul mio blog personale e su Uncommon Descent. Nel corso dello scambio ho fatto riferimento a parecchi argomenti che vanno oltre lo scopo di questo documento, ma tuttavia rilevanti al fine di comprendere meglio la disputa tra ID e A-T. Qui i link di rilievo:
Feser, “‘Intelligent Design’ Theory and Mechanism”,
http://edwardfeser.blogspot.com/2010/04/intelligent-design-theory-and-mechanism.html
Torley, “A Response to Professor Feser”,
http://www.uncommondescent.com/intelligent-design/aresponse-to-professor-feser/
Feser, “ID Theory, Aquinas, and the Origin of Life: A Reply to Torley”, http://edwardfeser.blogspot.com/2010/04/id-theory-aquinas-and-origin-of-life.html
Dembski, “Does ID Presuppose a Mechanistic View of Nature?”
http://www.uncommondescent.com/intelligent-design/does-id-presuppose-a-mechanistic-view-of-nature/
Feser, “Dembski Rolls Snake Eyes”,
http://edwardfeser.blogspot.com/2010/04/dembski-rolls-snake-eyes.html
Torley, “In Praise of Subtlety”,
http://www.uncommondescent.com/intelligent-design/in-praiseof-subtlety/
Feser, “ID, A-T, and Duns Scotus: A further reply to Torley”,
http://edwardfeser.blogspot.com/2010/04/id-t-and-duns-scotus-further-reply-to.html
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34 commenti
Che bel lavoro che hai fatto J.D.M!Che bella traduzione!
Ho letto(nel momento che scrivo)solo qualche riga, ma mi viene spontaneo di ringraziarti immediatamente.
Ho letto questo articolo tutto d’un fiato. Man mano che andavo avanti, tutto mi diventava sempre più chiaro: il naturalismo, la gnosi, l’ID, i cattolici e i protestanti, l’Occidente e l’Oriente, ecc. Le diverse concezioni contemporanee del mondo stavano già tutte nei dibattiti della Scolastica sugli universali, sui 5 x 5 = 25 colori diversi del concetto di telos. Ma l’uomo di oggi, con la rozzezza del suo linguaggio, consumato un tanto al kilo anche nelle seriose riviste peer per view in grandissimi problemi per i quali non si viene mai a capo, rispetto alle limpidissime e chiare acque medievali, si sta evolvendo o piuttosto involvendo? E poi c’è chi spara alla filosofia filosofando (e magari vivendoci sopra concionando da una cattedra di filosofia pagata dallo stato)!
Che trasparente il corpo umano secondo Tommaso, altro che dualismo cartesiano; che piena di potenza la materia inanimata, altro che spiritismo o vitalismo o materialismo meccanicistico e bla bla. E la mente, il disegno, il caso? Ma che cosa sappiamo del nostro cervello, se non sappiamo nemmeno che cos’è la materia? se i fisici non sanno che cos’è un quark?
Ringrazio CS per avermi dato l’opportunità di leggere un articolo come questo. Che credo continuerò a rileggere, perché penso che ogni volta vi imparerò qualcosa che mi era sfuggito nella lettura precedente. E ringrazio Jacques per la traduzione.
Mi unisco ai ringraziamenti a Jaques per la traduzione.
WOW, FESER in traduzione!!! Questo sì che è un servizio alla comunità, grazie CS, leggo al volo! (e segnalazione d’obbligo su croce-via!)
Bellissimo lavoro sig. Jacques de Molay. Complimenti e ringraziamenti. Lei è riuscito, con molta sensibilità, a fare una traduzione impeccabile. Da una prima lettura, tendo a preferire il suo di testo, magari per l’amore che ho con la lingua italiana e le sue sfumature … La competenza mi commuove sempre
Mi permetto di fare un esempio, modesto, del apprezzo che ho trovato nella lettura del suo testo: nella frase “poiché il collegamento tra teleologia e mente ordinatrice è (con una strizzata d’occhio ad Aristotele) non considerato come ovvio” lei riesce a trasmettere un senso di complicità che abbellisce l’atto di leggere. In “with a nod to Aristotle“, non ho questa sensazione … complimenti ancora.
Ancora un ottimo articolo che conferma la grande validità del lavoro svolto da questo sito. Grazie!!
Io lavoro nell’information science e quindi dovrei essere, almeno orientativamente, accattivata dall’ID, perche’ mi rendo conto tutti i giorni direttamente sul campo della complessita’ dell’informazione. Eppure c’era qualcosa d’indefinito che me ne faceva sempre dubitare, e non parlo in termini di epistemologia, se l’ID sia falsificabile o no, o di altre questioni tecniche di questo tipo. No, c’era qualcos’altro di piu’ profondo, ma confuso dentro di me, che non mi convinceva.
Dopo la lettura di questo magnifico articolo l’ho capito, e ho capito me stessa. L’ID si stupisce dell’informazione contenuta nel DNA e chiama in causa l’intelligenza. Aristotele e Tommaso d’Aquino rispondono che l’informazione nell’essere e’ certamente una gran cosa, ma che ne e’ solo un attributo, perche’ lo stupore e’ prima di tutto dato dall’essere!
L’essere biologico contiene informazione ed e’ stupefacentemente organizzato? Tutto l’essere contiene informazione e organizzazione, il mondo animato e quello inanimato, l’uomo, gli animali e le piante, ma anche frate sole e sorella acqua. E tutto l’essere e’ bello, ma anche vero, e buono.
L’essere e’, ecco la questione metafisica, ed essa presuppone si’ l’Intelligenza, ma insieme presuppone la Potenza creatrice, la Verita’ e la Bonta’. Quindi, amici dell’ID, perche’ fermarsi davanti ad una pepita, quando tutta la montagna d’oro ci e’ davanti?
Illuminanti parole Nadia. Grazie per aver condiviso questo pensiero.
Proprio così, Nadia. Aristotele esordisce la sua “Metafisica” con le parole “Παντες ανθρωποι τον εἱδεναι ορεγονται φυσει”: tutti gli uomini desiderano per natura “vedere”, cioè capire, sapere. La metafisica nasce dallo stupore derivante dalla visione dell’essere.
Come i bambini…
Scusa l’ardire, Nadia, e non arrabbiarti…
Ma se per capire te stessa c’era bisogno di questo articolo, si può dire che hai avuto una bella dose di fortuna, in quanto, per i più diversi motivi, un articolo di questo tipo avrebbe potuto non apparire mai su CS, e tu avresti corso il grosso rischio di non comprenderti…
Non so se si tratta di caso-caso o caso guidato o qualcos’altro, ma il fatto ha contribuito alla fine una sorta di evoluzione della tua anima. A crederci è davvero bello.
Bella comunque la tua conclusione, suggestiva davvero. Dà il segno di una profonda convinzione e sensibilità. Un momento magico del cuore, direi. Ad averne, sono impagabili. E allora ben venga anche la teleologia se produce questi frutti.
Ringrazio C.S. per la presentazione di questo articolo.
Essendo me stesso un convinto A-T (e come non esserlo quando si ragiona filosoficamente con un background scientifico?) con un accento su A. , ho ritrovato qui, esposte con somma limpidezza, tutte le ragioni della mia ritrosia rispetto alle teorie dell’I.D. che ho già espresso precedentemente.
Vorrei giusto commentare un punto che mi sembra importante e che dovrebbe, a mio umile parere, dover essere tenuto in conto quando si riflette alla causa finale degli oggetti inanimati, punto che, secondo me, è anche compartito dagli esseri viventi: la causa A che produce un effetto B, è sempre comunicazione di informazione/energia in un contesto C. Due situazioni ci interessano qui: la prima quando il contesto C può recepire (ha la potenza di) quest’informazione e dunque si realizza l’avvenire di B; la seconda quando tale contesto C non ha tale potenza che permetta l’avvenire di B.
La causa finale di A può quindi anche essere interpretata come adeguazione ( o la sua assenza) dell’informazione A al contesto C, e ciò senza dover ricorrere immediatamente alla seconda parte della Quinta Via dell’Aquinate, ma solo necessitando la premessa del contesto C adeguato all’espressione di B.
Non penso, quindi, che questa via della micro-metafisica (in analogia alla micro-economia) sia il modo migliore per dimostrare la necessità dell’esistenza di Dio per garantire la finalità degli oggetti inanimati.
Il che non vuol dire che tale esistenza non sia logicamente dimostrabile: 😉
Articolo superbo da essere incorniciato, utilizzato per l’insegnamento e spesso citato!
[OT]: posto qui perche’ negli altri post i commenti sono stati disabilitati:
http://www.giulemanidaibambini.org/news-in-evidenza/ritalin-bambini-e-sindrome-adhd-il-suo-inventore-sul-letto-di-morte-dice-che-e-malattia-inventata
Grazie per la segnalazione Piero, vedremo di dare spazio all’artgomento in un articolo più adatto.
Mi associo ai ringraziamenti e ai complimenti a JdM per l’ottimo lavoro e il servizio reso a tutti.
Aggiungo poi che la negazione di una causa finale anche di tipo intrinseco nell’evoluzionismo attuale è espressa col termine “teleonomia” che indica qualcosa di casuale che “sembra” avere un fine.
Un concetto che si scontra quotidianamente con le lezioni svolte in ogni aula scolastica dove gli insegnanti dicono “il cuore serve a pompare il sangue”, “lo stomaco serve per la digestione” ecc.. e non “il cuore casualmente si è trovato a pompare il sangue” o “lo stomaco casualmente digerisce”.
Evidemtemente chi segue il pensiero alla Dawkins sosterrà che si tratta di residui linguistici del passato.
Vabbèh..diciamo che l’ottica in cui si raggiunge un sistema complesso e “irriducibile” a scapito della funzionalità completa è un passaggio postulato dai neodarwinisti da tempo.
Sia in principio in cui era visto un po’ come fine ultimo di un’evoluzione,sia dopo quando può rappresentare sempre un momento d’arresto come un momento di temporanea stabilità fino ad una nuova evoluzione.Uno “stato”.
Alché,facendo riferimento alla teleonomia,preferisco andare a vedere al nostrano Pievani,ponendolo come esempio di questo pensiero neodarwinista,e riferendo il suo dubbio sul fatto che dire che un occhio serva per vedere, una gamba per camminare ,un dente per masticare, un cuore per pompare sangue etc..non implica che essi si siano sviluppati “per” svolgere quella funzione.Da qui l’errore che segnalavo per esempio alla prof.Mautino con la trappola per topi (dove si è impelagata da sola potendo invece facilmente uscirne vincitrice)Ovvero quegli “stati” rappresenterebbero un sistema associato alla funzione o utilità attuale di una struttura.Cioè che assume nel momento in cui osservo.
Poi se neodarwinisti come Dawkins,come quello che ha creato quella storiella sulla trappola per topi ed altri, vanno a fare affermazioni su quel “per”,non vuol dire che questo faccia il neodarwinismo.Infatti non lo fa.
Non è scientifico, ma non lo infastidiscono le cause finali.A livello di filosofia, per quel che mi riguarda,può anche continuare a dire quel che dice.
Inno alla potenza scientifica dell’aristotelica causa “finale”.
Siete mai stati in Trafalgar Square a Londra? Certamente sì, e magari vi sarà capitato che vostro figlio sia salito in uno dei 4 magnifici leoni che fanno la guardia alla colonna sopra la quale Horatio Nelson vigila sulla sicurezza della Gran Bretagna. Ebbene supponete che il bambino v’interroghi: “Perché, papà, c’è un pezzettino di rame sul naso del leone?”. E voi, volendo essere il più possibile aderenti alla verità, cioè “scientifici”, che cosa gli rispondereste?
Io gli risposi con la seguente catena di correlazioni: 1) Nelson fu l’ammiraglio che sconfiggendo la flotta francese garantì la salvezza della Gran Bretagna e il suo dominio globale sui mari per un altro secolo e mezzo; 2) è tradizione che gli stati onorino gli eroi dei loro paesi con statue collocate nelle piazze principali; 3) questa è forse la piazza più importante di Londra, perché collocata alla confluenza delle principali vie dove ci sono tutti gli organi di governo britannici; 4) il materiale più comune usato per le statue è il bronzo, che contiene il rame.
Questa spiegazione è tutto l’opposto di una spiegazione riduzionistica, perché non spiega il livello alto con il livello più basso, ma al contrario spiega il livello più basso (la presenza di atomi di rame in un certo luogo) con i livelli più alti possibili esistenti a questo mondo: governo, tradizione, idee, eroi, guerra, patria, ecc. Insomma, ricorre all’aristotelica quarta forma di causa, il fine. Eppure io non trovai allora, né saprei trovare ora, una risposta più veritativa alla domanda di mio figlio.
A Londra c’è il leone(fra l’altro ora non fanno più salircvi sopra..)a Firenze c’è il cinghiale nella fontana nella Loggia del Mercato Nuovo(di cui ci sono varie copie in Toscana), a Pisa nel portone del Duomo c’è una lucertola.
Tutto bronzo.La lucertola,il naso del cinghiale e del leone color rame.
Tutte e tre oggetto delle dita di una miriade di turisti o di qualcuno intento a fare riti “portafortuna”.
Una “spiegazione” a un perché di quel tipo dell’esempio può dare spazio a molte cause che tutte insieme hanno portato a quell’esito.
La scienza però,si pone molto ma molto più umilmente andando a rispondere ad un “perché” mascherando opportunamente un “come”.
Diviene importante in quei casi portati ad esempio distinguere se il particolare sia una scelta volontaria dello scultore(ci sono statue in bronzo con particolari in rame,oro,argento..)o se sia frutto di fenomeni di corrosione.
Cosicché a chi gli viene fornita una spiegazione di questo tipo vedendo altre 100,1000 statue del genere avrà mezzi per riconoscere cosa ha comortato quello che osserva.
D’altro canto con il “metodo filosofico” si avrà il mezzo per indagare e conoscere nel modo più completo possibile tutto il background che sta dietro all’oggetto della propria curiosità.
Per un modello la conoscenza è un “prodotto”,per l’altro un limite a cui si tende..
Giustamente, Leonetto, ci possono essere altre cause che spiegano come e perché alcuni atomi di rame si trovano sulla superficie di una statua bronzea qualsiasi collocata in una data piazza. Però io non ho sentito ancora un esempio di spiegazione riduzionistica, o materialistica, o scientista, o meccanicistica, ecc. come quelle che piacciono tanto ai nostri amici naturalisti darwinisti. Lei li potrebbe aiutare? O dovremmo pensare che, sotto sotto, anche i nostri amici naturalisti credono alle cause finali di Aristotele?
Bah o ci si crede o ci si volta di là guardando alla formale,materiale ed efficiente…
La scienza moderna, per forza di cose,esclude “per definizione” cause finali di un certo “livello”.
Se quelli (gli scientisti)pretendono che le scienze fisiche e sperimentali ed i loro metodi abbiano la capacità di soddisfare tutti i problemi,i bisogni dell’uomo e dare risposta a tutte le domande(per dirla brutalmente),come possono fare a trovare risposta a qualcosa che è fuori dalla potenzialità esplicativa del metodo?
Anche da un punto di vista filosofico non mi pare che Hume o chi altri abbiano avuto grande fortuna..o no?
Esatto. Ciò che volevo con il mio esempio mettere in evidenza è che il metodo scientifico – tanto portato sul palmo soprattutto da coloro che non hanno mai messo il naso in un laboratorio fisico o chimico – non solo non riesce a soddisfare le grandi domande (l’etica, l’estetica, il destino, ecc.), ma non riesce nemmeno a rispondere a domande piccole ed elementari come: perché la punta del naso del leone nella posizione sud di Trafalgar sq. è di rame?
Grazie a tutti per… i ringraziamenti! Però io ho fatto ben poca cosa, una semplice traduzione (dobbiamo ringraziare anche i prof. Masiero e Forastiere per la revisione del testo!). Da parte mia invece vorrei ringraziare, oltre ovviamente all’autore di questo eccellente articolo, anche il prof. Pennetta che – in decisa controtendenza rispetto ad altri siti e blog scientifici – ospita articoli che come questo non si occupano propriamente di scienza nel senso “moderno” del termine, ma che non di meno SONO scientifici, se per Scienza intendiamo una “conoscenza certa per cause”. Non è cosa di poco conto, anzi… Grazie Professore.
Ciao JdM,
proprio quello che hai scritto sopra, con i ringraziamenti al contributo di Forastiere e Masiero testimonia come un sito come questo sarebbe poca cosa se dietro non crescesse un contributo di più persone che va da chi scrive articoli a chi scrive commenti.
Il riscontro che riusciamo ad avere dimostra inoltre che la “conoscenza per giuste cause” interessa diverse persone.
Caro Jacques,
il mio contributo è veramente trascurabile! Mi associo anch’io ai ringraziamenti che ti sono dovuti per aver portato i lavori di Feser alla conoscenza di un pubblico che ci auguriamo sempre più ampio e interessato. Naturalmente, poi, grazie come sempre a Enzo che ospita e dà voce a tutti!
Non a caso Il grande Gilbert Keith Chesterton (consiglio a tutti la sua biografia di Tommaso d’Aquino) sosteneva che San Tommaso fu l’ultimo filosofo realista e che si poteva seguire il suo pensiero senza far violenza al proprio intuito e al buon senso, laddove chi è venuto dopo di lui proponeva al pubblico un patto del tipo ‘Tu accetta da me questa evidente assurdità iniziale, se la accetti, sulla mia parola, vedrai che poi tutto il resto va a posto’. Ecco è la mancanza di questo iniziale patto scellerato che rende la vera scolastica ancora attuale e viva.
Di fatto ogni scienziato serio, lo ammetta o meno, è un Aristotelico, non esiste alcuna ricerca al mondo che non sia ‘ordinata’ alla dimostrazione a ritroso di una causa finale. Il pezzo di Feser è entusiasmante e la resa in Italiano perfetta ! Credo che questo sia un articolo di grande importanza che spero contribuisca a far comprendere a tutti coloro che seguono questo sito la necesità di un pensiero filosofico rigoroso che troppe volte viene misconosciuta.
Carissimi amici,
sono per questa forma di riduzionismo: la specie umana è una delle specie alla periferia dell’universo della biodiversità terrestre; le sue facoltà risulteranno l’esito di un processo interamente naturale che capiremo; fino a quel tempo è giusto, e anche capibile, assegnarle al novero delle nobili e inspiegabili prerogative eccelse concesse a una specie fatta a immagine di un Creatore.
Come amate dire qui, prima di capire l’origine del fulmine veniva assegnato a dio-zeus. Prima di capire.
E invece adesso che “capiamo” a quale origine si deve il fulmine?
Carissimo 1/10,
dopo aver letto Feser dovremmo concordare sul fatto che il fenomeno fisico è indagabile e spiegabile dalla scienza, e sul fatto che se poi un tale fenomeno abbia un fine questo non è indagabile dalla scienza.
Il grande progresso rispetto alle credenze del passato è che sappiamo spiegare cosa è un fulmine, ma sul suo perché inteso come causa finale la scienza non ci può dire e non ci dirà mai nulla.
Quindi anche quando sarà spiegato il meccanismo dell’evoluzione questo meccanismo non ci potrà dire nulla sull’eventuale creatore, così come l’aver spiegato il fulmine non ci dice nulla sull’esistenza o meno di Dio.
Infatti l’elettricità è nota in tutte le sue leggi e nessuno si sogna di impiegarle per confutare l’esistenza di Dio.
Carissimi amici,
anche se si potesse confutare l’esistenza di Dio non sarebbe interessante, non porterebbe a nulla, non cambierebbe nulla per chi vive e neanche per la scienza che rimane empirico puro, e felice empirico, e gratificante empirico.
I sogni, poi, fanno bene, ben vengano se rendono felici; e anche tutte le passioni che una mente umana sa figurarsi…
Uno dei miei ragazzi passa le giornate ad ascoltare centinaia di 45 giri in vinile che riconosce a vista senza saper leggere; conosce ogni parola di quelle canzoni meglio degli artisti che le interpretano; vive la vita che non ha potuto vivere con le storie che immagina e che trasudano da quei brevi testi… Vive una sorta di vita artificiale che per lui non è meno vera della vita vera.
Che voglio significare? Provate a… immaginarlo.
Adesso che sappiamo di dove viene il fulmine, abbiamo smesso di pensarlo originato da un dio… E allora l’autentica formula dell’ateismo non dovrebbe essere “Dio non esiste” ma “Dio è inconscio”.
Dio è inconscio.
Prova anche a leggere le opere del filosofo G.Leibniz,Lui forse potrebbe darti una piccola e parziale risposta.Se lo dovessi(immeritatamente)ritenere “superato”,allora prova a leggere le Opere di Kant.
ps:Non sono soddisfatto della tua risposta “del 50%”(dio esiste-dio non esiste)riferita a molti commenti orsono.
Tu in due parole hai “deciso”per il 100%”che Dio non esiste”.
1/10, i buddisti vivono la vita vera pensando che sia un sogno, potrebbero pensare quello che pensi tu adesso e dire di te che per loro tu sei come quel tuo ragazzo.
Dove sta la verità?
Un giorno lo scopriremo tutti, e molti avranno delle sorprese, non escludere che possa essere tu ad averle.
Il popolino greco, non i filosofi che formulavano ipotesi diverse, pensava che i fulmini fossero prodotti da Zeus. Che ignoranti!
Noi invece diciamo che i fulmini sono una forma di energia strutturata in un campo tensoriale 4-dimensionale di ordine 2 antisimmetrico, vibrante alla frequenza di miliardi di miliardi di Hz e propagantesi nel vuoto alla velocita’ di 300.000 km/sec. Noi si’ che sappiamo tutto. Fine delle domande?
Io so solo una cosa: di non sapere scientificamente NULLA, perche’ mentre riconosco che la scienza mi ha dato potenza sulla natura (tecnologia), contemporaneamente mi sono accorto che ogni risposta scientifica e’ un rinvio a 100 nuove domande. Forse e’ per questa ragione che coloro che piu’ di tutti credono alla scienza sono coloro che non hanno mai messo piede in un laboratorio scientifico…
O qualcuno dei lettori di CS mi sa dire una cosa, una sola cosa, che la scienza “sa”?
Torniamo, cari amici, a parlare di cose serie: cioè di scienza della biologia, che è una bellissima statua (da ricostruire), e di epistemologia, che è il robusto piedistallo da cui la statua è sostenuta.
Io ho perso parte della stima che avevo per Kant quando ho scoperto che le sue 3 “Critiche” avevano poco di originale, ma battevano un vecchio chiodo già infinite volte esaminato dalla Scolastica nelle discussioni riguardanti i 3 trascendentali: il vero, il buono e il bello.
Ebbene, eccovi una chicca: “Ci sono due modi diversi di render conto di una cosa. Il primo consiste nello stabilire con una dimostrazione sufficiente l’esattezza di un principio da cui questa cosa deriva; così, in filosofia naturale, si dà una ragione sufficiente a provare l’uniformità dei moti del cielo. Un secondo modo di render ragione di una cosa consiste non nel dimostrare il suo principio con una prova sufficiente, ma nel far vedere come gli effetti si accordino a un principio precedentemente posto; così, in astronomia si rende conto degli eccentrici e degli epicicli per il fatto che, per mezzo di quest’ipotesi, si possono salvare le apparenze sensibili relative ai moti celesti; ma non è, questo, un motivo sufficientemente probante, perché questi moti apparenti si potrebbero salvare per mezzo di un’altra ipotesi”. Beh, questo pensiero non l’ha scritto Popper (anche se condensa tutta l’epistemologia popperiana!), ma l’ha scritto Tommaso d’Aquino 7 secoli prima di Popper (Summa Theologiae, parte I, questione XXXII, art. I).
La visione tomistica della realtà è “naturalistica”, perché parte dalla concezione metafisica che Dio opera per cause seconde, essendo il “miracolo” l’eccezione. Il tomismo ha derivato dall’aristotelismo la concezione che tutta l’organizzazione del reale, nelle sue manifestazioni inanimate come in quelle animate, è necessitata dai suoi costituenti. Da queste basi epistemologiche della Scolastica medioevale è partita una lenta elaborazione culminata nei XVII secolo nei principi della scienza moderna. E’ il rispetto di questo paradigma che ci differenzia dall’ID: una spiegazione scientifica della vita, se c’è (non è garantito che ci sia), deve passare attraverso la descrizione matematica di un sistema considerato come costituito 1) di elementi, 2) delle loro proprietà, 3) delle loro relazioni interne e 4) delle loro relazione con l’ambiente. La descrizione, formalizzata su assunzioni (“ipotesi”, nel linguaggio di Tommaso) nel numero minimo possibile (per il principio di frate Ockam), dovrà contenere predizioni sperimentalmente controllabili per distinguersi dalle “interpretazioni” filosofiche.
Nella nuova biologia, l’elemento distintivo di ricerca rispetto alla fisica (“semplice”) della natura inanimata è dato dalle leggi dell’organizzazione dei sistemi biologici, cioè di insiemi ordinati di elementi capaci di svolgere funzioni complesse dotate di significato. Come fare? Con quali strumenti concettuali? Non certo con la SE, ma con un intreccio di 1) Sistemica, 2) Teoria Quantistica dei Campi e 3) Teoria delle forme. Come vedremo.