Babele evoluzionista: “Le Scienze” e la fine dell’evoluzione umana

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Un articolo a firma del direttore di Le Scienze, Marco Cattaneo, mostra involontariamente le contraddizioni della teoria neodarwiniana.

 

Più che della fine dell’evoluzione umana sembra che si parli della fine della teoria stessa.

 

L’articolo a firma di Marco Cattaneo, direttore di Le Scienze, intitolato “La fine dell’evoluzione umana?” è stato pubblicato il 23 settembre sul sito della rivista ma il giorno prima era stato proposto ai lettori del quotidiano Repubblica.

 Lo spunto dell’articolo è stata un’affermazione del noto giornalista scientifico Sir David Attenborough, che ha affermato di ritenere che l’evoluzione umana sia finita. Un’affermazione che oggettivamente è solo una constatazione visto che da circa 200.000 anni è presente Homo sapiens e nessuno ha mai detto che il sapiens di oggi sia da ritenere una specie diversa da quello più antico. Eppure questa semplice constatazione è bastata a lasciare basiti i sostenitori della teoria neodarwiniana, che Cattaneo autorevolmente rappresenta, tanto che nel suo articolo si esprime nel seguente modo:

«Penso che gli esseri umani abbiano smesso di evolversi».

Buttata lì così, sembra una provocazione da non prendere troppo sul serio. Ma se la provocazione arriva per bocca del naturalista e decano della divulgazione scientifica in materia di biologia evoluzionistica, Sir David Attenborough, ha tutto un altro sapore.

E, come è prevedibile, solleva un vespaio.

Addirittura un vespaio si solleva su una banalità, cioè sul fatto che Homo sapiens sia rimasto Homo sapiens per duecentomila anni e che nulla lascia intravedere che stia per diventare qualcos’altro.

Ma, sempre su Le Scienze, continuiamo a seguire il ragionamento di Attenborough:

«Se la selezione naturale – ha dichiarato Attenborough in un’intervista a «Radio Times» – è il principale meccanismo dell’evoluzione, allora noi abbiamo fermato la selezione naturale.

Lo abbiamo fatto da quando siamo in grado di crescere il 95-99 per cento dei nostri figli fino all’età riproduttiva. Siamo la sola specie che abbia messo un freno alla selezione naturale, di propria volontà».

 

 Quello che emerge dalle dichiarazioni del divulgatore inglese è più che altro il fatto che egli faccia coincidere la specie umana con il mondo industrializzato, quando parla del 95/99% di figli sopravvissuti e del “freno alla selezione naturale” sembra proprio non tenere conto delle realtà dei paesi sottosviluppati. Ma andiamo oltre e limitiamo il discorso alla mancanza di selezione naturale nei paesi occidentali dove la mortalità infantile è molto bassa (cosa che ad Attenborough sembra quasi dispiacere). Quello che Cattaneo rileva al riguardo è che l’argomento non è nuovo, ma che finora era rimasto confinato agli esperti, una specie di segreto che Attenborough ha rivelato ai profani e sul quale adesso non può più essere evitata la discussione pubblica.

L’articolo su Le Scienze afferma che già qualche anno fa qualcuno aveva fatto notare che con la diffusione delle popolazioni umane ai quattro angoli della Terra erano venute a mancare le condizioni di isolamento necessarie per la speciazione secondo la teoria neodarwinana. Bene, discorso chiuso verrebbe da dire. E invece no, l’evoluzione neodarwinaina può fare a meno anche delle sue stesse regole, basta cambiare le definizioni e il gioco è fatto, come spiegato di seguito:

Ma l’evoluzione non è solo speciazione, per usare un termine tecnico.

Tanto che Henry Harpending e John Hawks, dell’Università del Wisconsin, hanno rilevato che da 5.000 anni a questa parte si è modificato almeno il 7 per cento dei nostri geni.

Mentre Parvis Sabeti, ad Harvard, ha scoperto prove di cambiamenti recenti del nostro patrimonio genetico, che hanno aumentato le possibilità di sopravvivenza e riproduzione degli individui.

 

L’evoluzione non è solo speciazione, la neolingua evoluzionista ha stabilito che si possa essere in presenza di evoluzione anche senza produzione di nuove specie. Si tratta di quella che comunemente si indica come “microevoluzione”, cioè quella comparsa di levi cambiamenti che aumentano la variabilità all’interno della specie senza che però si sia minimamente in presenza di cambiamenti che preludono alla comparsa di una nuova specie.

Ecco allora la notizia: negli ultimi 5.000 anni si è modificato almeno il 7% dei nostri geni, quindi siamo evoluti!

Che emozione sarebbe poter incontrare un antico egizio o un antico babilonese e pensare che rispetto a lui siamo evoluti. Perché allora non scriverlo sui libri scolastici? Forse per non essere sepolti da una risata avrebbe detto Bakunin.

A questo punto viene introdotta la versione di Peter Ward, paleontologo e astrobiologo dell’Università di Washington a Seattle, che invece sostiene che la velocità di evoluzione umana abbia subito un’accelerazione negli ultimi 10.000 anni a causa delle variazioni introdotte da noi negli ecosistemi. Ovviamente questo non è dimostrabile con un esperimento, ma si tratta di dettagli… Poi Ward ribalta totalmente la teoria neodarwiniana nel punto in cui per avere una speciazione è richiesto l’isolamento riproduttivo e afferma l’esatto contrario:

Nell’ultimo secolo, poi, c’è stato un ulteriore cambiamento: con l’aumento dei flussi migratori, molte popolazioni che vivevano relativamente isolate sono entrate in contatto con gli altri gruppi. «Mai prima d’ora – sostiene Ward – il pool genico umano ha affrontato un rimescolamento tanto vasto tra popolazioni locali che erano rimaste separate».

Ecco che quindi il rimescolamento del pool genico diventa fattore di evoluzione mentre invece, come tutti gli allevatori sanno, e lo stesso Darwin sapeva bene, il rimescolamento di razze selezionate porta al ritorno alla razza originale annullando il lavoro dell’allevatore. Ward sbaglia grossolanamente, e la cosa non sembra essere notata da nessuno.

Ma nel momento in cui sembra che gli evoluzionisti abbiano toccato il culmine della confusione arrivano le dichiarazioni di autori non meglio precisati che addirittura ignorano del tutto di cosa si parli, tanto che Cattaneo per carità di patria non avrebbe dovuto neanche parlarne:

Secondo un altro punto di vista, infatti, l’evoluzione genetica continua, ma in direzione opposta. La vita sedentaria, con l’indebolimento dell’apparato scheletrico, per esempio, è uno dei fattori che potrebbero renderci meno adatti alla sopravvivenza, in senso darwiniano.

Non essendo citate le fonti potrebbe anche trattarsi di una considerazione del direttore Cattaneo, ma in ogni caso si tratta di una frase che costituisce un clamoroso scivolone, affermare infatti che la vita sedentaria porti ad evolvere un apparato scheletrico indebolito è un’impostazione lamarckiana che nemmeno un redivivo Lysenko si sognerebbe più di sostenere. No comment.

Giunge poi il momento dell’eugenetica che sfocia nel malthusianesimo, il tutto presentato come fosse una novità:

Ma ci sono altri fenomeni che potrebbero favorire un’evoluzione «al contrario»: per esempio molti di coloro che frequentano università e dottorati ritardano la procreazione, mentre i loro coetanei non laureati fanno figli prima.

Qualcuno sostiene dunque – con un’equazione un po’ ardita – che se i genitori meno intelligenti facessero più figli, allora l’intelligenza sarebbe diventata uno svantaggio darwiniano, e la selezione naturale potrebbe sfavorirla. Ma in questo caso, anche se contro di noi, la selezione continuerebbe implacabile la sua azione.

 

Apprendiamo che secondo Cattaneo chi frequenta l’università è più evoluto e intelligente di chi ha fatto altre scelte, un’affermazione che personalmente potrei trovare anche molto comoda e conveniente ma che è assolutamente falsa oltre che classista.

La preoccupazione che le classi “inferiori” (operai, artigiani, impiegati ecc…) procreino maggiormente era molto presente alla fine dell’800 e all’inizio del ‘900, la soluzione erano proprio le politiche malthusiane che prevedevano la riduzione forzata della natalità presso le classi povere, cosa di cui abbiamo parlato recentemente qui.

Contro la tesi di Attenborough giunge il parere di Ian Rickard, antropologo evolutivo dell’Università di Durham, che dal sito del «Guardian» fa sapere che secondo lui l’evoluzione è in atto perché la selezione non coincide con la sopravvivenza e afferma infine che:

«La lezione che dobbiamo trarre da questa diversità globale non è che gli esseri umani divergeranno in specie differenti; dobbiamo invece riconoscere che l’impredicibilità delle cose umane significa che ciò che sappiamo ora della selezione naturale in atto è completamente inutile a lungo termine».

 

Un’affermazione che conferma la mancanza di predittività della teoria neodarwiniana, almeno riguardo la specie umana, il che ne fa una teoria inutile.

Dello stesso parere viene segnalato l’intervento di Catherine Woods, dell’Università di New York, che concorda anche lei sul fatto che l’umanità stia evolvendo, solo che  «non necessariamente come ci aspettiamo». Ancora una prova dell’inutilità della teoria.

Per ultima viene riportata la tesi secondo la quale l’evoluzione avviene con il solo contributo delle mutazioni casuali senza l’aiuto della selezione, come sostenuto ad es. da Daniel McShea e Robert Brandon, della Duke University, un’idea che aprirebbe a prospettive da fantascienza con diversi “mutanti” presenti contemporaneamente nella popolazione, ma di fatto sono presenti solo nei film tipo “Total recall” perché qui di mutanti non sembra proprio che se vedano in giro…

Gli evoluzionisti neodarwiniani sosterranno che la varietà di opinioni riportate rappresentino una normale discussione nell’ambito della stessa teoria, ma non è così. Si tratta di posizioni che contrastano in modo insanabile con la teoria neodarwiniana negando ora la selezione ora l’isolamento riproduttivo o affermando invece l’ereditarietà dei caratteri acquisiti, una vera Babele di opinioni che indica la crisi insanabile della costruzione di quella “torre” che l’intera umanità era stata chiamata ad ammirare.

Dall’articolo pubblicato su Le Scienze emerge che una sola cosa resiste del darwinismo attraverso le varie, e forse innumerevoli, versioni che si sono succedute dall’800, il classismo e il darwinismo sociale. Una triste conferma che l’umanità non si è proprio evoluta.

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Laureato in Biologia e in Farmacia, docente di scienze naturali Nel 2011 ha pubblicato "Inchiesta sul darwinismo", nel 2016 "L'ultimo uomo" e nel 2020 "Il Quarto Dominio".

6 commenti

  1. Giorgio Masiero on

    Il principio di non contraddizione in logica è: A xor not(A);
    Nel darwinismo vale, per molte proposizioni A, l’equazione: A and not(A). Quindi la teoria darwinistica, o almeno l’affermazione che tutte quelle proposizioni A e le loro negazioni not(A) rientrino nel darwinismo, è auto-contraddittoria.
    In una logica riduzionistica, DNA-centrica, il tempo può solo comportare l’involuzione delle specie e, progressivamente, la loro scomparsa. Perché?
    Nei sistemi industriali a controllo numerico, il tempo e l’uso logorano, oltre ai robot, i supporti fisici dove sono salvate le informazioni. Quando i simboli istanziati, i commutatori ai nodi di controllo e i circuiti elettronici si deteriorano, le istruzioni formali istanziate perdono affidabilità semantica. Ogni ingegnere addetto al controllo di una catena di montaggio sa che In una striscia di trilioni di 0 e 1, basta lo scambio d’un simbolo ad arrestare la robotica. La termodinamica evidentemente non ha effetto sui formalismi astratti progettuali, ma soltanto sui materiali della loro istanziazione; tuttavia è proprio l’entropia dei sistemi fisici a causare il declino delle funzioni cibernetiche negli impianti industriali, che solo dall’intervento intenzionale di un agente formale (cioè: un operatore umano) possono essere ripristinate.
    A differenza dell’industria però, il codice genetico degli organismi viventi istanziato nei due acidi nucleici non ha agenti intenzionali costantemente all’opera per riparare ogni mutazione casuale, di per sé negativamente efficace solo a deteriorare i metabolismi. C’è, è vero, miracolosamente (altro che spreco e combinazioni casuali!), la ridondanza nella corrispondenza non biunivoca tra triplette e aminoacidi a sopperire, rafforzando il codice con un’ottimizzazione algoritmica, così rallentando l’inquinamento genetico, che l’ambiente altrimenti produrrebbe, e minimizzando gli errori di traslazione nell’mRNA tra i codoni e l’inserimento degli aminoacidi durante la sintesi proteica. Ma l’inquinamento è rallentato dalla ridondanza, non è azzerato: l’entropia condanna comunque la vita individuale alla morte, nonché tutte le specie ad una lenta involuzione.
    Come dire: la teoria darwinistica dell’evoluzione delle specie implica la loro involuzione. Una teoria contraddittoria, appunto.

    • Caro Giorgio, purtroppo quando poi si va da un sostenitore della teoria neodarwiniana chiedendo risposte a queste obiezioni ti risponde che se la quasi totalità degli esperti sostiene la teoria vuol dire che è ben corroborata e concettualmente valida. Punto, argomenti niente.
      Comunque, a giudicare dal bel carosello di teorie contrastanti che riescono a mettere sotto il cappello del “darwinismo”, puoi stare certo che ci farebbero rientrare anche la tua obiezione facendola passare per una delle possibili varianti della teoria.
      Il darwinismo è un mostro filosofico in grado di digerire tutto.

      • Leggendo le lunghe serie di commenti che spesso si sono succedute su questo sito ho notato che molte discussioni non sembrano fatte tra scienziati e/o appassionati di scienza, ma da avvocati e notai, con espressioni del tipo:
        “Questo articolo non ha passato la peer review”
        “Questo autore non è un biologo”
        “Tale affermazione appartiene a una minoranza trascurabile”
        “Tizio ha vinto il premio Nobel” ecc…
        …e io che pensavo che servissero le osservazioni sperimentali, devo essere ingenuo.
        Forse tendo a banalizzare troppo le cose, a voler ridurre il tutto in punti chiave, per esempio:
        1)”i batteri di Lenski sapeva già metabolizzare il citrato: SI o NO?”
        2)”un dato homo apparteneva ad un’altra specie non sapiens: SI o NO?”
        3)”esistono animali dotati di linguaggio verbale: SI o NO?”
        4)”esistono mutazioni genetiche che non causino malattie o modifiche irrilevanti: SI o NO?”
        5)”data una certa specie di essere vivente,si può dire se essa si evolverà nel seguente intervallo di tempo: SI o NO?”
        Non so voi, ma credo che un’affermazione di qualsiasi genere su un qualsiasi argomento debba essere ritenuta valida se essa è verificabile, a prescindere se essa sia stata scritta da una “Grande Penna” o “solo” da un…Pennetta.

        • 🙂 🙂

          Sono d’accordo su tutto, come abbiamo verificato più volte di norma anziché ricevere risposte nel merito delle questioni sollevate si finisce sempre col ricevere una lista di autorevoli nomi che la pensano diversamente.
          Ma anche queste ‘non risposte’ dicono molto.

  2. Senza entrare nel merito della questione – se non per quanto riguarda l’assenza di evoluzione nel genere Homo, che potrebbe persistere da un tempo più che quintuplo di quello indicato -, rilevo che ad alcuni fossili di individui del genere Homo, vissuti circa un milione di anni fa, fu dato il nome di “Homo antecessor” (incollo il link ad un recente documento in italiano su questo ritrovamento http://www.archeomolise.it/archeologia/108716-nuovi-dati-su-homo-antecessor.html ).
    Qualche anno fa lessi un documento che affermava che l’Uomo in questione si sarebbe potuto tranquillamente chiamare “sapiens”, ma che ciò non fu fatto perché sarebbe stato troppo in contrasto con le teorie sull’evoluzione del genere.

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