Un articolo pubblicato su Nature Neuroscience Rewiev denuncia impietosamente il basso livello di credibilità raggiunto da questa disciplina.
Ecco i veri piromani della scienza
“Power failure: why small sample size undermines the reliability of neuroscience“, con questo titolo il 10 aprile è stato pubblicato su Nature un articolo nel quale si mostra il bassissimo livello di attendibilità di molti studi delle neuroscienze. Più precisamente una bassa attendibilità statistica è ciò che rende inaffidabili risultati delle neuroscienze, come riassunto su Nature:
Uno studio con bassa potenza statistica ha una ridotta possibilità di rilevare un vero effetto, ma è meno considerato il fatto che una bassa potenza riduce anche la probabilità che un risultato statisticamente significativo rifletta un vero effetto. Qui si dimostra che la potenza statistica media degli studi delle neuroscienze è molto bassa.
Le conseguenze di ciò sono sovrastima della dimensione dell’effetto e scarsa riproducibilità dei risultati. Ci sono anche dimensioni etiche di questo problema, come quella di una ricerca inaffidabile, inefficiente e dispendiosa.
In poche parole i test impiegati nelle neuroscienze non sono in grado di dimostrare la correttezza o meno dell’ipotesi di partenza. Della ricerca si è parlato anche su Le Scienze del 12 aprile, in un interessante articolo intitolato Neuroscienze, crisi di credibilità, nel quale si è ribadito chiaramente il basso livello di affidabilità di una disciplina nella quale il metodo scientifico non è applicato con correttezza:
Questi dati fotografano un ambito di ricerca che, sebbene in crescita e anche molto popolare tra il grande pubblico, offre pochissime certezze. Tra le cause individuate dagli autori, una è di natura strategica, e non riguarda solo le neuroscienze
Si segnala quindi come sia particolarmente grave che una disciplina “in crescita e molto popolare” diffonda notizie errate. Che valore possiamo dunque dare alle affermazioni di una scienza che propone come certe delle opinioni non supportate da una corretta verifica sperimentale?
Cosa dobbiamo pensare quando vengono proposte teorie sugli argomenti più vari che vanno dall’esistenza dei neuroni specchio (vedi CS-Neuroni specchio, specchio dei tempi… del 12 aprile 2012) a quelle sul perché (scientificamente dimostrato?) sia stato l’uomo a creare Dio e non viceversa, come sostenuto dal neuroscienziato G. Vallortigara in una conferenza all’ultimo Darwin Day di Verona, proprio nello stesso giorno in cui nel Mendel Day si parlava di scienza galileiana con relazioni su Mendel, Spallanzani e Lejeune:
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Ma quel che è più preoccupante è quanto segnalato sempre nell’articolo di Le Scienze in un passo in cui si afferma che il male che affligge le neuroscienze è diffuso anche in altre discipline:
Tra le cause individuate dagli autori, una è di natura strategica, e non riguarda solo le neuroscienze […]
La corsa alla notizia chiara penalizza le ricerche più scrupolose ed è una politica a cui non sfuggirebbero nemmeno le riviste più accreditate.
E nell’ottica della legge del publish or perish, ecco che la maggioranza dei ricercatori tende ad accontentarsi di un metodo meno rigoroso pur di ottenere un risultato più netto, anche se meno realistico, e sceglie strumenti statistici a maglie larghe che generano falsi positivi il 97 per cento delle volte. Un danno che si ripercuote sulla ricerca stessa, che si trova a fare i conti con una letteratura imprecisa e grossolana.
Il dato è davvero impietoso: il 97% di falsi positivi.
Parole di fuoco che aprono un serio discorso sui meccanismi che spingono a premiare chi, per pubblicare il maggior numero possibile di studi, sacrifica l’affidabilità: “publish or perish” questo è il nome di uno dei piromani della scienza.
Chi si dà tanto da fare per segnalare sulla stampa nazionale e internazionale il falso pericolo del creazionismo potrebbe più proficuamente difendere la scienza spendendosi perché siano eliminati i meccanismi che incentivano studi superficiali e frettolosi.
E se testate di critica scientifica fossero più diffuse siamo certi che gli interessati sarebbero più cauti prima di esporsi alla critica.
Noi, gli autori e chi interviene, facciamo la nostra parte in difesa della vera scienza.
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10 commenti
Di recente, durante una discussione sul libero arbitrio mi è stato presentato questo articolo:
Predicting free choices for abstract intentions
Ne ho discusso con mio fratello.
Mi faceva notare che oltre alle conclusioni discutibili dell’articolo stesso (non sembra destare molta meraviglia che in un esercizio così complesso la scelta di sommare o sottrarre i numeri preceda l’esecuzione stessa dell’esercizio, peraltro meccanico)
Ma anche:
“We found that up to 4 s before the conscious decision, a medial
frontopolar region (P < 0.00005 uncorrected, 5-voxel cluster
threshold, 59.5% accuracy) and a region straddling the precuneus
and posterior cingulate (P < 0.00005 uncorrected, 5-voxel
cluster threshold, 59.0% accuracy) began to encode the outcome
of the upcoming decision (Fig. 29"
Un accuratezza del….60%
Predicting free choices for abstract intentions – Proceedings of the …
http://www.pnas.org/content/early/2013/03/…/1212218110.abstract
Grazie Enrico,
questa è una conferma dell’imprecisione delle neuroscienze e della difficoltà di giungere a conclusioni certe.
Riguardo al libero arbitrio, lo stesso fenomeno, evidentemente non nuovo, era stato utilizzato da Odifreddi in “Caro Papa ti scrivo” per negare proprio il libero arbitrio.
Ma come giustamente hai fatto tu stesso notare, non c’è niente di strano che un’attività inconscia inizi prima di quella cosciente, anzi, proprio il fatto che la consapevolezza giunga in un secondo momento rafforza l’idea che venga presa una decisione su quello che “emerge” alla coscienza.
Sulla distinzione tra attivita’ inconscia e libero arbitrio, CS ha pubblicato a suo tempo un articolo di Tito Arecchi: http://www.enzopennetta.it/2012/11/fenomenologia-della-coscienza-dallapprensione-al-giudizio/
@ Pennetta e Masiero
Al di là dell’esercizio discutibile (penso che a tutti sia capitato di avere delle difficoltà iniziali nell’utilizzo di una tecnica e successivamente di applicarla quasi meccanicamente)mio fratello mi faceva notare:
1 La selezione dei candidati che da 34 passano a 17
2 I dati riguardanti l’eleborazione statistica dei risultati
3 Le conclusioni pretenziose dell’articolo.
Mi ha anche segnalato questo discutibile articolo su nature:
http://www.nature.com/news/smoke-and-mirrors-1.12805
In cui si legge:
“The scientifically naive Vatican finds the concept of adult stem cells attractive simply because embryos are not involved — yet it ignores the ethical implications of false hope.”
Che è una frase priva di senso logico.
Ora non è stato scritto da qualche “tizio” o “caio” su facebook, ma in un editoriale di “Nature”.
Sì, l’ho visto, qui non si riesce più a stare dietro a tutto quello che succede!
Ricordando che…..:
“Lo ha ad esempio stabilito su Nature Biothecnology, nel suo numero del febbraio 2007, Duncan E. C. Baker del Sheffield Regional Cytogenetics Service rilevando che le staminali embrionali non riescono a mantenere la stabilità cromosomica durante i lunghi periodi di coltura necessari e a causa dei passaggi di alcune cellule in nuovi medium di crescita, presentando così un’elevata possibilità di causare il cancro.”
A parte le considerazioni morali, non si contano le start up fallite ed i progetti chiusi nel 2012 nella ricerca dell’uso delle embrionali, e all’opposto il rilancio d’investimenti nelle staminali adulte.
La finanza internazionale è piena di difetti, ma di uno non la si può imputare: l’intestardimento ideologico! Essa guarda solo e ossessivamente ai risultati. Che triste invece l’atteggiamento di chi, come l’editorialista di Nature, nasconde dietro la libertà della scienza i suoi pre-giudizi filosofici, con la pretesa che cittadini paghino con le loro tasse i suoi capricci e, per giunta, camuffando la sua amoralità con una petizione morale!