“Per quasi 50 anni ci siamo illusi che la scoperta delle basi molecolari dell’informazione genetica avrebbe svelato il segreto della vita, che bastasse decrittare il messaggio nella sequenza dei nucleotidi del DNA per capire il programma che fa di un organismo ciò che è. Ci stupiva che la risposta fosse così semplice. […] Ora che cominciamo a misurarne l’ampiezza, ci stupisce non la semplicità dei segreti della vita ma la loro complessità”. Evelyn F. Keller
L’uso ideologico della biologia
di Giorgio Masiero
Il 28 febbraio 1953, Francis Crick e James Watson convocarono all’Eagle pub di Cambridge i giornalisti ed un gruppo di amici, cui annunciarono di “aver scoperto il segreto della vita” nella doppia elica del DNA. Si brindò a birra e whisky, come richiedeva l’evento, che fu anche immortalato anni dopo in una targa all’entrata del locale. Nel 1976, Crick alzò il tiro: “Lo scopo ultimo della biologia moderna è spiegare la coscienza in termini di chimica e fisica”, un risultato “raggiungibile in una generazione”. Sappiamo com’è andata la storia: lungi dall’aver trovato i segreti della vita e della coscienza, la biologia non sa ancora come funziona il DNA, così da far dire oggi a Evelyn F. Keller: “Per quasi 50 anni ci siamo illusi che la scoperta delle basi molecolari dell’informazione genetica avrebbe svelato il segreto della vita, che bastasse decrittare il messaggio nella sequenza dei nucleotidi del DNA per capire il programma che fa di un organismo ciò che è. Ci stupiva che la risposta fosse così semplice. […] Ora che cominciamo a misurarne l’ampiezza, ci stupisce non la semplicità dei segreti della vita ma la loro complessità”.
Perché il “segreto della vita” è ancora coperto?
L’iperbole di Crick
Se vale il Dogma centrale della biologia molecolare (DNA ↔ RNA → proteine), il programma genetico contiene tutte le istruzioni per assemblare infine, ordinatamente, le proteine di cui un organismo vivente ha bisogno per l’esercizio delle sue funzioni. Il genoma sarebbe simile ai programmi dei nostri pc, che sono insiemi ordinati di istruzioni, eseguibili da una macchina di Turing per svolgere determinati compiti. Il Dogma (dovuto a Crick, 1958) apre però più questioni di quelle che lo scienziato britannico si proponeva di chiudere.
Un parallelo col programma usato alle pompe di benzina nel rifornimento automatico può essere utile. Secondo questo algoritmo, dobbiamo pagare prima di caricare il carburante nel serbatoio, e prima di pagare dobbiamo scegliere la pompa, ecc. Le istruzioni sono esposte in bella vista. L’elenco può essere scritto in lingua italiana con inchiostro su plastica, o in inglese con grafite su carta, o in cinese con gesso su ardesia, e potrebbe essere anche scolpito su marmo in una striscia di 0 e 1. Il programma è sempre lo stesso: un oggetto matematico, un algoritmo astratto indipendente dal codice alfanumerico e dal supporto fisico usati. Questo è il primo punto in information science.
Cui si accompagna subito un secondo. Per la produzione di un’azione fisica finale, necessariamente ogni algoritmo deve essere “crittato” in un codice e “istanziato” in un mezzo materiale: in un idioma stampato per il servizio di auto-rifornimento di carburante, negli orientamenti magnetici dei domini di Weiss del disco rigido per l’accensione differenziata dei pixel sul monitor del pc, o nella successione di nucleotidi nella molecola del DNA per il metabolismo degli organismi viventi.
Ora, se un automobilista trova le istruzioni in una lingua che non conosce, il programma gli risulterà una stringa senza senso e senza utilità e… il rifornimento impossibile. Voglio dire – e questo è il terzo punto – che ogni programma informatico crittato acquista significato (e veicola informazione utile) solo in un metalinguaggio dato dal sistema operativo che lo “decritta”, traducendo i simboli alfanumerici in operazioni fattibili dall’esecutore fisico. Il programma alla stazione di servizio scritto in italiano a caratteri latini (linguaggio) ha significato solo per chi conosca la lingua italiana (metalinguaggio), così da poter tradurre i simboli (la stringa di caratteri latini) in univoche azioni da mettere in moto. Linguaggio e metalinguaggio sono cose distinte: si può saper leggere una lingua (e anche riconoscerla) senza capirla, o parlarla senza saper scriverla. Allo stesso modo, ogni stringa del DNA dev’essere interpretata per significare una proteina dedicata ad una funzione metabolica: il rilascio di filamenti di DNA pieni d’informazione su una Terra priva di vita è un’immagine hollywoodiana senza fondamento. Qual è il metalinguaggio che decritta il codice del DNA conferendogli significato? È il sistema operativo dell’RNA (logicamente pre-esistente) con i suoi apparati di decrittazione, secondo il Dogma.
Quarto punto: ci vuole un apparato fisico per eseguire le traslazioni tra i programmi istanziati e per svolgere le operazioni di scopo. Io conosco il codice usato nel pentagramma musicale, ma non so suonare alcuno strumento (nemmeno solfeggiare). Non ho la manualità…
Insomma un programma d’istruzioni codificato in un linguaggio è una cosa separata dal linguaggio superiore che lo interpreta, decrittandone il codice per tradurlo in operazioni fisiche, o anche per tradurlo in programmi intermedi crittati in altri linguaggi; e queste attività sono distinte dall’algoritmo a monte e dalla costruzione di esecutori fisici efficienti di tutti i processi. Il costruttore dell’impianto automatico di benzina ha dovuto
- concepire l’algoritmo astratto delle operazioni ordinate per l’auto-rifornimento;
- scegliere il metalinguaggio (la lingua parlata) usato dagli utenti per interpretare un’istanziazione crittata dell’algoritmo e tradurlo in operazioni fisiche;
- crittare l’algoritmo in un codice (la forma scritta della lingua prescelta), anche con una certa elasticità di crittazione e sequenziamento, e istanziarlo in un formato leggibile;
- costruire l’apparato fisico integrato per l’esecuzione di tutte le fasi di rifornimento di carburante.
Nel genoma, a ciascuna operazione (algoritmica, informatica, chimica e fisica) corrispondono altrettanti misteri. L’annuncio di Crick e Watson di averli risolti resterà un’iperbole (giustificata dall’euforia di aver trovato una prima mappa) fino a quando non si sia ricostruito il meccanismo, o almeno immaginato un modello, di come dalla materia inanimata (della Terra o dell’Universo)
- siano state concepite le istruzioni concettuali necessarie ad organizzare il metabolismo di una cellula fondato sulla chimica del carbonio;
- sia stato inventato il sistema operativo necessario ad interpretare quelle istruzioni, una volta codificate in un programma istanziato in un polimero: l’enzima RNA polimerasi per la produzione di mRNA, destinato ad esser tradotto nelle proteine che regolano il metabolismo;
- siano stati elaborati i software e i codici per istanziare il programma genetico in un polimero: il DNA (e nient’altro?), come insieme di sequenze (“geni”) di basi utilizzate per la sintesi di RNA, con una ridondanza pianificata così da ridurre gli errori di traslazione nell’mRNA tra i codoni e l’inserimento degli aminoacidi durante la sintesi proteica
- sia stato ingegnerizzato un sistema di “macchine” (la cellula), capace di eseguire le traslazioni DNA ↔ RNA → proteine.
Se il segreto della vita è un problema scientificamente decidibile (perché – ricordo agli ottimisti ingenui – incombe sempre la spada di Damocle del teorema di Gödel), il darwinista non può nemmeno avvicinarvisi per la rozzezza della sua strumentazione. Quando gli si domanda di esemplificare un processo biologico evolutivo con l’incremento dell’informazione utile alla sintesi di nuove proteine (e funzioni metaboliche), egli nega senso alla domanda scandendo: “Il concetto d’informazione in biologia è tutt’altro che assodato. […] Il DNA non è un software” (Telmo Pievani, nella sua lettera aperta del 12 gennaio u.s. ad Enzo Pennetta) e corre dalla limpidezza del codice aritmetico alla fumosità della lingua parlata. Eppure, la biologia è lo studio degli organismi viventi, che si distinguono dalla materia inanimata “soltanto per la presenza di un programma genetico” (Ernst Mayr). Il docente di “filosofia della biologia” come spiega agli studenti in che cosa la sua disciplina si distingue dall’epistemologia generale, quando rinuncia ai concetti di programma genetico e d’informazione? dice che il Dogma centrale della biologia è, appunto, un “dogma”, cioè una dottrina religiosa? con quale definizione di vita apre il suo corso dedicato alla critica dei metodi di studio della vita?
Nell’abiogenesi poi, dove il Dogma non può essere invocato perché qui si tratta di dedurre il loop (DNA ↔ RNA) che vi è postulato, agli ingenui resta solo la via d’uscita (metafisica) degli universi transfiniti, nelle cui borgesiane “Biblioteche di Babele” c’è un racconto scritto per ogni storia immaginabile. Ma, come diceva Seneca il Vecchio a proposito di certi filosofi, “tutte queste idee le traggono dal proprio cervello, non dall’evidenza scientifica”, perché le loro speculazioni sono contraddittorie con ogni empiria sulla finitezza di spazio-tempo e di massa-energia dell’Universo che i fisici osservano.
Il metodo delle scienze naturali
Se tralasciamo le esagerazioni alla Crick & Watson (veniali in menti geniali concentrate per una vita intera su un unico obiettivo), ogni giorno ci vengono annunciate sulla vita “scoperte” minori, riguardanti pillole della felicità e geni dell’onestà, intervallate dallo scoop ciclico sulle “tracce” di vita aliena. In un recente articolo ho proposto due cause per questa gragnuola incessante: la ricerca di visibilità da parte di strutture tecno-scientifiche in affanno e l’incapacità di molti ad ammettere i limiti statutari, o anche solo l’ignoranza attuale, delle scienze naturali su alcune questioni. Il valore della visibilità per un settore, come la ricerca, fortemente dipendente dagli stanziamenti pubblici si spiega da sé: in una competizione intra-gruppo e tra gruppi inferocita dalla crisi economica in Occidente, la tendenza a vendere la fantasia per scienza non è più da noi l’eccezione di qualche ramo deviato, ma una pandemia diffusa dal corto circuito coi media. Ma cosa c’è dietro l’altro fronte, quello dell’onniscienza conclamata? Provo a rispondere, ripassando i limiti e il metodo della scienza naturale.
Attingo alla fonte purissima del suo inventore: Galileo Galilei. Nella terza lettera (“Delle macchie del Sole, nella quale anco si tratta di Venere, della Luna e pianeti Medicei, e si scoprono nuove apparenze di Saturno”, 1 dicembre 1612) a Mark Welser, duumviro di Augusta, Galileo scrive che l’approccio scientifico rifugge da speculazioni filosofiche sull’essenza degli oggetti, limitandosi ai dati misurabili e cercando relazioni numeriche (in linguaggio moderno: le “teorie”) secondo le regole della matematica. “Perché, o noi vogliamo specolando tentar di penetrar l’essenza vera ed intrinseca delle sustanze naturali; o noi vogliamo contentarci di venir in notizia d’alcune loro affezioni. Il tentar l’essenza, l’ho per impresa non meno impossibile e per fatica non meno vana nelle prossime sustanze elementari che nelle remotissime e celesti. […] Ma se vorremo fermarci nell’apprensione di alcune affezioni, non mi par che sia da desperar di poter conseguirle anco nei corpi lontanissimi da noi, non meno che ne i prossimi”.
“L’essenza vera ed intrinseca” delle cose che la scienza naturale non deve “tentare” è ciò che sta sotto, nascosto ai sensi e anche agli strumenti; ciò per cui una cosa è quella che è e non un’altra: compreso il fine, o il senso della cosa. “Affezioni” invece, sono gli aspetti visibili con i sensi e codificabili in numeri. Il metodo di Galileo si poggia su 2 pilastri:
– “sensate esperienze”, vale a dire osservazioni ripetute dei dati oggettuali misurabili, realizzate attraverso i sensi e supportate da strumenti, come aste, orologi e cannocchiali;
– “necessarie dimostrazioni”, che colleghino le conseguenze delle relazioni numeriche (in linguaggio moderno: le predizioni) con nuove osservazioni, necessarie a controllare le predizioni della teoria.
Le “affezioni” non esauriscono la realtà delle cose, ma hanno il vantaggio di essere oggettivabili in un numero e così uguali per tutti. Per es., “affezioni” delle macchie solari sono “il luogo, il moto, la figura, la grandezza, l’ipacità, la mutabilità, la produzione ed il dissolvimento”, tutti aspetti rapportabili ad un campione omogeneo e misurabili. La macchia solare della scienza galileiana non è più una “sustanza”, pane quotidiano masticato dalla lingua dei peripatetici negazionisti dell’imperfezione delle sfere celesti, ma dopo le operazioni di misura diventa un’n-pla di numeri (a1, a2, …, an), dove le componenti ak sono le coordinate del “luogo”, la velocità del “moto”, l’area della “figura”…, della macchia, manipolabili algebricamente.
Galileo, e anche Isaac Newton dopo di lui, avevano confidenza in un Creatore, legislatore della Natura. All’uomo, creato da Dio a Sua immagine e quindi con la capacità di decrittare le leggi naturali, il compito di scoprirle per mezzo della matematica. Gradualmente però, la credenza filosofica sull’esistenza di leggi naturali si attenuò: “Io non sono certo che il Sole sorgerà anche domani, ma la cosa è altamente probabile” (David Hume). Il metodo scientifico accentuò il suo distacco da ogni assunto, focalizzandosi sul controllo utilitaristico della Natura (la tecnica) piuttosto che sulla sua conoscenza teorica (la filosofia naturale). La scienza non rinunciò alla matematica, ma cooptò accanto all’analisi infinitesimale – adatta alla descrizione dei fenomeni deterministici ad equilibrio stabile – il nuovo calcolo delle probabilità, che era nato dal tentativo di indovinare le carte nel gioco d’azzardo, rapidamente diffusosi nel XVIII secolo. Il caso fece il suo ingresso in campo scientifico, ma la sua azione restò comunque soggetta alla matematica: nell’operazione di misura dei dati dalle osservazioni, la statistica costruisce una probabilità a posteriori che seleziona fra tutte le cause efficienti possibili la più probabile (Thomas Bayes). Le cause finali però, restarono fuori dal metodo scientifico. Per sempre.
Il trade off galileiano tra essenze ed affezioni (riconfermato gelosamente fino ad oggi, come sigillo di distinzione della scienza naturale dalla filosofia) comporta vantaggi e svantaggi. La matematizzazione della Natura operata dall’auto-restrizione ai dati misurabili diventa in fisica – la scienza naturale dei fondamenti – il calcolo dei rapporti delle forze e degli scambi delle energie in gioco nelle trasformazioni osservate. In questo modo l’esattezza del numero fornisce una descrizione dell’ordine naturale che abilita il ricercatore a fare predizioni controllabili e, collocando le fasi della trasformazione osservata in una successione logica e ottimale riguardo ai consumi di energia e al tempo impiegato, lo abilita anche a dominare le forze della Natura, replicando il fenomeno con il fall out di applicazioni tecnologiche. Dopo millenni di astronomia confusa all’astrologia e di fisica all’alchimia, la scienza moderna è ora “non più cortigiana, strumento di voluttà, né serva, strumento di guadagno; ma sposa legittima, rispettata e rispettabile, feconda di nobile prole, di vantaggi reali e di oneste delizie” (Francesco Bacone).
Però la descrizione scientifica paga il prezzo di rinunciare alla ricerca di scopo (o finalità o intenzione) che, a partire dall’esperienza che ognuno di noi vive dalla nascita (perché?, ripete il bambino di fronte alla cornucopia che gli appare davanti per la prima volta in mille forme), impronta ogni azione umana e senza cui non si dà una completa conoscenza di ciò che accade. La rinuncia al fine costa particolarmente cara ad una scienza naturale tra tutte, la biologia, che è lo studio degli organismi viventi. Se già è arduo definire un organo a prescindere dalla sua funzione (ovvero dal suo scopo), l’operazione si presenta impossibile per un organismo, che è un complesso di organi aventi funzioni integrate a livelli successivi. Forse è per questa difficoltà che la biologia non sa ancora bene in che consiste il suo oggetto, la vita, e per distinguere il mondo vivente da quello inanimato s’accontenta di fissare euristicamente la linea di demarcazione sulla presenza/assenza di un programma genetico. Tutto a posto allora, in biologia? Niente affatto, perché non potendo ricorrere alla teleologia del programmatore, che non è materia di scienza naturale ma di teologia, l’esistenza e la struttura inspiegate del programma genetico svelano la persistente nudità della regina… A meno che costei non s’acconci ad evocare sistematicamente la “roulette” cosmica di Monod, dove a motore di ogni trasformazione biologica, dall’abiogenesi a Homo Sapiens, è assurto il caso. Un caso meta-fisico perché, al contrario di quello della meccanica quantistica e più in generale della statistica usato nelle altre scienze naturali (e anche nelle roulette reali dei casino per calcolare le vincite), non è né predicibile né misurabile.
La matrice filosofica del darwinismo
La rivoluzione galileiana consiste, insomma, nell’applicazione alle modalità cognitive umane di un filtro matematico che spreme dalle “sustanze” le “affezioni”, così sostituendo alle parole i numeri e rinunciando per statuto ad indagare finalità e senso. “Intorno ad altre più controverse condizioni delle sustanze naturali” provvederà la filosofia con i suoi mezzi, liquida Galileo la questione. Chi si può lamentare, a questo punto, se le scienze naturali non rivelano un senso delle cose, né uno scopo in Natura?! Eppur succede…
Quando uno zoologo, con cattedra nella città dove Galileo trascorse la sua maturità ed è sepolto, si presenta in una scuola col proclama che “senza ricorrere all’intervento di alcuna divinità… la Teoria dell’Evoluzione per Selezione Naturale… [le maiuscole sono d’obbligo quando una teoria prende il posto delle divinità, NdR]continua ad essere il principale strumento teorico in grado di spiegare efficacemente i fenomeni naturali, dalla nascita delle specie alla loro estinzione”, che cosa gli ha fatto dimenticare Galileo, così da confondere la teologia con la biologia e contrabbandare per teoria scientifica un racconto senza misurazioni, né matematica né predizioni né applicazioni? Solo l’errore d’un tecnico platonicamente prigioniero della sua caverna, forse. Ma si aggirano nei luoghi di Galileo viaggiatori anche di lignaggio superiore, prigionieri del fraintendimento tra filosofia, scienze naturali e poesia…
Pievani nella succitata lettera scrive ancora: “Il ‘non senso’ dell’evoluzione, cioè la sua mancanza di una direzione finalistica, appare a mio avviso limpidamente dalle conoscenze scientifiche attuali”. Pievani non è un tecnico, come Crick portato per inerzia ad estrapolare le sue analisi sulle molecole a speculazioni sulla mente; è un epistemologo, con cattedra all’università dove Galileo trascorse “li diciotto anni migliori di tutta la mia età”. Egli dovrebbe per mestiere vigilare sui confini fissati dal pisano tra scienza e filosofia, ad impedire scorribande da una parte all’altra. E invece che fa? confonde la prima, che per suo metodo non si occupa di senso, con la seconda, che è la sola sede legittimata a porre le domande che lo riguardano; mischia la teleonomia, che è il piano di ricerca delle cause efficienti appartenente alla biologia, con la teleologia, che è lo spazio di speculazione delle cause finali proprio della filosofia. Pretende che siano “le conoscenze scientifiche attuali” a mostrare l’evidenza del “non senso dell’evoluzione”, come un venditore di lenti filtranti ti volesse così dimostrare l’assenza di un colore nello spettro luminoso… Di fatto rimescola una tautologia: l’assunzione darwiniana che motore dell’innovazione biologica è il caso porta necessariamente alla conclusione che le “conoscenze scientifiche” negano una “direzione finalistica” dell’evoluzione. La tesi che Pievani crede di dimostrare coincide con l’ipotesi da cui è partito e ciò che crede di trarre dalle “conoscenze scientifiche” proviene soltanto dal suo cervello.
Un merito va comunque riconosciuto a tale argomentare. Esso palesa la matrice che all’origine fa del darwinismo una filosofia: il ruolo del caso, inaccessibile all’indagine statistica e svincolato dalle leggi fisiche dell’Universo osservato. Questo caso “assoluto” abilita i suoi adepti a “penetrar l’essenza vera ed intrinseca delle sustanze naturali”, mettendone al sicuro tutte le proposizioni dal controllo sperimentale. Campo e metodo della scienza galileiana sono travalicati. Il darwinismo è una versione della filosofia di Democrito, che 2.400 anni fa aveva annunciato ai Greci: “Tutto ciò che esiste nell’Universo è frutto del caso e della necessità”.
Nell’evoluzione dell’Universo io invece ho la “limpida apparizione” di una direzione orientata ad un fine: riscontro nella specie umana – “la sola specie nell’universo capace di utilizzare un sistema logico di comunicazione simbolica” (J. Monod) – il culmine di una biogenesi coestensiva alla cosmogenesi fin dai primi istanti del Big Bang, rappresentata da una geometrica freccia di senso, con coda a 14 miliardi di anni fa e punta a 140.000. Ma non dirò che questa intuizione mi deriva dalle “conoscenze scientifiche attuali”. Ammetto senz’altro che si tratta di un’interpretazione della mia Weltanschauung.
Weltanschauung e ideologia militante
Una Weltanschauung “è qualcosa di totale e universale a un tempo, […] consiste di idee, manifestazioni supreme ed espressioni totali dell’uomo, […] delle posizioni ultime che l’anima occupa, […] delle forze che la muovono” (Karl Jaspers). Tutti hanno diritto ad una propria Weltanschauung, anche i biologi e i filosofi di fede darwinista naturalmente. E a tutti i docenti universitari, darwinisti e no, può accadere di confondere la propria concezione del mondo con un fatto o una teoria scientifica: perché, diciamo la verità, la tecno-scienza è bella per chi ne legge, ammaliante per chi la pratica, utile a tutti; ma la concezione di vita è molto di più: solo questa ci scalda l’anima… e nei risultati scientifici ci trascina a trovare un conforto alle nostre scelte esistenziali. Però c’è una differenza, almeno di stile, tra Weltanschauung e ideologia militante. Quando la confusione tra metodi e domini disciplinari impronta intere pagine della cosiddetta divulgazione scientifica (vedi per es. i libri “Creazione senza Dio” di T. Pievani, o “La scienza non ha bisogno di Dio” di E. Boncinelli, scritti sulla scia dei new atheist anglofoni loro maestri), gli autori usano impropriamente risultati scientifici, in sé aperti ad interpretazioni filosofiche opposte, per propagandare le loro visioni personali. Naturalistiche, in questo caso, uguali e contrarie a quelle creazionistiche d’Oltreoceano dagli stessi tanto criticate. Creazionismo e darwinismo sono due sistemi filosofici basati su due assunti opposti (l’esistenza o l’assenza di Disegno nella biosfera), donde traggono due “spiegazioni” opposte della speciazione asincrona, accomunate dall’estraneità al canone galileiano. Tra le due concezioni, va riconosciuta al darwinismo una superiorità creativa, stante nella sua incoerenza logica messa in luce già da Darwin: “Mi sorge sempre l’orrendo dubbio se le convinzioni della mente umana, che si è evoluta da quella di animali inferiori, siano di qualche valore e meritevoli di credito. Chi si fiderebbe delle convinzioni della mente d’una scimmia, ammesso che ne abbia?”.
Confesso: non c’è niente di originale nella mia analisi. Lobby e pregiudizi, questi due parassiti della scienza moderna furono segnalati 50 anni fa da Imre Lakatos. Mostrando maggiore realismo rispetto al suo maestro, Lakatos corresse, come si sa, l’“ingenuità” popperiana d’un progresso scientifico guidato solo dalla competizione epistemica tra teorie, con la dimostrazione che la tecno-scienza avanza anche tramite lo scontro 1) di gruppi e programmi, legati a interessi economici e 2) di contrapposte Weltanschauung, che fanno da scenario concettuale generale alle teorie più vicine allo Zeitgeist di ogni epoca.
Da una quarantina d’anni, un numero crescente di scienziati – biologi, fisici, matematici, medici, chimici, computer scientist, epistemologi,… –, nelle scuole medie attratti dalla semplificazione darwiniana, se ne sono gradualmente emancipati dopo la laurea. Da Stuart Kauffman a Carl Woese, da Gabriel Dover a Leonard Kruglyak, da Lynn Margulis a Stuart Newman, da Jerry Fodor a Massimo Piattelli Palmarini a Eva Jablonka a Eugene Koonin a Thomas Nagel, essi hanno toccato sul campo l’inadeguatezza scientifica d’un paradigma 2-dimensionale, recintato da caso e selezione naturale. Si son convinti che una teoria della vita a quelle 2 dimensioni, per quanto restaurata e indefinitamente estesa, non è in grado di spiegare la vita più di quanto uno spazio a 2 dimensioni non sarebbe in grado di ospitarla. Superando i dogmi della sintesi cosiddetta moderna – basati su una fisica antiquata, quella contemporanea a Darwin, secondo cui le ultime particelle hanno proprietà esclusivamente meccaniche – stanno ricercando ulteriori dimensioni, basate sulla complessità e l’elettrodinamica quantistica, ed anche su nuovi principi.
Divertito davanti ai tentativi con cui i darwinisti del XX secolo insistevano a cercare i segreti della vita nella fisica del XIX, David Bohm scriveva nel 1969: “Proprio quando la fisica si allontana dal meccanicismo, la biologia e la psicologia vi si avvicinano. Se questo trend continua, accadrà che la biologia guarderà agli esseri viventi ed intelligenti come a meccani, mentre la fisica considererà la materia inanimata troppo complessa e sottile da cadere nelle categorie limitate del meccanicismo”.
Perché insistono anche nel XXI secolo? che cosa li fa appellarsi ancora a Darwin come i peripatetici seicenteschi allo Stagirita, dei quali Galileo scriveva a Welser: “Severi difensori [di Aristotele], educati e nutriti sin dalla prima infanzia de i lor studii in questa opinione, […] non vogliono mai sollevar gli occhi da quelle carte, quasi che questo gran libro del mondo non fosse scritto dalla natura per esser letto da altri che da Aristotele, e che gli occhi suoi avessero a vedere per tutta la sua posterità. […] Troppo vogliamo abbassar la condizion nostra, e non senza qualche offesa della natura e direi quasi della divina Benignità (la quale per aiuto all’intender la sua grande costruzione ci ha conceduti 2000 anni più d’isservazioni, e vista 20 volte più acuta, che ad Aristotele), col voler più presto imparar da lui quello ch’egli né seppe né potette sapere, che da gli occhi nostri e dal nostro proprio discorso”?
Perché, lakatosianamente, hanno una visione naturalistica del mondo da difendere contro ogni coerenza e da diffondere contro ogni resistenza; e per questo ideale supremo ogni mezzo è buono, compreso l’uso improprio della biologia.
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33 commenti
Ancora un prezioso contributo, grazie Giorgio.
In particolare vorrei soffermarmi su un passaggio:
“Di fatto rimescola una tautologia: l’assunzione darwiniana che motore dell’innovazione biologica è il caso porta necessariamente alla conclusione che le “conoscenze scientifiche” negano una “direzione finalistica” dell’evoluzione. La tesi che Pievani crede di dimostrare coincide con l’ipotesi da cui è partito e ciò che crede di trarre dalle “conoscenze scientifiche” proviene soltanto dal suo cervello.
Un merito va comunque riconosciuto a tale argomentare. Esso palesa la matrice che all’origine fa del darwinismo una filosofia: il ruolo del caso, inaccessibile all’indagine statistica e svincolato dalle leggi fisiche dell’Universo osservato. Questo caso “assoluto” abilita i suoi adepti a “penetrar l’essenza vera ed intrinseca delle sustanze naturali”, mettendone al sicuro tutte le proposizioni dal controllo sperimentale. Campo e metodo della scienza galileiana sono travalicati.”
Queste considerazioni confermano che per permettere alla cattiva scienza di diffondersi si deve prima fare, e diffondere, della cattiva filosofia.
Ed è esattamente uno dei concetti che ultimamnete abbiamo cercato di mostrare maggiormente credo.
Si è parlato proprio nello specifico anche proprio della specifica posizione e delle tesi di Pievani in un suo articolo e nei suoi due libri “di punta”.
Colgo l’occasione per fare due cose:
La prima i complimenti ed i più sinceri apprezzamenti(scontati forse)al prof.masiero per questo suo prezioso,interessante,istruttivo e condivisibile articolo.
La seconda per comunicare che nei prossimi giorni verranno fornie le registrazioni degli interventi del primo Mendel Day.
Leonetto, grazie ancora per il tuo prezioso lavoro.
Grazie dell’apprezzamento, Leonetto.
Egregi signori,
navigando sulla rete ho trovato per ‘caso’ il Vostro sito e il titolo mi ha immediatamente attratto!
Sono biologo, anche insegnante liceale, cercavo qualche buon brano per i miei studenti…..
sono però rimasto allibito!!!
Come si può ancora al giorno d’oggi usare le parole di Galileo in questo modo?
Per non parlare poi della parola ‘caso’: ma quanti significati ha? Siete di sicuri di conoscerli tutti? E perchè volete convincere il lettore che ne abbia solo uno??? Galileo sarebbe il primo ad inorridire di un uso così sfrontato delle sue parole!!!
Solo chi è obnubilato da un’ideologia può accusare chi non si adegua al proprio pensiero di faziosità, cospirazione ….. e chi più ne ha più ne metta!
Non fate proprio un buon servizio alla divulgazione scientifica!
Quando sviluppo un argomento, professore, agli elogi acritici preferisco sempre le osservazioni critiche, perché le seconde segnalandomi gli errori migliorano la mia limitatissima conoscenza, piuttosto che correre il rischio con i primi di confermarmi nella mia infinita ignoranza.
Le chiedo un passo ulteriore: se può passare dall’indignazione alla segnalazione delle mie proposizioni A, B, … che Lei non condivide, insieme alle Sue contro-argomentazioni P, Q, …, come farebbe in classe per correggere un Suo alunno, errante in buona fede.
In soldoni, prof. Masiero, è un assunto accettabile o no che l’universo si sia “creato” da sé?
Leggendo Davies parrebbe di sì, anche se la questione rimarrà di certo insoluta, e a darsi battaglia su questo punto saranno pur sempre solo speculazioni filosofiche.
Lei, Paolo, fatica a rimanere OT nelle Sue osservazioni. Comunque Le risponderò, ma solo per questa volta.
Alla Sua domanda se la proposizione “l’Universo si è creato da sé” sia accettabile, ogni adulto, anche ignorante di scienza e filosofia, ma dotato della ragione, può rispondersi da sé. Le rispondo come farei con uno studente delle medie.
La proposizione “l’Universo si è creato da sé” non appartiene alla scienza moderna, così com’è stata concepita da Galileo e Newton, perché è fuori da ogni controllo sperimentale immaginabile.
Ma la proposizione non appartiene nemmeno alla filosofia, perché è fuori della logica ed è senza senso: dire che “l’Universo si è creato da sé” è come dire che “l’Universo è causa dell’Universo”. Se A è causa dell’effetto B, si richiede l’esistenza della causa A per il realizzarsi dell’effetto B: quindi la proposizione “A è causa di A” è priva di senso, perché invoca l’esistenza di A per spiegare l’esistenza di A.
Il problema dell’origine dell’Universo ha solo 2 soluzioni alternative, come ci hanno insegnato i filosofi greci 2.500 anni fa, che evidentemente sapevano ragionare meglio di certi moderni scienziati: o l’Universo è eterno o l’Universo è stato creato da un’Agenzia trascendente (Dio). E, aggiungo io, la scelta tra le due alternative non è di competenza della scienza moderna, ma solo della filosofia.
A proposito di “ideologia militante” darwinista, credo che sia interessante leggere cosa ne pensa Peter Hitchens, fratello di Christopher Hitchens (il noto anti-teista, recentemente scomparso):
“Sono perfettamente preparato ad accettare la possibilità, deprimente quanto possa essere, che l’evoluzione mediante selezione naturale possa spiegare l’attuale stato del regno naturale. E’ una possibile spiegazione, plausibile ed elegante. Penso solo che la teoria manchi di prove conclusive e che sia aperta a domande serie, da cui è protetta solo da un’ortodossia soffocante (ciò viene sempre espresso da espressioni quali ‘stragrande maggioranza’ – come se le questioni scientifiche potessero essere risolte con un voto o una sfilata di moda).
Inoltre, coloro che esprimono dubbi sono immediatamente dichiarati ‘creazionisti’, una parola destinata a suggerire che noi crediamo nella verità letterale della descrizione della Genesi (io non ci credo), abbiamo lunghe barbe bianche (io non ce l’ho) e andiamo in giro stringendo tavole di pietra (un’altra cosa che io non faccio). Alcuni critici dell’evoluzione possono tenere questa posizione. Io, e molti altri, non la teniamo ed è stupido (e dannoso per quelli che fanno l’affermazione) dire che lo facciamo.” (http://hitchensblog.mailonsunday.co.uk/2010/02/can-bears-turn-into-whales.html ; vedere anche qui: http://hitchensblog.mailonsunday.co.uk/2013/02/can-bears-turn-into-whales-part-two-charles-darwin-revisited.html)
Bella questa, Michele, della “stragrande maggioranza” dei consensi, come criterio di scientificità del darwinismo. La accampa sempre anche Pievani, insieme all’altra di rito battista: che alternative abbiamo?
Dunque, ricapitolando, facciamo l’elenco dei pro e dei contro del darwinismo, come si faceva nelle serie dispute medievali. Contro: 1) matematica zero; 2) predicibilità zero; controllabilità zero. Pro: 1) assenza di teorie alternative; 2) maggioranza dei consensi. Una questione politica, insomma…
In politica però, i vincitori non sono quelli che raccolgono il massimo dei consensi (valore primo della funzione), ma quelli che guadagnano di più o perdono meno (valore della derivata prima); e addirittura quelli che guadagnando mostrano un’accelerazione maggiore, o perdendo un’accelerazione minore (derivata seconda). Che cosa succederà alle armate darwiniste, quando una metanalisi prossima ventura mostrerà la derivata prima dei consensi?
Giorgio, questa della derivata prima e seconda è proprio una chiave di lettura interessante.
Molto interessante…
Non so se ti ricordi, Enzo, ma forse non eri ancora nato, ai tempi del centro-sinistra, ci furono delle elezioni in base alle quali Craxi rivendicò la presidenza del consiglio al suo partito (PSI) non in base al numero dei voti (y; così sarebbe spettato alla DC), né in base a chi aveva registrato il miglior andamento rispetto alla tornata precedente (y’), ma in base a chi aveva registrato il maggior impulso rispetto ai confronti estesi fino a due tornate precedenti (y”)!
Ti ringrazio per avermi ringiovanito di un bel po’!
Però quell’episodio non lo ricordavo, certo che il ragionamento non è applicabile per attribuire la presidenza del consiglio altrimenti i partiti piccoli sarebbero troppo avvantaggiati e i grandi non avrebbero mai un presidente del consiglio, però è un utile mezzo per capire le tendenze.
Quel ragionamento, Enzo, “non è applicabile per attribuire la presidenza del consiglio”?! Ma su che cosa si basa Grillo per chiedere oggi la presidenza del consiglio se non sul fatto che il suo partito – solo terzo per voti e parlamentari (y) – ha registrato l’impennata maggiore (y’) e soprattutto sulla minaccia che se si va a nuove elezioni farà un balzo ancora più grande (y”)?
Infatti Grillo può chiedere quello che vuole (come fece Craxi), altro è che gli venga concesso…
Anche Casini nel 2006 aveva rivendicato (o cercato di rivendicare, poi ha trovato pane per i suoi denti) un tale uso politico della derivata seconda!
E’ ora di finirla di questi abusi!
Questa e’ matematica ad orologeria!
La derivata ai matematici, e le derive (populiste) ai politici!
😉
Siamo OT, ma cmq continuiamo a divertirci!
Non so voi, ma io ho visto da dentro la politica ad altissimo livello (dentro i palazzi del potere politico ed economico, romani e milanesi) per una dozzina d’anni. E tra le altre cose, una che ho imparato è questa: che l’unica cosa che conta in politica è il potere (non le regole, la legge, l’etica, bla, bla). Tutto ciò che si può (perché hai il potere di farlo), si fa.
Se y(t) è il numero dei voti in funzione del tempo, la cosa più importante in una condizione critica foriera di nuove elezioni, per avere potere nelle trattative, è y”(t), perché il suo segno ti dice se la tua fazione è in fase ascendente o discendente. Questa è la politica. Dai Greci ad oggi. In tutti i regimi e a tutte le latitudini.
Continuando a divertirci, mi sapreste spiegare perche’ un allenatore di una squadra di calcio
– se perde 3 a 0 per tutta la partita e poi agli ultimi minuti pareggia 3 a 3 e’ un eroe (per quella banda scalmanata)
– se vince 3 a 0 per tutta la partita e poi gli ultimi minuti pareggia 3 a 3 e’ un co….e (per quella banda scalmanata)
?
😉
Non voglio infierire, Piero, ma se Lei fa il grafico delle 2 situazioni, con in odinate la differenza-punti ed in ascisse il tempo, otterrà due grafici uguali a campana, diversi soltanto nel segno della derivata seconda!
Il mio umorismo fa pieta’, e’ vero, specialmente poi mediato da un testo scritto in 5 secondi e con contorno degli “smiles”, certo, ma io le stavo dando ragione prof.
Alla fine il risultato conseguito e’ uguale: 3-3.
Cambiano solo gli epiteti con cui i tifosi esaltati apostrofano l’allenatore.
Michele, se avessi scritto le parole di Peter Hitchens tacendone l’autore avremmo potuto pensare che fossero state scritte da uno di noi!
Segno che chi ha occhi per vedere, e non mette le lenti “colorate”, vede la stessa realtà.
Buonasera a tutti e al padrone di casa, prof. Enzo Pennetta.
Ho deciso di prendermi un periodo di riposo e riflessione… Nel senso che davvero le problematiche sollevate su CS riguardo al neodarwinismo e alla figura di Darwin sono troppo estese per chi, come me, affronta queste tematiche solo da poco tempo.
Se prima di lasciarvi accettate qualche suggerimento/considerazione eccoli qua.
Chi si trova a imbattersi in CS per la prima volta avrebbe bisogno di una paginetta/documento in cui viene detto “CHI SIAMO” (un gruppo di professori, amici … che si occupano, appassionati di …) e di una scheda intitolata magari “I NOSTRI PUNTI FERMI” (magari è difficile sintetizzarli, ma vi assicuro che è più difficile per un profano pigliare qua e là i punti chiave), così che in un batter d’occhio si sia in grado di cogliere l’essenza del vostro pensiero sull’evoluzione come fatto (vi assicuro che sulle prime si fa fatica a cogliere la non contradditorietà tra la “contestazione” al neodarwinismo che balza subito all’occhio e un pensiero evoluzionista alternativo…).
Altro suggerimento che mi sento in tutta coscienza di darvi. Stona, a mio avviso, il fatto che quasi tutte le vostre notizie partano da una critica a qualcuno (nella fattispecie il mondo neodarwinista, il tal professore, il tal giornale, il tal pensiero…). In primo piano in questo modo c’è la vis polemica, che mette sulle prime in ombra i contenuti, che dovrebbero essere la vostra forza. Diciamo che chi vi legge, e magari ha una pregiudiziale favorevole all’evoluzionismo classico, vi bolla subito come eretici o come i soliti impiccioni senza arte né parte (spero di aver reso l’idea senza offendere sensibilità).
Adesso cercherò di capire perché fior di studiosi e scienziati (solo per guardare all’interno del panorama italiano) abbracciano il neodarwinismo con convinzione e perché rifuggano il confronto con voi. Mi spiace, per esempio, che il confronto col prof. Pievani non sia proseguito. Lo farò proseguire virtualmente con onestà intellettuale nelle letture pro e contro che cercherò di fare nei prossimi mesi.
Ecco, ho detto tutto e spero che ciò sia preso come costruttivo.
Un abbraccio a tutti, e un pensiero di simpatia per “sto coi frati…”
Ciao
Giuseppe
Ciao Giuseppe,
questo tuo saluto conferma l’impressione positiva che ebbi leggendo la mail che mi hai scritto tempo fa. Gli interventi che hai sinora fatto hanno contribuito a sollevare questioni che spero siano state interessanti e utili alla comprensione delle tematiche per i lettori, e se qualche volta hanno innescato polemiche un po’ accese, ma sempre nell’ambito della correttezza da arte di tutti, questo fa parte del gioco.
I suggerimenti che hai proposto mi sembra che siano da prendere in considerazione, anzi, mi sembra che vadano accolti non appena ci sarà un po’ di tempo per provvedere.
Un caro saluto e spero a presto
ep
Carissimo,non mi sbaglio nel ritenerti persona gentilissima,e ti abbraccio con affetto.
Constato la tua decisione di interrompere la tua partecipazione a questo blog,perfettamente gestito dal Prof.Pennetta.
Ma dubito che sarà un vero addio(e così spero)anche perchè sei ardemente alla ricerca della verità,quale essa sia.
Ti faccio anche notare,da tuo amico,che da molti mesi sono stati invitati,in questa Tribuna,che possiamo definire aperta al dialogo,autentici esperti di evoluzionismo(diciamo pro neodarwinismo)ma con esito negativo.
Se poi il Prof.Pennetta decidesse di aprire,nel suo blog,un angolino per discussioni “filosofiche”per me(ed altri)sarebbe un gran piacere-onore dibattere con te e altre persone a te simili.A presto.
s.o.s. correzione errori:ardentemente no ardemente.Chiedo venia!
Mi sembra di avere quella”mallatia francese per cui sembra di vivere una situazione già vissuta”(cit.’My name is Earl’), un deja vu:
da
http://www.enzopennetta.it/2013/02/linconsistenza-del-pensiero-darwinista/#comment-11330
http://www.enzopennetta.it/2013/02/scienza-e-pseudoscienza-a-scuola-si-parla-del-darwinismo/#comment-11386
😀
Quanto alle proposte-consigli,come ognuno di essi è sempre qualcosa che vale la pena di ascoltare e di valutare certamente e che può,perchè no essere costruttivo.Su alcune cose proposte ,personalmente ho diversi dubbi,ma un consiglio è sempre prezioso..
Su una cosa però vorrei far riflettere.In questi tempi, magari è un po’ una cosa diffusa,che molti neanche riescono a realizzare per quel che è,c’è un po’ l’atteggiamento di voler tutto “semplice e subito”.
Cosa che difficlissimamente si verifica in qualsiasi ambito.
E’ d’uopo prima di imbarcarsi in qualcosa cercare di prepararsi per il meglio,e cosa anche forse più importante prima di criticare,dibattere,questionare su un punto espresso in un blog,in un forum o da un qualche movimento,associazione etc etc..cercare il più possibile di conoscere cosa venga detto da questi e già sottoporlo ad una valutazione mediante ricerche,consulti e proprie conoscenze.E solo dopo poi fare quelle cose elencate sopra.
Questo avviene molto di rado ovunque e spesso e volentieri è una delle cause di diversi problemi.
Sarà anche una cosa che può essere impopolare ma è una verità su cui un poco forse bisognerebbe riflettere.
E’ anche una prva di umiltà,nessuno nasce imparato,tutti siamo ignoranti su qualcosa e non si smette mai di imparare.
Bisogna altresì ricordare(sta sempre scritto in alto nel blog apositamente) che onesto è colui che camia il proprio pensiero per accordarlo alla verità e non viceversa.
@ Leonetto.
Penso, invece, che i suggerimenti di Cipriani siano assolutamente importanti. Cose come “I nostri punti fermi” o “Chi siamo” non possono certo sopperire ad anni di studi, ma forniscono una carta d’identità di chiara ed immediata lettura per chi si imbatte per la prima volta su C.S.. Poi, ovviamente, occorre l’approfondimento, prima di poter prendere parte, con cognizione di causa, alle discussioni. Una “carta d’identità” sarebbe di grande aiuto anche per chi, come me, è ignorante e fa fatica ad orientarsi tra citazioni di grandi scienziati, filosofi, evoluzione, teorie dell’evoluzione e quant’altro.
Comunque grazie a C.S. per la grande consapevolezza che ho acquisito su questi temi. Un saluto a Cipriani: torni a trovarci. Un saluto anche a G.T. che spero continui a rinfrancarsi lo spirito con le grandi riflessioni del professor Masiero e di tutti gli altri autori.
Cari tutti, forse sembrerà un pò OT ma io credo che invece una riflessione seria non sui ‘punti fermi’ o sui ‘fondamenti’ ma sul mestiere dello scienziato, su come ragiona e opera uno che invece di fare il calzolaio, il fruttivendolo, il magistrato il medico fa il mestiere della ricerca sia importante per rimettere tutto in una dimensione più umana. Allora nessuno fa come lavoro il costruttore di Weltanschaung o quello che apre all’umanità un nuovo e radioso orizzonte e, se pensa di farlo, è un pazo pericoloso e, a mio parere, se dotato di qualche effettiva influenza sul mondo, va messo in condizioni di non nuocere, in maniea umana e senza fargli del male ma va bloccato. Il mestiere dello scienziato è il mestiere di uno che spesso da bambino ha fatto preoccupare i genitori perchè se ne stava ore a guardare formicai in attività oppure a gettare sassi nelle pozzanghere e ammirare le onde concentriche oppure a preparare orrende pozioni mescolando vari ingredienti. Da grande dopo aver preso una laurea in qualche materia scientifica si sarà appassionato a qualche gioco analogo a quelli che lo occupavano da bambino che, grazie all’esagerata stima per la sua attività tipica del mondo moderno, sarà diventata inopinatamente una fonte di reddito. Di questa sua fortuna egli è grato (al Signore , al suo prossimo, alle circostanze a seconda dei gusti) e cerca in qualche modo di ripagare il debito costruendo delle rappresentazioni adeguate e coerenti d ciò che osserva. lo farà con degli strumenti che avrà affinato nel corso del suo mestiere, come da bambino aveva affinato una canna che doveva fungere da scova-rane nello stagno: ora saranno le tecniche statistiche o l’uso delle equazioni differenziali, o l’abilità nell’interpretare spettri NMR….Se lungo la strada incontrerà qualcuno che lo sta a sentire sarà felice di parlare dele sue scoperte e se queste scoperte saranno usate da qualcuno per fare del bene ne sarà grato, felice e molto ma molto stupito.
Ecco perchè quando vede qualcuno che non ha mai veramente giocato montare d’orgoglio e usare la scienza come una clava per menare mazzate a chi la pensa diversamente o per costringere tutti ad aderire a una visione del mondo (qualsiasi essa sia) rimane offeso e deluso.
Grazie, Alessandro, di questo tuo commento, efficace e colorito secondo il tuo stile!
Non è affatto OT, ma al contrario, di tutti è quello secondo me più in tema. E che esprime con la passione dell’insider quello che quasi da osservatore esterno io ho voluto dire con freddezza.
Grazie Giorgio, di fatto il tuo articolo mi è piaciuto molto proprio perchè era implicita l’insofferenza verso l’arroganza di chi trasforma la scienza in ideologia snaturandola
Prof.Masiero,inanzitutto più la leggo più trovo interessante la frase:
“Se il segreto della vita è un problema scientificamente decidibile (perché – ricordo agli ottimisti ingenui – incombe sempre la spada di Damocle del teorema di Gödel), il darwinista non può nemmeno avvicinarvisi per la rozzezza della sua strumentazione.”
Mi sembra un qualcosa su cui molti dovrebbero quantomeno riflettere un po’.
L’analogia con il metalinguaggio informatico l’avevamo proposta diverse volte anche su CS,ed è stata riportata da diversi scienziati e divulgatori anche non italiani sia per far comprendere bene a chi legge il concetto sia perchè sussite effettivamene taale analogia in ciò che osserviamo.
Quindi la trovo straordinariamente calzante.
http://www.enzopennetta.it/2012/10/escherichia-coli-e-vera-evoluzione/#comment-8677
Anche il prof.Catalano nella sua ospitata s RadioGlobe aveva a mio avviso ben spiegato il concetto di informazione:
http://www.enzopennetta.it/2012/09/9314/
Detto questo,quindi rinnovandole i complimenti per la qualità di questo articolo volevo chiederle:
Lei scrive che:
” “Il concetto d’informazione in biologia è tutt’altro che assodato. […] Il DNA non è un software” (Telmo Pievani, nella sua lettera aperta del 12 gennaio u.s. ad Enzo Pennetta)”
Nelle pagine di Creazione senza Dio (pg.125)leggiamo meglio questo concetto:
“Infine, molti biologi sospettano oggi che la stessa metafora del codice genetico come “programma” informazionale sia fuorviante. Se avessero ragione, vorrebbe dire che non esiste nemmeno la base materiale da cui era partito il ragionamento dei difensori di una causa finale inscritta nello sviluppo. Lo sguardo tarato sul tempo profondo, tipico dell’evoluzionista, vede il genoma come un sistema molecolare di codificazione efficiente ma ridondante, con arcipelaghi di significato dentro un oceano di triplette, pieno di sequenze egoiste e autoreferenziali, chiaramente il frutto di tentativi ed errori, di rimaneggiamenti e riorganizzazioni, di un’esplorazione stocastica, senza alcuna corrispondenza lineare fra le dimensioni del codice e le complessità degli organismi che ne derivano. Pessimo, come programma informatico. Pessimo, come prodotto di un progetto intelligente.”
Cosa ne pensa?Mi piacerebbe un suo commento su tutto questo pensiero(ovviamente fa parte di un discorso più lungo del prof.Pievani che si completa con il concetto di contingenza introdotto e spiegato nell’altro la vita inaspettata,però in queste righe si esprime il concetto strettamente legato alle tematiche del suo articolo prof.Masiero),quindi anche relativamente alle espressioni che vengono scelte dal Pievani come “chiaramente”
P.S.
Comprendo che l’articolo di per sè sia già una risposta sia ai libri che alle affermazioni di Pievani e ad un certo modo di strumentalizzare la biologia,però ecco mi faceva piacere chiederle proprio un commento su questa frase.
Grazie in anticipo.
La ringrazio, Leonetto, dell’apprezzamento che, venendo da una persona molto preparata nel campo biologico ad uno come me che si è affacciato solo da pochi mesi a questi temi affascinanti, mi conforta ancor di più.
Stavo preparando un commento dettagliato ai paralogismi di Pievani, ma mi sono accorto, man mano che lo scrivevo, che esso cresceva a dismisura, superando abbondantemente lo spazio proprio dei commenti.
Vado, con l’assenso di Enzo Pennetta, a trasformarlo in un articolo che spero venga pubblicato su CS nei giorni a venire.
Penso l’apprezzamento sia molto più che meritato.
Sono io a ringraziarla.
Fra l’altro qui:
http://www.enzopennetta.it/2012/12/la-complessita-fondamentale-della-vita/#comment-10075
E’ arrivato un’articolo.
Adesso da questa mia domanda vedo arrivare un altro articolo..
Mi,anzi ‘ci’ vizia prof.Masiero.