Una delle ultime frontiere della scienza è l’ “impronta idrica”, cioè quanta acqua si consuma per le varie attività umane.
Ma a ben vedere è solo l’ultimo dei modi per colpevolizzarci di… esistere.
In un articolo pubblicato il 15 febbraio sul Corriere della Sera e intitolato “L’acqua «nascosta»: 200 litriper un latte macchiato“, si affronta una delle ultime manie di questi anni: l’impronta idrica. Ma cos’è l’impronta idrica? Per averne una definizione andiamo su un sito specifico intitolato proprio “Impronta idrica“, dove possiamo leggere:
L’impronta idrica è un indicatore che consente di calcolare l’uso di acqua, prendendo in considerazione sia l’utilizzo diretto che quello indiretto di acqua, del consumatore o del produttore. L’impronta idrica di un individuo, di una comunità, di un’azienda è definita come il volume totale di acqua dolce utilizzata per produrre i beni e i servizi consumati da quell’individuo, comunità o impresa.
Una volta stabilito cosa si intenda con tale termine torniamo all’articolo del Corriere per vedere quanto viene riportato. Scopriamo che si tratta di uno studio condotto da Arjen Hoekstra e Mesfin Mekonnen dell’Università di Twente, nei Paesi Bassi, e pubblicato con il titolo The water footprint of humanity su PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences), nel quale è stato affrontato il calcolo dell’impronta idrica di vari paesi. Quali sono stati i risultati è riassunto nell’articolo del Corriere:
La produzione agricola contribuisce per il 92% dei consumi, scrivono gli scienziati. La produzione industriale per 4,4 per cento e quella casalinga per il 3,6 per cento…
Scopriamo dunque che la produzione agricola assorbe ben il 92% dei consumi di acqua. La domanda che qui viene da fare è un po’ provocatoria, ma non più di tanto: quale sarebbe l’impronta idrica di un alimento cresciuto in un bosco? Quale potrebbe ad es, essere l’impronta idrica di una fragola di bosco e quale quella di un frutto identico ma coltivato? Il trucco logico sembra essere proprio qui : l’impronta idrica esiste solo per i prodotti del lavoro umano, per gli stessi prodotti cresciuti in natura l’impronta idrica è zero. Sembra che qualcosa non vada.
Il ciclo dell’acqua è sempre lo stesso, sia che vada ad innaffiare un bosco, sia che venga raccolta in un bacino idrico per l’irrigazione, la quantità di biomassa che potrà sostenere è la stessa: il problema allora è solo una corretta gestione di questa risorsa, che se non viene raccolta nei bacini viene “gettata via” nel terreno e nei fiumi.
Ma inoltre il calcolo dell’impronta idrica sembra prestarsi a qualche eccesso, per capire di cosa si tratta riprendiamo quanto riferito sul Corriere:
L’impronta idrica di ciascuno di noi può essere riassunta anche con il classico esempio della tazza di caffè. Partiamo dall’agricoltore che ha bisogno di carburante e macchinari, la cui produzione necessita di grandi quantità di acqua. Per cucinare e lavare e per pulire il caffè i lavoratori sulle piantagioni si servono di acqua. Acqua è indispensabile anche per il processo di raffinazione, per il trasporto e per il commercio di transito. Infine, l’acqua potabile per riempire la macchina da caffè. Ma non basta. Bisogna aggiungere l’acqua del lavello; l’acqua per la produzione di latte e di zucchero. Insieme ai suoi colleghi, lo studioso Hoekstra è giunto alla conclusione che per un solo latte macchiato sono necessari almeno 200 litri di acqua – più di una vasca da bagno riempita fino all’orlo.
Insomma, per arrivare al prodotto finito, l’incriminato latte macchiato, si consumano ben 200 litri d’acqua, come spiegato nel dettaglio.
L’impronta idrica di alcuni prodotti.
Ma la domanda potrebbe allora essere: quanta acqua si consuma per produrre un bicchiere d’acqua minerale?
Se, come riportato nell’articolo “ Partiamo dall’agricoltore che ha bisogno di carburante e macchinari, la cui produzione necessita di grandi quantità di acqua…” il consumo di carburante e macchinari richiede a sua volta un consumo di acqua, dobbiamo inserire nel computo dell’acqua necessaria per far arrivare nel nostro bicchiere l’acqua minerale, l’acqua consumata per il carburante del camion che l’ha trasportata, quella consumata dai macchinari per l’imbottigliamento, quella utilizzata per dissetare gli operai dello stabilimento, quella che hanno dovuto bere gli operai che l’hanno scaricata (sudando probabilmente), quella consumata per la corrente elettrica del frigorifero in cui l’abbiamo tenuta, quella consumata per lavare il bicchiere in cui sarà messa, quella che va sprecata nei bicchieri che non vengono bevuti fino in fondo, ecc ecc…
Nella tabella sopra riportata un litro di acqua minerale ha un’impronta di 5 litri, ma non credo di sbagliare di molto se stimo che, con opportuni calcoli, per fare un bicchiere d’acqua minerale potremmo raggiungere gli stessi 200 litri d’acqua necessari per fare un cappuccino.
Quello che viene da domandarsi è perché si debba elaborare tutto questo calcolo dell’impronta idrica anziché lavorare solo sul fabbisogno delle varie comunità (città, paesi, regioni…) e sulla possibilità di soddisfarlo?
Perché non provvedere semplicemente a promuovere l’ottimizzazione delle risorse e l’eliminazione degli sprechi?
La risposta sembrerebbe abbastanza semplice:
A-Se l’approccio è quello in cui si parla di necessità e risorse, al centro poniamo l’Uomo e il problema è trovare l’acqua.
B-Se l’approccio è quello dell’impronta idrica, al centro poniamo l’ambiente e il problema è l’Uomo.
Superfluo dire che da quando si è affermata la visione del Club di Roma, il cui fondatore Aurelio Peccei definì l’umanità come un cancro del pianeta Terra (o Gaia per i più esigenti), l’Uomo è diventato un parassita e ogni problema viene affrontato coerentemente con questa prospettiva.
15 commenti
Ottimo articolo. Vorrei fare però una piccolissima precisazione (che non merita neanche che si provveda alla correzione). Twente non è una città ma una regione (la sede dell’università suppongo sia a Enschede), anche se questo veniva ignorato anche da alcuni cronisti che l’anno scorso raccontavano la partita Inter-Twente.
http://www.utwente.nl/ctw/wem/organisatie/medewerkers/hoekstra/arjen_hoekstra.doc/
L’università è ‘di Twente’, che sia città o regione si chiama così..
Non lo metto in dubbio, ma in inglese anche “università della Toscana” si tradurrebbe “University of Tuscany”, è che l’italiano ha questa inusuale caratteristica di porre l’articolo davanti ai nomi geografici.
Ma secondo voi, quale sarà stata l’ “impronta idrica” dello studio dell’Università di Twente…?!?
Me lo chiedevo dopo aver letto l’articolo…sicuramente troppo grande..
Ad ogni modo una politica,un’impegno sociale,l’applicazione scientifica volta ad ottimizzare le risorse,evitare gli sprechi,fare economia,preservare la salute e condizioni salutari e benessere ha un senso e dovrebbe essere parte integrante del progresso della ricerca etc..(mi viene in mente anche solo ‘nel piccolo’ Michael Pritchard e la tanica depuratrice..)
Invece promuovere l’idea di ‘uomo cancro di Gaia’ non serve a nulla ne porta a nulla,eventualmente a cose anche preoccupanti.
Non è vero che siamo in troppi,non è vero che mancano le risorse,la natura non è un tuttuno con cui dobbiamo essere in simbiosi,ma è un bene del quale godere trattandolo bene perchè è di tutti e serve a tutti,presenti e futuri..
Ohhh! Finalmente qualcuno si accorge che il re è nudo! Sono anni che sento queste idiozie sulle risorse idriche che andrebbero esaurendosi. Io sono solo un povero ignorante, non ho specifiche competenze, ma a me, questo discorso dell’acqua che, se non stiamo attenti, finisce… mi sembra una… sciocchezzuola (a dir poco!). Se anche volessimo prender per buoni ‘sti 200 litri per fare un cappuccino…. embè? Mica spariscono per sempre dall’universo mondo alla fine! Ovunque vadano a finire, prima o poi, dovranno pur soltare fuori da qualche parte, ed allora ci penserà il sole a farli evaporare in cielo; da lì, poi, inevitabilmente, torneranno a noi sotto forma di purissima pioggia. E’ il ciclo dell’acqua, no? Possiamo sporcare l’acqua con le peggiori porcherie del mondo, possiamo contaminarla con la radioattività: basta un po’ di sole e l’acqua evapora tornando alla purezza originale.
Il bello è che, con queste idiozie, riescono a terrorizzare un sacco di gente. Bah!
Giancarlo, pensando alla considerazione finale del suo intervento:
“Il bello è che, con queste idiozie, riescono a terrorizzare un sacco di gente”
mi viene da pensare che non sia un effetto del tutto accidentale.
E’ vero, terrorizzare la gente è proprio quello che vogliono. Ricordo che quando ero un ragazzino, anni ’70, ero terrorizzato dalla “bomba demografica” che avrebbe dovuto esplodre all’incirca verso il 2000. Ho continuato per anni, forse per decenni, ad essere sempre, aprioristicamente, dalla perte degli ecologisti, di qualunque natura fossero, nella speranza di aiutarli a salvare il pianeta. Oggi mi rendo conto di quanto è importante fuggire dalle ideologie. Cerco di insegnare ai miei tre figli ad essere capaci di rispondere di quello che fanno, ma anche e soprattutto a guardare con serenità e fiducia alla vita ed al futuro.
Grazie professor Pennetta per lo stupendo lavoro che sta facendo. Io l’ammiro molto, e la stimo.
Sono io a ringraziare lei e tutti coloro che con i loro interventi completano e rendono vivo il blog.
Non è retorica quando dico che molto del valore di questo sito è proprio negli interventi.
Fra l’altro ma da quale mente è partorita l’idea dell’impronta idrica?Da un analista..da chi?
E’ un indice che veramente trovo assai poco utile per dirla eufemisticamente..
Un articolo davvero interessante. Qualcuno sa dirmi se una qualsiasi persona tra quelle che considerano l’uomo un cancro per la povera Gaia è mai stata così coerente da togliersi la vita? O il problema sono sempre gli altri?
E’ la stessa cosa che si è chiesta madre Teresa di Calcutta. E la risposta, ovviamente, è no.
Nelle mie peregrinazione “internettiane” (ho sempre goduto nel peregrinare, e fino che ho potuto ho peregrinato nei boschi, senz’altro molto più salutare delle peregrinazioni internettiane) mi sono imbattuto in un articolo che riportava come tutto quello che è accaduto (guerre mondiali ecc.) fosse da lungo tempo programmato da certi circoli.
Dopo la seconda guerra mondiale sembra che il progetto fosse quello di creare disagio sociale come miccia per le rivolte sociali di portata apocalittica e prodromi della terza guerra mondiale.
Naturalmente se uno guarda alla Grecia, ai paesi arabi e forse a ciò che accadrà in Spagna e perchè no in italia, troverà mille conferme.
E’ un po’ come interpretare Nostradamus ex post, tutto combacia, o viene fatto combaciare.
resta il fatto che queste cose lette senza un minimo di senso critico creano se non terrore, per lo meno delle preoccupazioni fra la gente. Con internet la circolazione delle notizie è notevolmente velocizzata e capillarizzata e una bugia ben raccontata diventa una verità assodata come per il famoso scherzo (?)
http://www.l-d-x.com/dhmo/facts.html
Anche io ero preoccupato dalla bomba demografica, e prima dalla bomba atomica, e poi dalla deforestazione, se vogliamo aggiungere altre voci al paniere delle preoccupazioni, i ghiacci che si ritirano e la mia amata Venezia che viene sommersa, la suina, l’aviaria, ebola, la febbre del nilo e vai col tango!
A proposito della bomba demografica, molti anni fa in TV il Prof. Morpurgo (chi se lo ricorda?) affermava che è un errore portare gli antibiotici in Africa perchè la popolazione esploderà e ci sarà il collasso.
La strategia del terrore e della colpevolizzazione dell’uomo a mio giudizio sono solo delle operazioni di “marketing” atte a preparare il terreno a leggi liberticide (spacciandole come necessarie alla sopravvivenza) e alla concentrazione di potere e denaro in poche mani.
L’importante è poter (e voler) valutare e per fare questo è necessaria informazione corretta anche se per alcune affermazioni basta il semplice buon senso.
La tecnica utilizzata è sempre la stessa, da una cosa ragionevole (l’utilizzo occulato delle risorse), distorcendo la verità e creando allarme si passa a cose irragionevoli che la gente accetta come inevitabili.
La domanda da farsi sempre è “cui prodest?” e quando ci si accorge che il vantaggio va sempre nella stessa direzione si insinua il dubbio, la paura un po’ alla volta sparisce e ci si gusta un buon caffè senza troppi patemi d’animo.
Ciao Valentino, condivido le riflessioni sulle peregrinazioni internettiane e quelle nei boschi, potendo sceglierei le seconde ma il nostro mondo ci obbliga a tenere d’occhio la selva del web che è molto più densa di pericoli.
Trovo molto interessante le tue considerazioni conclusive:
“La tecnica utilizzata è sempre la stessa, da una cosa ragionevole (l’utilizzo occulato delle risorse), distorcendo la verità e creando allarme si passa a cose irragionevoli che la gente accetta come inevitabili.
La risposta l’hai data nell’intervento su “Scienticracy”.
Veramente non riesco a capire come la gente non riesce a vedere il sofisma che ci presenta questa gente. Cosa accadrebbe se non utilizassimo l`acqua per l`agricoltura? andrebbe in mare e diventerebbe acqua non potabile! Ma il mondo a perduto il buon senso?