ADHD – Una malattia inventata?

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Le attività condotte simultaneamente, “multitasking”, sono oggi ritenute una caratteristica “vincente”.

 

C’è chi dice che l’ADHD è una nuova malattia, una malattia la cui cura prevede l’assunzione di vere e proprie droghe da parte dei bambini (CS-ADHD: drogare i bambini?) ma c’è anche chi dice che si tratta di una patologia che non esiste.

E se fosse invece la conseguenza di nuove abitudini?

 

Nel 2010 il Prof. GiorgioIsrael ne parlava in questi termini:

Quando, in occasione della discussione sulla legge concernente i DSA (Disturbi specifici di apprendimento), mi sono permesso di criticarla ritenendola un ulteriore passo verso la medicalizzazione della scuola, nel contesto di una tendenza generale verso la trasformazione della scuola e, più in generale, della società in una gigantesca clinica psichiatrica, non ho avuto repliche degne di questo nome. Sono stato trattato come un incrocio tra un provocatore e un pazzo. Ho ricevuto insulti, minacce e sono stato persino gratificato di un appello “contro il negazionista”. Avendo sostenuto – in buona compagnia – che l’ADHD (sindrome del bambino agitato) è un’invenzione fatta per vendere tonnellate di sedativi, un giornalista mi ha intimato di “ritrattare”.

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L’affermazione è di quelle forti, ma l’argomento è troppo importante per non prendere seriamente in considerazione questa ipotesi.

Dal sito dell’AIDAI (Associazione Italiana Disturbi Attenzione e Iperattività) prendiamo questa definizione del disturbo dell’attenzione:

I sintomi relativi alla disattenzione si riscontrano soprattutto in bambini che, rispetto ai loro coetanei, presentano un’evidente difficoltà a rimanere attenti o a lavorare su uno stesso compito per un periodo di tempo sufficientemente prolungato.
Diversi autori sostengono che il deficit principale della sindrome sia rappresentato dalle difficoltà d’attenzione, che si manifestano sia in situazioni scolastiche/lavorative, che in quelle sociali. Dato che il costrutto di attenzione è multidimensionale (selettiva, mantenuta, focalizzata, divisa), le ultime ricerche sembrano concordi nello stabilire che ilproblema maggiormente evidente nel DDAI sia il mantenimento dell’attenzione, soprattutto durante attività ripetitive o noiose (Dogulas, 1983; Robertson et al., 1999).

 

A parte il riferimento alla difficoltà a mantenere l’attenzione durante attività “ripetitive  noiose” che ci lascia col dubbio di essere tutti affetti da disturbo dell’attenzione, l’aspetto che caratterizza il deficit d’attenzione è quello  in cui si evidenzia una: difficoltà a rimanere attenti o a lavorare su uno stesso compito per un periodo di tempo sufficientemente prolungato.

Questa caratteristica può avere però un’origine in un fenomeno evidenziato dall’American Academy of Pediatrics in un articolo pubblicato nel settembre 2011. Nell’articolo si legge infatti che osservando un ragazzo in un letto di ospedale mentre contemporaneamente ascoltava la musica da un iPod, giocava ad un video game, e scambiava messaggi con un amico mentre la TV accesa faceva da sfondo, il dott. Dimitri A. Christakis, MD, MPH, autore dell’articolo, rifletteva sul fatto che la mente non può lavorare in modalità “multitasking” come potrebbe invece fare un computer, e che quindi il ragazzo stava in realtà saltellando da un oggetto dell’attenzione all’altro:

A KaiserFamily Foundation study found that30% of children multitask with media,often in the context of doing other productivework (eg, homework).6 Neurosciencetells us that multitasking isnot, in fact, the simultaneous processingof 2 distinct activities but, rather,the rapid oscillation between them; awell-trained (and young and nimblebrain such as the one this adolescentpossessed) can focus attention on 1task and then refocus seamlessly onanother. It is a skill that is being routinelycultivated by the digital nativesamong us.

 

Chi è nato nell’era digitale, molto spesso si abitua fin dai primi anni di vita a questo “saltellamento” dell’attenzione. Ma non è proprio quello che chiamiamo “disturbo dell’attenzione“?

E se così fosse, non sarebbe allora un grave errore trattare con farmaci un problema che non ha origini neurologiche ma educative?

Quantomeno credo che la questione andrebbe approfondita.

 

 

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Laureato in Biologia e in Farmacia, docente di scienze naturali Nel 2011 ha pubblicato "Inchiesta sul darwinismo", nel 2016 "L'ultimo uomo" e nel 2020 "Il Quarto Dominio".

2 commenti

  1. Pienamente d’accordo!
    Sono una farmacista che si trova di fronte giornalmente mamme disperate che i loro bambini non dormono, sin dai primi mesi di vita, e che sono agitati sia a casa che a scuola. Ma quando chiedi loro se prima di andare a dormire cerchino di evitare qualsiasi attività eccitante a livello psicomotorio (una delle cose più facili!), rispondono imbarazzate che non è possibile staccare i loro figli da tv o computer. Le nostre abitudini negative si riflettono sui nostri figli, purtroppo, ed è sempre più facile risolverle con la somministrazione di una pasticca mettendo in pace la coscienza!

  2. Ciao Lizbeth,
    grazie per questo utile intervento che completa quello che intendevo dire.

    Sarò contento di leggerti ogni volta che vorrai intervenire!

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