DI MIKE LUDWIG
Truth-out.org
Sbirciare la sezione Agricultural Development del sito di Bill e Melinda Gates è un’esperienza edificante: contadini africani che sorridono, in un gioioso slide show che alterna alle immagini descrizioni dell’impegno profuso dalla fondazione per combattere fame e povertà.
Eppure, gli attivisti della biosicurezza definiscono il programma finanziato dalla Gates Foundation un ‘cavallo di Troia’, finalizzato ad aprire la via al settore agro-alimentare privato e all’introduzione di sementi geneticamente modificate, tra cui un tipo di mais resistente alla siccità che la Monsanto spera di far approvare negli USA e nel resto del mondo.
Il programma Water Efficient Maize for Africa (WEMA) [progetto di sviluppo quinquennale, frutto di una partnership pubblico-privato, che punta alla diffusione di mais resistente alla siccità nelle realtà agricole dell’Africa sub-sahariana, ndt]è stato lanciato nel 2008 con lo stanziamento di 47 milioni di dollari da parte dei ricchissimi filantropi Warren Buffet [chiamato nell’articolo ‘Warrant’: certificato azionario, diritto d’opzione, ndt]e Bill Gates.
Il programma dovrebbe aiutare i contadini di numerosi paesi africani ad incrementare i raccolti introducendo varietà di mais resistenti alla siccità e alle alte temperature, eppure, in un rapporto pubblicato il mese scorso dall’African Centre for Biosafety [organizzazione no-profit sudafricana, ndt], si legge che lo WEMA minaccia seriamente la ‘sovranità’ alimentare africana, aprendo nuovi mercati per giganti dell’agro-alimentare come la Monsanto.
La Gates Foundation dichiara che le biotecnologie, i semi geneticamente modificati e, in generale, i sistemi agricoli occidentali sono necessari per sfamare una popolazione mondiale in costante crescita e programmi come lo WEMA contribuiranno all’eliminazione della povertà e della fame nei paesi in via di sviluppo. I detrattori sostengono invece che la fondazione stia utilizzando i miliardi di cui dispone per ‘plasmare’ a suo piacimento l’agenda alimentare globale. Inoltre, le motivazioni alla base del programma WEMA sono state recentemente messe in discussione, dato che alcuni attivisti hanno scoperto che la Gates Foundation ha speso, tra aprile e giugno 2010, 27,6 milioni di dollari per l’acquisto di 500.000 azioni della Monsanto.
La scarsità di acqua in molte zone dell’Africa e altrove ha creato un mercato per le colture climate-ready [adattate al clima, modificate o create ad hoc per resistere a determinati fattori ambientali, ndt]del valore stimato di 2,7 miliardi di dollari. Le maggiori aziende che operano nel settore biotech, come Monsanto, Syngenta, Bayer e Dow, sono attualmente in competizione per sviluppare colture che possano crescere in condizioni di estrema siccità provocata dai cambiamenti climatici e, partecipando al programma WEMA, la Monsanto si è guadagnata una posizione privilegiata per creare nuovi mercati e ottenere le approvazioni regolatorie per i suoi brevetti transgenici in almeno – secondo il rapporto stilato dal Centro – cinque nazioni africane.
La Monsanto ha intrapreso una collaborazione con la BASF, altro colosso industriale, per la donazione di tecnologia e transgeni allo WEMA e alle organizzazioni partner. I ricercatori e i produttori di sementi riceveranno gratuitamente i semi modificati, così che i contadini e i piccoli coltivatori possano piantare il mais senza dover pagare le royalty che, di norma, la Monsanto richiede stagionalmente.
Per ora la Monsanto sta donando i semi, tuttavia l’azienda è nota per la strenua e aggressiva difesa dei suoi brevetti. Nel passato, ha fatto causa agli agricoltori che avevano parzialmente impollinato il loro mais con quello Monsanto, contaminandolo con i preziosi codici genetici brevettati di proprietà della compagnia. Nel 2009, la Monsanto e la BASF hanno scoperto, all’interno di un batterio, un gene che si ritiene possa aiutare le colture come il mais sopravvivere con molta meno acqua: in breve tempo hanno sviluppato un nuovo tipo di seme chiamato MON 87460. Non è ancora chiaro se MON 87460 surclasserà gli ibridi resistenti alla siccità che già esistono, tuttavia il Dipartimento dell’Agricoltura statunitense potrebbe approvarne la commercializzazione negli USA già dall’11 luglio [in realtà l’iter regolatorio è tuttora in corso, ndt]. La Monsanto conta di rendere disponibile il seme per gli agricoltori americani entro l’anno prossimo.
Le colture geneticamente modificate, come MON 87460, possono essere testate e vendute solo in paesi, come gli Stati Uniti, che si sono dichiarati favorevoli all’uso delle biotecnologie in agricoltura. Alle aree attualmente interessate dal programma WEMA potrebbero essere aggiunti altri cinque paesi: Sudafrica, Uganda, Tanzania, Kenya e Mozambico. Il Biosafety Centre segnala come lo WEMA paventi la possibilità di massicci finanziamenti per spingere i politici locali ad approvare leggi molto deboli per la tutela della biosicurezza e a sostenere l’introduzione di colture modificate e dei sistemi di coltivazione agrochimici ad esse collegati. Una serie di field trial [prove sul campo, ndt]su MON 87460 e su altre varietà di semi resistenti alla siccità sono attualmente in corso in Sudafrica, una nazione dove la Monsanto può già vantare una notevole influenza politica. In Kenya, in Tanzania e in Uganda i field trial sulle qualità di mais previste dallo WEMA dovrebbero partire nel corso del 2011.
L’ente che si occupa dell’implementazione dello WEMA è l’African Agricultural Technology Foundation (AATF), un gruppo pro-biotech interamente finanziato dal programma USAID [U.S. Agency for International Development, ndt] del governo USA, dal Regno Unito e dalle fondazioni di Gates e Buffet. L’AATF è un’organizzazione benefica no-profit che esercita pressioni politiche sui governi africani e promuove collaborazioni tra il settore pubblico e le aziende per la diffusione di tecnologie agrarie in Africa. Il Biosafety Centre accusa l’AATF di essere fondamentalmente un’organizzazione di facciata del governo USA, con il solo scopo di permettere all’USAID di intromettersi nelle scelte politiche africane, promuovendo ridicole regolamentazioni della biosicurezza in modo da facilitare, per le aziende americane, l’esportazione di biotecnologie nei paesi africani.
WEMA e AATF navigano in un mare di sigle e acronimi: tutte ONG e organizzazioni no-profit sostenute dai paesi occidentali e da ricchi filantropi che promuovono qualunque cosa, dai fertilizzanti alle colture alimentari dalle proprietà nutrizionali ‘potenziate’, come soluzioni per la fame nel mondo. Tutti insieme, questi gruppi stanno spingendo per una Seconda Rivoluzione Verde [rifacendosi alla cosiddetta ‘rivoluzione verde’ partita in Messico negli anni 40, con l’introduzione di nuove tecniche per incrementare le produzioni agricole in molti paesi, ndt], alimentando un dibattito internazionale sul futuro della produzione alimentare. La Gates Foundation ha da sola stanziato, a oggi, 1,7 miliardi di dollari per questi scopi.
Non c’era niente di ‘verde’ nella prima Rivoluzione Verde degli anni 50 e 60. Semplicemente, data la crescita demografica esponenziale dell’ultimo secolo, le multinazionali hanno spinto per l’introduzione, nei paesi in via di sviluppo, di tecniche agricole occidentali come fertilizzanti, sistemi di irrigazione, macchinari assetati di carburante e pesticidi. Gli storici ricordano spesso come promuovere l’agricoltura industriale per sfamare i paesi in via di sviluppo fosse uno degli elementi fondamentali della politica USA per arrestare la diffusione del comunismo e l’egemonia sovietica.
La Seconda Rivoluzione Verde, focalizzata sull’Africa, si propone di risolvere i problemi di denutrizione attraverso l’istruzione, le biotecnologie, gli allevamenti high-tech e altri metodi agricoli industriali diffusi e apprezzati in paesi come gli USA, il Brasile e il Messico.
L’Africa si è quindi trovata al centro di un dibattito globale che ruota fondamentalmente intorno a una domanda: considerando che la popolazione mondiale raggiungerà, secondo le stime, i 9 miliardi di individui entro il 2045, come potranno gli agricoltori sfamare tutti quanti, soprattutto nei paesi in via di sviluppo? Le linee lungo le quali si articola il dibattito sono chiare. Gli eroi della Seconda Rivoluzione Verde si trovano a fronteggiare schiere di ricercatori e attivisti che dubitano che i sistemi agricoli occidentali, fondati sulla tecnologia e il petrolio, possano sfamare in modo sostenibile il mondo.
L’African Centre for Biosafety e i suoi alleati citano spesso un rapporto pubblicato recentemente dallo IAASTD [International Assessment of Agricultural Knowledge, Science and Technology for Development, ndt] un gruppo di ricerca sostenuto dalle Nazioni Unite, dall’OMS e da altri. Lo IAASTD ha rilevato come l’agricoltura industriale abbia effettivamente raggiunto l’obiettivo di incrementare i raccolti di mais in tutto il mondo, ma abbia al contempo causato danni ambientali e deforestazione, che colpiscono in modo sproporzionato i coltivatori più piccoli e le nazioni più povere. L’utilizzo diffuso di pesticidi e fertilizzanti, per esempio, provoca la desertificazione delle aree costiere. Oppure i progetti di irrigazione massiccia, che mettono ora in conto l’utilizzo del 70% delle riserve idriche mondiali, quando circa 1,6 miliardi di persone vivono in aree dove c’è carenza di acqua.
L’incremento dei raccolti di mais è lo scopo ultimo per gruppi come la Gates Foundation, ma lo IAASTD ricorda che il vero traguardo dovrebbe essere la sostenibilità. Il rapporto non demonizza né esclude le biotecnologie, ma suggerisce di considerare l’agricoltura high-tech solo come uno tra gli strumenti a disposizione. Il rapporto promuove in particolare la ‘agroecologia’, che punta a sostituire gli elementi chimici e biochimici dell’agricoltura industriale con risorse naturali, ricavate dall’ambiente stesso. In marzo, un esperto dell’ONU ha pubblicato un rapporto che mostrava come i piccoli coltivatori potrebbero raddoppiare la propria produzione nell’arco di un decennio ricorrendo soltanto a semplici metodi agroecologici. Il rapporto arriva come un pugno sulle facce dei Rivoluzionari Verdi.
“Le prove scientifiche di cui disponiamo oggi dimostrano che i metodi agroecologici garantiscono una maggiore efficacia rispetto ai fertilizzanti chimici nello stimolare la produzione di cibo nelle aree ‘affamate’, in particolare dove le condizioni ambientali sono meno favorevoli”, ha sottolineato Olivier De Schutter, autore del rapporto e Special Rapporteur [esperto incaricato di esaminare, monitorare, riportare e consigliare l’ONU in merito a determinate issue legate ai diritti umani, ndt]dell’ONU sul diritto al cibo. “Il Malawi, un paese che pochi anni fa ha lanciato un programma di finanziamenti per una massiccia fertilizzazione chimica, sta ora applicando l’agroecologia, della quale beneficiano già più di 1,3 milioni di abitanti, tra i più poveri, con raccolti di mais che sono passati da una tonnellata per ettaro a due/tre tonnellate.”
De Schutter ha ricordato che le aziende private come la Monsanto non investiranno di certo nell’agroecologia, dal momento che questa non permette l’apertura di nuovi mercati per l’agrochimico o per i semi geneticamente modificati, quindi sono i governi e gli enti pubblici che devono sostenere il passaggio a un’agricoltura più sostenibile. Eppure, più di un miliardo di dollari è già stato speso e i fautori della Seconda Rivoluzione Verde sono determinati a far sentire la loro voce indicando al mondo come deve coltivare il suo cibo, e l’agroecologia decisamente non è nella loro agenda. Per loro, sostenibilità significa portare l’innovazione ‘privata’ nei paesi in via di sviluppo. La Gates Foundation può donare miliardi per combattere la fame, ma finché ci saranno aziende private come la Monsanto a trarne beneficio, anche sfamare il mondo apparirà come una manovra finalizzata esclusivamente al lucro.
Titolo originale: “Monsanto and Gates Foundation Push Genetically Engineered Crops on Africa”
Fonte originale: http://www.truth-out.org/
Link
12.07.2011
Fonte in italiano: www.comedonchisciotte.org
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di GUGLIELMO ATTEMI
1 commento
Pingback: Critica Scientifica – di Enzo Pennetta » Blog Archive » “Bigottismo scientifico” e OGM