Il fiume Anaktuvuk in Alaska
“Incendi al Polo Nord” e “l’incendio del fiume Anaktuvuk”, così affermano testualmente due articoli comparsi rispettivamente sul Corriere.it e sul sito le scienze.espresso.repubblica.it. Forse l’argomento di cui si potrebbe più propriamente parlare in questo caso sarebbe l’informazione e non la scienza. Ma se andiamo ad approfondire quanto viene riportato nei due articoli ci accorgiamo che vengono fatte delle affermazioni sulle quali è opportuna qualche riflessione, sull’articolo pubblicato da le scienze.espresso.repubblica.it, possiamo leggere che:
«L’incendio del fiume Anaktuvuk ha bruciato 1039 chilometri quadrati di tundra e rilasciato 2,3 milioni di tonnellate di carbonio nell’atmosfera. La datazione al radiocarbonio ha rivelato che l’età massima del carbonio immagazzinato nel suolo era di 50 anni.
“La quantità di carbonio rilasciata dall’incendio è equivalente alla quantità di carbonio immagazzinata dal bioma globale della tundra”, ha commentato Michelle Mack, biologa dell’Università della Florida e primo autore dello studio. “Si tratta di un incendio delle dimensioni di una foresta boreale”.»
Dunque nell’incendio è stato rilasciato carbonio databile a non più di 50 anni fa, ma quanto di quel carbonio liberato dalla tundra arriva effettivamente a 50 anni di datazione? Le percentuali sono importanti in casi come questi, altrimenti si rischia di fare come quei negozi che reclamizzano “sconti fino al 50%” e poi si scopre che solo uno degli articoli in vendita arriva a tale percentuale.
Nella tundra infatti non ci sono alberi, ma ci sono comunque piante erbacee perenni, c’è o no qualcosa di anomalo nella percentuale di carbonio datato 50 anni fa? Con gli elementi riportati nella notizia non è possibile esprimere un giudizio.
Proseguendo la lettura troviamo poi:
«Le attuali conoscenze sugli effetti degli incendi sull’immagazzinamento del carbonio e sui cicli della tundra sono limitate.»
Ma poco dopo viene affermato:
« Oltre al contributo diretto del rilascio di carbonio in atmosfera, gli incendi della tundra sono importanti per il potenziale feedback positivo sul riscaldamento globale: poiché il materiale organico che isola il permafrost dal caldo delle temperature estive viene meno, la superficie del terreno va incontro a una destabilizzazione e la decomposizione del carbonio immagazzinato negli strati più profondi del suolo porta a un rilascio in atmosfera che non può che amplificare il riscaldamento climatico alle alte latitudini.»
Insomma, al di là del fatto che durante gli incendi della tundra venga liberata della CO2, corrispondente forse all’età della vegetazione o forse proveniente dal sottosuolo, possiamo vedere che inizialmente viene dichiarato che “le attuali conoscenze sono limitate”, in seguito però viene formulato un parere che assume i connotati di una certezza sul medesimo argomento.
Se dunque le conoscenze sono “limitate” su un determinato argomento, le conclusioni dovrebbero essere correttamente lasciate in sospeso.
E soprattutto, si dovrebbe evitare di affermare che il Polo Nord e i fiumi sono soggetti agli incendi.
Ulteriori informazioni sull’argomento è possibile trovarle sul sito di CLIMATE MONITOR
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