Marco Tosatti
Roma
Il primo, fondamentale, punto da chiarire è che questo non è un libro “creazionista”. L’autore lo scrive, con molta chiarezza e umorismo nell’introduzione; perché sembra che oggi “ogni critica al darwinismo comporti automaticamente l’attribuzione dell’etichetta di creazionista: questa strategia comunicativa ricorda la cosiddetta “reductio ad Hitlerum”, termine coniato…negli anni ’50 da Leo Strauss per indicare una tattica dialettica adottata in politica al fine di squalificare un interlocutore”.
Così, per evitare la “reductio ad creazionistam” Enzo Pennetta dichiara una posizione critica “sia verso il darwinismo dogmatico sia verso il fondamentalismo negazionista”. Il suo saggio non vuole indicare un’alternativa compiuta alla teoria darwiniana, ma mostrare le motivazioni ideologiche e anche politiche che hanno sostenuto, difeso e ancora continuano a difendere, anche laddove le crepe sono evidenti, la teoria di Darwin. Dal tempo della sua creazione a metà ‘800 e hanno continuato ad agire durante tutto il XX secolo fino ai giorni nostri, impedendo che si sviluppasse intorno ad essa un dibattito puramente e veramente scientifico.
E’ certamente questo il pregio maggiore del libro, al di là degli accenni , che volutamente sono sviluppati solo in linea generale delle debolezze veramente evidenti di una teoria che è partita da un’idea, di cui si sono poi cercate verifiche sperimentali, e non il contrario. Ricorda come la teoria di Darwin non abbia risolto il problema che, cinquant’anni prima, aveva causato il naufragio dell’analoga teoria di Lamarck, e cioè la mancanza di reperti fossili che documentino la gradualità dell’evoluzione nelle sue varie fasi di passaggio. E più ancora ricorda come il problema della “stasi”, cioè della presenza di reperti fossili per alcune specie rimasti gli stessi, con una presenza eguale e documentata fin da tempi lontanissimi ponga un problema ancora più grande.
Ma soprattutto In questo libro Pennetta richiama l’attenzione sulle implicazioni antropologiche e politiche delle teorie evoluzioniste e su quanto gli atteggiamenti correnti intorno alla questione minaccino la libertà di pensiero ed espressione. La cronaca e l’attualità mostrano come nel mondo contemporaneo la scienza abbia assunto la funzione di legittimare il potere. Molte delle scelte più importanti non possono infatti essere compiute senza il sostegno di questa autorità a cui viene attribuito il ruolo di generare un consenso unanime.
Questo stato di cose ebbe inizio nel ‘600 quando in Inghilterra si fece strada l’idea di uno Stato legittimato da una classe di scienziati: fu Francis Bacon a proporlo nella Nuova Atlantide. Da quell’idea nacque la Royal Society, la “casta sacerdotale” di scienziati che avrebbe supportato l’Impero Britannico. Tuttavia fu ben presto evidente che quella casta aveva bisogno di un testo di riferimento, di una nuova “Bibbia” capace di offrire una nuova visione del mondo: l’occasione buona sarebbe giunta nel 1859 quando Charles Darwin pubblicò l’Origine delle specie. Era una teoria che si prestava a divenire una sorta di seducente mito della creazione moderno, un mito basato sulle idee classiste dell’economista Thomas Robert Malthus, e da altri studiosi e scienziati.
Fino alla nascita dell’eugenetica, molto discussa nel mondo anglosassone prima della seconda guerra mondiale (e poi con discrezione nel dopoguerra, a causa delle applicazioni pratiche naziste); e al genocidio di popoli “inferiori”, quali pellerossa, indigeni della Tasmania e aborigeni australiani e neozelandesi. Fino a giungere a guidare, in forme diverse e adeguate ai tempi e al “politically correct” le politiche degli stati occidentali e delle Organizzazioni Internazionali non esclusa l’ONU. Particolarmente interessante – come lo è tutto il libro – l’analisi accurata del documento fondante dell’Unesco.
Inchiesta sul Darwinismo (Cantagalli, pag. 216, € 15.50)